I doni dello Spirito

una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27.16,1-4)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

Giovanni 15,26-27

26 Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; 27 e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.

Giovanni 16,1-4

1 Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. 2 Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3 E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. 4 Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.

Audio della riflessione esegetica

Dalla prima Pasqua e dalla nostra appena celebrata e in continuazione senza interruzioni siamo  casa, abitazione, dello Spirito Santo, cioè di quell’artista che con scalpello e pennello ricostruisce noi secondo la figura di Gesù, ce ne dà il cuore, i pensieri, i lineamenti, la felicità piena. Gesù conosce bene il nostro cuore e non può lasciare soli in balia della debolezza, della confusione i suoi discepoli, noi stessi che lo vogliamo seguire. Ecco allora la grande promessa con cui ha dato forza e vigore alle nostre debolezze. Ci manda lo Spirito che è amore che genera, è pienezza di significato su ogni lato del nostro essere. Colora la nostra corporeità di capacità di dono, di dedizione completa. Ci permette di comprendere e di trasformare, di sentirci punto di arrivo di una chiamata personale, ci offre il perché di ogni nostra sete e passione.

Non solo, ma lo Spirito Santo sempre ci riempie dei suoi doni per guarire le nostre ferite, farci capire la parola di Gesù, alleviare le nostre sofferenze, aiutare a convertire i nostri cuori.  Gesù, il Signore risorto ci introduce in una esperienza interiore invidiabile.

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Ci viene ad  abitare una forza e un fuoco che  purifica, scalda, illumina. In questo tempo pasquale la nostra vita ha un  appuntamento con Dio che rimarrà indelebile. Dio ci scrive nella carne un sigillo di appartenenza che non sparirà mai. Ricordate come facevano con gli schiavi i popoli antichi? Li marchiavano a fuoco vivo con dei ferri roventi per indicare che sarebbero sempre appartenuti a quel padrone. Molti ancora oggi si fanno tatuaggi con disegni ricercatissimi. Non c’è cantante rock che non sia tatuato alla grande, così i detenuti, gli sportivi. Ebbene lo Spirito Santo ci lascia il tatuaggio indelebile e  identificativo dei cristiani.

Dio non è un padrone che ha bisogno di marchiare con il fuoco una sua proprietà, perché tutto il mondo è suo e non toglie mai la libertà a nessuno. Allora che significa il tatuaggio dello Spirito Santo? E’ un segno che il vescovo traccia ungendo a forma di croce la nostra fronte col crisma che è un olio profumato e consacrato, che ci richiama sempre a una promessa d’amor che oggi gli facciamo.

Dio in cambio ci dà i sette doni; li elenchiamo e poi li accogliamo a uno a uno.

1. Sapienza. 2 Intelletto. 3Consiglio. 4Fortezza. 5 Scienza  6 Pietà. 7 Timor  di Dio

  1. Non è sufficiente ampliare tutte le conoscenze, avere tutte le informazioni possibili, saper usare computer dell’ultima generazione, saper usare smartphone, essere dei maghi con il cellulare, ma occorre essere saggi nell’usare tutte le informazioni che abbiamo ; il dono della sapienza
  2. Per tutte le nostre ricerche è basilare la conoscenza intellettuale; è molto importante avere una perspicace razionalità, ma se non ci si aggiunge la conoscenza del cuore, si rimane freddi e saputelli, spesso anche farisei e giustizieri; questo è il dono dell’intelletto
  3. Non basta essere furbi, sentirsi sicuri; è giusto essere indipendenti, ma non siamo mai autosufficienti; dobbiamo sempre poter disporre di consigli giusti al momento giusto; è il dono del consiglio
  4. Noi siamo sempre un po’ paurosi, soprattutto abbiamo vergogna a fare le brave persone, a difendere un amico che viene tirato in giro, a dire che andiamo a messa, a fare un segno di croce, a nasconderci dietro un dito…abbiamo bisogno  del dono del coraggio, della costanza, della tenacia lo chiamiamo il dono della fortezza.
  5. Ancora è basilare conoscere la realtà, ciò che ci circonda, in cui siamo immersi sia la natura che le storie di ogni persona; a noi però serve anche di appassionarci alla ricerca della verità per destreggiarsi da tutte le fake news che ci intorbidano la visione della vita, del mondo, del nostro essere. è il dono della scienza
  6. Il massimo che possiamo avere non è la quantità di euro di cui possiamo disporre, ma molto di più nell’essere pieni di bontà da regalare a tutti  è il dono della pietà, che si traduce non con aver pietà dei poveracci, ma avere bontà verso tutti
  7. Possiamo illuderci di conquistare il mondo e possedere la vita, ma se in noi non c’è un posto per il Signore restiamo con le mani vuote. Dobbiamo sapere che noi siamo creature e Lui è il Creatore. Questo è il timor di Dio non, come qualcuno pensa: aver paura di  Dio

Il sentirsi innamorati non è tutto; avere e provare attrazione, simpatia, gioia e appagamento non è sufficiente! Occorre sapere che cosa è l’amore vero; lo Spirito Santo con i suoi doni ci dà l’amore vero

Ecco lo Spirito Santo da quando Gesù è morto e risorto cesella nelle nostre vite queste opere d’arte; sono i suoi doni. Io vi garantisco che in questo tempo pasquale ve li regala e non li ritira più. Sarete voi a dimenticarli, non Lui.

Tutti i genitori devono sapere, perché li stimiamo, che i loro figli non sono dei bastardi perditempo o dei bamboccioni, ma diventano casa dello Spirito Santo; per ogni figlio c’è un altro inquilino nelle vostre abitazioni: Lui, l’amore di Dio, il fuoco dell’amore, la colomba della pace, contro tutti gli assalti dei falchi che già si buttano o si butteranno sulle nostre vite ingenue ci manda il vento dello Spirito che è come l’aria pulita in un mondo bello, da godere, che non può avvelenarci.

9 Maggio 2021
+Domenico

Il tempo pasquale è tempo di attesa dello Spirito Santo

Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.

La nostra vita pasquale ci orienta all’attesa dello Spirito Santo che si compirà a Pentecoste. Infatti del giorno di pentecoste si dice: mentre si compivano i giorni di Pentecoste…Il che significa che la Pentecoste è vissuta molto di più nella sua attesa che nella celebrazione, perché il successivo svilupparsi della vita del cristiano e della chiesa sarà sempre tempo dello Spirito Santo. Non c’è una settimana di Pasqua come abbiamo fatto fino alla domenica successiva, per la Pentecoste. Tutto diventerà in seguito tempo ordinario, cioè vita guidata dallo Spirito Santo, dono di Gesù per sempre. Tentiamo ora di renderci ancora più concreta nelle nostre vite la sete, il bisogno, il dono della presenza dello Spirito Santo

Abbiamo bisogno di luce.

Noi tutti abbiamo occhi per vedere; la realtà si fa presente attorno a noi: le cose, la natura, le bellezze del creato esistono, sono alla nostra portata. Abbiamo occhi per vedere: belli, perfetti, senza cateratte, senza bisogno di occhiali per correggere miopie o ipermetropie, ma se non c’è la luce noi non le possiamo vedere. La luce la diamo sempre per scontata, ma quando siamo al buio restiamo disorientati, ciechi. Chiedo spesso quando celebro il Sacramento della Cresima dei giovani, che cosa ci manca per vedere se abbiamo cose meravigliose tutte alla nostra portata, occhi sanissimi e bellissimi..? a nessuno viene in mente di dire che è necessaria un’altra realtà decisiva: la luce.

Ebbene lo Spirito Santo è la luce, è quella realtà indispensabile perché possiamo non solo dare possibilità agli occhi di fare il loro compito, ma di vedere in profondità tutta la realtà, che senso ha, che cosa ci sta dentro e sotto, perché abbiamo a capire, che punto di vista migliore scegliere, che attenzione avere…che cosa dobbiamo fare, che strada prendere per essere felici, che compagni di strada abbiamo per ogni nostro sguardo…

Abbiamo bisogno di forza

Noi tutti abbiamo muscoli, gambe, braccia, abbiamo un corpo, ma non ne possiamo fare niente se non sentiamo dentro la forza. A mano a mano che invecchiamo cominciamo a far fatica a salire le scale, diciamo che le gambe non ci reggono più, eppure ci sono, che non ce la facciamo più a sollevare pesi eppure abbiamo ancora mani e braccia. Sopperiamo con una sedia a rotelle o con l’ascensore e così perdiamo del tutto la mobilità. Ci manca la forza.

Ebbene lo Spirito Santo è la forza per essere cristiani nel mondo di oggi. Se non c’è Lui noi non riusciamo a fare le scale della vita. E che scale presenta la vita, che difficoltà, che pesi occorre portare! Quante volte siamo tentati di scaricare i pesi sugli altri o ci immobilizzano spiritualmente nell’adattamento, nella perdita di speranza, nel parlare sempre all’imperfetto o coi verbi del passato e concludiamo con la parolaccia: ormai

Abbiamo bisogno di libertà

Noi siamo contenti di non avere catene ai polsi, di non essere costretti agli arresti domiciliari, di non dover misurare il perimetro di una cella, ma non è sufficiente per godere la libertà. Occorre avere dentro una convinzione, sentirsi capaci di autonomia, di iniziativa personale. La prigione spesso ce l’abbiamo in testa, perché siamo legati da passioni sbagliate, da desideri insani, da vizi, da cattive abitudini. I mass.media spesso  ci cuociono il cervello., internet è una palestra in cui bisogna sempre fare scelte di bellezza e di bontà vere. Siamo come i tossici che dicono smetto, ce la faccio e poi sono dallo spacciatore tutti i giorni con gli euro rubati per la dose.

Ebbene lo Spirito è la libertà, è la forza interiore che ti fa superare le dipendenze dal male, che ti offre in cambio della schiavitù, la libertà interiore. Che ti dà orizzonti nuovi di vita, ti convince di peccato così che invochi il perdono e te lo garantisce. E’ Lui che, rotta la catena che ci tiene legati, riempie di speranza la vita, offre consapevolezza di avere un Padre che ci ama e non un controllore che ci redarguisce ogni volta che sbagliamo.

Abbiamo bisogno di saggezza

Sperimentiamo nella nostra vita una continua  e faticosa  crescita e assestamento della capacità razionale. Da soli, però,  non riusciamo a tenere testa a tutte le sollecitazioni della realtà, a rispondere  a tutti i nostri perché, in una logica stringente. Ci rendiamo conto che siamo incapaci spesso di capire che ci sono altri lati della vita che non si risolvono solo coi ragionamenti. Abbiamo bisogno di saggezza, di sapienza, di penetrare più in profondità nei misteri dell’esistenza.

Ebbene lo Spirito Santo è questa saggezza che ci aiuta a mettere davanti a Dio tutti i nostri ragionamenti e illuminarli dai suoi punti di vista, dal punto di vista del vangelo, dalla sua presenza capillare nei meandri della vita, della nostra vita e della vita del mondo.

Infatti abbiamo sentito che cosa dice Gesù dello Spirito Santo: Egli vi guiderà alla verità tutta intera, vi annunzierà cose future

Abbiamo bisogno di amore

Siamo forse cresciuti troppo rapidamente quando abbiamo visto: crescere forza nei muscoli, un po’ alla volta avere un corpo di cui essere soddisfatti;  si è sviluppata la nostra sessualità, una prestanza fisica, siamo anche rimasti soddisfatti di una dignitosa presenza; ma a che cosa sarebbe servito tutto questo apparato, tutto questo bel impianto se dentro la nostra vita un giorno o l’altro non fosse scoppiato l’amore e non avessimo fatto percorsi seri per custodirlo e donarlo?

Ebbene lo Spirito Santo è l’amore, è colui che colora di significati profondi la nostra vita, le dà un’anima interiore. Rende bella la vita dall’interno. Questo amore non si sviluppa col trucco, con i vestiti, ma con la presenza di chi ha inventato l’amore: lo Spirito.

In questo tempo ci stiamo sintonizzando, preparando a una nuova invasione dello Spirito nella nostra vita quotidiana, a questa nuova creazione dell’uomo, a questa firma che Dio mette sulle nostre esistenze e siamo contenti di condividere con tutti la nuova avventura del rischioso mestiere di vivere. La nostra società ne ha bisogno, la pandemia deve essere colorata dai doni che ci fa lo Spirito. Lo Spirito Santo non teme distanze fisiche o sociali, non è soggetto a vaccini, non è mai stato in lockdown e tanto meno ci lascia nella solitudine, fosse anche quella della terapia intensiva. Abita in  noi già dal battesimo, è stato riconfermato con la Cresima e non molla nessuno mai.

2 Maggio 2021
+Domenico

… a sera, prima di chiudere il paradiso, vedo se ci sei

Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,10-14)

Lettura del Vangelo secondo Matteo (capitolo 18, versetti 10-14)

Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. [È venuto infatti il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto].
Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.

Audio della riflessione

Per rendere ancora più concreta la figura di Gesù buon pastore. Abbiamo fatto seguire la lettura di un testo dell’evangelista Matteo che descrive un ottimo esempio di come Gesù Risorto, vive l’essere il nostro pastore e non un mercenario, un ladro, un qualsiasi guardiano, pure pagato per portare al pascolo le pecore.

L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che si allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, è la storia di Gesù che ha  un cuore squarciato per amore; un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la sua libertà è un dono da cui Dio non si ritrae mai.

Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da me puoi sempre tornare, che io non ti mollo, io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo si ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore. Ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.

Queste parole sembrano troppo gravi; allora immaginiamo Gesù il buon Pastore così: ha lavorato e dialogato tutto il giorno con le sue pecore che siamo noi, che siete voi; ha ascoltato, ha aiutato, ha tenuto il suo sguardo buono, lieto su tutti sempre e torna a casa parlando con qualcuno, sorridendo a qualcun altro e quando passa in rassegna tutti a uno a uno e sorride, saluta, ricorda qualche cosa di importante da fare o da chiedere, si accorge che manchi proprio tu. Hai fatto la tua cavolata, ti sei voluto prendere la tua libertà, la tua strada; ti hanno fatto fastidio o qualche dispetto i tuoi amici e li hai lasciati. Oppure qualcuno senza che tu lo volessi, ti ha ingannato, ti ha teso una trappola e tu ci sei cascato.

E Gesù che fa? Con un cuore già squarciato per amore non ci pensa due volte. Ti cerca, usa tutti gli strumenti: facebook, twitter, sms,tik-tok; chiede ai tuoi amici, ma loro nemmeno si sono accorti che manchi. E ti lancia messaggi: non fare lo stupido, torna a casa che ci sono sempre io che ti voglio un bene infinito. Non crederti disprezzata o ignorata, non stare a specchiarti in una pozzanghera, qui c’è quello che cerchi. E tu magari spegni il cellulare, rivedi un altro messaggio, lo spegni ancora; poi finalmente dici: ma che sto qui a fare da solo in mezzo ai guai? Chi mi credo di essere? Che felicità mi sono trovato, che tutti mi sfruttano, mi fanno complimenti poi mi tagliano le gambe, ne approfittano, mi fanno le moine, ma solo per avermi e per farsi belli di me.

Allora lanci un sms: arrivo subito, aspettami, ti voglio abbracciare.

E Gesù ti prende, ti accarezza,  ti carica sulle spalle e ti porta a casa, convince i tuoi amici a volerti ancora bene e continui a vivere con Lui. Gesù non è una persona da internet, da twitter, da facebook, è una persona vera che abita in te. E quando ha deciso di prendere casa da te? Sappiamo che si è fatto persona, come uno di noi, che ha calcato tutte le strade della Palestina, per condividere gioie e speranze con tutti quelli che incontrava. Per questa sua tenacia nel voler bene a tutti, anzi il massimo bene che apriva le porte del cielo a tutti, anche ai più cattivi e profittatori di altre persone, lo hanno messo in croce, l’hanno fatto soffrire, ne hanno goduto tronfi di averlo fatto fuori, ma lui è fuggito anche dalla morte nella quale pensavano di aver chiuso la sua bontà. Stiamo ancora celebrando la sua risurrezione. Non saremmo però nel massimo della verità se Gesù con questa risurrezione non solo non ci avvicinasse a Dio Padre, ma non ci desse anche una presenza speciale, unica, viva, in ciascuno di noi con lo Spirito Santo. Credo che la giornata più brutta che hanno vissuto gli apostoli sia stata propria il giorno dopo il grande sabato. Gesù ammazzato brutalmente, sepolto come tutti; finita come per tutti prima o poi la vita. Lui invece si presenta vivo e fa fatica a convincerli, si ritirano ancora paurosi tra di loro, finchè non fa a tutti la sorpresa di donare lo Spirito, il coraggio, la forza, la gioia. Noi in questi giorni lo vogliamo contemplare risorto, vincente quelle brutture che gli hanno inflitto, ci siamo accostati al sacramento della penitenza, ma sentiamo ancora il peso della nostra vita che non cambia dalla mattina alla sera.

Siamo aiutati a capire che si può sbagliare, si può abbandonare qualche volta la chiesa, ma che la casa è sempre questa, che la sua presenza ci è garantita dallo Spirito Santo. Ci sarà sempre qualcuno che aspetterà il nostro ritorno. E noi stessi diventeremo dei buoni amici per tutti, racconteremo la gioia che si ha a comportarsi bene, a seguire Gesù a diventare suoi amici, a sentirsi accolti da quel cuore squarciato, ma sempre aperto per scavare gioia e felicità per tutti. Tanta nostra infelicità è dovuta all’appiattimento, alla prigione che ci siamo costruiti. Ci siamo collocati in un bicchiere d’acqua e continuiamo a sbattere contro le pareti, mentre il nostro vero habitat è il vasto mare della vita che viene dall’alto, dal misterioso mondo di Dio. C’è un vento dello Spirito che soffia su di noi e dà vita vera. La creazione lo ha atteso, Gesù lo ha inviato. Abbiamo bisogno di un’anima per tutte le cose. Quest’anima viene dall’alto. La risurrezione ha aperto i nostri confini, ha offerto gli orizzonti infiniti di quel Dio che ci ha creati

In questo tempo pasquale possiamo addentrarci anche noi in un dialogo serio con il Signore come hanno fatto tanti con Gesù; abbiamo bisogno di ritornare a casa, di sentirci trasportati sulle spalle del buon Pastore. Dove vai? Dove scappi? Non ti accorgi che scappi da te stesso. Che vita ti stai preparando, che dolori vai a creare a tutti quelli che ti stanno vicini? Ti vengo a prendere io. Fatti trovare, le novantanove che stanno a casa si sono dimenticate di te, ma non io

Anche noi abbiamo bisogno di rigenerare la nostra fede. Il nostro è un tempo che ci chiede di uscire allo scoperto, di prendere decisioni, di stare della parte della verità, di contemplare il Signore, ascoltare la sua parola.

In quella stanza al piano superiore, imbandita a festa c’è stata l’ultima cena, Gesù ci ha dato il suo corpo e il suo sangue. Siamo stati liberati dal peccato e nutriti della vita di Gesù. Deve ancora accadere qualcosa di grande in quel cenacolo; è Gesù deve ancora raccattarci dalle nostre fughe finchè dentro di noi scoppierà un fuoco che brucerà ogni male , ci riempirà di doni e ci aprirà a un’altra presenza di Dio: lo Spirito Santo. Il buon Pastore non si accontenterà di portarci solo nell’ovile, sotto protezione, nella sua compagnia ritrovata, ci darà con lo Spirito una forza di vincere ogni paura e coraggio di portarlo in ogni parte del mondo e in ogni tratto della nostra vita.

25 Aprile 2021
+Domenico

Due giovani si allontanano dalla felicità e Gesù li riprende

Una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Luca (Lc 24, 13-35)

Audio dell’introduzione

Non compare nei Vangeli delle domeniche di quest’anno un’altro … testo molto importante che voglio proporvi, come facciamo di solito con le nostre esegesi: è l’episodio dei due discepoli di Emmaus, perchè ci aiuta a capire di più tutta l’esperienza del risorto.

Lettura del Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Audio della riflessione esegetica

Sicuramente delusi, forse anche un po’ disperati, assolutamente con il morale ai tacchi … ti capita qualche volta di avere giù la catena e di stare con il tuo miglior amico a dire tutte le scalogne che ti capitano, magari tutti e due con una birra in mano, per vedervi crescere la forza di una confidenza impossibile e la sofferenza di una tristezza … palpabile.

Ed ecco – dice il Vangelo – in quello stesso giorno due di loro erano in cammino

Erano in cammino e si allontanavano da Gerusalemme, esattamente il contrario del cammino di Gesù che sempre era orientato a Gerusalemme, alla sua meta.

Scendevano e si allontanavano – se ricordate – dal cammino di Gesù anche quell’uomo che incappò nei ladri, quel levita e quel sacerdote che non osarono fermarsi a sorreggerlo e a confortarlo: se ne andavano dal centro della fede, avevano smesso di camminare verso la felicità e le remavano contro; si erano stancati di cercare, avevano preferito tornare sui loro passi.

Sono l’immagine dei nostri percorsi di fuga dalla vita vera, soprattutto dai problemi veri, dalle prospettive faticose, ma che danno soddisfazione.

Avevano abbandonato il Cenacolo, perché vi si respirava aria troppo triste, non avevano avuto più il coraggio di stare là con Maria ad aspettare: è fuga anche non aspettare più, non attendersi più niente dalla vita … potremmo dare un’occhiata alla nostra vita e vedere quante fughe facciamo, quante scuse accampiamo per non guardarci dentro, quante solitudini andiamo ad accumulare, anziché a nutrire di speranza.

Uno dei due ha un nome, Cleopa, l’altro siamo ciascuno di noi: noi persone siamo gente sempre in cammino,  maciniamo chilometri e vogliamo vedere sempre cose diverse, non sempre nuove … non ci ferma nessuno: è bello camminare, è bello vedere nuovi mondi, nuovi panorami, farsi nuove prospettive, non rinsecchire nelle cose di sempre, sicure, senza rischio, ma non tirando calci ai sassi per disperazione come questi due, indispettiti di non riuscire a capirci più niente, con nella fantasia dei sogni che si sono infranti e spenti.

E’ bello camminare, ma avere la certezza che la direzione è giusta, che non è una fuga, non è un percorso di perdizione, ma una salita faticosa verso … ideali grandi.

Mentre discorrevano e discutevano insieme – sempre il Vangelo

Discorrevano e discutevano: sono verbi un po’ attutiti … il significato letterale è che si buttavano addosso l’un l’altro la colpa della tristezza che sentivano. La loro amicizia li aveva legati nella risposta generosa al “venite e vedrete”, nella consuetudine con Gesù, ma adesso si rimproveravano l’un l’altro del fallimento: «Anche tu però hai abboccato alla grande! E tu che mi dicevi “tranquillo siamo in buona compagnia!” Tu invece che di solito sei intraprendente, ti sei adattato e sei stato il primo a dileguarti! Ma abbiamo fatto bene a squagliarcela».

Gesù in persona si accostò e camminava con loro.  Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.

Stanno fuggendo, stanno allontanandosi dalla via che Gesù aveva loro indicato, stanno facendo di testa propria, hanno deciso forse di chiudere l’avventura con tutta la “questione Gesù”.

Anche questa volta è ancora Gesù che non li molla: Gesù non ci lascia mai, Gesù non se la squaglia, siamo noi che non lo vediamo, che abbiamo gli occhi solo per i nostri idoli, le nostre mire, i nostri orizzonti chiusi.

C’è sicuramente qualcuno nella nostra vita che fa di tutto per impedire ai nostri occhi di poterlo vedere … si ripete un ritratto che definisce sempre le apparizione di Gesù, il Risorto. Non sono in grado di vederlo.

Lui c’è, ma non è nelle nostre facoltà di poterlo vedere, non è il punto di arrivo dei nostri sforzi, delle nostre ricerche, delle nostre astrazioni, o delle nostre finte per far tacere il problema o per ritrovare una sistemazione alla bell’e meglio nella vita cristiana, in parrocchia .. magari.

E’ lui che si dà a vedere, non siamo noi che lo troviamo: è crocifisso risorto si dà a vedere, non è visto. La risurrezione è una novità radicale, irriducibile, ma da Lui resa “accessibile”.

La speranza che egli costituisce è sempre un oltre ogni nostra iniziativa: il modo di narrare di Luca fa percepire che non stiamo solo ascoltando la narrazione di un episodio della vita del risorto, ma che siamo collocati dentro un contesto liturgico, come vedremo alla fine quando Gesù spezza il pane.

Questo ci fa capire ancora di più quanto la liturgia sia lo spazio in cui l’accoglienza si fa radicale: lì non sei tu che agisci, la speranza che riesci a incontrare non dipende dal numero di parole che dici, ma dalla sete dell’Assente che hai, dalla accoglienza cui ti apri, dall’inedito di Dio che sempre ci sorprende.

Spesso accostiamo la liturgia con pretese di rendere tutto a nostra misura, a nostro indice di gradimento, ma noi sappiamo che la liturgia è proprio il donarsi di Dio a noi, quindi con le sue leggi, i suoi gesti, la sua parola … non è che per questo deve essere incomprensibile o ingessata, ma sicuramente non può essere la somma delle nostre espressività umane.

Nella vita dei due si sta svelando l’inedita rivelazione di Dio nella potenza della risurrezione e purtroppo il loro aspetto è non solo triste, ma tetro, nero come il loro cuore … e Gesù li provoca, vuol guardare dentro nel loro cuore, vuole sentirsi dire se si è mantenuta in loro una anche debole speranza, una fragile fede.

Niente.

S’arrestarono al sentirlo parlare col volto buio dei momenti vuoti: “Come? Io ho patito tutto il dolore possibile, voi mi avete abbandonato nelle mani della soldataglia cui non sembrava vero di poter sfogare su di me tutte le cattiverie e le frustrazioni della loro vita, mi hanno flagellato e scannato come un agnello condotto al macello, vi siete rifugiati in una oasi di tranquillità lontano da quelle scene di sangue che io per voi pativo su di me e voi neppure un dubbio vi siete mantenuti nel cuore? Avete già cancellato tutto. Avete visto la sacra rappresentazione da lontano, avete forse scrollato il capo per dire la vostra sfortuna di avermi incontrato, non il mio dolore di avervi troppo amato. E ora in questo cammino che s’allontana sempre di più dalla verità non sapete far altro che dare forza vicendevole ai vostri dubbi e alle vostre debolezze.”

State seminando la strada per Emmaus con le vostre pietre tombali, dei vostri definitivi “ormai”, con le vostre disperazioni incoscienti. Sapete usare solo i verbi all’imperfetto. Tutto è irreparabile.

Questa è una cattiva abitudine con cui definiamo tutte le nostre vite, le esperienze affettive: ci volevamo bene, ma ormai…; le abbiamo tentate tutte, ma ormai…; siamo entusiasti di quello che con l’amore ci nasce nel cuore, ma ce lo hanno avvelenato e ormai…  Ho cercato lavoro dovunque in maniera onesta, ma ormai… Credevo di offrire al mio amore un cuore puro, e un corpo dedicato, ma ormai … l’ho già venduto a pezzetti a tutti quelli che mi hanno preteso.

E Gesù dice …

Sciocchi e tardi di cuore

“Siete proprio senza testa e vi tenete in  petto un cuore di pietra, pesante, grossolano. Mettete testa e cuore a quanto vi dico e vedrete a quale  piccineria avete affidato le vostre intelligenze e i vostri cuori. Nella vostra stessa Torah (nella legge) c’è già scritto tutto, solo che non riuscite a far funzionare il cervello; l‘accoglienza della fede, la consapevolezza che non abbiamo in mano noi il segreto della vita …”

… e Gesù, il Verbo fatto carne, la Parola si mise a dipanare le tenebre dell’incoscienza, della superficialità, della paura, della chiusura sul proprio piccolo cabotaggio.

E Gesù presiede alla prima parte, assolutamente d’ora in poi necessaria, della messa: l’ascolto attento della parola, la provocazione a farsi ammaestrare dalla verità.

La Parola di Dio nella vita dell’uomo è risolutiva di tante nostre domande, di tante solitudini, confusioni … purtroppo l’abbiamo ridotta o a qualche bella sentenza sempre edificante, o qualche didascalia di cose già fatte e definite.

Invece la Parola è viva, è come una spada a doppio taglio … “non ritorna a Me senza avere compiuto quello per cui è stata mandata”.

Quando la Parola ti penetra nel cuore, allora ti nasce una grande pace, non è come quando guardi la Tv , o senti i talk show o stai tutta sera a sparare idiozie con gli amici, contento di stare in compagnia, ma incapace di dare alla gioia dello stare assieme quella verità cui sempre si aspira, ma che va cercata con fatica e impegno, scavando dentro di noi e rischiando … ricerca che va oltre.

E alla fine i due discepoli di Emmaus dicono …

Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino

S’è consumata una giornata, una vita a dire la delusione di quello che si è, è calata l’oscurità come frutto della delusione e della disperazione … non volge al declino solo il giorno, ma la speranza, il senso di quello che si è.

Ma Come si può ricominciare da capo? la vita porta sempre qualche cosa di bello e di nuovo, di giusto e di vero oppure è una eternità ingessata nelle nostre miserie?

  • E’ sera quando non sappiamo chi siamo;
  • E’ sera se ci mettiamo noi al posto della verità;
  • E’ sera se cediamo alla casualità, se ci adattiamo;
  • E’ sera quando non si rispettano la dignità della persona e la sua sete di autonomia;
  • E’ sera quando ci si rifugia a scambiare amore e si trova che è solo egoismo e fuga;
  • E’ sera quando mi scoraggio nella precarietà, quando mi distruggono il valore di tutto ciò che ho tentato di costruire nella vita;
  • E’ sera quando ricasco nel vizio, dopo aver giurato, su quel che ho di più sacro, che avrei vinto;
  • E’ sera quando non riesco a dare senso a nessuna preghiera, quando l’amore mi pare una abitudine e l’amicizia un egoismo camuffato;
  • E’ sera quando sperimento noia e non c’è niente che mi piace da fare;
  • E’ sera quando mi si chiude il cielo sopra la testa, perché mi affido solo … ai miei sensi.

Insomma, ciascuno di noi ha il suo buio e oggi può dire a Gesù “Resta qui, non mi lasciare solo, stai con me, stringimi forte perché scivolo via come l’acqua.”

Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.

Gesù accetta l’invito: si ferma, non fugge, resta, si siede a mensa, vuol condividere il pane quotidiano, si accompagna nel momento della gioia della condivisione … e compie quel gesto profondo, innovativo, rivoluzionario e intimo dell’ultima cena: Quella l’avevano ancora negli occhi, quel dono prima di morire li aveva “stregati”, li aveva convinti che Gesù non poteva abbandonarli.

Si aprirono i loro occhi: il corpo spezzato e il sangue versato sono segni di riconoscimento dei cristiani.

E’ solo lì che noi possiamo definirci: il brano evangelico qui va sicuramente oltre la narrazione di un fatto, assurge a simbolo della nuova vita dei credenti; quei due discepoli che riconoscono Gesù allo spezzare del pane sono la comunità cristiana di tutti i tempi che si ritrova a fare Eucaristia sotto ogni cielo, ad ogni latitudine a incontrare il Risorto, la Domenica.

Da Emmaus fino alla fine del mondo, fino al Regno dei cieli, l’Eucaristia scandisce i tempi della vita del mondo e dell’avvicinarsi del ritorno di Gesù Risorto.

Sono andati a Messa e hanno smesso di sentirsi soli, di parlare all’imperfetto, di tirare calci di dispetto ai sassi … hanno smesso di dire ormai … S’è illuminata la loro vita dal buio della loro vita.

… ma lui sparì dalla loro vista.

Divenne invisibile ai loro occhi, dice letteralmente il vangelo, non è andato via, è sempre presente, è sempre lì nel pane e nel vino, nella preghiera di ringraziamento, nello spezzare del pane.

Tocca a noi ora rendere visibile la sua presenza nel mondo, perché Lui è qui: da quando è risorto è presente, attivo, soltanto invisibile agli occhi.

E i due di Emmaus dicono …

Non ci ardeva forse il cuore nel petto …

C’è ora un cuore ardente in ciascuno di loro.

Era ardente anche il roveto del deserto, ardeva nell’indicare la presenza di Dio, oggi sono questi cuori che ardono che indicano agli amici la presenza di Dio e se ne corrono a portare questo fuoco a tutti.

Eccezionali per ogni generazione le parole di Giovanni Paolo II a Tor Vergata nel 2000: “Sono certo che anche voi, cari amici, sarete all’altezza di quanti vi hanno preceduto. Voi porterete l’annuncio di Cristo nel nuovo millennio. Tornando a casa, non disperdetevi. Confermate ed approfondite la vostra adesione alla comunità cristiana a cui appartenete. Da Roma, dalla Città di Pietro e di Paolo, il Papa vi accompagna con affetto e, parafrasando un’espressione di Santa Caterina da Siena, vi dice: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!” (cfr Lett. 368).

Questa presenza di Gesù è necessaria come l’aria che respiriamo.

E continuava il Papa “Affido a voi, carissimi amici, questo che è il più grande dono di Dio a noi, pellegrini sulle strade del tempo, ma recanti nel cuore la sete di eternità. Possa esservi sempre, in ogni comunità, un sacerdote che celebri l’Eucaristia! Chiedo per questo al Signore che fioriscano tra voi numerose e sante vocazioni al sacerdozio. La Chiesa ha bisogno di chi celebri anche oggi, con cuore puro, il sacrificio eucaristico. Il mondo ha bisogno di non essere privato della presenza dolce e liberatrice di Gesù vivo nell’Eucaristia!”

E partirono senza indugio

La vera traduzione è: si alzarono nella stessa ora e fecero ritorno a Gerusalemme.

Questo giorno non finisce più: “Ma non era sera, non c’era ormai buio, non ci si stava disponendo a lasciar passare il tempo della notte nella calma? La notte è nostra, ce la teniamo stretta, serve a noi, ad andare fuori di testa tante volte, il giorno non ci piace è pieno di gente che ci importuna. Lasciateci qui, a riprenderci la nostra vita. Invece con quella forza, con quel fuoco, con quella verità che è scoppiata nella loro vita hanno deciso di fare della notte il loro vero nuovo giorno; correndo, hanno ripreso il cammino stavolta nella direzione giusta, con il cuore pieno e vivo, con l’ardore della loro vita e la forza della loro fede.

Hanno rischiarato la notte, l’han fatta diventare il tempo della missione: non è il tempo dello sballo, della ricerca … della felicità sbagliata, ma della comunicazione del tesoro e del fuoco della vita.

Sono tornati dagli undici, cioè là dove era raccolto il piccolo resto di impauriti, che a mano a mano prendevano speranza.

Con gli undici c’era Maria, la madre di Gesù: se li è visti ritornare come ogni mamma che sta silenziosa a vedere che scelte libere fanno i figli … vanno vengono, hanno i loro dubbi, si prendono le loro libertà, fanno le loro fughe … e loro, le mamme, aspettano che cigoli la porta di casa la mattina della domenica, tirando un sospiro: “è tornato, è tornata ancora viva, speriamo anche nell’anima…”

I discepoli di Emmaus, tornano di notte, fanno cigolare la porta del Cenacolo, vi trovano Maria e non hanno bisogno di annunciarle che Gesù è risorto – lei non ne ha mai dubitato – ma solo di dirle che lo hanno visto anche loro, e cantano con Lei il Magnificat, la gioia dell’inizio di un mondo nuovo, definitivo.

E’ quello che vorremmo fare anche noi sempre, dire con Lei il Magnificat: siamo contenti perché Gesù si è affiancato a noi, ha fatto grandi cose, ha sconfitto la morte, ha disperso i superbi, ha distrutto la nostra continua depressione, ha dato fiato a chi non ha voce, ha visitato le nostre giornate, ha risposto alle nostre attese.

Maria, abbiamo incontrato il Signore Gesù, vogliamo fare festa con te, ringraziarti che ci sei stata vicina e continuare con te a vivere questa fede pasquale.

18 Aprile 2021
+Domenico

La ricerca appassionata della Maddalena e l’amore appassionato di un discepolo di oggi per Gesù

Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,25.20,1-2.11-18 )

Lettura di Gv 19,25

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.

Lettura di Gv 20,1-2

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

Lettura di Gv 20,11-18

Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

Audio della riflessione esegetica – parte prima

Maria di Magdala è un personaggio fin troppo … “chiacchierato”: su di essa si sono scatenate molte fantasie … invece noi oggi vogliamo conoscerla nella sua verità per capire la sua appassionata e coraggiosa ricerca di Gesù, e perché la nostra fede sia aiutata a crescere.

Le notizie (su di lei) che sollecitano la nostra fede sono essenziali:

  • è nel gruppo di donne che seguono Gesù;
  • è presente al Calvario;
  • vede con il gruppetto di donne dove seppelliscono Gesù;
  • va al sepolcro il mattino di Pasqua;
  • trova che la tomba è vuota;
  • chiama gli apostoli e ritorna al sepolcro a piangere la perdita di Gesù …

… e finalmente lo incontra.

Molti – purtroppo – pensano che la fede sia un “tranquillante dell’anima”, un “oppio per dimenticare” o per addormentare i problemi … invece è una grande e rischiosa avventura spirituale … e Maria Maddalena ce ne indica i passi fondamentali.

La fede ha come … punto di partenza la ricerca: una ricerca non superficiale, ma appassionata che coinvolge tutto se stessi.

Noi arriviamo a credere veramente in Cristo solo quando sentiamo la sua assenza dalla nostra vita come un fatto insopportabile. Abbiamo noi questo desiderio di incontrare il Signore, di correre alla sua ricerca? Abbiamo la volontà di non arrenderci di fronte alle difficoltà della vita? Quante volte siamo tentati di abbandonare la lotta della fede, o di annacquarla riducendola a facciata, routine, senza nerbo ne entusiasmo: è il banco di prova, il momento migliore che ci è offerto per rinsaldarla cercando Gesù, amandolo anche quando mi sembra assente, riconoscendolo come il “tutto della mia vita”, come “colui che è il mio Signore”.

Alla Maddalena lo potranno portar via dal sepolcro, ma non dal cuore!

A noi lo cancellano le nostre superficialità, la nostra autosufficienza, il nostro benessere, la nostra sicumera … ma, quale è il segreto che ha permesso a Maria Maddalena di continuare a cercare il Signore, di non scoraggiarsi, di avere nel cuore una tenacia imbattibile e quindi di incontrarlo? Il segreto è che Maria Maddalena aveva fatto una scelta precisa: era stata in contatto personalmente con Gesù Crocifisso.

Gli apostoli erano … fuggiti quasi tutti: erano rimasti in quattro, sua madre Maria, la sorella, Giovanni, Maria Maddalena e la sua amica, Maria di Cleofa.

Entro un atmosfera generale di odio, di indifferenza, di grettezza brutali Gesù muore e trova accoglienza solo in queste persone, che non si preoccupano dell’ostilità e dell’odio che hanno attorno, perchè sono “calamitate” da quella croce.

Certo, stare sotto la croce fa paura, perchè non ci si ritrova in grande compagnia: ci si isola terribilmente, ci fa sentire in minoranza nel mondo, ma la chiesa è proprio nata da quello sparuto gruppo che ha saputo stare sotto la croce e attendere la resurrezione.

E Gesù risorto, amato, cercato si dà a vedere e diventa l’unica speranza della nostra vita: nel pieno della nostra faticosa e sofferta ricerca lui stesso ci viene incontro improvvisamente e ci trova prima che noi troviamo Lui.  Così capita alla Maddalena.

Audio della riflessione esegetica: parte seconda

Un confronto fra i due passi – che riguardano la Maddalena – che abbiamo letto (Capitolo 20, i versetti 1 e 2 e poi più avanti i versetti 11-18) ci aiuta a seguire meglio le tappe di questa progressione.

Il primo testo racconta gli spostamenti di Maria e la sua tensione crescente: “viene… al sepolcro”; poi ritorna correndo a portare il suo messaggio ai discepoli, ma nella seconda scena tutto si svolge al sepolcro, tutto è tranquillo e denota una specie di ostinazione di Maria … a differenza dei discepoli, “ella stava presso il sepolcro”: non voleva abbandonarlo, manifestando così il suo attaccamento a Gesù.

Si sporge all’interno del sepolcro, guarda attentamente … «due angeli seduti ai piedi e alla testa di un corpo assente » … nelle parole che rivolge loro, ella ripete il messaggio che aveva già portato ai discepoli, ma con due modifiche significative: ai discepoli aveva detto «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno messo», agli angeli dice «Hanno portato via il mio Signore e io non so dove l’hanno messo».

Prima (in 20, 2) era semplicemente messaggera presso i due discepoli: adottava il punto di vista di tutto il gruppo – insomma – ma la sua risposta è nettamente diversa nel secondo caso … viene presentata qui la reazione personale di Maria di fronte al problema del sepolcro vuoto, e anche il suo rapporto personale con Gesù» 

Questo punto di vista, troppo personale, troppo umano, è ancora sottolineato dalle lacrime di Maria: il verbo « piangere » ritorna quattro volte in questo brano (capitolo 20 versetti 11-15); essa spiega la ragione della sua pena con le parole già citate: « Hanno portato via il mio Signore, e io non so dove l’hanno messo » … non sospetta minimamente che egli potrebbe essere risuscitato; è convinta che abbiano messo in qualche altro posto il corpo del suo Signore; vuole conoscere questo posto per andare a riprendere lei stessa quel corpo inerte: potrà almeno ricordarle colui che ella ha conosciuto.

Parla del suo Signore, come se non appartenesse più che a lei sola: quel titolo “Kyrios” – Kyrie diciamo a messa, no? – troppo personalizzato, non ha qui la dimensione trascendente che assumerà più avanti.

Maria deve essere liberata da un attaccamento ancora troppo sensibile al Gesù terreno: deve abbandonare la sua volontà di possederlo.

Lo stesso attaccamento al sensibile impedisce più tardi a Maria di riconoscere Gesù stesso risuscitato: le occorrerebbe la fede! Ecco perché, alla domanda degli angeli: «Donna, perché piangi?» (20, 13), Gesù stesso aggiunge: « Chi cerchi? » (20, 15).

Con questo invita Maria a prendere coscienza dell’equivoco della sua ricerca e a purificarla nella fede: invece di tormentarsi a proposito del luogo dove pensa abbiano messo il corpo morto del suo Signore, deve cercare il Cristo, il Signore vivente; la sua ricerca deve cessare di essere preoccupazione di trovare il Signore per sé, e trasformarsi in un movimento verso di lui. 

Una domanda ci dobbiamo fare: chi cerchiamo noi nella nostra vita? Quando ti poni di fronte a Gesù, chi cerchi?

Nell’Evangelista Giovanni il termine cercare riferito a Gesù, ha sempre per oggetto Gesù nel suo mistero. Tutti, Maria di Magdala, i discepoli, i cristiani, i giovani, i ragazzi devono porsi la domanda essenziale: «Dov’è Gesù?».

Se noi cresciamo nella fede come Maria di Magdala e gli apostoli a questa domanda daremo un po’ alla volta una risposta molto diversa: non ha più importanza, come per Maria, di sapere dove hanno messo il suo corpo morto e di cercare questo corpo; si tratta ormai di sapere dove realmente è il Cristo, nella sua vita profonda, nel suo mistero.

Colui che i discepoli ormai dovranno cercare, non è più il Gesù terreno quale essi l’hanno conosciuto, ma colui che è «nella casa del Padre», colui che è nell’intimità del Padre.

Lo stesso tema è suggerito al versetto 15 che abbiamo sentito: Maria non deve più aggrapparsi ai ricordi del passato, cercando il corpo morto del suo Signore.

I versetti che seguono diranno come deve orientarsi la sua ricerca: dovrà cercare nella fede colui che, in quello stesso momento, sale verso il Padre suo (20, 17). Allora soltanto, essa saprà dove è realmente il Signore: « Il luogo di Gesù è il Padre!». 

Allora … facciamo alcune riflessioni per la nostra vita.

La fede è un dono del Cielo, ed è essenzialmente un cammino: l’evangelista Giovanni descrive l’incontro tra Gesù e la Maddalena con grande intensità e attraverso il suo racconto possiamo contemplare l’opera di Dio, lo svelamento del Mistero della vittoria di Gesù sulla morte e come questo mistero giunga, sino a realizzarsi, nella vita della Chiesa e dei cristiani.

Maria Maddalena è infatti immagine della Chiesa e di ciascuno di noi … di noi che abbiamo ascoltato l’annuncio del Vangelo, che lo abbiamo accolto, che abbiamo sperimentato tante volte il potere di Gesù nella nostra vita … ma che ci troviamo, probabilmente anche oggi, ancora incapaci di una vera gioia, di una vera libertà.

Per arrivare a questo occorre fare un vero salto per capire  la completa novità di cui la fede è portatrice: Maria si trova al sepolcro, spinta da un amore invincibile! Forse non è lo stesso nostro amore, ma le lacrime sì: quelle sono esattamente come le nostre … e la domanda degli angeli ci raggiunge come un fulmine ad illuminare la radice profonda dei nostri dolori, di ogni nostra lacrima. “Perchè piangi?”. Maria piange perchè hanno portato via il suo Signore e non sa dove lo hanno posto: lo vuol trovare per riportarlo dov’era, nella tomba e poterlo piangere sapendolo lì … vuole una certezza, una presenza, un luogo, un segno.

Maria piange perchè ha perso quella carne che, seppur morta, fredda, incapace di parlare, di ridere, di guardare … confermi i suoi ricordi, che le permetta di riandarvi certa che i fatti sono accaduti esattamente come lei li ha scolpiti nella mente e nel cuore: Maria piange perchè le è stato sottratto il luogo della memoria, le hanno rubato il passato.

Maria di Magdala, innamorata persa, appassionata, è l’immagine fedele di ciascuno di noi, e della Chiesa intera; noi purtroppo siamo come la moglie di Lot – non so se ricordate – si tratta di un episodio della Bibbia abbastanza noto: “Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale (Gen 19, 23-26)”.

Anche  noi spesso abbiamo la tentazione di guardare indietro, di tornare sempre al passato, di stare rintanati a casa, anziché affrontare la vita con le nostre responsabilità. La famiglia lunga del mondo giovanile, il non decidersi mai che cosa fare è sicuramente dovuto a difficoltà oggettive, ma spesso è inerzia, è voltarsi indietro, è mancanza di coraggio. Il culto dei ricordi, non è ricerca delle radici, ma spesso voltarsi indietro.

Noi piangiamo perché cerchiamo la tomba dove poterci rannicchiare e ricordare, malinconicamente, quanto abbiamo perduto, quanto avremmo voluto fosse accaduto e invece non è stato. Cerchiamo un guscio, un feticcio, un brandello di quella vita che abbiamo deciso sia stata l’unica isola felice della nostra esistenza. Abbiamo tutti, anche se giovani, voglia di tornare a qualche bella esperienza del passato.

Stiamo facendo diventare un culto la fotografia. Tutto deve essere fissato nella vita che invece scorre sempre, si rinnova, cresce. E’ talmente alto il ritorno al passato che quasi si preferisce guardare gli eventi in fotografia anziché viverli in pienezza quando si realizzano. Preferiamo guardare la vita al virtuale e al passato piuttosto che viverla al presente e orientati al futuro.

Gli occhi di Maria sono così protesi al passato che, all’apparire di Gesù in persona, sono incapaci di riconoscerlo. E’ Lui, l’amato del suo cuore, ma i suoi occhi ne percepiscono solo le sembianze di un giardiniere, ovvero esattamente il tipo di persona che ella si aspetta di incontrare in quel luogo, un giardino per l’appunto. Gli schemi della sua mente e del suo cuore sono imprigionati nella carne, nell’angusto perimetro dell’orizzonte umano e delle sue aspettative. E’ questa un’immagine fedele di quel che, per Maria prima e per ciascuno di noi poi, sia la fede nella risurrezione. Essa può essere al massimo un ritorno del passato. Un rivivere quel che già è stato, magari trasfigurato dai ritocchi che i nostri desideri hanno apportato, limature degli spigoli qua e là, potature delle sofferenze più aspre, ma, in definitiva, la nostra mente carnale non può concepire una risurrezione diversa da quella che già fu di Lazzaro, una riemersione dalla morte di un passato che conosciamo bene, una vita che riteniamo ingiustamente interrotta, speranze sottratte che ci vengono riaccordate.

Gesù è un giardiniere, perchè è lì che ci troviamo e non ci aspettiamo nulla di realmente sorprendente.

Gesù è un becchino perché la nostra vita è fatta di loculi.

Gesù è un bagnino perché viviamo sempre in cerca di salvataggi estremi.

Gesù è un portafortuna, perché la nostra vita è un terno al lotto,

per molti giovani Gesù è un amicone, perché la loro vita è la ricerca di compagnie da sballo,

per molti adulti Gesù è l’amico del talk show, della poltrona, tanto non si smuove dalle sue comodità,

è il banchiere dei suoi affari,

il monumento dei suoi riti,

il sospiro dei suoi ricordi …

E invece accade l’inspiegabile. Cristo è risorto, ma, pur essendo proprio Lui, è una creatura nuova. E occorrono occhi nuovi, non più incatenati alla carne e al passato, ma liberi e dischiusi dinnanzi al Mistero di qualcosa di assolutamente nuovo. Occhi capaci di umile stupore. Gli occhi dello Spirito, accesi dalla fede, quella vera, quella che viene dal Cielo e che li attira verso il Cielo.

Comprendiamo ora perchè la nostra fede è ancora così infantile, incapace di reggere all’urto violento della morte. Perchè siamo ancora materialisti, il nostro pensiero è volto alla terra, un sentire che scaturisce dal mondo. I criteri con cui discerniamo, gli occhi con cui guardiamo, seppur intrisi d’amore, sono ancora avvolti di sapienza mondana, e quello che davvero speriamo è solo il prodotto delle nostre menti, dei nostri desideri, dei nostri affetti. Non ce ne accorgiamo, ma speriamo solo il passato.

L’incontro è reso possibile perché il Signore chiama Maria per nome.

Nella S. Scrittura chiamare per nome significa prendere possesso. Il Risorto prende possesso dell’umanità povera di Maria Maddalena. “Maria!”: questa chiamata crea il Paradiso perché riammette l’umanità nell’alleanza sponsale con Cristo. Ogni singola persona è chiamata col suo nome proprio. Alla chiamata Maria risponde. Ha riconosciuto il suo Signore [“Rabbunì”] ed ormai è tutta rivolta verso di Lui [“voltatasi verso di Lui”]. Ed avviene l’abbraccio, l’unione.

“Maria”, questo nome pronunciato con amore, questa chiamata di Gesù ce la dobbiamo sentire per ciascuno nella nostra esistenza. Siamo svegliati dal torpore da una chiamata personale. E’ Gesù che ci chiama  per nome! ecco il segno della novità. Come sarà per Pietro sulle rive del Mare di Galilea.

La chiamata che li ha messi in cammino, che ha cambiato radicalmente la vita, a Maria, come a Pietro, come a ciascuno di noi. Il nostro nome pronunciato stavolta da labbra nuove, da labbra celesti. Il passato si rischiara di nuova luce, non è più un luogo dove riandare con la nostalgia sperandone un impossibile ritorno. Il passato si veste dello splendore che lo illumina e lo trasfigura in una meravigliosa, e mai conclusa, storia di salvezza.

La prima chiamata preludeva a questa, di oggi, di quest’oggi fattosi eterno, e nuovo, e impensabile, e stupefacente. Il nostro nome ci raggiunge dal Cielo, dalle labbra di Colui che ha vinto la morte, il muro della carne, che ha aperto una breccia nell’angusto orizzonte che ci ha schiacciato sino ad ora in un mondo di rimpianti e paure.

E’ l’alba della risurrezione, della vita nuova. La risurrezione non è il rivivere del passato, è il sorgere di un futuro inatteso, inimmaginabile. Tutto nuovo, tutto diverso, eppure tutto vero e dentro la stessa storia, la stessa vita che ci ha condotti sino ad ora. La resurrezione è questo mistero di novità che ci stordisce di una gioia mai provata, un dono che neanche osavamo sperare. Un cuore nuovo, una vita nuova dove camminare, liberi, quali figli e non schiavi.

Gli occhi di Maria finalmente si spalancano sul Signore, la sua carne ancora ruggisce e vorrebbe trattenere di nuovo, e appropriarsi dell’amato. Ma a questo punto avviene qualcosa di drammatico. Lo Sposo sembra rifiutare l’abbraccio: “non mi trattenere”. In realtà è ad un’unione interamente vera che Cristo chiama l’anima, “Non sono ancora salito al Padre”, e quindi lo Spirito Santo non è stato ancora donato. E, come insegna S. Paolo, solo chi ha lo Spirito di Cristo è uno solo con Lui.

Gesù ascende al Cielo, Lui, la Via, la Verità, la Vita che ci attira a sè nella novità di una vita tutta da scoprire, continua ad alzare la meta davanti a noi, ad attiraci oltre. La vita cristiana, la vita che ha oltrepassato la barriera della morte e si può donare, per amore. La vita nascosta con Cristo in Dio, la vita carnale crocifissa che reca, come in uno scrigno, la Vita Celeste che vi ha preso dimora.

E’ la resurrezione, il pensiero di Cristo nei nostri pensieri, il suo amore come una fonte che scaturisce dalla pietra che è il nostro cuore, che fa scaturire

il perdono dove c’era il rancore,

la pazienza dove c’era solo ira,

la cura dove c’era solo tiepidezza,

la misericordia dove c’era il giudizio,

la libertà dove c’era schiavitù.

l’amore dove c’era passione ed egoismo.

la castità dove c’era concupiscenza morbosa,

occhi limpidi dove c’erano sguardi idolatri,

la gioia dove c’erano lacrime piene di rabbia e rancore,

la pace dove c’era angoscia e inquietudine.

l’abbandono fiducioso dove c’era avarizia.

il Cristo risorto, dove c’eravamo solo e solamente noi, gonfi orgogliosi del nostro io.

Le tappe di un cammino necessario

Il cammino che ha permesso a poco a poco a Maria di Magdala di riconoscere in Gesù il Signore è fatto di alcune tappe:  

Prima, alla vista del sepolcro vuoto, era preoccupata di « ritrovare il suo Signore » (20, 13);

poi aveva visto Gesù stesso, ma scambiandolo per il giardiniere (20, 14-15);

in seguito l’aveva riconosciuto, ma solamente come il suo Maestro (20, 16);

ora, dopo la parola rivelatrice di Gesù, sa finalmente che egli è il Signore: « Approfondendosi, vista ed esperienza giungono a intuire il mistero di Gesù ».

Essa ha finalmente compreso che il tempo passato dei rapporti diretti con il Gesù terreno è finito: Gesù è risuscitato, è il Signore, sale definitivamente verso il Padre, egli è presso il Padre. Questa scoperta non è più riservata solo a lei: Maria va a portare questo messaggio pasquale ai discepoli.

La missione

La resurrezione è tutto questo, è il cammino della fede adulta. In essa non conosciamo più nessuno secondo i nostri semplici sensi, neanche Cristo. Nessuno e nulla è più imprigionato nella cella della carne. In Lui, risorto, siamo creature nuove. Le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove. Siamo figli di nostro Padre, del Padre di Gesù. Siamo di Cristo, che è risorto davvero, e lo possiamo vedere con gli occhi della fede, il dono più prezioso. E’ Lui che ha catapultato Maria ad annunciare quello che aveva visto, il Signore, Cristo Risorto, la novità che ogni uomo attende senza saperlo. La novità che ci ha raggiunti, sorpresi, salvati, risuscitati.

E il vangelo continua: “ma va dei miei fratelli …”. Non ci è dato ora il riposo nell’unione col Signore; a noi è chiesto di andare ad annunciare ai nostri fratelli che Gesù è il Signore e che in Lui siamo figli del Padre suo. La partecipazione al banchetto nuziale non ci è ancora data perché la storia non è finita. Siamo nel tempo della testimonianza e della missione.

La nostra missione ha la sua origine nell’incontro della fede. Come la Maddalena: “ho visto il Signore”; come Paolo che ha visto il Signore. Il contenuto della nostra missione è di dire all’uomo il messaggio che ci è stato affidato: “… e ciò che le aveva detto”. La nostra non è vita di riposo nella contemplazione della Verità, ma è vita di fatica nell’esercizio della carità pastorale. Non possiamo dire allo Sposo: “mi sono lavata i piedi/ come ancora sporcarli?” [Cant 5,3]. Occorre invece sporcarli lungo le strade dell’uomo, perché l’uomo è la via della Chiesa.

“Maria andò subito ad annunziare…”. “La colpa del genere umano è recisa da dove aveva avuto origine. Siccome infatti nel paradiso la donna aveva propinato all’uomo la morte, dal sepolcro una donna annuncia agli uomini la vita e riferisce le parole di chi ne è l’Autore, mentre l’altra aveva ripetuto le parole del serpente da cui viene la morte” (Homiliae in Evangelium XI, 6)

Quel manipolo di impauriti e ignavi non sono più una compagnia fallimentare, ma sono una comunità che mette al centro il risorto e che solo nel suo nome e nella sua forza si costituiscono comunione per tutti, segno di una umanità nuova, certezza di cammino di ricerca, comunità di testimoni che d’ora in poi cercheranno di tradurre in linguaggi culturali comprensibili nella vita e nella società l’umanità nuova che il cristiano incarna nel vivere in sé e nel mondo delle sue relazioni la fede pasquale. Ci sono una sorgente, un fondamento da cercare e una testimonianza da offrire.

Testimone è chi sa sperare.

L’annuncio di Gesù risorto non sarà una formula, una verità da consumare con qualche tesi teologica, anche se occorre sempre dare alla fede un sevizio di intelligenza e di senso per essere vissuta e proposta in una esperienza umana e con un linguaggio umano, ma sarà una speranza viva che i cristiani sapranno testimoniare. Dentro questa nostra società in cui sperimentiamo come tutti disorientamento, incertezza, stanchezza, smarrimento e disperazione (ritornano le cinque parole con cui oggi abbiamo definito la sete di speranza), siamo capaci di portare quella serena fiducia che toglie noi e ogni nostro fratello da questa situazione. Noi con semplicità dobbiamo offrire quell’orientamento globale alla vita, che sperimentiamo nel dialogo fiducioso quotidiano con Dio, la certezza necessaria guadagnata smontando le false sicurezze e orientando la ricerca nella direzione del Signore Gesù. Con l’aiuto di Dio facciamo sperimentare che c’è una forza, un riposo contro la stanchezza, che il nostro smarrimento si risolve, anche faticosamente, in ritrovata prospettiva di vita personale, familiare e pubblica, che la disperazione è vinta dall’affidamento nelle braccia del Padre, fatto di preghiera, di ascolto, di partecipazione alla grazia di Dio, che ci viene sempre offerta nell’Eucaristia, celebrata in una comunità, anche povera, ma viva e consapevole di incontrarvi il Signore, il Crocifisso Risorto.

10 Aprile 2021
+Domenico

Domande su cui riflettere per un opportuno approfondimento

  • Chi cerco nella mia vita?
  • Dove e come sperimento nella mia vita la forza della risurrezione di Gesù?
  • Che cosa sono disposto a donare per la bellezza e la bontà della vita di tutti?
  • Come tento di  ridire con coloro che fanno strada con me l’amore che mi canta nel cuore per il Signore Gesù?
  • Sono fiero di far parte di una comunità che vuol testimoniare la fede in Gesù risorto?

La cena di Betania

Una riflessione esegetica confrontando i Vangeli di Matteo (Mt 26, 6-13), Marco (Mc 14, 3-9) e Giovanni (Gv 12, 1-11) – Cfr “Sentieri di vita 3” di Francesco Rossi De Gasperis – Luciano Pacomio – Editrice Paoline, pagine 38-39

Audio della riflessione

Ricordiamo che i vangeli, soprattutto quello di Giovanni sono stati scritti dopo non poco tempo della morte in croce di Gesù e la sua risurrezione, elementi decisivi per la fede cristiana, e a partire dalla fine si è sentito il bisogno di narrare quello che era successo prima.

Noi partiamo da questo episodio narrato nel vangelo di Giovanni: sei giorni prima della grande festa ancora tutto è normale (noi nella preghiera ufficiale della Chiesa chiamiamo questo sesto giorno “Lunedi Santo”), non è ancora esplosa la cattiveria umana che porterà Gesù in croce, c’è una scena intima di amicizia, dove si mescolano tenerezza e triste presagio.

Gesù sente di essere braccato: quell’ingresso trionfale a Gerusalemme ha messo in allarme il sinedrio (che potremmo per noi chiamare “consiglio dei ministri”, di fronte a Gesù che è molto più pericoloso di una pandemia) … non staranno con le mani in mano a farsi cogliere di sorpresa, il loro DPCM è “O adesso o mai più: Quel che Gesù ha fatto è troppo” … e Gesù si concede un momento di intimità con gli amici: va a Betania, nella casa dell’amico Lazzaro … la casa è piena di tanti amici, ma la scena è occupata da due persone soprattutto, Maria, che è la sorella di Lazzaro e Giuda.

Entra in scena per prima una donna, Maria: è importante notare che è una donna che dà inizio al racconto della passione e sarà una donna che ne segnerà la fine annunciando la risurrezione. 

Tra la congiura dei capi e il tradimento di Giuda si inserisce questa donna con un gesto tenerissimo: porta un profumo in un vasetto, un profumo di grande valore, di nardo genuino, non contraffatto.

In giro per l’orto del Getsemani si percepisce l’atmosfera acre dell’accerchiamento di morte che gli stanno preparando i membri del Sinedrio, in questa casa invece si diffonde un profumo delicatissimo, in un silenzio rotto dal colpo secco di un vasetto di alabastro, come di un cuore indurito, che si infrange per amore.

Questo olio viene versato sui piedi di Gesù: sembra un gesto normale, di cortesia, di gentilezza, di ospitalità, in cui si mescolano tenerezza e tristezza, per quello che tutti presagiscono.

La bibbia è piena di momenti solenni in cui sul corpo, il capo o i piedi dell’uomo viene versato olio profumato: con l’olio si allieta il volto, si consacrano i sacerdoti, si consacrano i re e i profeti, si curano i malati… forse riusciamo tutti a ricordare il gesto di Samuele che, invitato da Dio a ungere, e consacrare quindi, il  nuovo re di Israele, blocca il pranzo di tutta la famiglia, finchè, dopo aver passato in rassegna tutti i figli presenti, non si presenta il più piccolo, Davide … e giunge il ragazzetto, sottovalutato da tutti come capita anche oggi, perché noi adulti siamo molto importanti e bravi … e lo unge re.

Ricordo il fatto perché con questo gesto la donna non solo fa un gesto di amore, ma anche di fede profonda: riconosce in Gesù, il re, il sacerdote, la vittima, il profeta. E’ inaudito che sia una donna che compie una unzione messianica, quasi una consacrazione, dopo che Dio ha dichiarato messia il figlio Gesù.

Questo corpo di Cristo prossimo alla morte è oggetto di amore: Resta per ora sospesa una decisione efferata di metterlo a morte, si espande un profumo che penetra le narici, imbeve i vestiti, riempie l’atmosfera di una esaltazione gioiosa, di sentimenti di gratitudine e di amore. Questo momento nel racconto della passione si inscrive come una sospensione, una contemplazione; guardiamo questo Gesù con il suo cuore di figlio e di messia, che si prepara alla croce. Un uomo nel pieno della vita, nell’entusiasmo della sua missione che viene braccato come un delinquente, come uno spergiuro, un maledetto da Dio e dagli uomini. Una donna lo capisce, ne intuisce il dramma, ne coglie la mestizia e non lo vuol lasciare solo a un ruolo, lo accoglie come persona nella sua dignità umana.

Il gesto più bello d’amore lo compie ancora questa donna. Gli unge quel corpo che fra poco penderà dalla croce, che sarà percosso e umiliato, oltraggiato in maniera efferata. Gesù pensa alla sua sepoltura, e lo dirà pure, agghiacciando le persone che gli vogliono solo bene perché è Lui e non pensano al valore del profumo,  perché ormai la morte è vicina.  La donna non  offre solo il profumo, ma la sua persona, il suo cuore, il suo corpo, se stessa e confessa che Gesù per lei è tutto. Un altro evangelista che racconta questo stesso fatto riferisce che Gesù avverte questa fede profonda e dice che in tutto il mondo non si potrà proclamare il vangelo senza parlare del gesto di questa donna. In pratica si annuncia che tutto questo espresso in una sensibilità squisitamente femminile nei confronti di Gesù. è l’evangelo.

Vediamo invece ora che cosa pensano gli altri invitati alla cena:

Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo, per trecento denari e non si sono dati ai poveri?  

L’autore di questo pensiero scellerato per l’evangelista Giovanni è Giuda, nei passi paralleli degli altri evangelisti si dice: Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro. Ed erano infuriati contro di lei tra i quali ci sono  pure i discepoli che si indignano. Una povera donna scoppia di amore, un ceto di saggi si fanno consumare dai calcoli, dagli interessi, pensano agli affari e accampano la scusa dei poveri. I poveri sono purtroppo sempre usati per nascondere le intenzioni più basse. Non sempre si servono i poveri, ma ci si serve dei poveri.

Il momento dell’amore è finito troppo presto, con esagerata velocità; nella successione dei fatti si passa subito a spegnere ogni sogno. Il profumo è ancora nell’aria, ma non c’è più nessuno che è disposto a lasciarsene invadere; la gratuità è finita, l’illusione che l’amore fosse definitivo si fa palpabile. C’è gente che si sdegna per la perdita dei soldi e non s’accorge che disprezza la sofferenza di un  morente, passa sopra ai sentimenti di Gesù, alla consapevolezza della sua morte imminente. Che è la morte di un uomo di fronte all’accumulo di denaro, all’efficienza di una amministrazione, alla fame di trecento denari?  Nella vita credono che sia più importante comperare o vendere, piuttosto che amare e donare; calcolare e ammassare, piuttosto che aprirsi e consolare.

Quanta gente regola i rapporti umani col calcolo e con l’interesse. L’unico intento della vita è il vantaggio, il fatturato. E’ il denaro il fine della società stessa. Le cose, il lavoro, i gesti, l’uomo stesso, tutto è mercificato, comprato, venduto, barattato; così è tentata anche di diventare la religione: una ragioneria di interessi.

Non sanno capire i convitati alla vita il bello, il buono, il gratuito che si nasconde nel gesto della donna. Il dono è l’unico atto umano in cui l’uomo ritrova se stesso. Contemplare, amare e donare sono gesti che non servono a niente, ma ci fanno diventare persone, ci distaccano dalla confusione con la materia, creano spazio per la meraviglia, la gioia, la vita.

No a noi servono trecento denari, non ci serve Gesù Cristo; a noi serve avere sicurezza nelle strategie dei cambiamenti, non la gratuità dei rapporti. Questi pensieri purtroppo potrebbero essere anche quelli della caritas, di noi cristiani semplici e in continua ricerca, non ci dobbiamo vergognare e chiediamo a Gesù di farci capire.

Questa donna ha rovinato le uova nel paniere di chi voleva fare anche di Gesù un affare. E contro di lei si infuriano, sbraitano, intolleranti. Non amare nessuno perché a qualcuno fai subito fastidio, soprattutto a chi crede di dover giudicare gli altri e di avere in mano il mondo.

Penso che resti in piedi ancora qualche dubbio sulla insensatezza dello spreco dell’olio profumato: i poveri. Si poteva dare ai poveri. Certo c’è una intenzione nobile; il calcolo non è fatto per un volgare tornaconto o affare, ma per un atto di solidarietà. Rivediamo al rallenty la scena: da una parte la tenerezza, un cuore ansioso, pieno di presagi, una sensazione di qualcosa di irreparabile che sta capitando, dall’altra un freddo calcolo pieno di sicurezza e di disprezzo, frustrato e tentato di tradimento. La donna  rompe un vaso di nardo preziosissimo e riempie la sala di profumo. Sono i piedi di Gesù che meritano tanto, ma è tutta la casa che ne viene saturata, la vita di quel gruppo di disperati che viene inondata da un profumo che nei loro ricordi resterà indimenticabile. E’ un gesto d’amore, è l’ultimo vero gesto d’amore che viene rivolto dall’umanità a Gesù. Ce ne sarà tra poco un altro, il bacio di Giuda, quello non sarà amore, ma tradimento.

C’è un conteggio che passa per la mente di Giuda o di tanti che la pensano come lui: un profumo sprecato questo unguento, con tutti i poveri che ci sono e che potrebbero avvantaggiarsi del suo valore. Vale ben trecento denari. Il prossimo conteggio lo farà ancora il Sinedrio, quando gli conterà trenta miseri denari come prezzo del tradimento.

Ma non ci saranno funerali per Gesù, ci sarà la morte, sicuramente; il male avrà il sopravvento, ma solo per porre davanti a tutti nella solennità di un trono scomodo quale è quello della croce, il massimo di bene che Dio avrà sempre per l’uomo, anche per i traditori, per gli infami.

Allora si leverà nella vittoria massima la speranza di vita per tutti, una speranza prefigurata e generata nei gesti semplici dell’amore.

6 Allora Gesù disse: “Lasciala fare; perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;  i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.

E’ Gesù stesso che interviene con la sua parola per aiutarci a fare discernimento. Il punto nodale è: Noi dobbiamo sempre fare la scelta decisiva di stare dalla parte della persona di Gesù, è Lui il povero che si è addossato tutto il male del mondo; l’unzione è rivolta proprio a chi verrà presto ucciso, a uno che sta affrontando la morte. Questa, dice Gesù, è un’opera buona: amare Lui sopra ogni cosa è opera buona, come era buona la creazione ogni giorno che arricchiva l’universo delle bellezze del creato e della centralità dell’uomo e della donna.

Se vedi che davanti a te si affaccia il Cristo che sale il Calvario, tu vai a preoccuparti di come e dove poter risparmiare o stai a farti i calcoli per le tue buone azioni? Che ti importa di Lui che muore solo, abbandonato? Ti interessa la sua vicenda o l’hai già cambiata in una azienda?

Quante volte la religione, il nome di Gesù è tirato in ballo per coprire i nostri interessi, per fare da supporto alle nostre fissazioni, al nostro stesso egoismo. Questo avviene anche negli uomini della Chiesa, come me.

Avere sempre con noi i poveri non ci autorizza a strumentalizzare Gesù, non ci esime dal riscattarli sempre, ma ci obbliga a guardare sempre a Lui che sa vincere ogni povertà, ci dà la forza di spenderci. Senza di Lui, prevale l’egoismo, l’interesse; il pensiero dei poveri diventa strumentale come lo è per ogni organizzazione di carità, di beneficienza: Facciamo qualche esempio. Quanti hanno guadagnato sui migranti! la Fao l’organizzazione che si mangia tra i funzionari l’80% dei capitali messi a disposizione per risolvere la fame nel mondo. Molta gente se non mette al centro Cristo, che ti obbliga ogni giorno a guardarti dentro, a purificare le tue intenzioni e quindi i tuoi comportamenti, si serve dei poveri e non li aiuta a riscattarsi

8 Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.

La consapevolezza di Gesù è precisa. La morte non è un tragico incidente in cui è caduto perché era un predicatore sprovveduto e ingenuo. Sapeva che lì doveva provare a tutta l’umanità la decisione irrevocabile dell’amore di Dio. Gesù aveva la consapevolezza molto umana, ma non per questo meno intensa, di quella morte che lo attendeva al varco. All’ultima cena, di lì a pochi giorni avrebbe esplicitato ancora di più quello che c’era nel suo cuore.

“Non si può più girare attorno alle cose. La mia vita non me la prenderanno con inganno o con strategie politiche, per farsi qualche piacere l’un l’altro o Erode o Pilato o Anna e Caifa o i mestatori di popolo, la dono io. Sono venuto per questo. Qui sta lo snodo fondamentale della mia missione: vi do la mia vita, perché vi voglio troppo bene. Non posso permettere più che il male sia l’ultima parola sui vostri sentimenti, affetti, azioni, corpi e relazioni. Questo pane spezzato e questo vino versato saranno sempre il segno di un dono senza rimpianti, di una vita donata senza ripensamenti, saranno il segno del mio corpo dilaniato e del mio sangue versato.

 E potrete sempre rifare questi miei gesti, coinvolgendo dentro di essi i vostri, anche voi dovete sempre essere in grado di spezzare la vita per i poveri, e ogni volta che li rifarete io sarò lì ancora a dirvi che vi voglio bene, a dirvi che non immaginate che Padre avete nei cieli, a ricordarvi che è finita la schiavitù, che l’ultima parola non è la morte, anche se in cuore avrete odio, anche se userete questi miei segni per farvi belli, in una chiesa dove state solo per dovere, in una comunità che usa la messa per truccare l’odio e la falsità, anche quando i gesti li compirà un prete senza fede, senza amore, pieno di ambizioni, incapace di uscire dal giro del peccato di cui non si accusa più. E’ un dono per sempre, senza ripensamenti o nostalgie”

Se possono servire altre riflessioni:

C’è una triangolazione sempre da salvaguardare:

Io/noi, Gesù, i poveri

e non una dialettica soltanto

io/noi e i poveri/Gesù.

E’ certissimo che nei poveri vediamo il volto di Gesù, ma se questo volto non è sempre presente nei nostri pensieri, nelle nostre valutazioni e lo perdiamo di vista, diventiamo solo organizzatori, presto perdiamo il senso più profondo della vita e dell’amore ai poveri

Ciò che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Quindi ogni azione umana, anche quelle di coloro che non conoscono Lui, si qualifica e si giudica in riferimento alla persona di Gesù. Il coinvolgimento della persona irriducibile di Gesù precede, ispira, comanda e interpreta a livello dell’essenza, di quello che esiste nel nostro amore per gli altri, ogni gesto di amore per i fratelli.

La causa di Gesù non è la causa di una collettività o un programma di azione per la giustizia o la misericordia. Essa è la causa di una Persona singolare e unica, che è la chiave della forza di ogni nostra decisione.

Per Maria, e per il Vangelo, la causa di Gesù precede e qualifica la causa dei poveri

Per Giuda e alcuni suoi compagni, la causa di Gesù  finisce nella causa dei poveri e si riduce ad essa. Gesù può persino scomparire dalla scena.

Chi non capisce il gesto di Maria non ha ancora colto, oppure sta perdendo il senso unico della persona di Gesù e può trovarsi, lo sappia o no, alla viglia del tradimento o del rinnegamento del Signore.

4 Marzo 2021
+Domenico

Il tradimento: un tarlo che può rovinare tutto

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 13, 21-33.36-38)

Anche nei cuori più puliti, nelle intenzioni più belle e sincere, nelle amicizie più profonde c’è sempre la presenza di un tarlo che può rovinare tutto: il tradimento.

Lo abbiamo provato tutti nell’età dell’adolescenza, quando avevamo trovato un amico, una amica, che speravamo fosse la nostra ancora di salvezza, il nostro punto di confidenza … speravamo che fosse il superamento della nostra solitudine e poi … ci siamo visti le nostre confidenze messe in piazza, i nostri sentimenti buttati in pasto a tutti, soprattutto l’amico, con cui avevamo fatto patti di acciaio, farsi ostile e nemico, con il vantaggio di avere in mano tutti i nostri punti più deboli: traditore.  

Gesù passa attraverso questa dolorosissima esperienza, non nei giochi di una adolescenza, che per prove e difficoltà si fa più forte nell’affrontare la vita, ma nel pieno della sua missione.

E’ stato tradito: aveva riposto tutte le sue speranze nei dodici, ma aveva sempre avuto grande rispetto della libertà di tutti.

Giuda e Pietro siedono alla stessa mensa, a quella cena intima che Gesù ha voluto consumare prima degli eventi definitivi della sua missione: ambedue apostoli, ambedue collaboratori stretti di Gesù, ambedue alle prese con la propria coscienza, le  proprie paure, ambedue con un rapporto di amicizia con Gesù.

E satana scatena la sua battaglia, si insinua nelle loro vite, ne sfrutta le debolezze: Giuda lo tradisce con un bacio, Pietro con la paura. 

Gesù li ha chiamati entrambi, ha voluto far nascere nel loro cuore la sua passione per il Regno di Dio.

Giuda era un poco di buono, Iscariota è parola vicina a sicario; Gesù accetta la sfida: se vuoi puoi farti affascinare da un amore più grande di quello che provi oggi; Giuda era stato scelto per essere apostolo, chiamato all’intimità con Gesù, a partecipare al suo progetto di mondo nuovo, a partecipare al suo amore, alla sua missione, ma ha scelto di abbandonare e ha creduto che il peccato fosse più grande della misericordia. 

I trecento denari con cui aveva valutato quel vaso che aveva sentito infrangersi nella casa di Lazzaro qualche sera prima, al cambio del tradimento sono solo trenta miseri denari, tanto poco è valutato Gesù dai sacerdoti del tempio.  

Non ha capito che poteva sempre e solo sperare, perché Gesù è la speranza vera di ogni vita: anche là dove si costruisce la tana dei disperati, c’è sempre uno spiraglio di bontà.

La luce della speranza si insinua in ogni fessura e vince

E abbiamo visto in questi giorni quanta bontà hanno espresso ed esprimono le persone che si sono messe al servizio degli altri in questa durissima prova dell’epidemia.

In questi giorni, guardando alla sofferenza di Gesù vogliamo essere consapevoli di non essere mai soli nel dolore, perché Gesù ci è passato dentro alla grande, e ne porta ancora i nostri pesi. 

8 Aprile 2020
+Domenico