Il movimento unico e grande dell’amore di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 9-17)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Audio della riflessione

Non è mai compresa a fondo e trasmessa fedelmente la consolante verità dell’amore di Dio per il Figlio Gesù, per l’umanità e per la Chiesa. L’evangelista Giovanni ci racconta come il Padre abbia preso questa grande iniziativa del movimento d’ amore di Dio iniziato con l’invio di suo Figlio Gesù. Il Figlio accetta e porta questa corrente d’amore agli uomini e alle donne di questa nostra umanità. Solo così può iniziare il movimento di risposta dell’umanità: dall’uomo e dalla donna a Cristo e da Cristo al Padre.

Il nucleo essenziale della fede cristiana e del vero essere discepoli di Gesù è questo circolo dell’amore e della risposta nell’ubbidienza che lo garantisce. I credenti evidentemente devono amarsi tra loro, perché questo amore vicendevole è in una peculiare relazione con l’amore che esiste tra le persone divine e questo si riversa anche nell’amare i nemici. Questo amore è capacità di dedizione, è sacrificio di sé stessi per gli altri, come ha fatto Gesù per tutta l’umanità. Se vogliamo semplificare ancora di più, diciamo che noi ci amiamo perché siamo coinvolti nel profondo amore che c’è nelle tre persone divine

Dare la vita per gli amici è la prova suprema dell’amore. La cosa che sorprende felicemente è che Gesù chiami i credenti, i discepoli, suoi amici. L’amicizia è in genere definita in termini di uguaglianza, di mutuo vantaggio e interesse. In quale senso questa amicizia con Gesù ci rende uguali? Occorre partire da una nuova definizione di amicizia. Gesù non ha interessi comuni con i suoi discepoli e non guadagna nulla con la loro amicizia. Egli è il Signore e dovrebbe essere più corretto chiamare i cristiani come discepoli o come servi.

Ma Lui ora che è morto e risorto li chiama amici, per l’unica ragione che li ha scelti a essere suoi amici e li ha amati fino alla fine. Questo lo ha fatto per tutti i cristiani. L’iniziativa della elezione, della scelta è partita da Gesù. Ogni iniziativa di questo tipo nasce sempre da Dio. E siccome è la grande iniziativa dell’amore di Dio, in esso deve essere compreso anche l’amore vicendevole tra le creature. 

5 Maggio 2024
+Domenico

Il mondo e la Chiesa del Signore

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 18-21)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».

Audio della riflessione

Ci troviamo spesso in difficoltà o in rassegnazione quando si parla di rapporto Chesa-mondo. Il mondo che nel linguaggio del vangelo di Giovanni, non è la creazione o l’universo, ma l’insieme delle opposizioni alla vita del credente in Gesù o soprattutto al vangelo. Infatti, praticamente la prima esperienza della Chiesa ancora in costruzione, in formazione, in fondazione, non ancora chiamata così, è stata la persecuzione. I cristiani furono perseguitati prima dai giudei, poi dai cosiddetti gentili, la gente che non aveva religioni ben definite, pagani, si potrebbe dire.

La persecuzione e l’odio verso i cristiani per il vangelo di Giovanni sono cosa normale, perché per Gesù, il cristiano non è del mondo, non gli appartiene. Il mondo ama solo i “suoi”. I cristiani invece sono di Cristo, sono al di sopra del mondo, danno testimonianza contro di lui e contro i suoi peccati; con il loro stile di vita condannano la condotta del mondo. La separazione così netta dal mondo non ha significato sociale, ma teologico. C’è però un altro pensiero da aggiungere. Il servo non è da più del padrone e non può certo avere una sorte migliore.

Per quel tempo tale contrasto esplicito era considerato come normale, una sorta di continuazione dell’atteggiamento dei giudei, una eredità venuta dal giudaismo. Del resto, se i cristiani imitavano Cristo che era non solo inviso ai giudei, ma anche combattuto fino alla sua crocifissione, questo odio era una intensificazione del male che esigeva un giudizio chiaro e consapevole. La continuazione della persecuzione su Gesù diveniva del tutto consequenziale nei cristiani, proprio perché era dovuta alla loro chiara fede in Gesù, attuazione della sua parola, vita secondo il suo stile. Però non tutti già allora rigettavano Cristo, perché molti pur non essendo cristiani vi si avvicinavano e si convertivano in piena, anche cruenta, opposizione del mondo giudaico. Lo stesso insegnamento del Battista aveva fatto breccia nel mondo religioso di allora e la si poteva conoscere, valorizzare, approfondire e accettare anche a partire dalla testimonianza di coloro che avevano seguito la predicazione di Gesù e si erano fatti cristiani e che a mano a mano costituivano o si aggiungevano alle prime comunità cristiane.

E la continuazione dell’azione di Gesù, nei primi cristiani sarà sostenuta, fatta crescere, nutrita e sostenuta dal Consolatore, dallo Spirito, dal Paraclito: tutti termini che colorano la testimonianza convinta e forte delle prime comunità cristiane. Non per niente papa Francesco ci chiama Fratelli tutti

4 Maggio 2024
+Domenico

SS. Filippo e Giacomo, due che ci indicano chi è la nostra via, verità e vita: Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 6-14)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, disse Gesù a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre?
Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».

Audio della riflessione

Sono tante le cose di cui ci dobbiamo preoccupare per vivere bene, per condurre una vita decente, avere buoni rapporti con tutti, offrire la nostra solidarietà a chi ne ha bisogno, ma ce ne sono tre che sono indispensabili: conoscere la strada della vita, conoscere cioè che percorso fare per condurre una vita buona, felice, soddisfacente; essere sicuri di camminare secondo verità, difendendoci dai facili inganni in cui altri ci attirano e vivere veramente, non solo sopravvivere o vivere di risulta. La frase perentoria di Gesù: Io sono la via la verità e la vita, risponde a questo bisogno fondamentale di ogni esistenza.

Spesso non sappiamo che fare, ci troviamo come in un deserto o nel mare senza bussola, non ci sono strade, non c’è freccia. Siamo nella nebbia, con la fastidiosa sensazione di esserci perduti, o di trovarci in un posto invece siamo in un altro. La nostra esistenza è diventata un intrico di proposte, di sollecitazioni, di esperienze contraddittorie. Che devo fare, che strada prendo nella vita. Soprattutto chi è giovane si trova di fronte a una eccedenza di opportunità e non sa che cosa scegliere. Avere qualcuno che ti indica quale è la strada è importantissimo. Ebbene Gesù dice: io sono la via. La strada giusta della vita passa da me, io sono meglio di ogni tuo satellitare. Vederlo come via non significa aver trovato la cartina geografica o stradale, ma aver percepito in Lui la certezza di un percorso di felicità e di una compagnia sicura. Non ci indica solo la strada, ma è Lui stesso la strada.

Lui è anche la verità. Il problema di oggi sembra essere la libertà, fare quel che ci piace, andare dove si vuole, ma il vero problema è di sapere se c’è qualcosa di bello, di vero che ci piace, che si vuole; se siamo veri o ingannati, nella verità o nella falsità. Persone compiacenti che ci isolano in un pietoso inganno ce ne sono troppe. Abbiamo invece bisogno di sentirci dire sempre chi siamo e che cosa possiamo fare, cosa dobbiamo cambiare, se la nostra strada è quella giusta, se la nostra vita è impostata bene. Gli amici purtroppo spesso non hanno coraggio per non offenderci. Gesù è l’amico che sta sempre dalla parte della verità. Lui è la verità. Non ti inganna, non ti parla tanto per riempire il programma, per intrattenerti. Non ti accarezza le orecchie per aumentare l’audience, non ha pubblicità da propinarti. Non ha proprio bisogno anche dei nostri like per dire l’audience che ha. L’unica audience di cui si preoccupa è quella che dobbiamo avere nell’amore di suo Padre. Gesù è colui che conosce il mistero del vivere e del morire, conosce ed è la strada della felicità, Lui l’ha percorsa e ce la può indicare.

Se è via e verità, allora è la vita. Il rischioso mestiere di vivere è sempre davanti a noi. Ogni tanto veniamo messi di fronte a qualcuno che si toglie la vita, che non riesce a capire perché, che non ha forza, che ha paura di affrontarne il mistero. Noi con Gesù ci mettiamo nelle sue mani, alla sua sequela, ci fidiamo di Lui. Non vogliamo farci rimproverare come i farisei: voi non volete venire a me per avere la vita. Non ci adattiamo alle pozzanghere che ci scaviamo per consolarci, noi vogliamo seguire Lui per avere la vita. Maestro che devo fare per avere vita piena? Dove sta la pienezza della vita? Non posso adattarmi a vivere a qualche maniera. Il vangelo è la strada e la stessa vita, la sua parola è l’indicazione più vera e più sicura.

Parlarci nella festa dei Santi Filippo e Giacomo è per me richiamarmi al mio dovere di vescovo, di successore degli apostoli, per pura grazia di Dio, di assicurare tutti del grande amore che Dio ha per ciascuno e invitarci a una generosa risposta al suo amore. Il vangelo è la strada, in questi tempi soprattutto in cui veniamo continuamente strattonati dai mass media che esasperano sentimenti ed emozioni e ci costringono quasi a seguire l’onda delle informazioni. Allora non è più possibile vivere il perdono cristiano, ma la vendetta, il risentimento, l’espulsione e non l’accoglienza; non è possibile proporre una famiglia basata sul matrimonio, ma una   falsa comprensione che snatura la stessa nostra convivenza civile. Torniamo al vangelo e a quello diamo spazio per trovare la felicità vera in Gesù che è via, verità e vita.

3 Maggio 2024
+Domenico

Dio è amore al di sopra di ogni realtà: in esso vogliamo rimanere

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,9-11)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Audio della riflessione

Ci siamo messi spesso alla ricerca di Dio, abbiamo tentato di dargli un volto, una descrizione. Convinti della sua esistenza, ma desiderosi di dargli una sorta di definizione, che non deve definire niente, perché Dio non sta mai nel verbo finire e nei suoi composti. Infatti, possiamo solo dire che non è finito, ma non abbiamo proprio detto niente se non negato qualcosa. Ma vorremmo almeno pensare a una caratteristica che ci aiuta a parlargli, a sentirlo dentro di noi, non certo parte di noi. Gesù non ce lo ha definito, ma ha fatto capire che in Lui si deve restare, dare casa alla nostra vita. E questa casa si chiama amore, ciò che Gesù ha sempre sperimentato nella sua vita, sia tra noi che nella vita trinitaria. Le immagini filosofiche, legate alla nostra intelligenza e capacità razionale non sono mai adeguate. I filosofi ci hanno provato, gli scienziati pure, gli scrittori lo hanno fatto vecchio o giovane, buono o cattivo, barbuto o etereo a seconda della ispirazione o dell’uso che ne potevano fare.

Dio invece è soprattutto e solo amore che si comunica a noi. Papa Benedetto nel suo primo messaggio ce lo aveva detto. È quello che aveva nel cuore in tutta la sua vita di ragazzo, di giovane, di prete, di studioso, di vescovo, di cardinale è sempre stato solo questo: Dio è amore e tutte le volte che cerca una chiave di interpretazione della realtà di Dio è sempre e solo l’amore. È amore quando crea l’universo, l’uomo, e la donna, è amore quando manda suo figlio sulla terra, è amore quando accetta che il Figlio muoia in croce, è amore nel perdono, amore ancora di più nelle vite d’amore degli uomini.

È l’unica chiave di interpretazione della vita di Dio. E Gesù quando si congeda dagli apostoli, non può non rifarsi a questa esperienza profonda che ha segnato tutta la sua vita di uomo. Come il Padre ha amato me, così anch’io amo voi. L’amore è un vortice. Se ci vieni trascinato dentro, porti con te tutti quelli che conosci, vedi, incontri, tutti coloro che fanno parte della tua vita. Così Gesù: non può non trascinare in questa dimensione il gruppo dei suoi amici, e chiamarli a rimanere nel suo amore. Potremmo stare con Gesù per solidarietà con la sua bontà, perché ci offre speranza oltre le nostre paure e inquietudini. Potremmo scegliere di stare con Gesù perché ci incanta la sua Parola. Gesù invece ci dice: ci dovete stare solo per amore. Chi vuol fare il cristiano deve sbilanciarsi dalla parte dell’amore, deve assolutamente fare di questa vita donata senza interesse, senza calcolo, senza vantaggi la sua vocazione definitiva. Rimanete nel mio amore, è l’amore di un Dio che non riusciremo mai a contenere nelle nostre pur belle immagini, slanci di santi e di sante, esperienze mistiche e dello stesso peccato. E proprio in fondo a questo ci si apre la voragine della sua misericordia, che è il bisogno radicale di ogni creatura.

2 Maggio 2024
+Domenico

Giuseppe il sognatore lavoratore

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 13,54-58)

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

Audio della riflessione

San Giuseppe, nei suoi sogni, ha incrociato i pensieri di Dio.

Giuseppe fidati! Hai ragione a non dubitare minimamente di Maria. È lo Spirito Santo, sono io che ho voluto cominciare a vivere da uomo in Cristo Gesù. Sì, così devi chiamare questo bambino: assumiti tu il compito di padre.

E Giuseppe accettò di entrare in questo percorso, assolutamente sconosciuto e difficile: aveva espresso il massimo di docilità al piano esigente di Dio, sapeva che la strada imboccata era in salita! Questa, infatti, gli chiede una decisione drammatica di pensare a una sua famiglia in maniera del tutto inaspettata. 

La nascita del figlio poi avverrà in un mare di difficoltà, scardinato dal suo paese in una concentrazione di povertà in quell’anfratto per pastori, che a casa sua sarebbe stata meno ossessiva: povertà ancora, ma più vivibile.

Ma non è ancora finita: Un altro sogno!

Ma non è forse meglio adattarsi che sognare? E dal sogno la fuga: indesiderato, ricercato, scomodo, fragile, indifeso e pericoloso.

È la prima pagina di diario che Giuseppe deve scrivere di Gesù: è l’atmosfera che caratterizza la festa per il suo figlio primogenito al ritorno della madre dalla clinica. Si deve fuggire. E Giuseppe, il capofamiglia, il sognatore, docile, forte si assume le sue responsabilità, fa l’immigrato; non prende una carretta del mare, ma affronta un mare di sabbia.

Ormai sono una famiglia, in Gesù resteranno indelebili la sua dedizione, la sua cura, il suo cuore in tumulto, la sua obbedienza al piano di Dio; lo preparano al suo deserto, al suo orto del Getsemani, al suo abbandono nelle braccia del Padre. Anche Gesù ha avuto una famiglia che gli ha segnato la vita e gli ha dato la forza di spendersi fino alla morte. Giuseppe sicuramente ha raccontato i suoi sogni a Gesù se ne è uscito un figlio più sognatore di lui.

Oggi però ricordando e pregando san Giuseppe non possiamo non fare una riflessione sul lavoro che il Signore stesso ci invita a fare. Intanto è lavoro non solo quello manuale, sempre prezioso e nobilissimo, tanto che Gesù era noto come il figlio del carpentiere, carpentiere anche lui con la bellissima figura di un uomo giusto e generoso come san Giuseppe. Per questo la chiesa si è quasi allineata dando al primo maggio la sua adesione di fede oltre che di civile partecipazione ponendo davanti questa figura di padre, di lavoratore, di uomo onesto.

Lavoro, quindi per noi è qualsiasi attività rivolta a trasformare il mondo in cui viviamo per metterlo in condizione di servire l’uomo sempre più e sempre meglio, aiutandolo a conseguire i suoi fini inalienabili, secondo l’alto disegno del Creatore. Perché, come dice il Concilio Vaticano II, “tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come a suo centro e a suo vertice” (Gaudium et Spes, 12). Anzi, non è solo il mondo a essere trasformato e migliorato dal lavoro, ma anche il lavoratore. È ancora lo stesso documento conciliare a ricordarcelo: “L’uomo, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona sé stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi. Ma soprattutto il lavoro deve essere più sicuro per la stessa vita. In Italia sono ancora troppi i morti per incidenti sul lavoro. Basterebbe anche solo un ferito per ridirci che occorre più sicurezza sul lavoro. È una necessità che deve avere il contributo e la partecipazione di tutti, lavoratori compresi. Non bastano le leggi, non bastano le multe, non bastano le denunce: occorre cambiare mentalità. Il lavoratore è più importante di tutta l’impresa, dei suoi fini, della sua utilità, della sua urgenza. Bisogna che tutti: datori di lavoro, ditte di appalto o coadiuvanti di carico e scarico, di progettazione e revisione…. ispettori, autorità locali se ne facciano carico appassionatamente e intelligentemente. Con gli strumenti di oggi deve essere impossibile che una persona si faccia anche solo male, non solo che perda la vita. In una convergenza di forze necessarie e obbligatorie noi cristiani possiamo affidare tutti i lavoratori alle cure e alla custodia di san Giuseppe, che ha fatto il carpentiere assieme a Gesù.

1 Maggio 2024
+Domenico

Maria: grande nella fede anche nella solitudine

Un’omelia su un versetto del Vangelo secondo Luca (Lc 1, 38)

Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei.

Video dell’omelia

Ci sono alcuni fatti che tutte le volte che te li immagini, li pensi, li cerchi di rivivere … ti danno una serenità e una pace interiore assoluta.

Uno di questi è l’Annunciazione: un fatto che segna indelebilmente la storia, una storia d’amore che decide le sorti dell’umanità, fa esplodere l’amore di Dio nel mondo, condanna alla sparizione d’un colpo tutto il male che vi si è annidato.

Maria, una ragazza, semplice, pulita, bella, appassionata, decisa … si incontra con Dio: da una parte una creatura fragile e indifesa, di fronte il Creatore onnipotente e grande! Si cancellano le distanze e inizia un nuovo mondo: il mondo e la vita di Gesù.

Tanti pittori, scultori, artisti hanno tentato di “fermare” questo momento, di segnarlo della nostra partecipazione, di inscriverlo dentro i nostri panorami, nelle nostre case, nei palazzi – ricordate quante annunciazioni sono collocate di qua o di la, in una valle italiana o nei palazzi di Firenze – in vortici di luce, in delicatissime sfumature di colori, in intensi scambi di cenni e di sguardi.

“Vuoi essere la madre di Gesù? Vuoi nella tua vita scrivere la potenza del creatore? Vuoi dare a Dio la carne con cui dimostrerà a tutti la sua tenerezza, il volto con cui potrà farsi vedere a tutti pieno di amore? Vuoi offrire al Creatore tutta la storia dell’umanità che ti ha preceduto, far passare in Lui, il nostro anelito pur fragile alla bontà perché lui lo esalti e lo trasformi in lode e pienezza di vita? Non c’è spazio nella tua vita per una ombra di male! Dio ha voluto farti questo regalo: tenerti fuori da questa storia sbagliata. Non è il padre malavitoso, pentito, che dice al figlio: stattene fuori, non fare come me, tu devi essere pulito, io ho sbagliato … qui c’è Dio che dice e ripropone all’umanità la sua vera vocazione!”.

E Maria mette in evidenza tutta la sua consapevolezza di creatura: vuole dire subito di sì, ma lo vuol fare con il massimo di coscienza e disponibilità possibile …

“E io chi sono? Potranno i miei fragili pensieri sostenere l’ampiezza di questo orizzonte, potrà la mia carica d’amore per i miei simili reggere all’intensità dell’amore di Dio? Perché tu Signore non mi vuoi soffocata, ma libera; non cancelli la mia condizione di creatura, ma la vuoi aprire alle tue grandezze! Io ci sto, sono nelle tue mani come una serva! la Tua Parola è sempre la mia vita come lo è stata per il mondo che hai creato, per i profeti che ci hanno preceduto, come lo sarà per Colui che vorrai far nascere da me. So di osare troppo con la mia debolezza di creatura, ma se tu mi chiami, se mi fai questa proposta mi darai anche la forza di viverla senza riserve!”.

E’ la storia di ogni nostra vocazione: quando Dio ci chiama – anche al matrimonio, come abbiamo sentito stasera – ci mette sempre davanti una vita impegnativa, bella e felice, ma oltre le descrizioni da melassa delle felicità umane, delle felicità mondane. Tutti noi chiamati al matrimonio o alla verginità ci siamo sentiti dentro un giorno questa chiamata, e abbiamo detto di sì!

Oggi forse non abbiamo più quell’incandescenza … Maria l’ha sempre tenuta per tutta la vita! Ha offerto tutta la sua umanità e libertà … e Maria iniziava quel giorno a sognare il Figlio Gesù: ne vedeva già in filigrana il volto martoriato, si preparava a condividere l’avventura del Dio che non vuol mai abbandonare l’uomo.

La contempliamo con il desiderio di seguirla per arrivare a Dio, per capire l’amore di Dio e per annunciarlo a tutti coloro che ritengono la vita un caso, una condanna, una speranza spenta.

Maria è la nostra speranza viva, ma ha vissuto anche la prova e in questa prova la sua fiducia in Dio non venne meno, anzi divenne la sua vera e profonda esperienza di fede! Non aveva da imparare a catechismo verità di fede, ma era stata chiamata da Dio ad avere assoluta fiducia in Lui: per questo Maria è per noi un esempio di fede.

Quando siamo coinvolti in eventi importanti per la nostra vita o siamo caricati di qualche grande responsabilità accanto alla sorpresa di una fiducia immeritata che ci sentiamo regalata, sentiamo il bisogno di un aiuto, di una solidarietà, di una compagnia: è la compagnia del papà o della mamma, dell’amico o del superiore, del datore di lavoro o dell’insegnante, dell’amico o del collega … prima o poi però resti solo con la tua decisione e la tua responsabilità!

Così leggo quel semplice versetto del Vangelo, che ha chiuso la lettura “e l’angelo si partì da lei”, si allontanò da lei: Maria resta sola ad affrontare le conseguenze della sua grande decisione di mettersi a disposizione di Dio … 

L’angelo se ne va proprio quando ne avrebbe bisogno

  • per confermare a lei stessa la verità di quell’incontro, indeducibile, inimmaginabile, dolce, irruento … “sarà vero quel che ho visto? Non me lo sono inventata io!”;
  • per spiegare poi anche ad Anna e a Gioacchino cosa le stava accadendo;
  • Avrebbe avuto bisogno dell’angelo per dire a Giuseppe, sposo profondamente amato, sposo che l’amava teneramente, che quel Figlio che le sbocciava in grembo non era il frutto di un tradimento ma  .
  • Ancora … ne avrebbe bisogno per tenerle alta la testa di fronte agli sguardi curiosi, o magari maligni, delle vicine di casa che l’avrebbero vista “ingrossarsi”, che non avrebbero potuto trattenersi dal commentare mormorando e sorridendo;
  • Avrebbe avuto bisogno dell’angelo per difenderla da una legge che la chiamava a rispondere della propria verginità e della propria fedeltà di fronte a Dio e di fronte agli uomini, pena una pioggia di sassi che l’avrebbe inchiodata a terra, lei, ma anche suo Figlio.

Maria resta sola, come capita alla nostra umanità e alla nostra fede tante volte: è la solitudine non disperata, ma difficile di ogni credente e lo sarà poi di ogni cristiano; è quella solitudine nel profondo della nostra coscienza in cui nessuno può entrare e che nessuno può violare: soli con il nostro Dio, soli a dire il nostro sì, a godere di questa compagnia intima e non disponibile a baratti, a incursioni esterne … grande forza e grande solitudine!

Maria resta sola con la domanda tutta umana sulla consistenza di quella visione, di quelle parole, col bisogno tutto umano di meditarle, di capirle fino in fondo, con la certezza che quelle parole generavano in lei qualcosa di più di un buon pensiero: generavano il lei il corpo, il sangue, l’anima di colui che tutta la storia stava attendendo, aspettando.

Altro che buoni pensieri: un torrente di vita, una cascata di sole si erano riversati in lei e da lei dovevano riversarsi nel cuore di ogni persona … da lei, da una piccola grande donna.

Altro che buoni pensieri: pura, bellissima, difficile vita.

Maria resta sola.

  • Sola, con una storia personale che ha trovato in Dio, nella chiamata di Dio un punto di non ritorno.
  • Sola, con il peso della sua responsabilità di fronte a tutta la storia.
  • Sola, di fronte a tutto il male e a tutto il bene dell’uomo;
  • Sola, davanti ad ogni uomo che si chiede se la sua vita ha un senso;
  • Sola, portando in grembo la risposta ad ogni domanda;
  • Sola, con quel Figlio radicalmente totalmente inatteso che iniziava a crescerle nel grembo.

Resta sola davanti a Dio di cui si fida e proprio per questo immediatamente si mette a servire: va da sua cugina Elisabetta che vive la sua tarda maternità nella solitudine e canta la sua gioia, la gioia di avere creduto in Dio e di avere dato la sua disponibilità ad essere madre di Gesù, come abbiamo cantato nel salmo, che era il Magnificat.

Ci sarebbe un altro passaggio, ma lo faremo domani, perché il Vangelo di domani parla di quella donna che dice “Beata colei che ti fu madre”, e vedremo cosa intendeva Gesù con quella risposta che ha dato.

San Marino, 7 Ottobre 2022
+Domenico

Video dell’Omelia

San Gottardo di Hildescheim

Un Omelia sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8) per la festa di San Gottardo, patrono di Paderno Franciacorta

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Stanno davanti a noi oggi alcune figure, alcuni eventi del mondo in cui viviamo, vite piene di gioie, fatiche e domande come sono tutte le nostre, alcune parole della sacra scrittura…. da tutto questo, e da altro che ci suggerisce il Signore,  siamo chiamati a cogliere insegnamenti per la nostra vita e per la vita della nostra comunità cristiana.

San Gottardo sta davanti a noi e a voi da quando lo hanno scelto come patrono della vostra comunità cristiana: un vescovo saggio, forte, prudente e leale, sia quando con forza paziente riuscì a vincere la resistenza dei monaci ostili alla riforma della loro vita cristiana e di monaci, sia quando  diresse la costruzione della loro chiesa e del loro monastero in cui introdusse una scuola di scrittura e di pittura, così da essere considerato il più grande architetto e pedagogo della Baviera nell’alto Medioevo, sia quando fu nominato vescovo di Hildesheim il 30 novembre  e consacrato il 2 dicembre del 1022, dietro richiesta dell’imperatore Enrico II.

Da vescovo incarnò l’ideale di padre dei suoi preti e del suo popolo e si acquistò il rispetto dei suoi sacerdoti specialmente con la sua intelligente e colta capacità di insegnare le sacre scritture.

Durante i quindici anni del suo “governo episcopale”, nonostante la sua età avanzata (era nato nel 960 e aveva già 70 anni) difese con forza e coraggio i diritti della sua diocesi contro intrallazzi, piccinerie, invidie ed usurpazioni di prelati e principi, cioè di preti, monsignori, abati e politici di ogni tipo che avevano scambiato la Chiesa non solo per una banca redditizia, ma anche per una passarella di moda e di vanità, di mondanità e di intrallazzi, dimenticando la passione di Gesù Crocifisso, che per la salvezza della Chiesa e del mondo era stato messo in croce, e la vita della povera gente.

E’ vissuto a cavallo dell’anno 1000, morendo il 5 maggio del 1038 a 78 anni: i vostri progenitori bisnonni e nonni avevano sempre davanti a sé questa bella figura di papà della fede, come deve essere ogni vescovo, e ahimè l’avrei dovuto essere anch’io.

Abbiamo davanti a noi anche le nostre fatiche e domande della vita: a queste ci dà un buon insegnamento il Vangelo appena letto (Gv 15,1-8) che ci dice in sostanza che siamo sempre e solo rami che debbono stare legati alla pianta!

Pianta e rami, vite e tralci, sorgente e ruscello, sono abbinamenti che non possono stare slegati. Non scorre acqua se il ruscello non è legato a una fonte viva, non scorre vita se un ramo non è attaccato alla pianta, non c’è possibilità di dare un grappolo se un tralcio vien staccato dalla vite. Non c’è bontà nell’uomo se non sta attaccato al sommo bene; non c’è amore nell’uomo se non sta attaccato alla sorgente dell’amore che è Dio. Il mondo è tutto una serie di interazioni, di collegamenti, di fili, che noi pensiamo che ci leghino, ci impacchettino soltanto o soprattutto, e che invece collegano e fanno circolare vita. La nostra autosufficienza vorrebbe che tutto partisse da noi. Noi ci crediamo la bontà, e non ci accorgiamo che da soli sappiamo soltanto essere cattivi; noi ci illudiamo di essere la gioia e non ci accorgiamo che ci caratterizza di più la noia; noi passiamo per generosi, invece ci caratterizza di più l’egoismo. Abbiamo perso la strada della sorgente, dobbiamo risalire il fiume della vita e avere il coraggio di ritrovarne la fonte.

Ecco perché tanti santi non smettevano di pregare: stavano sempre in contemplazione e in contatto diretto con la sorgente; avevano la coscienza che solo guardando a Dio intensamente ne potevano accogliere il dono. Abbiamo tanti mezzi per risalire alla fonte: la preghiera, l’ascolto della Parola, la liturgia, che adesso per paura del covid abbiamo continuato ancora di più a evitare,  la contemplazione delle opere di Dio, la stessa accoglienza della povera gente, dei rifugiati. Quante persone si sono ritrovate piene di vita perché hanno avuto il coraggio di stare con i poveri, di amarli e li hanno visti come sorgenti da cui scaturiva l’amore di Dio.

Quando ci sentiamo insulsi, vuol dire che il tralcio si è staccato dalla vite, significa che non comunichiamo più con Dio, ci siamo riempiti troppo di noi, abbiamo sostituito la sorgente con pozzanghere, per comodità, per abbassamento del gusto del vero e del bene.

Ci si mettono anche le invadenti e  soffocanti pubblicità nei cellulari. L’ultimo che mi ha incantato mentre preparavo questa riflessione è stata una frase: la felicità è una scelta di vita. Questa può essere una bella frase per la predica. Che cosa era invece?  una pubblicità di uno streeetwear, che io traduco con abito da struscio o da movida, così descritto: abito poetico e graffiante, dove la decorazione perfetta è fatta da buchi e cuciture.

Vivere la vita che ci dona il Signore non è automatico, ma una apertura costante alla luce di Dio, una decisione radicale di stare dalla sua parte, di lasciarci invadere dal suo stile di vita, dalla sua grazia. Non solo, ma non riusciamo nemmeno a immaginare quanto bene Dio può far nascere dalla nostra debolezza, dalla nostra incapacità, dalla nostra stessa malattia, dalla povertà. Dio, il suo regno lo costruisce con le nostre fragilità; con queste sa ridare vita ad ogni morte del cuore e dello spirito, del mondo e delle sue strutture. Con lo Spirito sa costruire anche pace nelle nostre guerre assurde, serenità dove c’è odio, libertà dove c’è schiavitù, basta che ne invochiamo la presenza, che apriamo una fessura nel nostro egoismo, una invocazione nella nostra superba autosufficienza.  

Noi purtroppo costruiamo muri, anziché ponti e chi fa ponti viene tolto di mezzo; noi diamo spazio a ciò che ci divide a partire dalla cultura, dagli interessi, dalle cattive intenzioni. Dio ci ha dato la terra e noi l’abbiamo tagliata a pezzettini, l’abbiamo circondata di reti e di confini, di dogane e di posti di blocco. Vogliamo vivere in pace, ma la pace non nasce mai dai muri, dai fossati, dai reticolati, dalle serrature, ma da un cuore che pur difendendosi dal male sa sperare di più nel bene.

La guerra in atto è una realtà che non ci aspettavamo più, anche se il grande riarmo di questi ultimi anni ce ne poteva già dare una avvisaglia di guerra imminente. L’insieme di capitali che circolano nella vendita di armi sempre più sofisticate e l’uso di esse è troppo evidente, incalcolabile e fa gola a molti.

San Gottardo ci avrebbe fatto capire come faceva con la sua gente che il Vangelo alla lettera è un trattato di pace e finché non arriviamo a questa ispirazione saremo sempre in guerra, vinceranno quelli che credono di essere più forti, ma non s’avvedono che si stanno già scavando per loro e per noi un’altra fossa.

San Gottardo intercedi ancora per noi, metti pace come facevi coi tuoi frati e il tuo clero, la tua gente e i tuoi prìncipi e cortigiani.

4 Maggio 2022
+Domenico

La testa di Giovanni e non il futuro di sua figlia (Gorfigliano)

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 14,1-12)

Audio della riflessione

Si dice spesso che gli adulti sono preoccupati dei giovani e che non sanno più che fare per loro, per contenerli: forse è vero, ma il problema non è di controllare, ma di amare, di spendersi per loro.

Incrocia la vita di Giovanni Battista una ragazzina, bella, agile, elegante, armoniosa: vuole sfondare con la sua bellezza e la sua leggiadria … si allena nel ballo ogni giorno e finalmente arriva la sua grande occasione: non si tratta, stavolta, del solito saggio col papà, la mamma, gli zii, i nonni alla festa di compleanno, ma oggi c’è tutto il governo, i notabili … e danza, se la mangiano tutti con gli occhi.

Erode stravede, i giovani sono sempre sorprendenti, ti incantano, meritano tutto: “la metà del mio regno è tua”, dice Erode folgorato dalla bravura di questa ragazzina.

La ragazza è saggia, i complimenti non le danno alla testa: la sua danza è una sfida con se stessa, non con gli adulti; sa di aver bisogno di tutti per crescere, per decidere e va da sua madre.

“Mamma è il momento più bello della mia vita, sono riuscita a superarmi; ti ricordi quanti allenamenti, quante volte volevo smettere e tu mi hai aiutato? Se non ci fossi stata tu starei ancora a divertirmi con l’orsacchiotto di pelouche. Il re è disposto a darmi la luna. Ho un avvenire sicuro, non sono in casa sua solo perchè vuole bene a te. Ho un  posto anch’io”: non si sente più una vita da scarto, come capita a tanti giovani, non è destinata alla discarica, ma le si è aperta nella vita una strada. Non vuoi che sia questa anche l’aspirazione degli adulti che le vogliono bene, soprattutto di colei cui tra una coccola e l’altra si confida?

E la madre, l’adulta, il maturo, quella che vede bene, che calcola, che è navigata nella vita, colei che si è lasciata indurire il cuore dall’interesse, che non sa più sognare e cambia i sogni dei giovani in incubi, dice tutto il suo odio per la vita, e per il futuro dei figli: la testa di Giovanni Battista.

“Fammi portate su un piatto la testa di Giovanni Battista”: una sentenza che prima di ammazzare Giovanni, distrugge speranza e uccide l’anima di sua figlia che non ha ancora il coraggio di ribellarsi, è ancora soffocata dall’affetto predatore di sua madre, dell’adulto senza scrupoli.

Non sono così gli adulti che servono ai giovani: di questi fanno volentieri a meno, anzi sono tanto bravi alcuni figli che possono pure aiutare i genitori a diventare saggi.

Sant’Ignazio di Loyola, che oggi veneriamo, non era certo un adulto così … anzi ha guidato generazioni di giovani sulle vie del Vangelo, consacrati al servizio di Gesù in ogni parte del mondo.

Papa Francesco ne ha seguito l’esempio, la regola e la dedizione a Gesù e al Vangelo.

In questo contesto, in questi giorni, noi celebriamo la Madonna dei cavatori, la madre di Dio: la ringraziamo di esserci stata sempre così vicino, la salutiamo come si fa sempre con una madre, la mettiamo ancora al centro della nostra esperienza di fede come indicazione di rotta, come segnale infallibile per arrivare a Gesù.

Maria ha sicuramente almeno due cose da dirci: “Qui ci sono io tua madre” e “voi mi siete veramente sempre figli!”

Quanto è confortante sentirti dire: qui c’è tua madre!

  • Quando la nostra croce o quella che vediamo sulle spalle degli altri risulta troppo pesante, guarda che qui c’è tua madre;
  • se la tentazione è forte, qui c’è tua madre;
  • se la disillusione è dolorosa, qui c’è tua madre;
  • se la solitudine è insopportabile e l’incomprensione ti disorienta, qui c’è tua madre;
  • se la scelta del tuo futuro è difficile e lo vedi oscurato, qui c’è tua madre;
  • se la fame e l’ingiustizia, la paura e la violenza minacciano di spegnerti la speranza, qui c’è tua madre;
  • se i tuoi occhi non scorgono più la bellezza della vita, qui c’è tua madre;
  • se le guerre insanguinano ancora il mondo e ti tolgono anche l’ultima illusione di un mondo nuovo, qui c’è tua madre;
  • se l’incanto del virtuale, dei followers, dei social, ti distrae dalla vita vera e te la deforma, qui c’è tua madre;
  • se non riesci a deciderti di fare della tua vita un dono d’amore, per sempre, senza tentennamenti, contro tutte le tentazioni di ritornare a casa tua, qui c’è tua madre;

E a Maria Gesù dalla croce dice anche oggi e sempre:

  • Questi sono tuoi figli, non li abbandonare a sé stessi, non li lasciare alle loro abitudini imbastardite, non lasciarli soli a se stessi, anche se ti bestemmiano;
  • sono sempre tuoi figli, anche se non ti conoscono o ti hanno dimenticato;
  • sono tuoi figli anche nella pandemia che ai nonni non dà tregua e ai giovani ruba la giovinezza;
  • sono tuoi figli, come lo sono stati i loro nonni e i loro genitori, che ti pregavano nelle cave;
  • sono tutti tuoi figli, perché hanno sempre un cuore da donare e un amore da coltivare;
  • sono tuoi figli, che aspettano solo di trovare ragioni per vivere e per credere.

Con la certezza di questa compagnia vogliamo vivere assieme, anche con le mascherine, questa vigilia della festa.

31 Luglio 2021
+Domenico

La debolezza di Dio (Gorfigliano)

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 13,54-58)

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

L’esperienza nella fede in Gesù deve sempre sentirsi provocata al cambiamento: ti credi di essere riuscito a inquadrare la figura di Gesù nel tuo corretto modo di pensare, in uno schema di comprensione, che a tutti è necessario per capire la realtà, e invece ti sei fatto un’immagine tutta tua, comoda, in difesa, acquietante …

I concittadini di Gesù – gli abitanti di Nazareth – vivono questa provocazione: hanno sentito che Gesù sta spopolando nelle contrade vicine, è partito dal loro paese con una decisione radicale, si è spostato sulle vie del lago dove la gente sviluppa i suoi affari, la sua vita sociale, i suoi lavori artigianali … ha predicato, ha fatto miracoli, ha trascinato nella sua avventura gente matura, giovani, persone per bene … Ora ritorna a Nazareth …

“Ma … non è il carpentiere? non è il figlio di Maria? la sua famiglia non è quella che incrociamo tutti i giorni in sinagoga, per la spesa, o al mercato? Non è quello che sta fuori alla sera con i nostri figli?”

… e si scandalizzavano di lui, dice il Vangelo: la sua umanità, la sua popolarità, la sua quotidianità era un ostacolo per vederci dentro la presenza di Dio.

C’era in lui una sapienza, una forza, una consuetudine al meraviglioso che è tipico di Dio; c’era in lui l’evocazione di una speranza che richiamava invocazioni profonde verso l’Altissimo, ma … era un comunissimo giovane di cui si sapeva tutto, completamente posseduto da sguardi, informazioni, relazioni quotidiane.

“Se Dio si deve manifestare non sarà certo in questa normalità e debolezza.”

Come sempre, come anche per noi, Dio, pur immaginato come indicibile, sorprendente, ed è inscatolato nei nostri schemi … ma la cosa che sorprende ancor di più è la umanissima sorta di “crisi” che  assale Gesù: si meravigliava della loro incredulità, della loro incapacità a forare la crosta dell’umano, del quotidiano per vederci spiragli di infinito … e Gesù è di fronte al mistero della libertà dell’uomo.

Il messaggio del Vangelo non si impone, ma si offre: non può penetrare là dove viene radicalmente rifiutato, neppure Dio può far violenza alla libertà dell’uomo!

Questa meraviglia di Gesù è espressione della logica di Dio che si abbassa al livello dell’uomo, la logica di un Dio “debole” che deve diventare la logica della Chiesa e di ogni credente.

Dirà San Paolo: “La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza.”

Che parte ha avuto Maria in questa vita di Gesù? Ieri abbiamo visto la sua grande disponibilità a diventarne la mamma: a 12 anni le era capitato durante il pellegrinaggio a Gerusalemme di averlo smarrito … immaginate il dolore e la tensione di Maria e Giuseppe. 

Gesù era rimasto a Gerusalemme: un modo di dire così indica che Gesù è deciso a fare di Gerusalemme il vertice della sua missione.

Gesù compie il pellegrinaggio con un anno di anticipo sul suo essere adulto, anticipa con questo pellegrinaggio il desiderio che lo spingerà a Gerusalemme per mangiare la sua Pasqua.

Il ritrovamento è immagine precisa della scoperta di lui risorto: infatti, lo trovano seduto, un verbo che, mentre fotografa una posizione fisica, definisce una funzione che gli spetta dopo la morte e la risurrezione; si siederà alla destra di Dio. È nell’atto di insegnare come spetta al Signore del cielo e della terra, è lui la sapienza, lui la riposta, lui ancora che spiega le scritture in virtù della sua consacrazione nella morte e risurrezione.

Qui tra i dottori anticipa il suo stato futuro … e Maria quando lo vede gli racconta tutta la sua ansia, la sua ricerca, il suo affanno, il suo non capire, proprio come i discepoli di Emmaus … e tra le prime parole di Gesù che ci sono riferite nei vangeli appare la bellissima parola: padre, abbà … è venuto al mondo per questo, per dirci che Dio è Padre. 

Il quadro allora si ricompone: lo smarrimento e il ritrovamento sono figura di una morte e una risurrezione, di un futuro certo. 

Maria non ha capito ancora tutto il futuro di Gesù: come è difficile per noi entrare nel suo ordine nuovo di idee, di sentimenti, di slanci e di azioni, ma ci indica la strada da percorrere.

Sta con Gesù, e custodisce ogni parola come un seme: è quel seme che viene gettato “larghissimamente” dal seminatore e che trova nel cuore di Maria, come nel cuore di ogni uomo, la possibilità di svilupparsi.

In Maria si è sviluppato al cento per cento, ora lei scompare nella vita quotidiana della santa famiglia: lì il Signore ha imparato ad essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e l’amore dell’uomo; lì ha ascoltato le parole della Torah, della legge, le preghiere a Dio, di cui non si poteva pronunciare il nome e che lui sentiva come papà. 

Dal padre Giuseppe ha imparato a progettare la sua vita, a lavorare per avere un futuro, a relazionarsi con tutti per dare il suo contributo alla società: cresceva in età sapienza e grazia, dice il Vangelo, sviluppava la sua vita, dava risposte alle sue domande di significato e accoglieva i doni di Dio in un ascolto profondo … quello che ogni uomo ha il diritto di costruire in un clima di comunione e di partecipazione, senza accampare diritti o esigere doveri, ma solo vivendo la forza dell’amore.

La famiglia di Nazaret può ben essere una speranza per le nostre fragili famiglie, alle quali purtroppo ogni potere politico che si avvicenda in Italia non è capace di dare serenità e speranza civile; andiamo ancora verso famiglie di figli unici o si può sperare ancora di avere dei fratelli, delle sorelle, avere qualche comodità di meno, ma un amore più largo, qualche promessa politica inutile e un investimento invece sulla famiglia?!

Una famiglia così ce l’auguriamo tutti, e la invochiamo da Dio per tutti i nostri ragazzi, i nostri giovani, che non devono essere costretti a cercare nella droga la risposta alla carenza della figura del padre o della madre, del clima d’amore di una famiglia.

Gorfigliano 30 Luglio 2021
+Domenico

Non si fermerà a quest’anno godere della cura di san Giuseppe

Ogni uomo ha progetti di vita: per un po’ di tempo, quando è ragazzo, sogna,  li confonde con le “veline della Tv”, con le figure eroiche dello schermo, con gli atleti di uno sport, con le professioni “patinate” … poi un po’ alla volta si costruisce ideali concreti, mette in fila allenamenti, studi, ricerche, sforzi per dare corpo ai sogni, per dare gambe e cingoli alle sue aspirazioni.

Io immagino Giuseppe, San Giuseppe, un giovane così: un lavoratore, un carpentiere come dice il vangelo; un giovane che accetta la vita, la vede come un campo di prova e una occasione di felicità semplice, autentica … e dentro questo suo progetto ci sta l’amore: il desiderio di donare il cuore a una ragazza, di affrontare con lei le sfide della vita, le semplici gioie di uno sguardo negli occhi, di un tenero affetto nei corpi, di fare una famiglia, di spendere i suoi sentimenti nella storia di un amore pulito, nella intimità di una …. casa; e incontra la ragazza del cuore, e comincia a dare concretezza ai sogni.

 La ragazza è Maria: Decide di sposarla.

Ogni popolo ha le sue usanze, i rapporti con i genitori da curare, le tradizioni che accompagnano il nascere di una famiglia, i tempi di attesa per vivere assieme.

Gli affetti accolti e donati per costruire una famiglia non sono fatti esclusivamente personali, sono parte integrante della vita di una comunità, dell’intreccio di relazioni delle famiglie.

E’ sempre un gioco – insomma – tra interiorità e intimità da una parte e comunità e società dall’altra.

Proprio in questo tempo bello e progettuale Giuseppe vede che Maria si porta un segreto che lo sconvolge: aspetta un bambino e non è il suo.

La sua umanità tesa al progetto, alla realizzazione del sogno della sua vita ha un appannamento: non vede più chiaro, si sente scavalcato da qualcosa che subito immagina di grande; non si adatta all’interpretazione più banale, ma scava nella sua storia di amore con Dio e di amore di Dio verso il suo popolo la ricerca di una risposta. Affida alla sua fede e non ai suoi risentimenti o alle interpretazioni facili e denigratorie in cerca di una magra consolazione.

Si fa una domanda lancinante: che vuole Dio da me? Il mio bel progetto non è il suo. C’è qualcosa d’altro.

Ferma allora la sua storia, offre a Maria il massimo rispetto e dignità di scelta: la vuol rimandare nel segreto. Tutto deve rimanere nella coscienza pulita sua e nella storia inaspettata, ma sicuramente scritta in Dio, che sta vivendo Maria. Tanto la stima e le vuole bene!

Ferma i suoi sogni e ne aspetta altri. E Dio vede la sua forte fede e gli svela il segreto: “Non temere Giuseppe, sei proprio un giusto, non avevo alcun dubbio sulla tua integrità. Ti affido Maria, si porta in grembo il Figlio di Dio, la sorgente di quell’amore che riempie la tua esistenza e quella del mondo.”

La comunità cristiana che tutti ritengono bacchettona o intrigante, non ha mai taciuto questo dramma di un uomo e ha sempre davanti a tutti proclamato questa fede nell’intervento di Dio nella vita di una donna.

Il figlio nato come uomo è figlio di Dio e la fede di Giuseppe è una fede rocciosa, forte, decisa, matura, consapevole: lui sarà la spina dorsale della vita di Gesù, colui che gli insegnerà a parlare, a definire i suoi sentimenti, a forgiare il suo carattere, a stabilire rapporti belli con tutti, a dialogare con Dio; sulle sue ginocchia Gesù ha imparato a leggere le Scritture, si è preparato ad affrontare la croce, la sofferenza, la stima della dignità di ogni persona, la semplicità della vita, la fantasia delle sue parabole …

Averlo come protettore del mondo del lavoro, come custode di ogni lavoratore e di ogni lavoro è più di una sicura speranza: è un investimento certo, perché ci assicura che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” nella storia, hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza.

1 Maggio 2021
+Domenico