Gesù entra solennemente nella sua missione: ce lo presenta il Padre.

una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 3, 13-17) nella festa del battesimo del Signore, che chiude il Tempo di Natale

Abbiamo tutti un ricordo lieto e triste di una prima volta: Il primo giorno di scuola, il primo giorno di naja, il primo giorno di matrimonio, il primo figlio, il primo bacio, il primo volo, il battesimo dell’aria … è stato qualcosa che ci ha iniziato alla vita, che le ha dato un nuovo colore, che ha coronato una lunga preparazione o attesa, che ci è capitato improvviso e che ci ha fatto scoprire qualità impensate.

Spesso è stata una investitura: “Adesso sei grande, tocca a te, non ti tirare indietro; sei su un trapezio, non ci sono più reti di protezione”.

Un misto di brivido, di paura, di orgoglio ci ha fatto decidere. 

Non so se Gesù provava qualcuno di questi sentimenti, là al Giordano in quella fila di peccatori; Era stato attratto da Giovanni, sentiva che Dio, suo Padre, non era ingessato nei ritualismi o imprigionato nel tempio, ma era là nell’attesa della povera gente, povera di speranza soprattutto, una povertà che attraversa ricchi e poveri, stolti e intelligenti, uomini di potere e servi inutili. 

Per questo non si era fissato subito nel Tempio, ma aveva intuito che Giovanni gli segnava una vera strada, non una fuga. 

E qui al Giordano il Padre, che Lui chiamerà sempre papà (solo sulla croce lo chiama Dio quando ripete le parole del salmo; Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato, ma le sue ultime parole saranno ancora: papà nelle tue mani mi abbandono), ebbene qui al Giordano è ancora suo Papà che lo offre a noi a mani spiegate, lo manda, lo accredita, lo spinge sul trapezio dell’annuncio e del dono fino alla morte, senza rete.

L’unica rete sono le sue braccia.

Con questa consapevolezza Gesù guarderà in faccia la morte, supererà le tentazioni, non soffrirà la solitudine: Ogni tanto, di notte, anche da solo, lo incontrerà e stabilirà con Lui i dialoghi intimi del dono di sé, del suo amore fino alla morte di croce.

Sei mio figlio, oggi ti ho generato; sei il prediletto, non ho altro bene fuori di te, ti affido all’ascolto di tutti, ti mando il mio Spirito; il nostro Spirito è la tua compagnia, la tua consolazione, la tua forza.

Oggi lo Spirito aleggia su queste acque come spirò sulle acque del caos primitivo, è una nuova creazione che cammina con te, ricomponiamo la nostra famiglia trinitaria, qui, su questa terra con te. 

Sono disposto a perderti purché questa fila di peccatori, che sta con te nell’acqua del Giordano diventi una fila di santi, di giusti, di uomini e donne nuovi. 

Questo amore che ci caratterizza da sempre nell’eternità e che si è fatto  dialogo quando ti ho chiesto: Chi condividerà la nostra vita con il mondo?

Tu dicesti “Eccomi, manda me”.

E io, tuo Padre, non ti abbandonerò mai. 

12 Gennaio 2020
+Domenico

Signore guarisci le nostre molteplici lebbre

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 5, 12-16)

Ci sono delle persone che hanno un coraggio indomabile di fronte a tutte le avversità, altri si adattano e non reagiscono.

Capita così anche nella malattia: Vedi subito se uno ha voglia di vivere o no, se vuol combattere o ha perso ormai ogni energia.

Qualcuno si lascia morire, altri invece hanno voglia di vita da vendere e reagiscono: Spesso questa è la forza necessaria per continuare a vivere, è una forza che compie miracoli.

La vita anziché essere una fatalità è sempre una scelta, o meglio, un dono da accogliere e se non lo vuoi, nessuno te lo può imporre, prima o poi se ne va. 

Era attaccato alla vita quel lebbroso che è corso ai piedi di Gesù: ha saltato tutte le regole che imponevano ai malati di lebbra l’isolamento e si è portato davanti a Gesù.  

La gente pensava: ormai sei condannato, stattene tranquillo dove sei, la vita è un colpo di fortuna, tu sei sfortunato, adattati alla tua situazione! 

Così avevano fatto quando hanno deciso di destinare un’isola ai lebbrosi per toglierseli di torno. Invece in quest’isola di Molokai ci andò padre Damiano che si fece santo condividendo vita e sogni di vita con i lebbrosi inscrivendo in queste larve di uomini  la voglia di riscatto, la tenacia di mantenere un cuore buono, dentro la disperazione dei senza speranza, vedendo sempre in Dio un Padre che li abbracciava e li faceva diventare apostoli di misericordia e perdono. 

Gesù con la sua presenza fa scattare il lebbroso che balza nella vita e supplica: se vuoi, se mi dai ascolto, se guardi alle mie privazioni, a quel che mi manca per essere un uomo, tu puoi ridarmi tutto quello che hai dato ad ogni creatura.

Perché io dovrei rimanerne privo? Puoi guarirmi.

E’ una preghiera semplice, ma decisa, sa quel che chiede e sa a chi chiede.

Gesù di fronte a questa fede risponde subito:  lo voglio.

E’ animato da compassione, da attenzione profonda alla sofferenza.  

Nella guarigione della lebbra è significata ogni altra guarigione.

Anche noi siamo quel lebbroso, anche a noi cade la vita a pezzi, perdiamo la freschezza e l’innocenza.

Anche a noi le mani anziché essere tese all’abbraccio diventano moncherini mortificati, le nostre labbra anziché essere aperte a parole d’amore, sono disfatte dalla maldicenza; anche i nostri piedi anziché essere portatori di gioia, di vangelo sono paralizzati nella nostra solitudine.

Una lebbra ce la portiamo dentro tutti, un principio che smonta la nostra vita pezzo a pezzo e ce ne fa perdere la bellezza la proviamo tutti.

E’ lebbra il peccato, è lebbra lo scoraggiamento, è lebbra la paura, è lebbra la droga, è lebbra la calunnia, è lebbra l’inganno nell’amore. Abbiamo bisogno di gridare anche noi: se vuoi, puoi guarirmi, certi che Dio ascolta la preghiera di ogni povero di vita che gli si affida. 

11 Gennaio 2020
+Domenico

Oltre le nostre liturgie “stanche”

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4,14-22)

La vita è fatta di tante liturgie stanche, di tanti gesti automatizzati che ogni giorno devi fare.

Può essere la levata del mattino, ahimè sempre troppo presto; il congedo da quelli di casa, l’arrivo sul posto di lavoro, il caffè e il giornale con gli amici, le pratiche dell’ufficio … oppure anche liturgie più solenni come quelle ufficiali della deposizione di una corona di fiori, di una dichiarazione alla televisione, o di una messa in chiesa.

Spesso le portiamo avanti stancamente come la vita, senza slancio, anche se ne vediamo la necessità: Diventano penitenza quotidiana invece di essere caricate di significato vitale. 

Così capita a Gesù, quando di sabato entra nelle sinagoghe dei paesi della Palestina: Gente stanca che prende la Torah, il libro della Bibbia, ne legge un pezzo lo fa commentare a chi sa meglio ripetere gli insegnamenti del maestro rabbino, poi tutti ritornano alla propria vita.

Sono così anche le nostre liturgie domenicali: spesso sono più un dovere che un atto di amore e forse per questo non sono più partecipate dai giovani. 

Ebbene un giorno Gesù entra in una di queste liturgie scontate e ribalta la vita di chi lo ascolta: Legge il libro di Isaia che prevede per il popolo un futuro diverso e dice perentoriamente: questo futuro oggi è qui con voi, sono io.

Io sono stato mandato a dare speranza ai poveri, a dirvi che sta scoppiando la potenza di Dio nel mondo: E’ finito il tempo delle lagne, una nuova presenza di Dio comincia oggi, la speranza comincerà a colorare le vostre vite, i poveri trovano fiducia, i deboli si rinfrancano, i diseredati trovano casa e accoglienza.

Io sono qui a garantirvi questo amore invincibile di Dio. Mi credete? 

Lo stupore di chi lo ascolta è grande, erano andati a compiere il solito rito e si sono trovati davanti alla verità concreta che quel rito evocava, ma purtroppo non ci hanno creduto.

Se tu tutti i giorni  ti adatti alla vita senza entusiasmo, non t’accorgerai mai del senso che vi è nascosto, dell’amore che vi è inscritto e promesso.

Hanno dato per scontato questo loro concittadino.

Erano loro i primi a non stimarsi e a non stimare.

Avevano chiuso Gesù nei loro schemi paesani e in questi non poteva sicuramente essere la promessa di Dio.

Non vorrai che Dio abiti proprio tra noi? 

Invece Dio abita tra noi, ha il volto del nostro vicino, ha i pensieri di bontà di chi ci dedica la vita, ha la forza di chi ci contrasta nel male, ha il volto sfigurato del povero. 

Allora, poterlo scorgere nella storia di ogni giorno può ben essere la speranza della nostra vita.

10 Gennaio 2020
+Domenico
 

Sulla barca della vita, vogliamo accogliere Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,45-52)

Spesso nelle nostre riflessioni sul senso della vita che, grazie a Dio, ci accompagnano sempre perché siamo in cerca di un centro attorno a cui organizzare la nostra esistenza, rimaniamo bloccati sulle nostre certezze, incapaci di fare un salto di qualità, di aprirci al nuovo che la vita ci presenta e che Dio non ci fa mai mancare.  

E’ la situazione degli apostoli che vengono invitati da Gesù a prendere il largo con la loro barca, di non attardarsi a stare là dove era avvenuto il  miracolo della moltiplicazione dei pani. Gesù sapeva che gli apostoli facevano fatica a capire la portata di quella moltiplicazione dei pani; avrebbero ceduto facilmente a una sorta di autoesaltazione nei confronti della gente che si vedeva pure sfamata materialmente oltre alla gioia di aver incontrato e ascoltato Gesù.  

Non era al centro dell’insegnamento di Gesù la meraviglia per una moltiplicazione di pani e pesci, perché al centro ci stava “il fatto dei pani”, parole che vengono ripetute dagli stessi apostoli e che non riescono a capire, cioè il dono totale che Gesù si apprestava a fare della sua stessa vita.  

Il fatto dei pani per Gesù era il dono di sé, e quindi il dono che ogni cristiano deve fare di sé per gli altri. Gesù in quel miracolo aveva percepito e riportato alla sua coscienza e alla coscienza degli apostoli il senso della sua vita umana: il sacrificio di sé sulla croce, dono di sé come pane della vita. Ed è bello pensare che Gesù si porta sul monte a pregare in solitudine, per un discernimento profondo e commovente, perché il suo gesto di amore ha conseguenze decisive per la sua vita; avendo amato i suoi li dovrà amare sino alla fine. Il suo amore è destinato a subire le contraffazioni e le deformazioni del nostro cuore umano, incapace di accoglierlo, come non lo hanno capito e accolto i suoi discepoli, Pietro in prima persona.  

Gesù si ritira in preghiera e silenzio perché superare queste prove. Poi si porterà sul lago per rimettersi con gli apostoli, che però non lo riconoscono, lo ritengono un fantasma, uno spettro. Non riescono a dare corpo a quel Cristo che non accetta di utilizzare il prodigio del pane per farsi un nome, una fama, una audience più immediata e risolutiva, secondo loro. 

Insomma la preghiera di Cristo in quella notte ha mantenuto Gesù in intimità e amore del Padre, ma lo ha reso irriconoscibile ai suoi discepoli, alla loro mente ottusa che è anche la nostra, col nostro cuore tardo che non ci permette di riconoscerlo come il centro della nostra vita e come lo deve essere, cioè un cuore deciso a spendersi per gli altri  

9 Gennaio 2020
+Domenico

Quel poco che ho sono contento di metterlo a disposizione

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco  (Mc 6,35-44) 

Attorno ai tuoi ideali spesso si uniscono i tuoi amici, le persone con cui hai tante volte parlato dei tuoi sogni e assieme imposti le tue nuove conquiste, i tuoi impegni, il tempo di lavoro e il tempo libero. 

Insomma qualcuno ci crede a quello che proponi: ti segue, vuole aiutarti, ti dimostra la sua amicizia, si sente investito anche lui di qualcosa di buono da essere e da fare.  

Gesù ha già con sé alcuni che lo seguono, ma la maggioranza della gente fa fatica a entrare in una nuova mentalità umana e religiosa, non ha mai avuto nessuno che l’aiutava a prendere decisioni vere di vita, a tirar fuori la propria grinta per qualcosa per cui valeva la pena di vivere.  

Il ritratto di Gesù è di una umanità attenta a tutti e convincente: A Gesù gli si muovono le viscere (compassione infatti è quello che prova per loro e questa parola è tipica di chi è in profonda partecipazione alla vita degli altri, come una madre per i propri figli.).

Non è nessun disprezzo, ma solo una decisione ancora più forte di seguire la sua strada, quella che gli ha indicato Dio suo Padre. 

Nella gente che lo segue c’è una grande attesa, una fame di verità e lui con un miracolo grande ripaga questa fame di verità dei suoi ascoltatori che, dimentichi dei propri interessi e dello stesso nutrimento, lo avevano seguito in un luogo solitario, con la brama tutta umana di chi si sente tirato fuori dalla sua solitudine, forse anche disperazione, sicuramente di adattamento al ribasso e percepisce nelle sue parole speranza e novità di vita.  

Gesù coinvolge anche i suoi discepoli, in questo gesto.

Già emerge la loro mentalità chiusa; di fronte a un bisogno collettivo essi sanno solo dire: che si arrangino.

Non sanno ancora che con Gesù questo è un verbo da togliere sempre dal loro vocabolario.

Infatti, come viene espresso da un altro brano di vangelo parallelo a questo, ci sta con loro anche un ragazzo con 5 pani e 2 pesci, che mette subito a disposizione di tutti tutto quello che fa la sua felicità di un giorno fuori dal chiasso della riviera del lago, anche lui alla ricerca di Gesù. 

E qui Gesù che sta annunciando il regno di Dio, lo scopo della sua vita umana, inizia a preparare il terreno perché sfamati da questo pane in seguito possano tutti capire che è Lui il pane della vita, il cibo fondamentale di ogni avventura spirituale. 

Lui sarà il pane vivo per la vita del mondo.

E qui si pone subito una caratteristica del regno di Dio portato e incarnato da Gesù: la compresenza di sostegno alla fame spirituale e materiale.

I suoi seguaci non potranno mai dimenticare che la persona deve essere garantita da queste due possibilità: la dignità della sua corporeità e la profondità della sua spiritualità. 

8 Gennaio 2020
+Domenico

Già subito Gesù pensa alla grande al pane

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,35-44)

Nella vita spesso siamo presi dalla fame, che si fa sentire per digiuno, per lavoro impegnativo sia materiale che intellettuale, per mobilitazione dei sensi su cibi che stimolano l’appetito.

Abbiamo però evidente anche un’altra fame: fame di verità, di ragioni per vivere, di espressioni di vita che allargano gli orizzonti oltre la nostra persona e ci permettono di desiderare una compagnia di amici, o di essere solidali con loro per altri che ne hanno bisogno.

Gesù si sorprende di trovare sul lago tanta gente che si dimentica pure di mangiare per sentire la sua Parola, le sue parole, per godere della sua persona che dà fiducia, apre alla speranza.  

E fotografa in maniera commovente questa gente: ebbe compassione perché erano come “pecore senza pastore”.

Sperimenta già subito che la messe è molta e mancano operai, manca gente capace e volonterosa di farsi carico di questa domanda, di questa apertura degli uomini del suo tempo al regno di Dio e invece di prendersene cura continua a mantenerli nella loro inedia.

Ma comincia subito dalla fame materiale, dal bisogno di pane e companatico per poter rinfrancare dalla fame, con concretezza, osando turbare anche il suo gruppetto di apostoli che sono convinti di applicare un’altra soluzione.

“Congedali… comperiamo coi soldi il pane necessario, piuttosto che dare se stessi, senza limiti, come l’amore che fa miracoli, se si comincia anche col poco che si ha.   

Molto concreti gli apostoli, ma troppo meschini, troppo legati a speranze chiuse, già ben sigillate in un unico obiettivo che toglie agli stessi apostoli, il senso più profondo di quello che sta facendo Gesù.

Lui scava nel bisogno di pane, nella fame di ogni persona finché giunge là dove il corpo e lo Spirito si danno appuntamento per la salvezza globale dell’uomo e della sua dimensione profonda.

Si intravede già  l’offerta di un altro pane, il dono dell’ultima cena, il pane vivo disceso dal cielo: Luca infatti usa gli stessi verbi che saranno pronunciati sul pane e sul vino all’ultima cena e che si diranno sempre per continuare la sua presenza nella vita di ogni popolo, di ogni persona da qui all’eternità. Prese il pane, levò gli occhi, pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede….  

E’ l’eucaristia, è la sua morte fino all’ultima goccia di sangue, è il suo corpo spezzato per noi e il suo sangue versato per noi. 

8 Gennaio 2020
+ Domenico

Decisi a impostare la vita in maniera nuova

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 4, 12-17.23-25)

Nella vita di ciascuno di noi, quando sentiamo di aver chiaro per chi e per quale ideale vivere, aspettiamo il momento più adatto per metterci in gioco.

E’ l’incontro con una persona che ci sembra quella che cercavi da sempre, è finalmente il posto di lavoro dopo tanti curricula che hai spedito, è l’avvicinarsi di un addio  a tutti  perché hai trovato la strada per realizzare i tuoi sogni, la tua vocazione e questa ti chiede di partire e di non voltarti indietro…  

Gesù, nella sua umanità e nel suo dialogo con Dio Padre, sapeva di avere davanti una strada, che avrebbe definito tutta la sua vita e aspettava dei segnali per darle un inizio deciso; aveva saputo che Giovanni, da lui seguito con decisione nel deserto, era stato imprigionato.

Colui che aveva aperto a Lui la strada era finito nelle mani di Erode e aveva lasciato la strada a Lui.

Allora Gesù lascia Nazareth, la sua dolce casa, sua mamma, che è sempre la Vergine Maria e si porta a Cafarnao, sulle rive del lago, dove gira tanta gente, dove si fanno incontri tra vari popoli che provengono da Nord, da Sud, dall’Oriente e da Occidente: Qui deve risuonare la sua parola forte, qui deve cominciare l’annuncio esplicito della novità assoluta che era stata preparata dai profeti, e in ultimo da Giovanni e che ora in Lui si faceva concreta e impegnativa.

Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino.  

Lui era la Luce, era stato mandato dal Padre a illuminare “il popolo immerso nelle tenebre”, ad annunciare il regno di Dio a coloro che “dimoravano in terra e ombra di morte”. 

Questo regno al quale Gesù invita tutti ad appartenere come il più grande dono del Padre, non riguarda il possesso dei beni terreni, nemmeno l’esercizio del potere, lo sfoggio di gloria; anzi è la negazione e l’antitesi delle nostre categorie umane: Ecco perché come prima operazione profonda, spirituale e concreta, visibile esige una  “conversione”.  

E’ un regno dove il più grande deve diventare il più piccolo, chi ha autorità deve esercitarla a servizio dei fratelli, dove sono dichiarati felici gli umili, i miti, i puri, i poveri, i sofferenti.

Subito Gesù darà anche dei segni di questo regno: le prime guarigioni di indemoniati, epilettici, paralizzati, perché solo di costoro è il regno dei cieli. E’ un regno che va accolto con fede e umiltà, che impegna a diffonderlo e a testimoniarlo con la vita. 

Del resto non è così anche per noi quando ci decidiamo di realizzare la nostra vocazione? Se ti senti chiamato al matrimonio, ne devi cambiare di mentalità, di atteggiamenti, di stile di vita , di orari, di modi di fare, di parlare… Se sei assunto in un lavoro, devi mettere in atto tutta la tua preparazione, non adattarti mai, ma volere sempre il meglio.

Per noi il Regno di Dio purtroppo si risolve spesso in un modo di dire, in una sorta di nebbia in cui ci si adatta, uno slogan, dio non voglia il nostro regno di egoismo e di corruzione. 

7 Gennaio 2020
+Domenico

Una stella ci deve essere sempre nella vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 2,1-12) 

Erano già in vista in tutti i presepi questi tre personaggi stravaganti nei vestiti, nei regali, nel seguito … che oggi sono stati avvicinati alla capanna di Betlemme.

Si conclude qui l’elenco degli invitati.

La tradizione vuole che fossero tre, anche se nessuno nella Bibbia l’ha mai detto; ma quello che ci interessa è che cosa e chi cercano e perché sono tanto considerati nella nostra tradizione: Sono l’immagine della ricerca anche pensosa di Dio, della vocazione, di quello che dovremmo essere nella vita  e che noi ancora ci incaponiamo a chiamare “destino ineluttabile”, strada obbligata dell’umanità, dal punto di arrivo di ogni ricerca umana.  

L’Oriente … è sempre stato conosciuto come la terra degli scienziati, dei saggi, dei cercatori di ragioni per vivere, di mondi eterei, dedicati al sapere, alla ricerca di una felicità non da quattro soldi: Loro scrutavano il cielo, ne leggevano continuamente i messaggi, non erano dediti alle guerre, non dedicavano la loro vita a costruire armi, a fare battaglia, a seminare terrore.

Hanno visto una stella curiosa, strana, ne hanno letto l’indicazione: nasce il Messia.

Linguaggio figurato fin che vogliamo, ma capace di dirci che ci sono da cercare continuamente ragioni di vita e di speranza.  

Il milione di giovani che alcuni anni fa hanno seguito e accolto Papa Benedetto XVI a Colonia per la Giornata Mondiale della Giovedù, cercavano anche loro ragioni di vita, non ne avevano abbastanza di quelle che presentavano loro i talk show o le stars del rock o gli eroi dello sport: volevano qualcosa di più!

E una volta trovatolo, dice il Vangelo, lo “adorarono”.

Adorare Dio oggi è impegnativo: vuol dire che riconosci al di fuori di te le ragioni del tuo essere, mentre sei circondato da gente e da insegnamenti che ti dicono che sei autosufficiente, salvo poi a darti alla droga o all’alcool o ai maghi per trovare ragioni per una vita decente.

Adorare Dio, significa che hai pure un corpo bello, lo puoi continuamente perfezionare, curare con ore di esposizione a tutti gli specchi possibili e a tutte le creme più sofisticate, ma alla fine hai un’anima da mettere al centro, hai un cuore da servire, un amore da sprigionare e un Dio che ti insegna la vera arte di amare. 

Nei pressi, e in qualche presepio lo si mostra, sta appostato Erode, se ne fa vedere l’artiglio, è l’avvoltoio che cala sulle nostre ingenue aperture all’infinito.

Ha molti volti: tutti i nostri quando non sanno apprezzare il bene che faticosamente altri, i nostri genitori, gli amici, i nonni hanno da donarci. 

Siamo avvisati allora, come lo fu per i re magi, che per mantenere la speranza intuita occorre inventarci sempre  un’altra strada per evitare il profittatore, l’inganno, il traditore, inventarsi insomma un percorso nuovo e non tornare mai sui nostri vecchi passi. 

Inizia da qui il nostro cambiare vita, seguire quello che il bambino ci dice, perché è la nostra salvezza. 

6 Gennaio 2020
+Domenico

Occorre sempre una ripartenza, dal principio, dai principi che l’hanno fatto

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18)

In queste ultime settimane forse abbiamo avuto tempo e occasioni, spazi e atmosfere, che ci hanno permesso di riprenderci in mano la vita, spesso frammentata … negli eventi di cui non riusciamo a tenere il filo tanto son veloci, spesso tragici o inaspettati; forse siamo riusciti a ritessere le relazioni umili, vere della vita, ci siamo presi una pausa dal nasdaq, dal mibtel, dallo spread o da altre ragnatele del genere.  

Allora ci viene voglia di fare un po’ di filosofia, di prendere il sacco sopra, di ripensare al nostro posto nell’universo.

Ci viene il desiderio di dare uno sguardo di insieme all’esistenza.

Che noi siamo un villaggio globale non ci sono più dubbi, che siamo tutti dentro la stessa barca senza potere controllare dove sta andando, pure; però ci domandiamo: da dove siamo partiti? quale è la nostra vera storia di uomini e di donne? C’è qualcosa prima della seconda o terza repubblica o dell’unità d’Italia o del Medioevo e dell’impero romano? 

In principio c’era la Parola, la Parola era presso Dio”: non solo, era Dio stesso! Siamo tutti nati da lì, siamo stati lanciati nella vita da una comunicazione, da un dialogo, da una volontà d’amore.

Siamo partiti da lì, ma ci siamo migliaia di volte impantanati e stiamo ancora ad agitarci nella melma, che non si vuol staccare dal nostro corpo.

In un tempo di insicurezza, in questa modernità “liquida”, che è più del fango che dell’acqua di sorgente, occorre riportarci ai fondamenti.  

Veniamo da molto lontano, siamo fuggiti, abbiamo smarrito quella partenza e abbiamo consumato i secoli per allontanarci.

Ma quella Parola ha posto la sua tenda tra di noi, la sua tenda è tra i terremotati dell’Albania, è tra i è tra i terremotati della vita.

Natale è stato ed è questo.

Epifania è togliere il mistero e il velo a una eventuale coltre di sentimenti terreni che relegano nella melassa la nostra vita. 

Quella Parola che era all’inizio è Gesù.

La fuga che continuiamo a fare in questa post-modernità … questa fuga noi la facciamo da Lui. 

E Lui si rivela ancora come senso della vita e della storia.

I re magi che stiamo collocando nel presepio l’avevano capito!

5 Gennaio 2020
+Domenico

Chi ti toglie dal torpore in cui vivi ci vuole sempre: Dio te lo mandi!

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,35-42)

Abbiamo conoscenza di tante persone che hanno cambiato vita dopo aver fatto un incontro anche casuale, ma decisamene determinante. 

E, per esempio, è questo l’incontro inaspettato, casuale, non preparato, non previsto dell’amore … che può essere il classico colpo di fulmine o giù di lì. 

Altre volte è il contatto con un personaggio che ti ha fatto pensare, o con un testimone che non ti lascia dormire per quello che ti dice, o con una persona che ti legge nella vita e ti mette di fronte alle tue responsabilità a cui non avevi mai pensato.

Conduci la tua vita nella “normalità”, ti si affollano dentro pensieri anche non banali, sogni di mondo pulito, più di una vita da spendere e non da possedere e un giorno una persona che incontri ti aiuta a far chiarezza.

Oppure sei intristito in piccole e grandi schiavitù che ti sei creato con il tuo vizio, ti sei attaccato un po’ troppo da un po’ di tempo a una abitudine indecente, incontri una persona, vedi una libertà, una schiettezza, uno sguardo limpido e queste perle ti risuonano dentro come un invito deciso a cambiare, e a vergognarti di te. 

Era capitata la stessa cosa a un gruppo di persone, nemmeno tutte troppo giovani … alcuni erano anche padri di famiglia.

Passa Gesù, che li aveva notati tante volte immersi nei loro lavori, nei loro pensieri, abbarbicati alla loro terra, o meglio al loro lago e alle loro abitudini, li guarda e li chiama.

Li toglie dal torpore, li lancia su un futuro diverso: “Andrea, non stare a raschiare questo lago con le tue reti tutta la vita, vuoi buttarti nella avventura del Regno di Dio? Guarda che non sarà una vita facile, ma io ti sosterrò! Ti interessa un orizzonte più ampio di questo lago, di questa cerchia di amici, di queste storie che ti raccontano tutti, ma che non ti danno lo slancio del rischio?” 

Andarono e videro dove abitava, dice il vangelo di lui e di Giovanni.

La gioia dell’intimità con Gesù scatena un giro di messaggi, di mail, di twitter, foto su wattsapp che non si ferma più!

Andrea lo dice a Pietro, lo viene a sapere Natanaele … la voce corre per tutta la Palestina e correrà per tutto il mondo senza mai fermarsi.

Da allora molti uomini e donne hanno sentito questo invito, questa testimonianza convinta e profonda e lo hanno seguito.  

E’ un invito forte che stana le nostre esistenze da i nostri comodi loculi.

Conosco ragazzi che hanno lasciato la consolle del DJ e si sono fatti preti, hanno lasciato gli after hour per dedicarsi alle missioni … ragazze che hanno lasciato il posto di cubiste e si sono dedicate a strappare altre amiche da discoteche insulse e disumane.

Dio chiama dovunque, sa scavare figli anche dalle pietre!

Perché il mondo e noi stessi pure abbiamo bisogno di speranza e, quando ne sentiamo il profumo, non ci fermiamo più!

4 Gennaio 2020
+Domenico