Il primo segno di Gesù, pane di vita è la scorta di un ragazzo per la sua fame

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,1-15 )

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Audio della riflessione

Riesco abbastanza facilmente ad immaginare la spontaneità, la concretezza e la generosità di quel ragazzo mescolato alla gente con una bisaccia piena di pane e qualche pesce. È tra la folla che segue incantata Gesù. È troppo bello quello che dice, ci si trova troppo bene ad ascoltare parole che ti scendono nel cuore e te lo fanno vibrare. Lui, il ragazzo ne ha sentito parlare: ha una vita davanti, va tutti i sabati in sinagoga a ripetere e cantare versetti, qualcuno ogni tanto lo prende e lo molla con qualche lavoro.

Ma ha sentito parlare di Gesù. È uno che parla chiaro, che va giù duro, che non fa la solite raccomandazioni di galateo. Lo voglio sentire anch’io, voglio vederlo anch’io, voglio partecipare alla festa dell’esserci. E va, diremmo noi oggi, se non fosse irriverente, al suo grande concerto rock, all’incontro con qualcuno che lo infiamma, che lo fa sentire vivo. La quotidianità ritornerà ancora, non c’è dubbio: la ricerca di lavoro, il tirare a campare, lo stare a raccontarsi, il sentirsi addosso gli adulti con le loro infinite raccomandazioni… ma lasciatemi andare.

E parte, ma nella sua concretezza si prende una scorta di pane e due sardine forse. Sa che gli viene un buco nello stomaco, una fame da morire certe volte, soprattutto quando la vita va a cento.

Ascolta Gesù che parla, si mescola alla gente e gli viene fame; apre la sua bisaccia: è il momento in cui tra gli apostoli si diffonde il panico. Gesù li provoca: occorre dare da mangiare a questa gente. Sì e noi che ci facciamo, dice il solito disincantato e concreto Filippo. L’unico che sta bene è questo ragazzetto qui, più saggio di tanti adulti, si sta mangiando i suoi panini. Immagino questo ragazzo, colpito dalla requisizione dei suoi panini, che forse, entusiasta di Gesù, non la ritiene un furto, ma un favore da fare a Gesù.

Il vangelo non racconta che cosa è successo in quel momento. Sta di fatto che quei cinque pani e quelle sardine arrivano a Gesù: il ragazzo nella sua concretezza, semplicità e generosità mette a disposizione. E tutti mangiano, e tutti si saziano, e tutti si scatenano e si scaldano. Erano solo la scorta di un ragazzo per la sua avventura in cerca di vita, diventano il segno di un pane insaziabile, che è Gesù.

Mi pare molto bello che una prima immagine del pane eucaristico sia proprio stata provocata dalla scorta per la fame di incontro e di ascolto di Gesù di questo ragazzo pieno di voglia di vivere. Erano una debolezza di fronte al problema, sono diventati per Gesù la forza, la prima centralità data a un segno che poi Gesù all’ultima cena realizzerà come suo corpo e suo sangue.

28 Luglio 2024
+Domenico

Non stacchiamo mai i rami dalla pianta

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Audio della riflessione

Spesso ci sembra che manche qualcosa alla nostra esistenza quotidiana: ho un comportamento corretto, una vita regolare, mi par di essere onesto nel lavoro, pago pure le tasse, che non è cosa da poco, non mi lascio impelagare in avventure strane … duante la pandemia non mi sono mai scoraggiato … eppure hai l’impressione che manchi un perno: ti pare di girare a vuoto di sentirti sterile, scontato, di non produrre bontà.

La spia che c’è qualcosa che non funziona, e che è diventata la malattia del secolo, è che perdi spesso la pazienza, che troppe volte t’arrabbi, magari urli, perdi le staffe, vola qualche parola di troppo … credi di avere in mano tu la vita e quando ti sfugge t’arrabbi per cambiarle il corso … e invece resta come prima, con qualche coccio da ricomporre.

Ma noi siamo tralci, non siamo la vite! Noi siamo rami, non siamo la pianta!

“senza di me” – dice Gesù – “non potete far nulla”.

Non abbiamo in noi il principio del  nostro essere: siamo un mistero a noi stessi, non riusciamo a trovare ragioni sufficienti di vita se non in una relazione, nella percezione di una linfa che scorre dentro di noi e che ha la sorgente fuori di noi.

Io sono la vita, voi i tralci: se rimanete in me, farete frutti, la vita non sarà vuota.

Rimanere è un verbo che la nostra esistenza moderna non conosce più: oggi si esige il fare, l’organizzare, telefonare, far sapere, gestire, costruire, riunire, coordinare tabelle, confronti, avere sempre campo per il cellulare …

… e Gesù dice “rimanete, datevi una calmata  ritrovate la bussola, il centro; tendete l’orecchio  alla Parola, a una buona notizia, al vangelo. Non occorre perdere la pazienza. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”.

Pianta e rami, vite e tralci, sorgente e ruscello, sono abbinamenti che non possono stare slegati: non scorre acqua se il ruscello non è legato a una fonte viva, non scorre vita se un ramo non è attaccato alla pianta, non c’è possibilità di dare un grappolo se un tralcio vien staccato dalla vite. Non c’è bontà nell’uomo se non sta attaccato al sommo bene; non c’è amore nell’uomo se non sta attaccato alla sorgente dell’amore che è Dio.

Il mondo è tutto una serie di interazioni, di collegamenti, di fili che non legano, ma fanno circolare vita.

La nostra autosufficienza vorrebbe che tutto partisse da noi: noi siamo la bontà, e non ci accorgiamo che da soli sappiamo soltanto essere cattivi; noi siamo la gioia e non ci accorgiamo che ci caratterizza di più la noia; noi passiamo per generosi, invece ci caratterizza di più l’egoismo.

Abbiamo perso la strada della sorgente: dobbiamo risalire il fiume della vita e avere il coraggio di ritrovarne la fonte.

Ecco perché tanti santi non smettevano di pregare: stavano sempre in contemplazione e in contatto diretto con la sorgente; avevano la coscienza che solo guardando a Dio intensamente ne potevano accogliere il dono.

Abbiamo tanti mezzi per risalire alla fonte: la preghiera, l’ascolto della Parola, la liturgia, la contemplazione delle opere di Dio, la stessa accoglienza del povero.

Quante persone si sono ritrovate piene di vita perché hanno avuto il coraggio di stare con i poveri, di amarli e li hanno visti come sorgenti da cui scaturiva l’amore di Dio.

Quando sperimentiamo aridità, vuol dire che il tralcio si è staccato dalla vite: significa che non comunichiamo più con Dio, ci siamo riempiti troppo di noi, abbiamo sostituito la sorgente con pozzanghere, per comodità, per abbassamento del gusto del vero e del bene.

Vivere la vita di grazia non è un automatismo, ma una apertura costante alla luce di Dio, una decisione radicale di stare dalla sua parte, di lasciarci invadere dal suo stile di vita, dalla sua grazia.

Non solo, ma non riusciamo nemmeno a immaginare quanto bene Dio può far nascere dalla nostra debolezza, dalla nostra incapacità, dalla nostra stessa malattia, dalla povertà.

Dio, il suo regno lo costruisce con le nostre fragilità: con queste sa ridare vita ad ogni morte del cuore e dello spirito, del mondo e delle sue strutture.

23 Luglio 2024
+Domenico

Piangere si è costretti dal dolore, ma si può anche piangere di gioia

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-2.11-18)

Lettura dal Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Audio della riflessione

Il pianto è esperienza comune degli uomini: è commozione, è gioia, è dolore, è sfogo, è spesso anche rabbia e desolazione, è il nostro essere che si libera dai sentimenti forti che prova e che si porta dentro.

Le lacrime sono anche un dono: sono la capacità di vincere la durezza del cuore per farci umani, comprensivi, veri, anche liberi … spesso occorre chiedere la grazia delle lacrime per offrire a noi stessi la capacità di partecipazione umana a quel che ci capita.

Dice il Vangelo che chi piange dopo la risurrezione di Gesù è una donna, che lo aveva seguito, l’aveva ascoltato, cui deve la serenità ritrovata della sua vita: era stata liberata da sette demoni, da allora aveva ricominciato a vivere libera, serena, socievole … era diventata se stessa, non doveva più soggiacere a potenze maligne che la abitavano e la espropriavano della sua identità, dei suoi sentimenti, delle sue relazioni. Gesù l’aveva ridonata alla socialità. E lei l’aveva seguito, non l’aveva più abbandonato; l’aveva annunciato a tutti il mattino, aveva ridestato dal torpore e dall’adattamento gli apostoli; quel primo giorno dopo il sabato era stata lei a ridare speranza a tutti

Là il corpo non c’è più. Nella sua semplicità pensava solo di poterlo abbracciare cadavere, non era ancora riuscita a entrare nel mistero vero di Gesù, che le aveva cacciato i demoni. Sapeva che era molto di più: aveva detto che Lui era il vivente, il Signore della storia e non poteva adattarsi ad essere prigioniero di un cadavere.

Da qui il pianto sconsolato, ma anche il bellissimo dialogo con Gesù. Si sente chiamare con il suo nome: Maria. Quanto ti fa piacere sentirti chiamare per nome, sapere che qualcuno ti conosce, ti parla, ti tira  fuori dalla tua solitudine, ti significa col tono della voce che ti desidera, ti ama, ti vuole bene.

E Maria sentendosi chiamare non può non ritrovare in quella voce il suo maestro. Rabbunì, tu mi hai insegnato di nuovo a vivere, io sono ancora qui, ti pensavo perso per sempre, perchè non ti avevo creduto. Ora so che sei tutta la mia vita non solo quella passata, ma anche la vita futura, soprattutto quella che oggi mi doni e che annuncerò a tutti. E la Maddalena divenne per tutti noi l’annuncio che Dio in Gesù risorto non ci abbandona mai.

Ciascuno di noi vive o passa da una qualche sofferenza nella sua vita, ha il suo venerdì santo, non è il famoso venerdì nero delle borse con cui tanto ci riempiono la testa, è qualcosa di più doloroso, perché ci mette a confronto con la vita, con la morte, con il dolore, con il non senso, con il non capire quello che ci capita, con tanti perché popolano la nostra vita. Permettetemi che mi riferisca alla mia esperienza di dolore dopo quella misteriosa caduta dell’anno scorso. Ti assale il dubbio, lo sconforto, il non capire, il pianto, l’angoscia. Ti fai tante domande e non trovi risposta, tanti perchè che alla fine non hanno senso. Poi si fa spazio lentamente una attesa, una debole speranza, un pensiero di abbandono in Dio, una tenace forza che ti lega alla vita. Smetti di piangere, ti senti chiamare da Gesù: perché piangi? Credi che io ti abbia abbandonato?

E’ la bella esperienza di Maria Maddalena, che non ha avuto paura o vergogna di piangere la mancanza del suo Signore, l’assenza della vita piena che le era stata tolta dagli occhi, ma che ha avuto nel cuore la speranza di attendere, la tenacia di una certezza che si era costruita nel cuore nella sua contemplazione amorevole che aveva avuto sempre per Gesù, finchè il Signore le si rivela.

E’ un dono che si sente di non meritare, soprattutto di non tenere solo per sé. E’ così che diventa annunciatrice di vita nuova, di speranza, di certezza  che la croce finisce e esplode nella risurrezione. Lo dirà a tutti, riempirà i vicoli addormentati di Gerusalemme e attraverso il vangelo farà giungere a noi quel grido, quella certezza che ancora oggi consola i nostri dolori, fa rinascere la nostra fede e dà forza a chi giace nel letto del dolore. Santa Maria Maddalena, stacci vicina nel dolore e continua a dirci che il Signore è risorto, è la nostra vera risurrezione.

22 Luglio 2024
+Domenico

La fede piena di Tommaso: Mio Signore e mio Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 24-29)

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Audio della rifessione

 Voglio vedere, voglio toccare, voglio esserci anch’io. Il desiderio di sperimentare, di verificare, di dare la propria adesione usando un minimo di intelligenza nobilita la persona. Oggi purtroppo stiamo abboccando a tutto. Stiamo facendo risorgere i maghi, buttiamo soldi per far leggere le carte, ci vogliamo fare accarezzare gli orecchi dai pronostici e dagli oroscopi. Anziché usare l’intelligenza chiamiamo ricerca il sentirci dire quello che ci piace. Basta una bufala ben costruita, una buona pubblicità che tutti siamo in fila a spendere o a provare.

Tommaso non era di questo tipo, lui Gesù morto, senza vita, dolorante fino allo spasimo lo aveva visto su quella croce e che nessuno venga a dirgli che è vivo. I colpi dei chiodi li ha ancora negli orecchi, lui non si può togliere dall’anima quel grido disperato di Gesù, quel rantolo di morte

 Ma lo abbiamo visto vivo, gli dicono gli amici, lo abbiamo incontrato con una forza e un desiderio di comunicare con noi che non ricordavamo più, meglio ancora della prima volta che ci aveva stregati sulle rive del lago.

Io non ci credo per niente se non vedo, non tocco, non sento, non lo stringo tra le mie braccia. Quei buchi dei chiodi li voglio turare con le mie dita, quella ferita di morte al cuore la voglio coprire con la mia mano. 

La risurrezione è un avvenimento strettamente soprannaturale, e come dice espressamente Matteo “alcuni di essi dubitavano” e Giovanni mette in evidenza l’apostolo Tommaso, paradigma di colui che esige prove. Questa scena dell’apparizione di Gesù a tutti gli apostoli compreso Tommaso è importante perché è il punto di passaggio dalla visione alla testimonianza. Si apre il tempo della Chiesa

Da quel momento in poi credente è chi superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto. Al tempo di Gesù visione e fede erano abbinate, ma ora nel tempo della Chiesa, la visione non può più essere pretesa: basta la testimonianza apostolica. Questo dice la beatitudine di Gesù: beati quelli che han creduto senza aver veduto.  Il che non vuol dire che ora il credente non possa fare nessuna esperienza del Risorto; lo sono la gioia, la pace, il perdono dei peccati, la presenza dello Spirito. Ma la storia di Gesù deve essere accettata per testimonianza.

Tommaso ha conosciuto il dubbio, ma questo non gli ha impedito di giungere primo fra gli apostoli  a una fede piena: Mio Signore e mio Dio. Fede piena, dico io, che forse tutti gli apostoli ancora non avevano, pur avendo visto Gesù. L’esperienza apostolica risulta di due  elementi: la visione storica (non più ripetibile) e la comunione di fede (sempre vivibile e attuale).

3 Luglio 2024
+Domenico

Il cuore fuori dal petto, squarciato

 Una riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 19, 31-37)


Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via.
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Audio della riflessione

Siamo in contemplazione di questa figura di Cristo, con il petto aperto, che offre il cuore sanguinante. Noi siamo abituati a vederla, l’abbiamo davanti agli occhi da quando eravamo bambini e non ci fa nessun effetto particolare. Chi non ha conoscenze religiose resta molto sorpreso. Che significa avere in evidenza un cuore così? Tutti gli innamorati sanno che il cuore è segno dell’amore, ma nessuno pensa di farsi rappresentare con un cuore fuori dal petto; piuttosto lo disegna sui bigliettini, sulle piante, sui banchi di scuola, sulle torte, su qualche T-shirt, sugli sms, sui tvtb.

Quel cuore ci richiama a una morte, a un fatto doloroso, crudo, ma altamente significativo come ci viene raccontato dal vangelo. Gesù è appena spirato dopo una lunga agonia su quella croce. È morto per i dolori atroci della flagellazione e della crocifissione, dell’abbandono e della solitudine. La causa fisica ultima della morte di un crocifisso è un soffocamento dovuto alla compressione dei polmoni che è inevitabile quando si resta appesi per le mani tenute fisse a un palo coi chiodi. Dice il vangelo che i soldati si meravigliarono che fosse morto così presto.

In genere il colpo di grazia era dato dallo spezzare le gambe ai crocifissi, così che non potessero più puntare sui piedi e riprendere respiro. Visto che Gesù era morto, vollero lo stesso sincerarsi della morte; hanno fatto le cose da professionisti; allora non avevano abitudini meno barbare, non erano in una cella da sedia elettrica con elettrodi che potessero mostrare il diagramma piatto. Gli hanno dato un colpo netto, magistrale, da intenditori al cuore, per sincerarsi che il motore della vita fosse bloccato e svuotato della linfa necessaria per dire di essere vivi: il sangue. Ne uscì sangue e acqua.

Quel cuore lacerato, svuotato, aperto, sanguinante è diventato il segno del dono fino all’ultima goccia di Gesù per gli uomini e giustamente allora ne è nata una contemplazione, uno sguardo amorevole e continuato del credente a quel cuore squarciato per avere sempre ben impresso negli occhi questo gesto estremo di amore. Questo è il Sacro cuore. Non si aspetta uno sguardo anatomico, ma una contemplazione di amore che si fa per noi sicura speranza.

La sua morte si porta dentro una esplosiva novità.

Una morte di cui vergognarci era stata la sua. Il primo giorno dopo il sabato ci sarebbero dovuti essere i funerali. Sarebbero stati funerali furtivi, in fretta, senza fanfare, senza autorità, senza medaglie al valore. Non sarebbero andati a seppellire un eroe, ma un uomo qualunque, sfortunato dicono gli amici, delinquente dicono le autorità.

Invece siamo costretti da un racconto molto particolareggiato a puntare gli occhi su un vuoto: una donna col cuore in gola lancia il primo urlo che squarcia la storia: là nella tomba non c’è più. Due uomini: il vecchio e il giovane, due vite distanti, ma legate da un amore appassionato, corrono. Pietro si stava ancora pentendo amaramente per non essere stato capace di condividere gli ultimi rantoli d’amore di Gesù. Aveva ancora gli occhi velati di pianto. Avrebbe voluto far ritornare indietro la storia, come capita sempre a tutti noi quando ci sentiamo pentiti per le idiozie che abbiamo compiuto; avrebbe voluto ritrovarsi ancora in quel cortile, rivedere quella serva e dirle: Quel Gesù di cui mi hai domandato, era mio amico. Non so se fosse veramente quello che diceva di essere, ma mi voleva bene.

L’altro il giovane, ancora non s’è reso ben conto di quello che è capitato. Lui è ancora ingenuo come tutti i giovani, crede che nella vita ci sia niente di definitivo, che si può sempre tornare indietro da tutte le decisioni e i fatti che capitano. Invece stanotte s’è trovato solo. La morte non è reversibile, lo schianto con l’automobile contro un palo non è un filmato da cui si può tornare indietro, quel corpo freddo che ha visto calare dalla croce mentre reggeva la mamma di Gesù, non è una fiction. Quell’urlo ha destato anche lui dal dolore e dall’incoscienza, lascia per un momento la custodia della madre e corre.

Mi par di vederli il vecchio e il giovane: uno che arranca e l’altro che morde il freno nell’impazienza, Pietro che finge di essere ancora forte e il giovane che finge di stancarsi per non mettere in imbarazzo; il vecchio con il peso della coscienza, il giovane con quello dell’incoscienza. I pensieri di Pietro per chiedere un’altra volta perdono: tu sai Gesù che io sono un carattere sanguigno, ho ancora voglia di spaccare il mondo, ma abbocco a tutto, soprattutto metto al centro ancora me; invece, ho capito che sei tu l’unico mio bene… I pensieri di Giovanni che chiedono come il giovane ricco: che devo fare per avere vita piena? Sono domande, colloqui restati in sospeso da una morte inaspettata.

La conclusione della corsa non è un podio per ricevere la medaglia: ma la fede. Giovanni vide e credette. Che cosa aveva visto? Una tomba nuova, con tutto quello che compone delicatamente e custodisce un cadavere, ma senza il corpo. Tutto è afflosciato su di sé, sul vuoto lasciato dalla sottrazione del cadavere. Non ha visto luci, non ha visto neon, non hanno notato candelieri; loro l’angelo non l’hanno visto; hanno solo visto il vuoto che parla di più di qualsiasi altro vuoto. Un vuoto inspiegabile. Giovanni l’ha capito solo per un flash di memoria di ciò che Gesù aveva detto ai loro distratti ascolti, che sarebbe cioè risuscitato dai morti.

E noi, da quella corsa nelle brume del giorno che nasce, abbiamo avuto la notizia che è finita la tristezza, che nel mondo c’è speranza vera, che la paura non ci imprigiona, che noi adulti e vecchi possiamo sperare perdono e i giovani possono sognare futuro, che Gesù è risorto

A quella morte è capitato qualcosa di inedito, già presente in quel cuore squarciato che oggi siamo ancora invitati a contemplare. In questa compresenza di crocifissione e risurrezione, in questo cuore squarciato ci sono tutti i drammi umani, tutte le ricerche, talora le sconfitte e le disperazioni, le debolezze e le piccole vittorie, le ansie e i martirii, la tenacia nella debolezza, la progettualità e l’accoglienza del dono. Diventa allora importante riuscire a strutturare la nostra vita di cristiani attorno all’esperienza di questo cuore donato fino alla morte e regalato vivo nella risurrezione e nello stesso tempo tradurre in linguaggi culturali comprensibili nella vita e nella società l’umanità nuova che il cristiano incarna nel vivere in sé e nel mondo delle sue relazioni la fede pasquale. Questa è la sorgente e il fondamento da cercare e la speranza da offrire.

07 Giugno – Solennità del Sacro Cuore di Gesù
+Domenico

Dacci tua madre

Riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 19,25-34)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Audio della riflessione

Muore Gesù, è una morte efferata, è un supplizio assurdo. È l’immagine di tutte le morti atroci, ingiuste, violente; è il bisogno di purificazione delle nostre tragiche condotte, la ricerca di una innocenza che abbiamo perduta.  

Lui arranca con quella croce sulle spalle per quelle strade distratte e piene di commerci della vecchia Gerusalemme, tra il fastidio della gente che viene disturbata nelle sue spese per la festa imminente. Tra poco chiudono i negozi, si entra nel grande sabato, occorre far presto, occorre far presto anche a uccidere un uomo innocente, perché sia finalmente chiusa la sua vicenda che ha già avuto troppa sopportazione da parte del potere. E Lui, solo, martoriato, fa il suo cammino, entra nella vita di un contadino ignaro che lo aiuta a portare il supplizio, nella compassione di una donna che gli deterge il viso, nel pianto delle mamme che rivivono le tragedie dei figli.  

Lo accompagna sua madre e un ragazzino che si era entusiasmato di Lui, della sua forza d’amore, del suo messaggio, Giovanni. Sognava ancora, ma gli stavano spegnendo i sogni nel pianto. Epperò resisteva. Lo vedrà morire, si sentirà donare l’ultimo affetto che il condannato a morte si teneva per affrontare il dolore: sua madre. Ecco tua madre. 

Signore abbiamo sempre bisogno di guardarti morire, ma dacci tua madre per avere una spalla su cui piangere e attendere la tua risurrezione: è il segno che mentre muori, tu sei sempre con noi. Non solo, ma questa tua madre ci è necessaria perché nel tuo spirare, nelle ultime gocce di sangue e acqua tu fai nascere un altro grande regalo: la tua Chiesa e tua madre ci è necessaria perché ne è immediatamente la madre che sta lì sotto la croce e genera oltre che noi tuoi figli, anche la nostra madre chiesa.  

Abbiamo bisogno di incontrarci con Lei sempre, anche ad ogni Pentecoste, quando ancora di coraggio ne abbiamo troppo poco e non siamo capaci ancora di seguirti, abbiamo paura di noi stessi, dei nostri tradimenti, abbiamo paura dei tuoi nemici e Lei ci ha aiutato ad aspettare assieme il dono dello Spirito. È madre tua, ma daccela come madre della tua chiesa. 

20 Maggio – Memoria della B.V. Maria Madre della Chiesa
+Domenico

Pentecoste: Spirito Santo avvolgi del tuo amore la vita del mondo e della Chiesa

Riflessione sul Vangelo del giorno (GV 15,26-27.16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Audio della riflessione

Il mondo nel quale viviamo sta velocemente andando verso una civiltà in cui occorre imporsi con la forza per esistere, caratterizzato da sentimenti forti e atteggiamenti di scontro, piuttosto che da serenità e sana convivenza:  
lo è il mondo economico, che ha abbandonato ogni etica solo per fare maggior profitto. Quello che conta è l’incasso di qualcuno, non è il benessere di tutti; oppure l’inganno del vivere sopra le proprie capacità, le avventure finanziarie e non il lavoro quotidiano paziente che crea benessere per tutti. Oggi stiamo vivendo le conseguenze di questa impostazione.
– lo è il mondo politico che vive sulle polemiche e sui colpi più bassi possibile, non sull’intesa di tutti perché ciascuno in modo libero e costruttivo concorra al bene di tutti.
– lo è il mondo dello sport che affida alla violenza il mondo dei supporter o al doping l’energia per la vittoria e non invece all’allenamento quotidiano, alla passione di un programma severo di crescita.
lo è il mondo della informazione che deve sempre pescare nel torbido, violentare ogni privatezza, sbattere in prima pagina il mostro per farsi leggere; invece di dare notizie che aiutano a crescere, a cambiare a fare vera giustizia; per non dire delle menzogne fake news, che demoliscono la verità.
lo è anche il nostro mondo ecclesiale che spesso abbandona la preghiera di ogni giorno, per fare ogni tanto qualche apparizione nel sacro e mettere a posto la coscienza.
lo è il mondo della giustizia che preferisce lo spettacolo anziché la difesa del debole e la tenacia della verità.
lo è il mondo degli affetti che debbono solo essere materiali, immediati, violenti, spudoratamente messi in vetrina, fatti diventare possesso anziché simpatia, sentimento, condivisione, amicizia.
lo è la vita amministrativa che punta solo all’immagine, anziché al vero benessere di tutti.
lo è il mondo delle immigrazioni fatto di tanti problemi che vengono sempre risolti con grandi contrapposizioni e grande violenza invece di essere colorato di accoglienza e di sicurezza.

Oggi la dolcissima presenza dello Spirito ci fa il regalo di una visione e di una possibilità di vivere la vita in maniera diversa. È un regalo che ci viene fatto attraverso la discesa dello Spirito Santo sulla chiesa.  

I frutti dello Spirito sono:  amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. 

non diluvio, ma rugiada 

Che differenza fa tra diluvio e rugiada? 

Abbiamo tutti in mente certe inondazioni che forse abbiamo visto grazie a Dio solo in TV? Tanta gente invece le ha vissute o con lo Tsunami o con dighe ci si sono aperte, noi adulti abbiamo in mente quando una montagna è caduta nel lago della diga del Vajont, ancor prima che arrivasse l’acqua lo spostamento d’aria aveva già distrutto e lanciato a centinaia di metri le case.  

Rugiada invece è quella leggera irrorazione di acqua che troviamo la mattina sui prati 

non bufera, ma bonaccia 

Abbiamo in mente una bufera? Alcuni temporali di queste ultime annate erano bufere, scrosci di acqua, di grandine di vento, di tempesta, automobili in cui non potevi nemmeno farti udire da chi avevi accanto tanto era la grandine. Che soddisfazione alla fine quando ti riappare il sole e tutto sembra finito; prima non ci vedevi adesso non ti pare che non sia mai capitato. È la bonaccia: 

non vento, ma brezza 

non incendio, ma fuoco 

non divisioni, ma serenità 

non ira, ma sorriso 

non dialettica, ma comprensione 

non violenza, ma pazienza 

non contrapposizione, ma dialogo 

non possesso, ma sguardo negli occhi 

non istinto, ma tenerezza 

non bullismo, ma compagnia 

non banda, ma amicizia 

non vendetta, ma perdono 

Lo Spirito Santo è da questa seconda parte. Non stiamo a inventare cose difficili, incomprensibili, non possiamo più dire: che è questo Spirito Santo? chi l’ha visto? che astrazioni assurde ci obbligate a credere in questa chiesa che sembra antiquata e non più adatta ai nostri giorni?  

Lo Spirito è pazienza, rugiada, serenità, dialogo, tenerezza. La vita non è la violenza che fa soffrire, ma l’amore che lenisce 

Non facciamoci trascinare nella vita violenta della nostra civiltà, oggi siamo tutti chiamati a dare il nostro necessario contributo alla civiltà dell’amore che nasce da sentimenti tenui, da vita quotidiana spesa per gli altri, da tenerezza, da perdono, da allenamento quotidiano, da gioia, da resistenza alla fatica. Lo Spirito Santo questo ce lo regala se glielo chiediamo ogni giorno. Se ad ogni alba che colora i nostri giorni sappiamo alzare lo sguardo a Dio, lo Spirito Santo ci regalerà questa bella vita e sapremo anche esserne testimoni tra gli amici, in casa, nel tempo libero, nello sport per esserlo poi in tutti quei mondi da urlo che dobbiamo abitare da cristiani. E saremo noi a cambiare quel mondo politico, quel mondo dell’informazione, quel mondo dello sport… la nostra società grande come il mondo intero senza confini. 

Ci dobbiamo aiutare tutti a cambiare, ad essere ufficialmente mandati per questa bonifica del mondo. 

19 Maggio – Solennità di Pentecoste
+Domenico

Il commiato dell’evangelista Giovanni

Riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 21,20-25)

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Audio della riflessione

Siamo alla giornata che precede la Pentecoste, stasera un altro brano di vangelo concluderà le letture della veglia che è già celebrazione della Pentecoste. È bello però che chi si è affezionato alla lettura quotidiana del vangelo rifletta anche con queste semplici note sulla conclusione del vangelo di Giovanni, in cui se non lo stesso Giovanni, la comunità che lo aveva seguito nella sua tarda età mette la firma e l’umiltà di dire che le cose scritte sono la minima parte di quello che bisognerebbe conoscere e meditare della vita e delle parole di Gesù.  

Giovanni è ancora in scena con Pietro, in una sorta di coalizione d’autorità, che è sempre stata ammessa come indiscutibile e questo serve a rafforzare l’autorevolezza di quel discepolo che Gesù amava.  

Questa sua qualità (di discepolo che Gesù amava) è sicuramente paragonabile a quella di Pietro e dava, dico io, al quarto vangelo, molto diverso dai sinottici, l’autorevolezza di vangelo. C’era stata una domanda cui Gesù rispose: se io voglio che lui rimanga che importa a te? E questo era malamente pensato come una impossibilità che morisse Giovanni prima della venuta di Cristo. E quando Giovanni morì, molti rimasero delusi, proprio per quella supposizione ritenuta detta da Gesù. Si pensa, non senza studi approfonditi, che questo capitolo fu aggiunto al vangelo ormai terminato per correggere l’errata interpretazione sulla vita di Giovanni, anche per avvalorare che l’autore di esso è proprio Giovanni.  

Come a dire questo discepolo è quello che dà testimonianza di tutto quello che il vangelo contiene perché è lui che lo scrisse. Per la nostra crescita umana e la nostra vita spirituale, avere nel vangelo le parole scritte e meditate da Giovanni, che Gesù particolarmente si teneva vicino, è un ulteriore stimolo a radicare la nostra vita sul Gesù dei vangeli. Sapere poi che questa comunità dice: noi sappiamo che la sua testimonianza è vera, ci mette ancora di più su una sequela decisa, convinta e missionaria. 

Termina pressappoco oggi la lunga serie di messe con all’interno brani di vangelo di Giovanni e riprenderemo come da saggia decisione della chiesa la lettura dei sinottici, sia nei giorni feriali che elle domeniche. 

18 Maggio
+Domenico

Non ti rifaccio domande per umiliarti, ma per amarti di più

Riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 21,15-19)

In quel tempo, quando [si fu manifestato ai discepoli ed essi] ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore».
Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi».
Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Audio della riflessione

È imbarazzante quando ti senti fare delle domande dirette da chi ti vuole bene e che sembra mettano in dubbio tutta l’esperienza di accordo, di collaborazione, di condivisione che ha caratterizzato la consuetudine con lui o con lei. Sembra che si sia insinuata la sfiducia e non riesci a sopportare che lui o lei pensi di te così.  

Pietro mi ami? Chiede Gesù a Simon Pietro. Come? è una vita che sono qui. Ho lasciato tutto per seguirti. Conosci le mie impennate di leggerezza, hai visto le mie debolezze nel seguirti, hai fotografato con chiarezza anche alla mia vita tutto l’entusiasmo con cui inizio e le infedeltà che poi si introducono per la mia debolezza. Ma non puoi pensare che io abbia altro che te da mettere al centro della mia vita. E Gesù di rincalzo: Pietro mi ami? Sei proprio convinto che al centro del tuo rapporto con me ci sono io e non le cose mie, c’è il mio amore che mi è costato la croce e non la tua convenienza che a questo punto della vita devi adattarti a vivere in questo gruppo di discepoli in cui trovi?  

Quando ti fanno queste domande veramente ti metti a nudo, sei costretto a guardarti dentro; non solo ti accorgi che non puoi nascondere niente e le tue piccole e grosse bugie ti fanno diventare rosso e ti stanano da ogni egoismo, ma ti domandi pure più in profondità che senso ha tutto quello che vivi con la persona che ti vuole bene, vai a scandagliare in ogni atteggiamento se sei all’altezza della fiducia finora goduta. 

Pietro si arrende. Mi sono guardato dentro, ho trovato le mie debolezze, ma anche la mia retta intenzione, la mia scelta definitiva. Signore tu sai quello che sono: nascondermi a te è come oscurare il sole con le dita. 

E Gesù gli affida la Chiesa, quella barca che dovrà salpare tutti i mari della terra, dovrà affrontare tutte le tempeste della storia, tutte le persecuzioni e i tradimenti. Gesù si fida. A Pietro affida la continuità della presenza della sua parola nella storia. E con quel perentorio seguimi gli dice subito che la vita sua non sarà facile; seguirà il suo maestro anche nella morte di croce. Oggi Gesù a ciascuno di noi affida la missione di farlo conoscere, di farlo diventare per tutti forza di amore. A ogni cristiano affida un messaggio di speranza per il mondo. Ne siamo coscienti? Se sì ne dobbiamo diventare portatori sempre. 

17 Maggio
+Domenico

Solo e sempre riuniti a Gesù

Una riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 17,20-26)

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Audio della riflessione.

Ogni uomo ama la compagnia, non è fatto per stare solo, ma per vivere con gli altri e vivere con tutti non a qualche maniera, ma nell’amore reciproco, nella comunione. Non c’è immagine più bella di famiglia, se non quella di chi vive nell’amore reciproco, nella reciproca sopportazione, come capacità di andare oltre le piccole e grandi diversità per fare un cuor solo. Abbiamo scritto nel nostro DNA questo istinto del vivere assieme, perché ce lo ha determinato lo stesso nostro Creatore. Ci ha fatti a sua immagine; lui è una famiglia, è una relazione continua, Dio non è un single, ma si relazione in sé stesso, tra Padre e Figlio, tra Padre, Figlio e Spirito.  

Voglio che tutti siano una cosa sola come tu sei in me e io in te. La profonda unità tra Dio Padre e Gesù aveva incantato non poche volte gli apostoli, che stavano con Gesù. Li aveva voluti con sé (Venite e vedete, aveva loro detto alle loro richieste di maggior intimità) e loro scrutavano ogni suo momento. Lo vedevano tante notti in preghiera, in questa unione e estasi d’amore con il Padre. Spesso gli avevano chiesto: facci vedere il Padre, insegnaci a pregare, facci stare con te nel tuo regno. Gesù aveva creato nostalgia di questa comunione. E questa nostalgia volle che diventasse la realtà determinante la vita del cristiano. Dovete essere una cosa sola. Nel mondo vi capiterà di stare meglio a fare ciascuno quel che vuole, vi sembrerà di salvare il mondo con le vostre geniali attività, ma se non vi metterete assieme sperimentando comunione tra voi e con me, come io la vivo con il Padre, il vostro lavoro non servirà a niente, non riuscirete a far incontrare gli uomini con Dio, non riusciranno a capire che siete dalla mia parte. Il mondo crederà in me, se voi saprete essere una cosa sola con me e tra di voi. 

Il primo compito del cristiano allora è dimorare in Dio, stare con Lui. Tanta nostra testimonianza di cristiani nel mondo, tante battaglie per far vincere il bene non hanno risultati perché mettiamo al centro noi e per di più ciascuno per conto suo. Il male più grande per l’uomo è la divisione e noi stiamo diventando specialisti di essa. Non per niente il principe del male si chiama diavolo, cioè divisore. Invece è in unione con Dio, che non ci abbandona, mai che dobbiamo sempre vivere e lavorare. 

16 Maggio
+Domenico