Spiriti viventi che ci aiutano a dialogare con il Signore: gli angeli

Una riflessione sul vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 47-51)

In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione.

Molte delle belle frasi o pensieri che ci colpiscono hanno una collocazione che ne rendono il significato ancora più profondo. E’ l’ultima frase del brano di vangelo che ci aiuta a celebrare oggi i santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele 

Gli abitanti delle rive del lago si incuriosiscono di Gesù, e vogliono sapere che fa, che pensa, di che cosa vive, quali segreti ha in cuore. Erano incantati da lui. Alcuni erano stati con Giovanni il battezzatore, ma nel sentire Gesù si apriva ancora di più il loro cuore vedevano che proprio di Lui avevano bisogno. Poi finalmente Gesù comincia a scegliere. Tu, Filippo seguimi, vienimi dietro. E Filippo non può tenere per sé la gioia che prova a stare con Lui, a condividere la sua passione per la vita di tutti a partire dalla intimità con Dio Padre. Si fa in quattro per coinvolgere altri. Lo dice a Natanaele, che lo gela con una battuta quasi insolente, se non fosse preziosa per la sincerità e la voglia di cose grandi che si porta dentro. Ma che vuoi che venga fuori di buono da un paesetto sperduto, fatto di montanari, che non ha mai prodotto niente di buono, se non amici con cui ogni tanto sbaraccare? 

Ma anche Natanaele di fronte a Gesù crolla. E’ schietto, non ha maschere e Gesù non ha paura di chi dice come la pensa. Non gli piacciono quelli che continuano a tergiversare, a mettere davanti scuse a una decisone urgente. Più tardi alcuni gli diranno di volerlo seguire, ma accamperanno tutte le scuse possibili. Alla loro età, alcuni hanno risposto: lo vado a chiedere a mio papà. Ma prenditi in mano la vita finalmente, non nasconderti dietro scuse che non portano a niente. Natanaele crolla di fronte a un Gesù che lo guarda dentro e alla sua meraviglia gli allarga ancora di più gli orizzonti e dice proprio «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo». Per un ebreo gli angeli sono creature di Dio che formano un mondo meraviglioso che sta a custodirci, che fa da corona a Gesù e agli uomini. Natanaele capisce che se fanno scala su Gesù, Lui è proprio il Figlio di Dio. 

Chi sono gli angeli? La parola stessa ne dà un significato ben preciso: sono portatori di notizie, di annuncio, sono quindi intermediari tra Dio e gli uomini nella nostra storia di salvezza, sono legati strettamente a Dio e ne realizzano i progetti, coinvolgono gli uomini in questa avventura del Regno di Dio. 

Poi la filosofia si sbizzarrisce a vedere che tipo di creature sono: non sono forse visioni solo, non possono essere stati usati da scrittori di cronache per semplificare la comprensione di alcuni fatti inspiegabili? Si possono fare tutte le congetture. Noi come ci ha detto Gesù, e per come hanno servito il piano di salvezza di Dio crediamo a questa loro presenza e soprattutto vogliamo vedere in loro la vicinanza di Dio alla nostra vita, la sua compagnia quotidiana, personalizzata, i messaggeri della sua parola, coloro che ci aiutano a prendere posizione per Gesù. Se c’è un principio del male, come Satana, che sta sotto Dio, ma che nuoce non poco agli uomini, è giusto che ci siano delle creature di Dio, come lo sono gli angeli, che invece lavorano nella vita dell’uomo per aiutarlo a convertirsi sempre di più a Lui, per proteggerne il cammino. Sono forza imbattibile come Michele e speranza per una vita buona, bella e felice per ogni persona.

29 Settembre
+Domenico

La mamma del Magnificat ha una spada nel petto

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-27)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!».
E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Audio della riflessione

Il dolore cercano di nasconderlo tutti, la morte pure, la malattia è una privacy assoluta. E’ anche un vero pudore, perché la sofferenza non è da mettere in piazza, ma spesso è mancanza di coraggio nell’affrontare i nostri mali. Vivere il dolore in compagnia è già una decisione di non soccombere. I cattolici hanno da sempre rappresentato davanti a sé il dolore. Ci hanno messo qualche secolo per poter contemplare il Crocifisso, ma oggi è al centro di ogni chiesa, è obbligatorio in ogni celebrazione eucaristica e le chiese dedicate alla Madonna Addolorata sono tante. Perché è importante contemplare in chi ci ha preceduto la sofferenza sopportata con coraggio e vinta per trovare e invocare forza per sopportare e vincere le nostre. 

Il vangelo ce ne dice solo una previsione, espressa da un vecchio saggio, il Calvario la riproduce dal vero. Quella lancia che avrebbe trafitto il cuore di Maria è già nella sua carne Il nostro sguardo al Calvario è sempre pieno di domande: Dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario. E la Madonna del magnificat è lì. C’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo. Ora sembra tutto sia finito. Lì sul Calvario ci sono tre sofferenze, tre cuori che si cercano tra due criminali e qualche militare: sono l’ultima casa impossibile che è rimasta alla speranza. Gesù sa che la mamma vien trafitta di dolore; non è da lui consolarla, perché Lui è la consolazione in persona e Maria con Lui sta alla croce per dire l’immenso amore di Dio per ciascuno di noi e ce la dona come mamma, perché quel dolore al suo cuore verrà continuamente riprodotto da tutte le nostre ingratitudini e tradimenti di figli E’ questo il testamento di Gesù, è questo che motiva la nostra festa. Noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di questo altare anche oggi c’è Maria che si sente dire da Gesù: sono tuoi figli e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete: qui c’è tua madre. E qui anche per Lei si rinnova il prodigio della vittoria di Gesù sul male. Il demonio, dice San Giovanni Crisostomo, ha perso con le sue stesse armi: la vergine, il legno e la morte. La vergine, era Eva, perché non si era ancora unita all’uomo ; il legno, era l’albero ; e la morte, la pena in cui era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva, Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo. Che si è trasformata in risurrezione.

15 Settembre
+Domenico

Il vero laser della nostra notte

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Audio della riflessione.

Mi piace pensare a Nicodemo come a un giovane che ama la notte. Ce ne sono tanti oggi che cominciano a vivere solo di notte. Il giorno è troppo pieno di compromessi, è troppo regolato da altri. Dal giorno bisogna difendersi, mettersi le cuffie, durante il giorno fare l’indispensabile, inserire il pilota automatico. Di notte invece sono io che vive, che sente le emozioni, che decide di fare quello che voglio. Non ho impegni, non ho compiti, non ho orari. Posso stare con gli amici da cui mi ha separato la settimana, posso sognare in libertà, far uscire quello che devo continuamente tenermi dentro per difendermi. Proprio per questo di notte nasce anche il bisogno di bontà, il bisogno di Dio. 

Nicodemo non riesce più a tenersi dentro tutto; è stufo marcio non ce la fa più a vivere da solo e va da Gesù. 

Dove sta il segreto della vita? Come posso avere vita piena? C’è ancora una possibilità di non lasciarci languire e cancellare ogni sogno? A chi posso alzare lo sguardo per avere davanti qualcosa, qualcuno per cui vivere? La vita è proprio fatta di continui adattamenti? Sono domande che ci facciamo anche noi adulti in pieno giorno. Mi hai messo in cuore un desiderio così grande e non mi posso adattare alle luci artificiali. I laser che vedo penetrano la notte, indicano con precisione una direzione, ma si perdono nel nulla. C’è qualcuno che sa puntare il laser nella direzione giusta? 

E Gesù, che ama la notte di Nicodemo gli dice e dice ancora a chiunque sta cercando: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non morirà, ma abbia vita piena, senza fine, al massimo”. Ma che direzione indica il laser di Cristo? Indica la croce. Sembra un controsenso, ma se guardi alla croce trovi la strada della vita. Se nei tuoi sogni appare la croce, non cancellarli stanno diventando realtà. 

E il suo gesto di maggior amore è l’essere finito in croce. Oggi ricordiamo la gloria della Croce che è sempre uno strumento di morte, ma che per noi indica il grande amore di Dio per tutta l’umanità.

14 Settembre
+Domenico

Ciascuno di noi è stato scelto e chiamato da Dio alla vita e alla fede  

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 45-51)

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione.

Ognuno di noi risponde nella vita a una chiamata di Dio, nessuno è a questo mondo a caso. Pensiamo di essere frutto di questo o quel rapporto tra papà e mamma, qualcuno forse è frutto di violenza…altri non erano aspettati e sono nati lo stesso. Intanto siamo sicuri di esserci, ci è cresciuta la consapevolezza che abbiamo una vita da vivere e ne siamo stati subito contenti; poi forse sono arrivati dispiaceri, sfortune o malanni. Noi sappiamo però che  la vita di ciascuno è un dono di Dio fatto a noi personalmente. Siamo stati pensati da Dio. Oggi il vangelo ci pone di fronte alla chiamata di un apostolo e questo ci invita a fare della nostra vita ancora di più una risposta di amore non solo ai nostri genitori, ma soprattutto a Dio. 

Nel raccontare la vita di Gesù l’evangelista Giovanni lo deve presentare  come il Figlio di Dio a gente che non lo conosceva, che lo riteneva una persona insignificante nativa di Nazaret, paesino sconosciuto e mai citato nelle sacre scritture. Gesù si presenta come testimoniato da Giovanni il Battista prima di tutti, e in seguito da tutti gli  apostoli  e da ultimo, proprio da Natanaele. In seguito tutti i vangeli dopo la sua ignominiosa morte si dedicheranno a far conoscere chi era Gesù con tutti i miracoli e la sua vita. Giovanni inizierà subito dopo col   grande segno dell’acqua cambiata in vino a Cana, il paese dove è nato Natanaele e che sicuramene era tra gli invitati a nozze. 

Gesù sa che Natanaele è un ebreo fedele all’AT e sincero; non si comporta come tanti ebrei del suo tempo, molto fedeli alle Scritture, ma imprigionati nei significati dati loro dalle tradizioni, incancreniti nella loro opposizione alla grande novità che è Gesù. Sappiamo come si sono comportati i suoi compaesani di Nazaret che hanno tentato di buttarlo giù dal monte per ammazzarlo. Natanaele vuol pensare con la sua testa; nessun predicatore lo strapperà dalle scritture dell’Antico Testamento, senza un richiamo profondo alle stesse scritture e Gesù gliene suggerisce una: In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figliuol dell’uomo.  

Questa nell’AT era stata una investitura di Giacobbe, con la visione della scala su cui salivano e scendevano gli angeli da Dio a lui, come di un vero rappresentante di Dio per il suo popolo. Ora questi angeli faranno scala su Gesù che è quindi veramente il Figlio di Dio. Gesù quindi conferma a Natanaele, che se lui vive veramente la fede di Israele, la fede degli ebrei, degli scribi, dei leviti non potrà non sfociare sullo stesso Gesù, se  sa presto superare le sue idee a confronto con una nuova parola, quella di Gesù. E così Natanaele ha proprio fatto. Noi oggi siamo invitati da San Bartolomeo ad essere fedeli al vangelo, anche di questi tempi in cui hanno ragione tutti, fuorché quelli che credono in Dio, di fronte a chi usa Dio per promuovere se stesso, di fronte a chi usa il segno di croce o la stessa croce per accreditare il suo pensiero e non quello di Dio, ma soprattutto di fronte a chi ci ritiene inutili come cristiani alla vita del mondo di oggi, alla pace contro la guerra insensata, alla responsabilità di fronte allo  sfruttamento della terra come bene privato, alla ricerca di prospettiva nel progettare la nostra vita dentro una umanità di fratelli e non di nemici. San Bartolomeo ce ne dia la forza, l’intelligenza e la costanza. 

24 Agosto
+Domenico

Siamo capaci di offrire ai giovani la bellezza della fede cristiana?

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 24-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».

Audio della riflessione.

Doveva essere ridotto proprio male l’impero romano se per fermare il cristianesimo ha dovuto fare scempio della gioventù di allora. Oppure dovevano essere proprio bravi e decisi i giovani di allora se per fermare il cristianesimo hanno dovuto ammazzare loro, i più incoscienti, i più entusiasti, i più radicali, i più fedeli. Oppure hanno voluto colpire gli adulti privandoli del loro futuro e lasciandoli a vivere senza speranza. 

Sta di fatto che la persecuzione della seconda metà del terzo secolo si è scatenata sui giovani. Avevano fatto prigioniero tre giorni prima, il 7 agosto del 258, il papa Sisto II. Stava dicendo messa nel cimitero di Callisto, era rischioso allora;  aveva attorno i giovani. Ne fecero una strage. Felicissimo e Agapito erano morti in analoghe circostanze. Le nostre chiese del circondario di Roma hanno quasi tutte come fondatore un giovane martire, Lorenzo, Cesareo, Agapito, Vito, ragazzi coraggiosi che hanno testimoniato con la vita la fede che avevano: credere in Cristo interessava loro di più che le lotte dei gladiatori negli anfiteatri, che le parate nel tempio della dea fortuna di Palestrina, che le estati folli dell’impero romano. Questi ragazzi andavano ad ascoltare messa. Vi immaginate se dichiarassero una persecuzione oggi, quanti giovani troverebbero in chiesa ad ascoltare messa. 

Che è successo? Come mai non siamo più capaci di offrire ai nostri giovani la bellezza della vita cristiana? Perché non ci sono più ragazzi che preferiscono il vangelo alla playstation, la bibbia ai concerti rock, l’eucaristia alle sedute spiritiche o alle messe sataniche? 

Sono senza ideali, non hanno spirito di sacrificio, sono smidollati oppure noi adulti abbiamo ingessato la fede, l’abbiamo ridotta a soprammobile, l’abbiamo ritenuta secondaria rispetto alle cose più urgenti della vita: il lavoro, gli interessi, i soldi, il divertimento, la nostre stesse passioni? 

Eppure se guardiamo bene, se non ci facciamo incantare dal mondo delle informazioni che preferisce parlare dei delinquenti piuttosto che dei galantuomini, esistono ancora molti giovani che sanno offrire la propria vita per gli altri, che sanno pagare con la vita la loro fede, che vivono estati alternative a servizio dei poveri e nei paesi di missione, che, per esempio stanno tornando dalla GMG di Lisbona. Forse non  molti abitano tra di noi, ma il mondo è grande e la fede è ancora una forza vitale. 

Lorenzo era col papa a garantirgli che la chiesa non dimenticava mai i suoi poveri, come diacono, li curava a nome della comunità cristiana. Per questo non lo hanno ammazzato subito, speravano di entrare in possesso dei tesori della chiesa.  

Quando il persecutore si accorge che i tesori non sono ori o vasi di argento, pietre preziose o monili, ma poveracci che, ignari della persecuzione, tornano a far la fila per poter avere un altro giorno di vita attraverso la carità della chiesa, ammazzano anche i diaconi e bruciano Lorenzo. Questi giovani sono decisi a tutto: hanno scoperto la bellezza del vangelo, sanno che Dio ama chi dona con gioia e la loro vita è tutta per una causa: l’amore tra le persone, il soccorso ai deboli, alimentare ogni piccolo segno di vita perché diventi piena. Sanno che Gesù faceva così e lo vogliono imitare. 

La cattiveria si scatena, ma inutilmente, perché Lorenzo sa che chi perde la sua vita per la cattiveria del male la ritrova piena nel Signore. Torturato e bruciato, perché la cattiveria dell’uomo è impensabile, quando si accorge di non riuscire a scalfire la gioia del perseguitato si accanisce sempre più, assume contorni demoniaci, per ottenere la morte. Lorenzo viene sepolto sulla via Tiburtina. 

Tanti giovani anziché impaurirsi lo seguirono e la chiesa si irradiò ancora di più. Si verificava ciò che dice il vangelo: se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore,  produce molto frutto. E’ una legge della natura. La vita passa sempre attraverso una sorta di fine inutile, un consumarsi che all’apparenza sembra una sconfitta, non dà l’idea della continuità, ma ha dentro una forza incoercibile. Sgretola perfino la roccia, ha spaccato le montagne e fatto nascere la terra. E’ così anche della nostra esistenza umana: per continuare a vivere o, meglio ancora, per dare alla vita una felicità vera, occorre saper morire all’indolenza, alla comodità, alla superficialità, alla soddisfazione immediata, alla faciloneria, al disimpegno, all’ozio.  

Il problema è che forse noi adulti dobbiamo ricominciare a sperare, ad adattarci di meno, a dare fiducia, a dare esempi di vita pulita, generosa, a smettere di collocare il danaro al di sopra di tutto. Dobbiamo rigenerare la nostra fede, ci siamo adattati per troppo tempo, abbiamo creduto che con la modernità i nostri vecchi valori dovessero tramontare. Ma la bontà, l’amore, la fede non tramontano mai. Abbiamo in genere i giovani che ci meritiamo. 

Assistiamo molte volte a tanti giovani purtroppo che perdono la vita per incidenti stradali. Noi vorremmo che la amassero la vita, la donassero per una grande causa, la offrissero come segno di amore a una famiglia.   

Chiediamo a San Lorenzo che ci aiuti a trovare fiducia nella vita, a trovare forza nella fede e a investire sul futuro delle giovani generazioni. 

10 Agosto
+Domenico

Maria Maddalena: una storia d’amore unica

Una riflessione sul vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-2.11-18)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Audio della riflessione.

Chiacchieratissima, soprattutto nei romanzi moderni; non sembrava vero a qualcuno di poter centrare molta ignoranza e tanta superficialità nel fare un romanzo che la vede, la povera Maria Maddalena, come l’amante di Gesù. Dico “amante” con tutto quello che di disprezzo, di moralità, di prezzolato, si porta con sé, perché innamorata persa lo era proprio, di Gesù, come lo vogliamo essere tutti noi: giovani, adulti e persone mature, che vogliamo mettere Gesù al centro della nostra vita. 

Era innamorata persa per la sua bellissima storia: quando Gesù pellegrinava per le città della Palestina, c’erano alcune donne che lo seguivano, che facevano gruppo, anche per dire che Gesù, come i benpensanti anche di oggi credono, non si “schifava” delle donne, che il mondo orientale vedeva come persone di nessun conto e non all’altezza degli uomini in tutte le possibili responsabilità dell’esistenza. Gesù le ha sempre apprezzate; direi che era un “femminista ante-litteram”, se a questa parola diamo il senso di cultore della dignità della donna. 

Ebbene, purtroppo, Maria Maddalena era posseduta dal demonio; chi se ne intende sa quanto si soffre ad essere violentati nel profondo del cuore e dell’anima da una presenza demoniaca. Erano addirittura sette i demoni. Per gli Ebrei, sette non aveva il valore matematico che diamo noi, ma significava “numero perfetto”, moltitudine, quasi. 

Gesù, il Figlio di Dio, la libera, come ha liberato tante persone dal demonio; le ha ridato la sua libertà, la capacità di riprendersi in mano la sua esistenza, la serenità di non sentirsi invasa da un male impossibile da vincere.  

Da quel giorno, la gioia, la serenità, la contemplazione di Gesù, erano di casa in lei. Gli era gratissima, cercava di sdebitarsi quasi, di questo grande dono: non c’è nessuna possibilità di toglierti un debito con il Figlio di Dio, perché quello che ti dona è sempre una Grazia, un regalo, una incalcolabile felicità; ecco perché sarà nel suo gruppo di evangelizzatori, almeno di sostegno, finché esploderà come la pria grande annunciatrice al mondo, alla Storia, all’umanità, all’universo, della Risurrezione di Gesù. 

Il suo grido lancinante svegliò i vicoli di Gerusalemme, quel giorno dopo il sabato: là, nella tomba, il corpo non c’è più! Non ha pensato come tutto il Sinedrio: “l’avranno rubato” per mettesi a posto la coscienza e per dichiarare vittoria ancora di più della sua morte… 

Ritornata, dopo che Pietro e Giovanni sono corsi a constatare il vuoto di quella tomba, che a loro cominciò a parlare di più che se fosse stata piena, e li piangendo, sconsolata, rievocando le parole del Cantico dei Cantici, facendo domande a chiunque incontrasse, si sente chiamare: “Maria!”.  

Le parole di un canto che in chiesa spesso facciamo, dice: “Quante volte un uomo con il nome giusto mi ha chiamata… una volta sola l’ho sentito pronunciare con Amore”. Questo è l’amore di Gesù che supera ogni sentimento umano: è l’amore del Risorto! 

E dopo questo incontro, destatasi, Gesù stesso la invia ad annunciare la Risurrezione, facendola ancora più grande come donna e osando affidare ad una donna una testimonianza in un mondo che prevedeva che le donne, assolutamente non potessero essere testimoni di niente. 

Ma prima di questa conclusione, Maria Maddalena è stata con la madre di Gesù, la Madonna, e altre donne del suo gruppo, ai piedi della Croce: aveva deciso di stare dalla sua parte, contro il dileggio di tutti. Gesù era stato rifiutato dalla maggioranza, era stato fatto passare per delinquente, per bestemmiatore; gli apostoli erano fuggiti quasi tutti, erano rimasti in quattro: sua madre, Maria, Giovanni, Maria Maddalena e una sua amica. Fanno la scelta di “stare”, di porsi di fronte a questa Croce, che è la manifestazione dell’Amore di Dio per l’umanità. 

Nella fede, l’essenziale non è essere in tanti, né capire tutto e subito, ma di esporsi personalmente e con le persone che Dio mi mette accanto, al contatto e all’azione dell’Amore. 

Nella Chiesa ci sono tante donne che fanno sentire la loro voce e portano la loro testimonianza; tante giovani donne, nel pieno della loro gioia di vivere, innamorate perse di Gesù, come Maria Maddalena. 

22 Luglio
+Domenico

Dà forza e dignità alla tua intelligenza dilatandola nella fede

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,24-29)

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Audio della riflessione.

Migliaia di volte ci siamo detti di fronte a tanti misteri della vita se non ci metto il naso non ci credo. Voglio vedere, voglio toccare, voglio esserci anch’io. Il desiderio di sperimentare, di verificare, di dare la propria adesione usando un minimo di intelligenza nobilita la persona. Oggi purtroppo stiamo abboccando a tutto. Stiamo facendo risorgere i maghi, buttiamo soldi per far leggere le carte, ci vogliamo fare accarezzare gli orecchi dai pronostici e dagli oroscopi. Anziché usare l’intelligenza chiamiamo ricerca il sentirci dire quello che ci piace. Basta una bufala ben costruita, una buona pubblicità che tutti siamo in fila a spendere o a provare. 

Tommaso non era di questo tipo, lui Gesù morto, senza vita, dolorante fino allo spasimo lo aveva visto su quella croce e che nessuno venga a dirgli che è vivo. I colpi dei chiodi li ha ancora negli orecchi, lui non si può togliere dall’anima quel grido disperato di Gesù, quel rantolo di morte Lui ha letto negli occhi dei suoi amici, che aveva lasciato per seguire il maestro, il disprezzo per la sua decisione di stare dietro al Nazareno e fa fatica a dimenticare lo smacco, ma ormai tutto è finito. 

“Ma lo abbiamo visto vivo -gli dicono i nuovi amici che s’è fatto con Gesù- lo abbiamo incontrato con una forza e un desiderio di comunicare con noi che non ricordavamo più, meglio ancora della prima volta che ci aveva stregati sulle rive del lago”. Gli piacerebbe credere, tornare come prima, riprendere la faticosa, ma bella peregrinazione per la Palestina e ridare speranza agli sfiduciati. Ma gli avvenimenti del Calvario gli hanno scavato dentro un abisso di disperazione. “Non ci credo neanche morto”. Non mi state a convincere: ho ancora negli orecchi quei colpi secchi sui chiodi che gli hanno stritolato i polsi. Mi hanno creato un buco nell’anima. Quel colpo di lancia per verificare che era morto me lo sono sentito nel mio petto.  

Io non ci credo per niente se non vedo, non tocco, non sento, non lo stringo tra le mie braccia. Quei buchi dei chiodi li voglio turare con le mie dita, quella ferita di morte al cuore la voglio coprire con la mia mano.  Non si adattava a credere, se non usava fino in fondo tutta la sua umanità. Non mi bastano le vostre parole, la vostra amicizia. È qualcosa tra me e lui. Devo fare i conti con la mia coscienza. 

E lui Gesù arriva: Tommaso sono qui; ricomponi con le tue dita e la tua mano gli squarci lasciati nel mio corpo. Hai ragione a riportare tutto alla tua coscienza, ma ora affidati. E Tommaso ritorna alla comunità credente. Non mette le dita nei fori dei chiodi e crolla in ginocchio e proclama la sua fede: Mio Signore e Mio Dio. 

Quanti artisti si sono cimentati nel descrivere questa volontà di Tommaso di toccare Gesù; quanti sguardi, quante mani, quante dita dipinte vicine alle ferite, quanti visi stupiti. Gesù si presenta, come si presenta alla nostra intelligenza e alla nostra vita. Sono qui. Ragazzi, giovani date pure la stura a tutte le vostre tecniche di ricerca, non fingete di cercare per non vedere. Fatevi crescere tutti i dubbi che volete, non smettete di desiderare. Al fondo della vostra intelligenza pulita, del vostro cuore sgombro, della vostra volontà pura mi troverete. Lasciate stare i maghi, smettetela di abbonarvi agli oroscopi, lo sapete anche voi che lo fate per gioco. Io sono qui, io sono il Dio che dà forza e dignità alla vostra intelligenza dilatandola nella fede.  

03 Luglio
+Domenico

Riuniti per un pane spezzato

Una riflessione sul vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Audio della riflessione.

Che cosa lega i cristiani tra di loro tanto che dovunque vai, nel pieno delle ferie, al mare o sui monti trovi gente (forse oggi non molti) che si veste bene, organizza la giornata diversamente e converge in un luogo, in una chiesa, o nel campeggio attorno a un tavolo o in montagna attorno a una roccia imbandita per l’occasione a semplice mensa?  Tutti compiamo un gesto comune, tutti abbiamo una proposta, partecipiamo a un dono: abbiamo cercato vita, l’abbiamo trovata non soltanto con la fede in Gesù e nella sua parola, ma l’abbiamo accolta e condivisa con il dono del pane e del vino offerti come cibo. 

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Non si può parlare di vita senza parlare del rapporto con Dio vissuto attraverso Gesù e non si può parlare di vita se non in un contesto di dono, il dono fino alla morte che viene sempre rivissuto, offerto, partecipato nel rito, gesto, esperienza del pane spezzato e del sangue versato, nella  esperienza della Messa.  

I cristiani sono abituati a questo linguaggio, fa parte di ogni iniziazione cristiana. Chi non ricorda la prima comunione, l’entusiasmo che ci abbiamo messo nella preparazione, il candore dell’animo con cui facevamo domande e trovavamo piccole risposte vere per noi e capaci di rendere quel primo incontro una vera esperienza di vita? 

Oggi forse che per molti il ricordo si è sbiadito torna quella giusta domanda che hanno anche gli ascoltatori di Gesù. Come può costui darci da mangiare la sua carne? Ma che è questo concentrarsi di tanta gente attorno a un pezzo di pane e a un calice di vino? Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiamo in abbondanza. Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita piena. 

Su queste tre piccole frasi si sviluppa la fede e la vita del cristiano.  Da questo segno è interrogato ogni uomo che cerca vita piena. Noi oggi diamo a questo momento una rilevanza anche pubblica, non abbiamo vergogna o paura o timore di essere disprezzati e portiamo questi segni nella nostra vita civile, anche con una processione. 

Potremmo avere anche la sensazione che saremo pure gli ultimi che vivono questa esperienza, ma non verrà mai a mancare, finché c’è una anche piccola comunità cristiana, la fede in questo piccolo pezzo di pane che è per noi ancora quel corpo dato agli apostoli nell’ultima cena, il corpo di Gesù.

11 Giugno
+Domenico

Trinità, una comunità d’amore

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Audio della riflessione.

Che cos’è quella insopprimibile spinta che sentiamo a incontrare gli altri? Perché con tutta la confusione e il frastuono che ci circonda non riusciamo a star chiusi nei nostri comodi loculi, dove ci monta una nostalgia di dialogo, di serenità di solidarietà? Stereo, parabolica, internet, e-mail, fax, Facebook, Twitter che già sono tutti strumenti di comunicazione con l’altro, non ci bastano.  

Sentiamo un bisogno viscerale di contatto, di relazione di stare con qualcuno. Abbiamo bisogno degli altri per vivere, per crescere, per essere. Gli altri sono per noi necessari come l’aria che respiriamo. Il nostro cuore non può essere riempito da un bel quadro, da un gatto o da un cane o da un coniglietto che ci portiamo appassionatamente anche in aereo in apposite gabbiette, con tutte le tutele della legge. Sono tutti dei placebo.  

Il cuore vuole in maniera insopprimibile un’altra persona come noi, da guardare, da toccare, da incontrare, da amare. E la gioia comincia a dischiudersi solo quando stiamo con lui, con lei, con loro. Le immagini, le fiction, le televisioni sono solo simulazioni, strumenti, rimandi. Sembra che ci riempiano di vita, ma ci distorcono solo se non sono accompagnati da relazioni nuove e buone.  

È una constatazione molto semplice pure banale, anche se dà ragione della causa di tanta infelicità di bambini che non vedono mai i genitori, di giovani, che sono senza amici, di anziani che possono solo ascoltare una radio, di uomini e donne mature che si incrociano senza incontrarsi. Se alziamo lo sguardo a Dio questa nostra sete di relazione assume una sorprendente profondità. Noi siamo fatti a immagine di Dio, e Dio è una comunità di amore. Siamo fatti per dialogare, incontrarci amare perché Dio è Trinità. Il Dio dei cristiani non è un single, non teme politeismi idolatrici, è un Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo.  

È una comunità di amore, è relazione assoluta, è un dialogo di conoscenza e amore fra tre persone: così Gesù ci ha aiutato sorprendentemente a conoscere il volto di Dio. La creazione di Dio Padre, il dono fino alla morte di Gesù, la comunione d’amore che tutto avvolge dello Spirito sono il nostro futuro di uomini e donne, il nostro habitat, la nostra felicità. Il mistero di Dio non è un mistero di solitudine, ma di convivenza, di creatività, di conoscenza, di amore, di dare e ricevere; è per questo che noi siamo come siamo. 

Nella diocesi di Palestrina da pellegrini si va quasi tutti, non una volta sola nella vita, alla Santissima Trinità, un bellissimo santuario a 1400 mt. Durante il percorso si canta un inno che avrà almeno una trentina di strofe tentando di spiegare le tre persone divine;  quando cerchiamo attraverso la solidarietà di un cammino faticoso di portare alla Santissima le nostre pene, le nostre famiglie, i nostri pianti e le nostre gioie, stiamo facendo comunione tra noi come vuole la santissima Trinità, stiamo uscendo dai nostri gusci ben protetti e rinforzati per diventare per gli altri il sorriso e la forza di Dio, la sua carezza e il suo conforto.

04 Giugno
+Domenico

Grazie Signore dello Spirito Santo, e non farci mancare mai tua madre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,25-34)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Audio della riflessione

Muore Gesù, è una morte efferata, è un supplizio assurdo. È l’immagine di tutte le morti atroci, ingiuste, violente; è il bisogno di purificazione delle nostre tragiche condotte, la ricerca di una innocenza che abbiamo perduta.  

Lui arranca con quella croce sulle spalle per quelle strade distratte e piene di commerci della vecchia Gerusalemme, tra il fastidio della gente che viene disturbata nelle sue spese per la festa imminente. Tra poco chiudono i negozi, si entra nel grande sabato, occorre far presto, occorre far presto anche a uccidere un uomo innocente, perché sia finalmente chiusa la sua vicenda che ha già avuto troppa sopportazione da parte del potere. E Lui, solo, martoriato, fa il suo cammino, entra nella vita di un contadino ignaro che lo aiuta a portare il supplizio, nella compassione di una donna che gli deterge il viso, nel pianto delle mamme che rivivono le tragedie dei figli.  

Lo accompagna sua madre e un ragazzino che si era entusiasmato di Lui, della sua forza d’amore, del suo messaggio, Giovanni. Sognava ancora, ma gli stavano spegnendo i sogni nel pianto. Epperò resisteva. Lo vedrà morire, si sentirà donare l’ultimo affetto che il condannato a morte si teneva per affrontare il dolore: sua madre. Ecco tua madre. 

Signore abbiamo sempre bisogno di guardarti morire, ma dacci tua madre per avere una spalla su cui piangere e attendere la tua risurrezione, è il pegno che mentre muori, tu stai sempre con noi. Non solo, ma questa tua madre ci è necessaria perché nel tuo spirare, nelle ultime gocce di sangue e acqua tu fai nascere un altro grande regalo: la tua Chiesa e tua madre ci è necessaria perché ne è immediatamente la madre che sta lì sotto la croce e genera oltre che noi tuoi figli, anche la nostra madre chiesa.  

Lo Spirito ieri a Pentecoste ha riempito le nostre vite; purtroppo, di coraggio ne abbiamo troppo poco e non siamo capaci ancora di seguirti, abbiamo paura di noi stessi, dei nostri tradimenti, abbiamo paura dei tuoi nemici e ti ringraziamo che oggi ci doni ancora Maria che diventa per noi la madre di una chiesa colma di Spirito Santo e dei suoi doni.

29 Maggio
+Domenico