Il cuore fuori dal petto, squarciato

 Una riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 19, 31-37)


Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via.
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Audio della riflessione

Siamo in contemplazione di questa figura di Cristo, con il petto aperto, che offre il cuore sanguinante. Noi siamo abituati a vederla, l’abbiamo davanti agli occhi da quando eravamo bambini e non ci fa nessun effetto particolare. Chi non ha conoscenze religiose resta molto sorpreso. Che significa avere in evidenza un cuore così? Tutti gli innamorati sanno che il cuore è segno dell’amore, ma nessuno pensa di farsi rappresentare con un cuore fuori dal petto; piuttosto lo disegna sui bigliettini, sulle piante, sui banchi di scuola, sulle torte, su qualche T-shirt, sugli sms, sui tvtb.

Quel cuore ci richiama a una morte, a un fatto doloroso, crudo, ma altamente significativo come ci viene raccontato dal vangelo. Gesù è appena spirato dopo una lunga agonia su quella croce. È morto per i dolori atroci della flagellazione e della crocifissione, dell’abbandono e della solitudine. La causa fisica ultima della morte di un crocifisso è un soffocamento dovuto alla compressione dei polmoni che è inevitabile quando si resta appesi per le mani tenute fisse a un palo coi chiodi. Dice il vangelo che i soldati si meravigliarono che fosse morto così presto.

In genere il colpo di grazia era dato dallo spezzare le gambe ai crocifissi, così che non potessero più puntare sui piedi e riprendere respiro. Visto che Gesù era morto, vollero lo stesso sincerarsi della morte; hanno fatto le cose da professionisti; allora non avevano abitudini meno barbare, non erano in una cella da sedia elettrica con elettrodi che potessero mostrare il diagramma piatto. Gli hanno dato un colpo netto, magistrale, da intenditori al cuore, per sincerarsi che il motore della vita fosse bloccato e svuotato della linfa necessaria per dire di essere vivi: il sangue. Ne uscì sangue e acqua.

Quel cuore lacerato, svuotato, aperto, sanguinante è diventato il segno del dono fino all’ultima goccia di Gesù per gli uomini e giustamente allora ne è nata una contemplazione, uno sguardo amorevole e continuato del credente a quel cuore squarciato per avere sempre ben impresso negli occhi questo gesto estremo di amore. Questo è il Sacro cuore. Non si aspetta uno sguardo anatomico, ma una contemplazione di amore che si fa per noi sicura speranza.

La sua morte si porta dentro una esplosiva novità.

Una morte di cui vergognarci era stata la sua. Il primo giorno dopo il sabato ci sarebbero dovuti essere i funerali. Sarebbero stati funerali furtivi, in fretta, senza fanfare, senza autorità, senza medaglie al valore. Non sarebbero andati a seppellire un eroe, ma un uomo qualunque, sfortunato dicono gli amici, delinquente dicono le autorità.

Invece siamo costretti da un racconto molto particolareggiato a puntare gli occhi su un vuoto: una donna col cuore in gola lancia il primo urlo che squarcia la storia: là nella tomba non c’è più. Due uomini: il vecchio e il giovane, due vite distanti, ma legate da un amore appassionato, corrono. Pietro si stava ancora pentendo amaramente per non essere stato capace di condividere gli ultimi rantoli d’amore di Gesù. Aveva ancora gli occhi velati di pianto. Avrebbe voluto far ritornare indietro la storia, come capita sempre a tutti noi quando ci sentiamo pentiti per le idiozie che abbiamo compiuto; avrebbe voluto ritrovarsi ancora in quel cortile, rivedere quella serva e dirle: Quel Gesù di cui mi hai domandato, era mio amico. Non so se fosse veramente quello che diceva di essere, ma mi voleva bene.

L’altro il giovane, ancora non s’è reso ben conto di quello che è capitato. Lui è ancora ingenuo come tutti i giovani, crede che nella vita ci sia niente di definitivo, che si può sempre tornare indietro da tutte le decisioni e i fatti che capitano. Invece stanotte s’è trovato solo. La morte non è reversibile, lo schianto con l’automobile contro un palo non è un filmato da cui si può tornare indietro, quel corpo freddo che ha visto calare dalla croce mentre reggeva la mamma di Gesù, non è una fiction. Quell’urlo ha destato anche lui dal dolore e dall’incoscienza, lascia per un momento la custodia della madre e corre.

Mi par di vederli il vecchio e il giovane: uno che arranca e l’altro che morde il freno nell’impazienza, Pietro che finge di essere ancora forte e il giovane che finge di stancarsi per non mettere in imbarazzo; il vecchio con il peso della coscienza, il giovane con quello dell’incoscienza. I pensieri di Pietro per chiedere un’altra volta perdono: tu sai Gesù che io sono un carattere sanguigno, ho ancora voglia di spaccare il mondo, ma abbocco a tutto, soprattutto metto al centro ancora me; invece, ho capito che sei tu l’unico mio bene… I pensieri di Giovanni che chiedono come il giovane ricco: che devo fare per avere vita piena? Sono domande, colloqui restati in sospeso da una morte inaspettata.

La conclusione della corsa non è un podio per ricevere la medaglia: ma la fede. Giovanni vide e credette. Che cosa aveva visto? Una tomba nuova, con tutto quello che compone delicatamente e custodisce un cadavere, ma senza il corpo. Tutto è afflosciato su di sé, sul vuoto lasciato dalla sottrazione del cadavere. Non ha visto luci, non ha visto neon, non hanno notato candelieri; loro l’angelo non l’hanno visto; hanno solo visto il vuoto che parla di più di qualsiasi altro vuoto. Un vuoto inspiegabile. Giovanni l’ha capito solo per un flash di memoria di ciò che Gesù aveva detto ai loro distratti ascolti, che sarebbe cioè risuscitato dai morti.

E noi, da quella corsa nelle brume del giorno che nasce, abbiamo avuto la notizia che è finita la tristezza, che nel mondo c’è speranza vera, che la paura non ci imprigiona, che noi adulti e vecchi possiamo sperare perdono e i giovani possono sognare futuro, che Gesù è risorto

A quella morte è capitato qualcosa di inedito, già presente in quel cuore squarciato che oggi siamo ancora invitati a contemplare. In questa compresenza di crocifissione e risurrezione, in questo cuore squarciato ci sono tutti i drammi umani, tutte le ricerche, talora le sconfitte e le disperazioni, le debolezze e le piccole vittorie, le ansie e i martirii, la tenacia nella debolezza, la progettualità e l’accoglienza del dono. Diventa allora importante riuscire a strutturare la nostra vita di cristiani attorno all’esperienza di questo cuore donato fino alla morte e regalato vivo nella risurrezione e nello stesso tempo tradurre in linguaggi culturali comprensibili nella vita e nella società l’umanità nuova che il cristiano incarna nel vivere in sé e nel mondo delle sue relazioni la fede pasquale. Questa è la sorgente e il fondamento da cercare e la speranza da offrire.

07 Giugno – Solennità del Sacro Cuore di Gesù
+Domenico

Dacci tua madre

Riflessione sul Vangelo del giorno (Gv 19,25-34)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Audio della riflessione

Muore Gesù, è una morte efferata, è un supplizio assurdo. È l’immagine di tutte le morti atroci, ingiuste, violente; è il bisogno di purificazione delle nostre tragiche condotte, la ricerca di una innocenza che abbiamo perduta.  

Lui arranca con quella croce sulle spalle per quelle strade distratte e piene di commerci della vecchia Gerusalemme, tra il fastidio della gente che viene disturbata nelle sue spese per la festa imminente. Tra poco chiudono i negozi, si entra nel grande sabato, occorre far presto, occorre far presto anche a uccidere un uomo innocente, perché sia finalmente chiusa la sua vicenda che ha già avuto troppa sopportazione da parte del potere. E Lui, solo, martoriato, fa il suo cammino, entra nella vita di un contadino ignaro che lo aiuta a portare il supplizio, nella compassione di una donna che gli deterge il viso, nel pianto delle mamme che rivivono le tragedie dei figli.  

Lo accompagna sua madre e un ragazzino che si era entusiasmato di Lui, della sua forza d’amore, del suo messaggio, Giovanni. Sognava ancora, ma gli stavano spegnendo i sogni nel pianto. Epperò resisteva. Lo vedrà morire, si sentirà donare l’ultimo affetto che il condannato a morte si teneva per affrontare il dolore: sua madre. Ecco tua madre. 

Signore abbiamo sempre bisogno di guardarti morire, ma dacci tua madre per avere una spalla su cui piangere e attendere la tua risurrezione: è il segno che mentre muori, tu sei sempre con noi. Non solo, ma questa tua madre ci è necessaria perché nel tuo spirare, nelle ultime gocce di sangue e acqua tu fai nascere un altro grande regalo: la tua Chiesa e tua madre ci è necessaria perché ne è immediatamente la madre che sta lì sotto la croce e genera oltre che noi tuoi figli, anche la nostra madre chiesa.  

Abbiamo bisogno di incontrarci con Lei sempre, anche ad ogni Pentecoste, quando ancora di coraggio ne abbiamo troppo poco e non siamo capaci ancora di seguirti, abbiamo paura di noi stessi, dei nostri tradimenti, abbiamo paura dei tuoi nemici e Lei ci ha aiutato ad aspettare assieme il dono dello Spirito. È madre tua, ma daccela come madre della tua chiesa. 

20 Maggio – Memoria della B.V. Maria Madre della Chiesa
+Domenico

La mamma del Magnificat ha una spada nel petto

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-27)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!».
E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Audio della riflessione

Il dolore cercano di nasconderlo tutti, la morte pure, la malattia è una privacy assoluta. E’ anche un vero pudore, perché la sofferenza non è da mettere in piazza, ma spesso è mancanza di coraggio nell’affrontare i nostri mali. Vivere il dolore in compagnia è già una decisione di non soccombere. I cattolici hanno da sempre rappresentato davanti a sé il dolore. Ci hanno messo qualche secolo per poter contemplare il Crocifisso, ma oggi è al centro di ogni chiesa, è obbligatorio in ogni celebrazione eucaristica e le chiese dedicate alla Madonna Addolorata sono tante. Perché è importante contemplare in chi ci ha preceduto la sofferenza sopportata con coraggio e vinta per trovare e invocare forza per sopportare e vincere le nostre. 

Il vangelo ce ne dice solo una previsione, espressa da un vecchio saggio, il Calvario la riproduce dal vero. Quella lancia che avrebbe trafitto il cuore di Maria è già nella sua carne Il nostro sguardo al Calvario è sempre pieno di domande: Dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario. E la Madonna del magnificat è lì. C’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo. Ora sembra tutto sia finito. Lì sul Calvario ci sono tre sofferenze, tre cuori che si cercano tra due criminali e qualche militare: sono l’ultima casa impossibile che è rimasta alla speranza. Gesù sa che la mamma vien trafitta di dolore; non è da lui consolarla, perché Lui è la consolazione in persona e Maria con Lui sta alla croce per dire l’immenso amore di Dio per ciascuno di noi e ce la dona come mamma, perché quel dolore al suo cuore verrà continuamente riprodotto da tutte le nostre ingratitudini e tradimenti di figli E’ questo il testamento di Gesù, è questo che motiva la nostra festa. Noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di questo altare anche oggi c’è Maria che si sente dire da Gesù: sono tuoi figli e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete: qui c’è tua madre. E qui anche per Lei si rinnova il prodigio della vittoria di Gesù sul male. Il demonio, dice San Giovanni Crisostomo, ha perso con le sue stesse armi: la vergine, il legno e la morte. La vergine, era Eva, perché non si era ancora unita all’uomo ; il legno, era l’albero ; e la morte, la pena in cui era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva, Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo. Che si è trasformata in risurrezione.

15 Settembre
+Domenico

Grazie Signore dello Spirito Santo, e non farci mancare mai tua madre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,25-34)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Audio della riflessione

Muore Gesù, è una morte efferata, è un supplizio assurdo. È l’immagine di tutte le morti atroci, ingiuste, violente; è il bisogno di purificazione delle nostre tragiche condotte, la ricerca di una innocenza che abbiamo perduta.  

Lui arranca con quella croce sulle spalle per quelle strade distratte e piene di commerci della vecchia Gerusalemme, tra il fastidio della gente che viene disturbata nelle sue spese per la festa imminente. Tra poco chiudono i negozi, si entra nel grande sabato, occorre far presto, occorre far presto anche a uccidere un uomo innocente, perché sia finalmente chiusa la sua vicenda che ha già avuto troppa sopportazione da parte del potere. E Lui, solo, martoriato, fa il suo cammino, entra nella vita di un contadino ignaro che lo aiuta a portare il supplizio, nella compassione di una donna che gli deterge il viso, nel pianto delle mamme che rivivono le tragedie dei figli.  

Lo accompagna sua madre e un ragazzino che si era entusiasmato di Lui, della sua forza d’amore, del suo messaggio, Giovanni. Sognava ancora, ma gli stavano spegnendo i sogni nel pianto. Epperò resisteva. Lo vedrà morire, si sentirà donare l’ultimo affetto che il condannato a morte si teneva per affrontare il dolore: sua madre. Ecco tua madre. 

Signore abbiamo sempre bisogno di guardarti morire, ma dacci tua madre per avere una spalla su cui piangere e attendere la tua risurrezione, è il pegno che mentre muori, tu stai sempre con noi. Non solo, ma questa tua madre ci è necessaria perché nel tuo spirare, nelle ultime gocce di sangue e acqua tu fai nascere un altro grande regalo: la tua Chiesa e tua madre ci è necessaria perché ne è immediatamente la madre che sta lì sotto la croce e genera oltre che noi tuoi figli, anche la nostra madre chiesa.  

Lo Spirito ieri a Pentecoste ha riempito le nostre vite; purtroppo, di coraggio ne abbiamo troppo poco e non siamo capaci ancora di seguirti, abbiamo paura di noi stessi, dei nostri tradimenti, abbiamo paura dei tuoi nemici e ti ringraziamo che oggi ci doni ancora Maria che diventa per noi la madre di una chiesa colma di Spirito Santo e dei suoi doni.

29 Maggio
+Domenico

Gesù sa morire e vuole morire solo per amore

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 18,119,42)

In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato».  

Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua.

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 
 
Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 
   
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. 
  
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 
  
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. 
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. 

  
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». 

Audio della riflessione

È la croce il centro della nostra preghiera di stasera. È un legno incrociato con inchiodato l’uomo Gesù, il Figlio di Dio Gesù, l’uomo qualunque che viene sacrificato dagli egoismi umani, la persona torturata, disprezzata, uccisa per vendetta o per cattiveria pura, come anche in questi giorni la cronaca ci mette davanti. È la consapevolezza del dolore umano che resta sempre un grande mistero, anche se spesso la causa siamo proprio noi e lo sappiamo bene. 

Un supplizio mal tollerato da tutti in tutta la storia è al centro della nostra fede: la croce. È la croce su cui sono finiti i tanti martiri del cristianesimo, i nostri santi protettori fin dai tempi antichi, che durante la quaresima abbiamo ricordato, pregato e cercato di imitare. 

Muore Gesù: è una morte efferata, è un supplizio assurdo. È l’immagine di tutte le morti atroci, ingiuste, violente; è il bisogno di purificazione delle nostre tragiche condotte, la ricerca di una innocenza che abbiamo perduta.  

Lui arranca con quella croce sulle spalle per quelle strade distratte e piene di commerci della vecchia Gerusalemme, tra il fastidio della gente che viene disturbata nelle sue spese per la festa imminente. Tra poco chiudono i negozi, si entra nel grande sabato, occorre far presto, occorre far presto anche a uccidere un uomo innocente, perché sia finalmente chiusa la sua vicenda che ha già avuto troppa sopportazione da parte del potere. E Lui, solo, martoriato, fa il suo cammino, entra nella vita di un contadino ignaro, Simone di Cirene, il Cireneo, che lo aiuta a portare il supplizio, nella compassione di una donna che gli deterge il viso, nel pianto delle mamme che rivivono le tragedie dei figli.  

Lo accompagna sua madre e un ragazzo che si era entusiasmato di Lui, della sua forza d’amore, del suo messaggio, Giovanni. Sognava ancora, ma gli stavano spegnendo i sogni nel pianto. Epperò resisteva. Lo vedrà morire, si sentirà donare l’ultimo affetto che il condannato a morte si teneva per affrontare il dolore: sua madre. Figlio: Ecco tua madre. 

Signore abbiamo sempre bisogno di guardarti morire, ma dacci tua madre per avere una spalla su cui piangere e attendere la tua risurrezione, è il pegno che mentre muori, Dio non ci abbandona mai  

Di questa morte in croce ci restano alcune immagini che il vangelo ci ha ricordato. È un fatto doloroso, crudo, ma altamente significativo. Gesù è appena spirato dopo una lunga agonia su quella croce. È morto per i dolori atroci della flagellazione e della crocifissione, dell’abbandono e della solitudine. La causa fisica ultima della morte di un crocifisso è un soffocamento dovuto alla compressione dei polmoni per l’essere appeso per le mani tenute fisse a un palo coi chiodi. Dice il vangelo che i soldati si meravigliarono che fosse morto così presto.  

In genere il colpo di grazia era dato dallo spezzare le gambe ai crocifissi, così che non potessero più rialzarsi puntando sui piedi e riprendere respiro. Visto che Gesù era morto, vollero lo stesso sincerarsi della morte; hanno fatto le cose da professionisti; allora non avevano abitudini meno barbare, non erano in una cella della sedia elettrica con elettrodi e strumenti elettrici, che potessero mostrare il diagramma piatto. Gli hanno dato un colpo netto, magistrale, da intenditori al cuore, per sincerarsi che il motore della vita fosse bloccato e svuotato della linfa necessaria all’esistenza: il sangue. Ne uscì sangue e acqua. L’Eucaristia, diranno i padri della chiesa, e il battesimo 

Quel cuore lacerato, svuotato, aperto, sanguinante è diventato il segno del dono fino all’ultima goccia di Gesù per noi uomini e donne. Giustamente allora ne è nata una contemplazione, uno sguardo amorevole e continuato del credente a quel cuore squarciato per avere sempre ben impresso negli occhi questo gesto estremo di amore. Questo è il Sacro cuore. Non si aspetta uno sguardo anatomico, ma una contemplazione di amore che si fa per noi sicura speranza. 

In questo cuore squarciato ci sono tutti i drammi umani, la guerra della Russia contro l’Ucraina, i morti annegati nel mediterraneo, tutte le ricerche, talora le sconfitte e le disperazioni, le debolezze e le piccole vittorie, le ansie e i martirii, la tenacia nella debolezza, la progettualità e l’accoglienza del dono. Diventa allora importante riuscire a sagomare la vita del cristiano attorno all’esperienza di questo cuore donato fino alla morte, ma regalato vivo nella risurrezione.  A noi far vedere nella vita e nella società l’umanità nuova che il cristiano incarna nel vivere in sé e nel mondo delle sue relazioni questo centro della nostra fede pasquale. Questa è la sorgente e il fondamento da cercare e la speranza da offrire. 

7 Aprile
+Domenico

Non farci mancare mai tua madre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-34)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Audio della riflessione

E’ ancora molto diffuso nei nostri costumi sociali ricordare le persone che ci hanno dato la vita o che ce l’hanno segnata con la loro amicizia non solo quando addolorati siamo chiamati a partecipare ai riti di sepoltura, ma anche negli anniversari della morte. Oggi nella giornata dopo Pentecoste, che papa Francesco ha voluto dedicare a Maria, la madre di Gesù i cristiani ricordano gli ultimi istanti della vita di Gesù, in cui ci ha donato sua Madre e riflette ancora sulla sua morte in croce.

Il nostro sguardo al Calvario è sempre pieno di domande: Dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario. E la Madonna del magnificat è lì. C’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo. Ora sembra tutto sia finito.

Ma Gesù possiede ancora un tesoro prezioso, non si sente solo, ha ancora qualcosa, qualcuno da donare. Sente la dolcezza e la tragica dedizione di sua madre. E’ più solo invece Giovanni, nella sua giovinezza, nel suo slancio, nella sua ingenuità di sognatore: ha bisogno di una madre per non smettere di sognare vita e salvezza. Figlio ecco tua madre. Tua madre sta qui.

Quanto è confortante sentirti dire nelle tue tentazioni, nelle disillusioni, nelle solitudini, nelle scelte difficili che devi fare, quando non riesci a deciderti di fare della tua vita un dono a una persona come te, per sempre, senza tentennamenti, contro tutte le tentazioni di ritornare a casa tua… qui c’è tua madre. E’ ancor più bello sentirci sempre presentati a Lei, al suo amore materno quando siamo smarriti per malattie che ci travolgono con la sofferenza che producono, quando non abbiamo il coraggio di vendere tutto, darlo ai poveri e seguire radicalmente il Signore, quando nella nostra vita di giovani sposi non abbiamo più vino abbiamo perso la gioia della vita, crediamo di adattarci a vivere a pane e acqua e sentire Gesù dire a sua madre…, madre sono tuoi figli.

E’ questo il testamento di Gesù, noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di ogni altare, ogni volta che si celebra la messa c’è Maria che si sente dire da Gesù: saranno ingrati, non coerenti, ribelli…ma sono sempre tuoi figli e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete: qui c’è tua madre.

Signore abbiamo sempre bisogno di contemplarti morire, ma non toglierci tua madre perchè possiamo avere sempre una spalla su cui piangere, sappiamo che è forte come te, tu l’hai potuta godere tutta la tua giovinezza, dille di sostenerci in questa nostra disperazione con la forza del tuo Santo Spirito.

6 Giugno 2022
+Domenico

Il coraggio mancato

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,4-7) dalla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (Secondo Giovanni : Gv 18,1-19,42)

4 Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». 5 Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 6 Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». 7 Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

Audio della riflessione

Anche i cuori più duri, forse, oggi, alle tre del pomeriggio, possono fermarsi un istante per volgere lo sguardo a un innocente che muore.

La croce è un simbolo che oggi parla, perché guardiamo chi ci è disteso sopra: un uomo nudo, inerme, piagato, torturato senza pietàYoutube continua a proporre le scene strazianti, insopportabili, della flagellazione del film di Mel Gibson; molti pittori si sono cimentati a proporre questo uomo che muore, e noi abbiamo tutti in casa o al collo una croce: ci ha segnato la vita!

Oggi vogliamo guardarla con delicatezza, con affetto, con fede, almeno con rispetto …

C’è una gamma infinita di ruoli e di sentimenti che ci possono accostare a questo “uomo che muore” … il Vangelo ne mette in evidenza uno, quello di Pilato: l’uomo indeciso da cui dipende la vita di Gesù; l’uomo che tenta di dare ascolto a qualche buon sentimento, ma non gli importa niente della vita del Signore.

La nostra vita è fatta di tante belle intuizioni della verità, di nostalgie del bene, di “propositi” di generosità, di bontà, che non arrivano mai a destinazione. Perché siamo fragili, ci mancano idee forti, visioni chiare, consapevolezza di una nostra responsabilità, grinta e decisione.

Per me è innocente, se poi voi volete ucciderlo, fate pure, io non c’entro, me ne lavo le mani!”.

Pilato, tu non ci stai prendendo in giro: tu rappresenti tutti noi! Tu vedi il tuo interesse, vedi la tua coscienza e decidi di startene fuori, di non prenderti responsabilità! Non vuoi darti dolore per gli altri anche se dipendono da te: tu vuoi stare sempre a galla, non ti interessa di un poveraccio che ti ha aperto la mente, ti ha fatto nascere un desiderio di bene dentro, ti ha acceso una piccola speranza! Con questa hai tentato di opporti al male, ma ti sei subito arenato … come ci areniamo tutti noi.

E allora, lavati “ste maledette mani”, fa la commedia di chi crede di non avere responsabilità, ritirati nelle tue sicurezze! Una vita in più o in meno che vuol dire? Ti basta portare fuori la pelle, anche se la coscienza si farà sentire e non potrai avere pace finché non tornerai ad ascoltarla!

Noi che pure, purtroppo, ti abbiamo seguito in questo tradimento di Gesù, ci auguriamo di incrociare sempre quello stesso Gesù prima che sia troppo tardi, e in lui non troveremo nessuna traccia di odio, ma soltanto un amore che ci saprà dare ancora la sua pace.

15 Aprile 2022 – Venerdì Santo
+Domenico

Il suo è un cuore squarciato davvero, non un segnetto di amore

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 31-37)

Audio della riflessione

C’è una raffigurazione molto diffusa nelle nostre case, nelle chiese e sicuramente anche nel nostro immaginario: una figura di Cristo, con il petto aperto nel quale è messo in evidenza un cuore sanguinante. Noi siamo abituati a vederla, l’abbiamo davanti agli occhi da quando eravamo bambini e non ci fa nessun  effetto particolare. Chi non ha conoscenze religiose resta molto sorpreso. Che significa avere in evidenza un cuore così? Tutti gli innamorati sanno che il cuore è segno dell’amore, ma nessuno pensa di farsi rappresentare con un cuore fuori dal petto; piuttosto lo disegna sui bigliettini, sulle piante, sui banchi di scuola, sulle torte, su qualche T-shirt, sugli sms.

L’iconografia cristiana risale invece proprio a un fatto doloroso, crudo, ma altamente significativo come ci viene raccontato dal vangelo. Gesù è appena spirato dopo una lunga agonia su quella croce. E’ morto per i dolori atroci della flagellazione e della crocifissione, dell’abbandono e della solitudine. La causa fisica ultima della morte di un crocifisso è un soffocamento dovuto alla compressione dei polmoni per l’essere appeso per le mani tenute fisse a un palo coi chiodi. Dice il vangelo che i soldati si meravigliarono che fosse morto così presto.

In genere il colpo di grazia era dato dallo spezzare le gambe ai crocifissi, così che non potessero più rialzarsi puntando sui piedi e riprendere respiro. Gesù invece è morto prima per le atroci sofferenze inventate apposta per lui dai soldati. Visto che  era già morto, vollero lo stesso sincerarsi della morte; hanno fatto le cose da professionisti; allora non avevano abitudini meno barbare, non erano in una cella della sedia elettrica con elettrodi dai quali poter vedere su un  monitor il diagramma piatto. Gli hanno dato un colpo netto, magistrale, da intenditori  al cuore, per sincerarsi che il motore della vita fosse bloccato e svuotato della linfa necessaria della vita: il sangue. Ne uscì sangue e acqua.

Quel cuore lacerato, svuotato, aperto, sanguinante è diventato il segno del dono fino all’ultima goccia di Gesù per gli uomini e giustamente allora ne è nata una contemplazione, uno sguardo amorevole e continuato del credente a quel cuore squarciato per avere sempre ben impresso negli occhi questo gesto estremo di amore. Questo è il Sacro cuore. Non si aspetta uno sguardo anatomico, ma una contemplazione di amore che si fa per noi sicura speranza.

11 Giugno 2021
+Domenico

La condizione del cristiano alla luce della passione e risurrezione di Gesù secondo Giovanni (capitoli 18-21): L’arresto di Gesù ci insegna come essere sempre “soggetto” delle nostre azioni e “persona” nelle nostre relazioni.

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 1-11)

1 Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. 2 Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. 3 Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. 4 Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5 Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. 6 Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7 Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8 Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». 9 Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10 Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11 Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?».

Audio della riflessione

Descrizione storico-geografica (18,1)

«Dopo queste parole, Gesù uscì con i suoi discepoli» – abbiamo sentito; uscire è una parola chiave nel Vangelo di Giovanni: indica l’uscita dal Padre, richiama l’esodo stesso degli ebrei dall’Egitto, la stessa uscita di Abramo da Ur dei Caldei – come ha vissuto papa Francesco in questo ultimo viaggio in Iraq – uscire, insomma, indica un gesto sempre coraggioso, come tanti si debbono fare nella vita.

«… Al di là del torrente Cedron …», al di là delle acque – quindi – come attraversare le acque al di là del mar Rosso, o le acque del Giordano: queste acque delimitano una schiavitù e quindi andare al di là è uscire da una schiavitù, da un impedimento, per entrare e “gustare una libertà”.

«… dove c’era un giardino …» richiama immediatamente il giardino dell’Eden, del paradiso terrestre – come lo abbiamo chiamato noi a catechismo da bambini – dal quale l’uomo uscì per consumare il suo peccato di disobbedienza a Dio.

«… entrò lì con i suoi discepoli…» Gesù invece vi decide di rientrare: c’è una volontà di Dio da realizzare … anche qui vediamo che Gesù è sempre al centro del racconto, si parla solo di Lui. Giovanni descrive la tragicità di quello che sta capitando, non si ferma a dare descrizione dell’evento, ma attraverso di esso, va oltre, lo colloca in un panorama vasto come la vita dell’universo e di Dio.

  • Gli avversari (18,2-3)

«… Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché spesso Gesù vi aveva riunito i suoi discepoli …»; Giuda, un amore respinto, soffre dentro di sé delusioni d’amore, perché Cristo non è stato per lui quello che si immaginava di poter fare contro i romani oppressori, quindi  frustrante per la sua passionalità e ultimo motivo per il suo tradimento. Giuda conosce il luogo, riservato, segreto che rende più evidente il tradimento.

«… Giuda intanto era andato a cercare i soldati e le guardie, messe a disposizione dai capi dei sacerdoti e dai farisei », c’è quindi un gruppo di soldati romani agguerriti e di rappresentanti del mondo religioso: C’è insomma una coorte – come fa capire ancora meglio Matteo (Mt 26,47) – armati di spade e bastoni, e tutta la gamma delle inimicizie contro Gesù messe assieme dai sacerdoti del Tempio.

«… con lanterne e fiaccole »

Queste sono forse superflue perché era una notte di luna piena, ma indicano le tenebre da cui viene tutto il manipolo condotto da Giuda con le sue tenebre.

Non sono lanterne, la parola lampadon in greco non significa lucerne ad olio, per cui deve essere necessario averne un contenitore che fa da riserva e che si consuma bruciando (come del resto pensiamo avvenisse nell’episodio delle 10 vergini che aspettano lo sposo) ma dei bastoni preparati, spalmati a dovere da pece, da incendiare.

  • Gesù soggetto nel Giardino (18,4-7)

Gesù sapeva tutto quello che stava per accadergli. Perciò si fece avanti (esce) e disse: Chi cercate?

Gesù risponde ripetutamente: Io sono e con la luce della sua divinità appare nella pienezza della sua dignità. E’ lui il soggetto. E’ lui che va incontro ed è pienamente cosciente di quello che avviene e che ne consegue. La risposta del manipolo di gente è giusta, ma lui non si presenta tanto come il nazzareno, ma come il vero uomo Gesù nella pienezza della sua dignità di Figlio dell’uomo, di mandato dal Padre, di Figlio di Dio

Con le guardie c’era anche Giuda

Gv ci tiene a ricordare che c’è anche Giuda  per indicare la drammaticità di questo dialogo. Gesù è padrone della situazione (è lecito chiederci se questa descrizione è storica o simbolica; sta di fatto che è insegnamento del vangelo). E’ sempre Gesù che domina, Gv lo presenta sempre superiore agli eventi

  • Gesù conduce tutto l’arresto (Gv 8a)

Gesù domandò una seconda volta: Chi cercate?Quelli dissero Gesù di Nazareth

Ilverbo cercare non è parola a caso, come per dire che volete, che siete qui a fare….è la prima parola che Gesù dice agli apostoli, quando si sente seguito da due di loro, dopo l’indicazione del Battista: Ecco l’agnello di Dio. E’ un verbo di grande denità, che vuole obbligare chi lo cerca ad andare in profondità in questa ricerca. Non è certo la profondità di questa canaglia di gente, che cerca solo un uomo da ammazzare, uno che già hanno dovuto definire come delinquente, come mestatore di popoli. In pratica è come se Gesù dicesse: Cercate Dio o solo un uomo? Loro insistono sulla ricerca di un uomo vecchio. Non arriveranno mai a cercare il Figlio di Dio. Lo farà solo il centurione dopo averlo visto soffrire e morire. “Veramente costui era il Figlio di Dio!”

  •  Si preoccupa della salvezza degli apostoli (Gv 8b-9)

Gesù rispose: vi ho detto che sono io! Se cercate me, lasciate che gli altri se ne vadano. Con queste parole Gesù realizzava quello che aveva detto prima: nessuno di quelli che mi hai dato si è perduto

Nel massimo pericolo si preoccupa dei discepoli e del colloquio col Padre perché si adempisse la Parola del Padre

  • Il gesto di Simone (Gv 18,10-11)

Simon Pietro aveva una spada: la prese, colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Allora Gesù disse a Pietro: Metti via la tua spada! Bisogna che io beva il calice di dolore che il Padre mi ha preparato.

Pietro era armato, Gesù accettava che qualcuno fosse armato per i loro continui spostamenti in luoghi anche infestati da briganti (cfr il racconto del buon samaritano). Pietro colpisce per istinto secondo i principi di questo mondo. Gesù però riporta la reazione difensiva di Pietro oltre la violenza, vive sempre come persona in dialogo, non impulsivo, non smarrito, sempre come superiore alla dinamica degli  eventi e, anche qui, come soggetto che determina o almeno guida la sua passione.

Se avete badato il vangelo di Giovanni non dice niente qui della agonia di Gesù nell’orto, niente sui discepoli, sullo stesso bacio di Giuda, non c’è la distinzione di Marco dei tre tipi di discepoli. Qui Gesù non viene legato subito e questo avverrà dopo il versetto Gv18,12

Proviamo ora a riflettere su queste informazioni che ci hanno reso più consapevoli di chi è Gesù e di come si comporta.

Gesù non trasforma i fatti, ma li trasfigura. Ciascuno di noi nella sua vita non è solo un esecutore di cose che gli capitano, ma può tra-passare, andare oltre le tragedie umane, essere veramente lui il soggetto della sua vita, tenerla sempre in mano, non lasciarsi mai vivere, abbandonare tutto a quel che capita. Ci possiamo fare qualche domanda:

 Questa pandemia la devo subire solo o posso affrontarla con la mia dignità di persona? La perdita di lavoro o di qualche persona cara è tutto quello che posso pensare o c’è una capacità mia di non subire, ma di accogliere e collocare su un piano mio personale, del mio modo di vivere, dei miei progetti di vita e non perdere  proprio il fatto che sono io che li vive, non che li subisce? Facciamoci aiutare dai grandi simboli di Giovanni per rifletterci sopra e applicarli alla nostra vita:

  1. uscire, come esodo e atto di coraggio, cambiare modo di vivere…Da che cosa devo uscire che mi trattiene? Ho coraggio di lasciare vizi, abitudini da schiavo, situazioni incallite che fanno male a me e agli altri?
  2. entrare nel giardino significa nella terra promessa, aprirsi al futuro di Dio. Che futuro ha Dio per me? C’è una palude della mia vita di affetti, di relazioni, di rapporti che devo lasciare per entrare in un futuro diverso come Dio me lo fa capire?
  3. andare al di là delle acque, superando le schiavitù. Quali sono le acque che mi imprigionano nei miei vizi o peccati o balordaggini o atti che fanno male a me, ai miei familiari…?
  4. ricerca dell’uomo: che uomo cercate? Quello smarrito o l’uomo nuovo? Che uomo cerco in Gesù? Quando cerco qualcuno/a, ho la consapevolezza di una novità che  mi si può rivelare o ho già preparato una casella in cui imprigionarlo o imprigionarla? La mia ricerca affettiva è aperta, permette che mi cambi o l’ho già asservita al mio modo di essere, di pensare, ai miei buchi che deve riempire?

Come riesco a stare con Gesù nelle mie prove?

Sono soggetto, mi prendo in mano la vita?

Sono persona, rimango in dialogo con la vita, le persone, il prossimo?

Rivediamo gli atteggiamenti di Gesù e come è sempre stato lui il soggetto degli avvenimenti.

Gesù è sempre soggetto e persona  nella passione, morte e risurrezione

Contempliamo la Trinità nella croce di Gesù e come si configura la condizione della persona alla luce della narrazione evangelica della Passione, morte e risurrezione di Gesù dell’apostolo Giovanni.

Appoggiamo tutte le nostre riflessioni su un principio base.

Gv 3, 16 Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chi crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna

Sviluppiamo questo principio a partire dal Gv 13, 1-3

1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. 2Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava .

Questo “sapendo” espresso due volte così ravvicinate ci dice che Gesù conosce tutto quello che andrà a capitargli in questa dolorosa e cruenta conclusione della sua missione per la nostra salvezza e ci permette di essere sicuri

  • della conoscenza di Gesù del suo futuro
  • della coscienza che la sua ora è giunta e che ha tutto nelle sue mani
  • della percezione degli ostacoli che incombono
  • della decisione interiore “li amò sino alla fine”

Questa non è coscienza che si è improvvisata solo al momento della sua passione e morte, ma è maturata durante tutta la sua vita entro un contesto più ampio

  1. La sua consapevolezza di essere il buon pastore (cfr Gv10, 10-11. 15. 17-18)
  2. La sua concezione di amicizia (Gv 15, 13ss)
  3. Un contesto profetico: dice di Lui il sommo sacerdote Caifa cfr (Gv 11.50)
  4. Un contesto estatico cfr Gv 12,25 
  5. Un contesto eucaristico cfr Gv 6,51

In questi testi della scrittura Gesù appare, si staglia, come soggetto e persona

  1. soggetto

Gesù tiene in mano la propria vita come totalità, in una visione unitaria sia tra i vari momenti, come nella loro sequenza; dalla nascita alla giovinezza a Nazareth, alla vita pubblica, alla sua predicazione, ai conflitti con gli scribi e i farisei, alla passione , morte e risurrezione. Noi invece viviamo la vita fatta di pezzi; piuttosto staccata e al massimo incollata. C’è stata un infanzia, una adolescenza, un periodo di studi medi, una scelta vocazionale, la decisione, una serie di esperienze o incarichi o mansioni o responsabilità, una vita adulta e ora magari la pensione… tutti elementi staccati, o accostati. Occorre invece prendere ogni pezzo della nostra vita farne una sintesi e unirla a quello che ci aspettiamo, la nostra morte o meglio il nostro ritorno a Dio. La vita e la morte come un insieme che ci è dato da Dio. Prendere in mano la nostra vita come totalità e offrirla a Dio. Siamo creati da Dio e siamo sempre nelle sue mani in senso passivo e in senso attivo. Siamo spesso disturbati da morti violente, inaspettate, magari da incidenti e ci domandiamo spesso: che senso ha? Ricordo il mio incidente quasi mortale con 17 giorni di coma. Al risveglio la cosa che mi ha fatto più male era che sarei potuto morire senza aver avuto una visione intera, unita di tutta la mia vita, senza aver mai fatto una sintesi. Il senso del vivere lo capiamo forse un poco di più se guardiamo con totalità sia la vita che la morte, accogliamo anche l’eternità che è la nostra destinazione. Contempliamo un poco più spesso Gesù soggetto delle sue azioni che accoglie tutte dal Padre. Fino a che punto viviamo come soggetti della nostra esistenza?

  • Persona

La persona si qualifica soprattutto come luogo di relazioni, come soggetto che si apre agli altri. Diceva un rabbino che il Giordano è un fiume che forma due laghi: uno vivo e l’altro morto. Il primo è quello di Tiberiade in cui entra acqua e ne esce: è vivo; riceve e dona, il secondo è il mar morto che riceve soltanto e quindi muore.

Gesù è totalmente persona: prende dal Padre e dona, riceve con gratitudine e dona con gratuità. La legge del dare la vita è principio generale per guardare alla vita, è interpretativo dell’esistenza umana, la condizione dell’essere uomo e dell’essere cristiano.

Sa guardare alla sua vita con totalità

Gesù ha una legge dentro di sè che è quella del dare la vita; nel suo modo di guardare alla vita ha questo principio interpretativo dell’esistenza.

Un grande compito di Gesù è quello di essere  rivelatore del Padre, ma è pure colui che dà la vita per bere il calice del Padre; dà la vita per noi, in nostro favore o al posto di noi. Cose che vanno assieme.

Ci nasce allora un rendimento di grazie a Dio perché La nostra fede ci dice  (2Cor 4-16) che l’esteriore si corrompe, ma l’interiore si rinnova di giorno in giorno e così sarò ancora di più quando mi affiderò nella mia morte al Padre. Scambio reciproco di dare e avere come persone, che è anche causa di sofferenza a causa del peccato.

Ma Gesù è anche colui che dà la vita “per noi” e “in favore”, al posto di noi, come Caifa disse di Gesù, (cfr Gv11, 50-52)“Voi non capite nulla 50e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. 51Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione 52e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

E’ questa decisione per noi che dà gioia, senso  e speranza alla nostra vita. Possiamo ringraziare Dio perché se ci riferiamo a chi vive alla giornata, se ci paragoniamo con coloro che non hanno speranza, che vivono in balia del caso, che non mettono pensiero al come e perché vivono, a noi è dato con Gesù di cogliere l’insieme della nostra esistenza. compresa la stessa decadenza e questo ci rivela il senso dell’esistenza intera. Qui possiamo utilmente e bene riferirci anche a quanto dice san Paolo che interpreta la vita, la morte e la passione di Gesù cfr (2 Cor 4, 16)

16Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. 17Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, 18perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.

Il senso della nostra decadenza, della fine, della morte è momento dell’atto supremo di abbandono nelle braccia del Padre e questo ci permette di vivere con gratitudine, anche se sperimentiamo sofferenza, la nostra soggettività, l’essere soggetto sempre della nostra esistenza e persona nella nostra vita.

Appendice

Gesù  è rivelatore del Padre

Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio unico di Dio, quello che è sempre vicino al Padre, ce l’ha fatto conoscere (Gv 1,18)

Nessuno però ha visto il Padre, se non il Figlio che viene dal Padre. Egli ha visto il Padre (Gv 6,46)

“Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? (Gv14,9-10)

6Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato (Gv 17,6-8)

PS

Cfr Raymond Brown, La morte del messia. (atteggiamento di Gesù nella narrazione della passione in Giovanni pg 54ss.) Ed Queriniana

L’arresto di Gesù

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 1-11)

1Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. 2Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. 3Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. 4Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”. 5Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io!”. Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. 8Gesù replicò: “Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. 9Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato“. 10Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote egli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?”.

  • La sua consapevolezza di essere il buon pastore (cfr Gv10, 10-11. 15. 17-18)

11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore… 17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.

E’ un eccesso di rapporto con le pecore, non è una prassi dei pastori, perciò è una sua volontà precisa

  • La sua concezione di amicizia (Gv 15, 13ss)

13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perchè il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perchè tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.

E’ una consapevolezza precisa della missione che ha accettato dal Padre e che va a realizzare fino alle sue ultime conseguenze.

  • Un contesto profetico: dice di Lui il sommo sacerdote Caifa cfr (Gv 11.50)

“Voi non capite nulla 50e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. 51Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione 52e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

Che poi è richiamato  più avanti in Gv 18,14“Voi non capite nulla 50e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. 51Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione 52e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

  • Un contesto estatico cfr Gv 12,25 

25Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.

E’ un dato di fatto scritto dentro la dimensione umana dell’esistenza proiettata sul suo futuro.

  1. Un contesto eucaristico cfr Gv 6,51

 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Gesù entra nella sua passione con questa conoscenza e coscienza, quindi è padrone degli eventi; è lui che si fa arrestare, non lo arrestano; è lui che giudica, non è giudicato; è lui che accetta la morte e muore, non è ucciso.

Questa figura di Gesù che si staglia dignitoso nella sua passione conoscendo quello che gli capita, e avendone una precisa coscienza, è presente anche nei sinottici

Mc 8, 31 Poi Gesù rivolto ai discepoli, cominciò a dire chiaramente: il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto… lo condanneranno; egli sarà ucciso…ma dopo tre giorni risorgerà

Lc 9, 30-31  durante la Trasfigurazione con Mosè e Elia: Essi parlavano con Gesù del modo con il quale egli avrebbe concluso la sua missione in Gerusalemme

Chi fa compagnia al crocifisso riceve sempre in dono sua Madre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-27)

Audio della riflessione

Ieri abbiamo contemplato il Crocifisso, oggi contempliamo sua madre che sta ai piedi di questo crocifisso, che è suo figlio: un coraggio unico, una maternità tutta avvolta nella partecipazione al presente e al futuro del Figlio. Tante mamme sono state colpite dalla morte del proprio figlio e tutte si sarebbero volentieri sostituite al figlio nella morte.

La nostra contemplazione si riempie di domande: dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario.

E la Madonna del magnificat è lì: c’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo … ora sembra tutto finito e buttato.

C’è Gesù che possiede ancora un tesoro prezioso, non si sente solo, ha ancora qualcosa, sente la dolcezza e la tragica dedizione di sua madre.

E’ più solo invece Giovanni, nella sua giovinezza, nel suo slancio, nella sua ingenuità di sognatore: ha bisogno di una madre per non smettere di sognare vita e salvezza … e Gesù si rivolge a lui: “Figlio ecco tua madre, tua madre sta qui.”

Quanto è confortante sentirti dire: qui c’è tua madre.

Quando la nostra croce o quella che vediamo sulle spalle degli altri  risulta troppo pesante, guarda che qui c’è tua madre;

Se la tentazione è forte, qui c’è tua madre;

Se la disillusione è dolorosa, qui c’è tua madre;

Se la solitudine è insopportabile e l’incomprensione ti disorienta, guarda che qui c’è tua madre;

Se la scelta del tuo futuro è difficile e lo vedi oscurato, qui c’è tua madre;

Se la fame e l’ingiustizia, la paura e la violenza minacciano di spegnerti la speranza, qui c’è tua madre;

Se i tuoi occhi non scorgono più la bellezza della vita, qui c’è tua madre;

Se la guerra ti toglie anche l’ultima illusione di un mondo nuovo, qui c’è tua madre;

Se l’incanto del virtuale ti distrae dalla vita vera e te la deforma, qui c’è tua madre;

Se non riesci a deciderti di fare della tua vita un dono a una persona come te, per sempre, senza tentennamenti, contro tutte le tentazioni di ritornare a casa tua, qui c’è tua madre.

Maria è una grande consolazione, è una certezza, è un rifugio sicuro, è un punto di riferimento, è un approdo.

Ma Gesù non ha ancora terminato di offrire pace e salvezza, ha un desiderio da esprimere a sua madre: “donna, ecco tuo figlio”. E’ una preghiera a sua madre per Giovanni, per ogni giovane, per ogni persona che si è trovata travolta nella sofferenza, malati, anziani, positivi a una pandemia, incidentati e sbalzati da una moto, assassinati in attentati e guerre.

Lui conosce ogni smarrimento di ciascuno di noi e ci affida a sua madre, conosce la superficialità che ci tenta tutti e dice: questi, così come sono, anche se sono disgraziati, sono tuoi figli.

Quando non riescono ad ascoltare il Signore nel silenzio della preghiera e ad accoglierlo nella sofferenza, madre sono tuoi figli;

Quando non hanno il coraggio di vendere tutto, darlo ai poveri e seguire radicalmente il Signore, madre sono sempre tuoi figli;

Quando si lasciano smarrire nei meandri della droga, della delinquenza, dello sballo, madre sono tuoi figli;

Quando si sposano e tentano di costruirsi un futuro e non sono capaci di amarsi, madre sono tuoi figli;

Quando nella loro vita di giovani sposi non hanno più vino, non sanno più sorridere, hanno perso la gioia della vita, credono di adattarsi a vivere a pane e acqua, madre sono tuoi figli;

Quando per la malattia che li tormenta non riescono a sorridere, madre sono tuoi figli;

E’ questo il testamento di Gesù, è questo che motiva la contemplazione dell’Addolorata: noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni Messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di ogni altare anche oggi c’è Maria che si sente dire da Gesù “sono tuoi figli”, e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete “qui c’è tua madre”.

Oggi ogni sguardo al Crocifisso deve richiamarci la dolcezza di Maria, il testamento di Gesù per noi.

15 Settembre 2020
+Domenico