Piangere si è costretti dal dolore, ma si può anche piangere di gioia

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-2.11-18)

Lettura dal Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Audio della riflessione

Il pianto è esperienza comune degli uomini: è commozione, è gioia, è dolore, è sfogo, è spesso anche rabbia e desolazione, è il nostro essere che si libera dai sentimenti forti che prova e che si porta dentro.

Le lacrime sono anche un dono: sono la capacità di vincere la durezza del cuore per farci umani, comprensivi, veri, anche liberi … spesso occorre chiedere la grazia delle lacrime per offrire a noi stessi la capacità di partecipazione umana a quel che ci capita.

Dice il Vangelo che chi piange dopo la risurrezione di Gesù è una donna, che lo aveva seguito, l’aveva ascoltato, cui deve la serenità ritrovata della sua vita: era stata liberata da sette demoni, da allora aveva ricominciato a vivere libera, serena, socievole … era diventata se stessa, non doveva più soggiacere a potenze maligne che la abitavano e la espropriavano della sua identità, dei suoi sentimenti, delle sue relazioni. Gesù l’aveva ridonata alla socialità. E lei l’aveva seguito, non l’aveva più abbandonato; l’aveva annunciato a tutti il mattino, aveva ridestato dal torpore e dall’adattamento gli apostoli; quel primo giorno dopo il sabato era stata lei a ridare speranza a tutti

Là il corpo non c’è più. Nella sua semplicità pensava solo di poterlo abbracciare cadavere, non era ancora riuscita a entrare nel mistero vero di Gesù, che le aveva cacciato i demoni. Sapeva che era molto di più: aveva detto che Lui era il vivente, il Signore della storia e non poteva adattarsi ad essere prigioniero di un cadavere.

Da qui il pianto sconsolato, ma anche il bellissimo dialogo con Gesù. Si sente chiamare con il suo nome: Maria. Quanto ti fa piacere sentirti chiamare per nome, sapere che qualcuno ti conosce, ti parla, ti tira  fuori dalla tua solitudine, ti significa col tono della voce che ti desidera, ti ama, ti vuole bene.

E Maria sentendosi chiamare non può non ritrovare in quella voce il suo maestro. Rabbunì, tu mi hai insegnato di nuovo a vivere, io sono ancora qui, ti pensavo perso per sempre, perchè non ti avevo creduto. Ora so che sei tutta la mia vita non solo quella passata, ma anche la vita futura, soprattutto quella che oggi mi doni e che annuncerò a tutti. E la Maddalena divenne per tutti noi l’annuncio che Dio in Gesù risorto non ci abbandona mai.

Ciascuno di noi vive o passa da una qualche sofferenza nella sua vita, ha il suo venerdì santo, non è il famoso venerdì nero delle borse con cui tanto ci riempiono la testa, è qualcosa di più doloroso, perché ci mette a confronto con la vita, con la morte, con il dolore, con il non senso, con il non capire quello che ci capita, con tanti perché popolano la nostra vita. Permettetemi che mi riferisca alla mia esperienza di dolore dopo quella misteriosa caduta dell’anno scorso. Ti assale il dubbio, lo sconforto, il non capire, il pianto, l’angoscia. Ti fai tante domande e non trovi risposta, tanti perchè che alla fine non hanno senso. Poi si fa spazio lentamente una attesa, una debole speranza, un pensiero di abbandono in Dio, una tenace forza che ti lega alla vita. Smetti di piangere, ti senti chiamare da Gesù: perché piangi? Credi che io ti abbia abbandonato?

E’ la bella esperienza di Maria Maddalena, che non ha avuto paura o vergogna di piangere la mancanza del suo Signore, l’assenza della vita piena che le era stata tolta dagli occhi, ma che ha avuto nel cuore la speranza di attendere, la tenacia di una certezza che si era costruita nel cuore nella sua contemplazione amorevole che aveva avuto sempre per Gesù, finchè il Signore le si rivela.

E’ un dono che si sente di non meritare, soprattutto di non tenere solo per sé. E’ così che diventa annunciatrice di vita nuova, di speranza, di certezza  che la croce finisce e esplode nella risurrezione. Lo dirà a tutti, riempirà i vicoli addormentati di Gerusalemme e attraverso il vangelo farà giungere a noi quel grido, quella certezza che ancora oggi consola i nostri dolori, fa rinascere la nostra fede e dà forza a chi giace nel letto del dolore. Santa Maria Maddalena, stacci vicina nel dolore e continua a dirci che il Signore è risorto, è la nostra vera risurrezione.

22 Luglio 2024
+Domenico

La fede piena di Tommaso: Mio Signore e mio Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 24-29)

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Audio della rifessione

 Voglio vedere, voglio toccare, voglio esserci anch’io. Il desiderio di sperimentare, di verificare, di dare la propria adesione usando un minimo di intelligenza nobilita la persona. Oggi purtroppo stiamo abboccando a tutto. Stiamo facendo risorgere i maghi, buttiamo soldi per far leggere le carte, ci vogliamo fare accarezzare gli orecchi dai pronostici e dagli oroscopi. Anziché usare l’intelligenza chiamiamo ricerca il sentirci dire quello che ci piace. Basta una bufala ben costruita, una buona pubblicità che tutti siamo in fila a spendere o a provare.

Tommaso non era di questo tipo, lui Gesù morto, senza vita, dolorante fino allo spasimo lo aveva visto su quella croce e che nessuno venga a dirgli che è vivo. I colpi dei chiodi li ha ancora negli orecchi, lui non si può togliere dall’anima quel grido disperato di Gesù, quel rantolo di morte

 Ma lo abbiamo visto vivo, gli dicono gli amici, lo abbiamo incontrato con una forza e un desiderio di comunicare con noi che non ricordavamo più, meglio ancora della prima volta che ci aveva stregati sulle rive del lago.

Io non ci credo per niente se non vedo, non tocco, non sento, non lo stringo tra le mie braccia. Quei buchi dei chiodi li voglio turare con le mie dita, quella ferita di morte al cuore la voglio coprire con la mia mano. 

La risurrezione è un avvenimento strettamente soprannaturale, e come dice espressamente Matteo “alcuni di essi dubitavano” e Giovanni mette in evidenza l’apostolo Tommaso, paradigma di colui che esige prove. Questa scena dell’apparizione di Gesù a tutti gli apostoli compreso Tommaso è importante perché è il punto di passaggio dalla visione alla testimonianza. Si apre il tempo della Chiesa

Da quel momento in poi credente è chi superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto. Al tempo di Gesù visione e fede erano abbinate, ma ora nel tempo della Chiesa, la visione non può più essere pretesa: basta la testimonianza apostolica. Questo dice la beatitudine di Gesù: beati quelli che han creduto senza aver veduto.  Il che non vuol dire che ora il credente non possa fare nessuna esperienza del Risorto; lo sono la gioia, la pace, il perdono dei peccati, la presenza dello Spirito. Ma la storia di Gesù deve essere accettata per testimonianza.

Tommaso ha conosciuto il dubbio, ma questo non gli ha impedito di giungere primo fra gli apostoli  a una fede piena: Mio Signore e mio Dio. Fede piena, dico io, che forse tutti gli apostoli ancora non avevano, pur avendo visto Gesù. L’esperienza apostolica risulta di due  elementi: la visione storica (non più ripetibile) e la comunione di fede (sempre vivibile e attuale).

3 Luglio 2024
+Domenico

Soffriamo astinenza da fede

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Certe feste vorremmo che non finissero mai … è la festa di matrimonio, è la festa di una prima messa, è la festa di una nuova nascita … è stata attesa, preparata a lungo e quando giunge sembra debba chiudersi in un baleno: l’attesa alla velocità del suono, la festa alla velocità della luce, come i momenti di felicità della nostra vita … 

… ebbene, il Vangelo: la liturgia in questa settimana ci ha prolungato la festa di Pasqua, per noi oggi è ancora Pasqua e Giovanni ci aiuta a porre la nostra fede in parallelo con gli avvenimenti di quella giornata interminabile, piena di sorprese: era iniziata con una notizia sconvolgente, si era prolungata in corse, constatazioni, meraviglie, emozioni, esperienze … ora il gruppetto degli apostoli tira le somme, si ritrova nella Santa Sion, in questo luogo che tramite l’interessamento di Gesù era diventato il luogo in cui questo gruppo sparuto di Galilei si erano rifugiati per la Pasqua … e arriva Gesù: pace a voi

Dona loro la pace, la massima aspirazione dell’uomo della terra! 

E oggi ci rendiamo conto quanto la guerra ci intorbida le coscienze, ci imbroglia i pensieri, fa soffrire innocenti, scatena odi e ritorsioni.

Un compito ci dobbiamo dare anche oggi: supplicare Dio che ci dia la pace! Noi siamo capaci solo di fare gli interventisti o i non interventisti se Lui non ci cambia il cuore.

Credo che oggi come cristiani siamo anche chiamati a una grande responsabilità: noi costruiamo armi, noi non vorremmo che il nostro benessere fosse dovuto alla morte dei bambini come lo è stato per tanti anni con le mine fabbricate in Italia.

Siamo davanti a Dio a supplicarlo di farci capire il dono della pace, di aiutarci a cambiare il cuore, a ritenerci tutti responsabili di questo grande male che c’è nel mondo. 

L’altra grande parola che dice Gesù è il dono dello Spirito per rimettere i nostri peccati. 

Sappiamo quanto è dono togliersi dal cuore il male che abbiamo fatto: Ci possiamo ubriacare, drogare, ma la coscienza pulita è un’altra cosa.

Solo Dio col suo perdono può davvero mettere una pietra sopra il nostro passato! Può riportarci alla innocenza primitiva, e questo lo ha dato alla Chiesa: abbiamo tutti provato questa gioia confessandoci a Pasqua!

I cristiani oggi stanno dimenticandosi di avere bisogno del perdono e assillano gli studi degli psichiatri o degli psicologi: è Gesù solo che ci può dare la pace del cuore!

Certe nostre inquietudini non sono di origine psicologica, sono consapevolezza di un male più grande di noi: occorre curarsi se si è ammalati, ma spesso la nostra malattia è spirituale.

Diceva il sociologo Andreoli: i giovani sono in crisi di astinenza da fede … “Perché sono così inquieto nella mia vita? Perché sono sempre infelice? Come mai sono sempre arrabbiato con tutti, sono cattivo dentro?”.

Ti sei mai chiesto che posto ha Dio nella tua vita?

Se l’hai buttato fuori che felicità speri, se è solo lui la pace e la felicità?

7 Aprile 2024
+Domenico

La grande vittoria sulla morte

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,11-18)

In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Màgdala andò subito ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Audio della riflessione.

Morto proprio, senza più niente da fare. Discesa agli inferi dicono le sacre scritture. Partito, non ci sta più. Non è una sospensione, un momento di apnea dell’esistenza. La vita umana è chiusa. Non c’è più niente di quello che si può chiamare vita. È la sensazione che hai quando sei davanti al corpo senza vita di un amico con cui fino a un’ora prima hai giocato, ballato, sballato e bevuto. 

Le donne, che accompagnavano Gesù, ne sono pienamente convinte tanto che stanno a calcolare quanti chili di aromi sono necessari per fissarlo in questa immobilità, perché anche questo corpo senza vita presto marcirà e sarà insopportabile da vedere. Guardando quel corpo disarticolato ti passa subito la sbornia e ti svegli senza un senso comprensibile. Non c’è più. È finito un pezzo della tua vita e tutto il pezzo intero della sua 

Domani sarà senza lui, senza lei. Non ci posso credere! Non ci sono altri modi di pensare, di sperare. Ogni tanto ti distrai, perché chi ti accosta ti offre la sua amicizia, i suoi sentimenti, ti tocca, ti sta vicino, ti distoglie. Ma ripiombi subito nella realtà. Non c’è più. 

È possibile una trasgressione anche qui? È possibile andare contro, buttare all’aria tutto, andarsene, rompere come ha fatto con la legge, come ho fatto coi miei genitori, come ho fatto quella volta che ho mandato al diavolo il mio datore di lavoro che mi pagava anche bene, ma sempre in nero e con una catena girata tre volte attorno alla mia vita, ai miei sentimenti, schiavo nelle idee, provocato sempre a dire che aveva ragione, anche se non la si vedeva nemmeno col cannocchiale. 

Ho avuto la forza di rompere le catene e ho ritrovato la libertà anche se di un pollaio, sempre meglio che strisciare e consumare la lingua a leccare. È possibile ribellarmi a questa morte, scriverne la condanna, disposto a pagare tutti i costi; so pagare per quel che voglio e mi dà gioia. 

Lui, Gesù ha potuto. Il punto più alto della sua trasgressione, del far scoppiare l’universo intero nelle sue sicurezze, dell’incendiare e far saltare in aria tutti gli apparati di morte degli uomini lui l’ha raggiunto. Ha minato il Pentagono, ha minato tutti gli eserciti, ha minato gli arsenali, le armi intelligenti e quelle stupide, ma sempre troppe, e ha vinto. La risurrezione è la sua trasgressione più grande. Ha spuntato le armi alla morte, all’odio. Un dono “insperato” del Padre, un cambiamento radicale della creazione dell’universo e dell’uomo, della vita e della storia. È risorto. 

Non è un fantasma, una sorta di presenza da x-file. Non è la forza del ricordo. Non è un morto ritornato in vita. Lazzaro ci ha sorpreso, ma ha spostato solo la data della sua morte. 

Lui, Gesù, c’è ed è in vita, una vita nuova piena, inedita: quella di prima tutta in carne, pelle, ossa, corpo e sentimenti, sguardi e affetti, ma radicalmente nuova, inserita in una esplosiva novità. È un modello nuovo di vivente, l’apice cui doveva giungere la vita umana, da quando Dio l’aveva creata. Ed è vita definitiva per tutti noi.

02 Aprile
+Domenico

La prima domenica della storia

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Audio della riflessione.

Vi sarà capitato qualche volta di alzarvi presto la mattina della domenica. Sembra un altro mondo: tutto tace, non c’è traffico le saracinesche dei bar sono ancora abbassate, anzi fai fatica a trovarti un caffè da bere. La notte prima s’è fatto tardi, è festa si può riposare di più, si interrompe il lavoro, si respira un’altra aria. Doveva essere una mattina strana anche quel primo giorno dopo il sabato, ancora feriale per lo sparuto numero di seguaci di Cristo che si erano rifugiati senza speranze, delusi e tristi dopo il dramma dell’esecuzione efferata di Gesù.  

Ricominciava la settimana, ma non per loro. Per loro continuava la disperazione ma non ancora per molto: presto quel primo giorno dopo il sabato cambierà nome, si chiamerà domenica; da giorno del pianto diventerà giorno di festa. Capiterà qualcosa che avrà la forza straordinaria di spostare nella comunità degli uomini il giorno stesso della festa settimanale, cambierà una tradizione di secoli, proprio in un popolo che per conservare la tradizione si faceva perfino ammazzare. 

Ebbene quel mattino è caratterizzato da gente che corre. Corre Maria di Magdala sconvolta, dopo che con calma si era recata al sepolcro continuando la tradizione di vestale del pianto, di custode del dolore e di ultimo grembo di un cadavere. Non c’è più da piangere, da dolersi, da imbalsamare, da fissare pietosamente nella morte nessun corpo martoriato. Lui non c’è più, la tomba è vuota. 

Corrono nel senso opposto Pietro e Giovanni. Pietro appesantito dagli anni e forse più dal dolore e dalla disperazione, Giovanni più giovane più agile, più cocciuto, più ingenuo, innamorato perso. 

La constatazione è uguale, anzi ancora più meticolosa. Non solo è ribaltata la grossa pietra, ma il sudario, il lenzuolo, le bende che avevano frettolosamente ricoperto quel corpo dilaniato in maniera efferata sono adagiate in forma strana, come se il corpo che contenevano se ne sia sottratto e il lenzuolo sia ricaduto su sé stesso, vuoto. 

È vuota la tomba, sono svuotate le bende. È la prima impressione di Pietro, che se ne esce ancora confuso, ma la prima fotografia di Giovanni ha un titolo: Vide e credette, dice il Vangelo. La tomba vuota era solo un segno, non è la constatazione scientifica di un evento. Giovanni il giovane, ha capito subito il segno e ha dato la sua adesione di fede, che verrà riconfermata la sera alla vista dello stesso Gesù risorto. Se ne aggiungeranno presto tanti altri di segni, ma questo giorno di Pasqua ci basta questo per guardare alla vita con lo stupore di una speranza. La morte non è l’ultima parola su ogni nostra esistenza umana. 

31 Marzo
+Domenico

Giovanni, si firma folgorato dalla Risurrezione 

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario –  che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Audio della riflessione

Ci raccontavano i nostri papà e i nostri nonni l’emozione intensa quando   scoppia una notizia spesso desiderata, ma mai ammessa come possibile, capace di cambiare la vita di porre fine a tanti pericoli, paure e ansie. Era stata per esempio vissuta così la notizia della fine della II guerra mondiale: gli orecchi incollati alle radio, tesi nell’intercettare ogni segnale nuovo, gli occhi aperti sulla realtà per non farsi ingannare. I tedeschi non ci sono più. La guerra è finita, non dobbiamo più oscurare le nostre piccole luci, né temere di essere presi a caso per qualche vendetta, siamo liberi. Prima che scoppiasse la gioia c’era quell’atmosfera di attesa, di dubbio, di coraggio nell’esporsi, di cuore in ansia che scoppia.  

Erano così Pietro e Giovanni, il vecchio e il giovane. Avevano intercettato “radio scarpa” diremmo noi, le voci dei vicoli di Gerusalemme: hai sentito? non hanno più trovato il cadavere di Gesù. È un tam-tam tra le stradine strette, tra i giri di scale, tra le donne che stanno a fare un grande bucato come dopo ogni festa; la voce scende la collina, passa nel suk. In questo giorno in cui comincia la vita, in cui tutti sono pieni di sonno, ma anche di decisione di ricominciare pur con qualche fatica di più, devono fare i conti con una notizia nuova. La gente ne avrà da parlare per settimane. Qualcuno scuote la testa, le solite pazzie, le solite donne… e si avvia al suo lavoro quotidiano. 

Non così invece Pietro e Giovanni che col cuore in gola vogliono vedere con i loro occhi. Nella corsa gli si rivolta la coscienza, vengono in mente le parole finora incomprensibili di Gesù. Risorgerò, dopo tre giorni risorgerò. Lo capisci Pietro? Oppure non riesci a immaginare nient’latro che questa vita? Giovanni sei convinto che il dolore non sarà l’ultima parola, ma l’inizio della gioia di una vita piena? Tu che sei giovane non cogli in questa risurrezione la risposta più piena alla tua voglia di vivere? 

 Ne aveva speso di tempo Gesù per convincerli. Li aveva preparati a questo salto di qualità, ma non è facile, come non lo è per nessuno di noi credere nell’impossibile. Ma per Dio tutto è possibile. A Gerusalemme avevano parlato i fatti. La speranza ha vinto. Non è un fantasma, una sorta di presenza da x-file. Non è la forza del ricordo. Non è un morto ritornato in vita. Lazzaro ci ha sorpreso, ma ha spostato solo la data della sua morte. 

Gesù c’è ed è in vita, una vita nuova piena, inedita: quella di prima tutta in carne pelle ossa, corpo e sentimenti, sguardi e affetti, ma radicalmente nuova, inserita in una esplosiva novità. È un modello nuovo di vivente, l’apice cui doveva giungere la vita, da quando Dio l’aveva creata. Ed è vita definitiva per tutti noi. 

Non c’era brano di vangelo migliore per celebrare la festa di san Giovanni Evangelista, non c’era altra sua firma forte, intensa, definitiva come queste due ultime parole: vide e credette, che dice e scrive di sé stesso.  

27 Dicembre
+Domenico

Maria Maddalena: una storia d’amore unica

Una riflessione sul vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-2.11-18)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Audio della riflessione.

Chiacchieratissima, soprattutto nei romanzi moderni; non sembrava vero a qualcuno di poter centrare molta ignoranza e tanta superficialità nel fare un romanzo che la vede, la povera Maria Maddalena, come l’amante di Gesù. Dico “amante” con tutto quello che di disprezzo, di moralità, di prezzolato, si porta con sé, perché innamorata persa lo era proprio, di Gesù, come lo vogliamo essere tutti noi: giovani, adulti e persone mature, che vogliamo mettere Gesù al centro della nostra vita. 

Era innamorata persa per la sua bellissima storia: quando Gesù pellegrinava per le città della Palestina, c’erano alcune donne che lo seguivano, che facevano gruppo, anche per dire che Gesù, come i benpensanti anche di oggi credono, non si “schifava” delle donne, che il mondo orientale vedeva come persone di nessun conto e non all’altezza degli uomini in tutte le possibili responsabilità dell’esistenza. Gesù le ha sempre apprezzate; direi che era un “femminista ante-litteram”, se a questa parola diamo il senso di cultore della dignità della donna. 

Ebbene, purtroppo, Maria Maddalena era posseduta dal demonio; chi se ne intende sa quanto si soffre ad essere violentati nel profondo del cuore e dell’anima da una presenza demoniaca. Erano addirittura sette i demoni. Per gli Ebrei, sette non aveva il valore matematico che diamo noi, ma significava “numero perfetto”, moltitudine, quasi. 

Gesù, il Figlio di Dio, la libera, come ha liberato tante persone dal demonio; le ha ridato la sua libertà, la capacità di riprendersi in mano la sua esistenza, la serenità di non sentirsi invasa da un male impossibile da vincere.  

Da quel giorno, la gioia, la serenità, la contemplazione di Gesù, erano di casa in lei. Gli era gratissima, cercava di sdebitarsi quasi, di questo grande dono: non c’è nessuna possibilità di toglierti un debito con il Figlio di Dio, perché quello che ti dona è sempre una Grazia, un regalo, una incalcolabile felicità; ecco perché sarà nel suo gruppo di evangelizzatori, almeno di sostegno, finché esploderà come la pria grande annunciatrice al mondo, alla Storia, all’umanità, all’universo, della Risurrezione di Gesù. 

Il suo grido lancinante svegliò i vicoli di Gerusalemme, quel giorno dopo il sabato: là, nella tomba, il corpo non c’è più! Non ha pensato come tutto il Sinedrio: “l’avranno rubato” per mettesi a posto la coscienza e per dichiarare vittoria ancora di più della sua morte… 

Ritornata, dopo che Pietro e Giovanni sono corsi a constatare il vuoto di quella tomba, che a loro cominciò a parlare di più che se fosse stata piena, e li piangendo, sconsolata, rievocando le parole del Cantico dei Cantici, facendo domande a chiunque incontrasse, si sente chiamare: “Maria!”.  

Le parole di un canto che in chiesa spesso facciamo, dice: “Quante volte un uomo con il nome giusto mi ha chiamata… una volta sola l’ho sentito pronunciare con Amore”. Questo è l’amore di Gesù che supera ogni sentimento umano: è l’amore del Risorto! 

E dopo questo incontro, destatasi, Gesù stesso la invia ad annunciare la Risurrezione, facendola ancora più grande come donna e osando affidare ad una donna una testimonianza in un mondo che prevedeva che le donne, assolutamente non potessero essere testimoni di niente. 

Ma prima di questa conclusione, Maria Maddalena è stata con la madre di Gesù, la Madonna, e altre donne del suo gruppo, ai piedi della Croce: aveva deciso di stare dalla sua parte, contro il dileggio di tutti. Gesù era stato rifiutato dalla maggioranza, era stato fatto passare per delinquente, per bestemmiatore; gli apostoli erano fuggiti quasi tutti, erano rimasti in quattro: sua madre, Maria, Giovanni, Maria Maddalena e una sua amica. Fanno la scelta di “stare”, di porsi di fronte a questa Croce, che è la manifestazione dell’Amore di Dio per l’umanità. 

Nella fede, l’essenziale non è essere in tanti, né capire tutto e subito, ma di esporsi personalmente e con le persone che Dio mi mette accanto, al contatto e all’azione dell’Amore. 

Nella Chiesa ci sono tante donne che fanno sentire la loro voce e portano la loro testimonianza; tante giovani donne, nel pieno della loro gioia di vivere, innamorate perse di Gesù, come Maria Maddalena. 

22 Luglio
+Domenico

Dà forza e dignità alla tua intelligenza dilatandola nella fede

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,24-29)

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Audio della riflessione.

Migliaia di volte ci siamo detti di fronte a tanti misteri della vita se non ci metto il naso non ci credo. Voglio vedere, voglio toccare, voglio esserci anch’io. Il desiderio di sperimentare, di verificare, di dare la propria adesione usando un minimo di intelligenza nobilita la persona. Oggi purtroppo stiamo abboccando a tutto. Stiamo facendo risorgere i maghi, buttiamo soldi per far leggere le carte, ci vogliamo fare accarezzare gli orecchi dai pronostici e dagli oroscopi. Anziché usare l’intelligenza chiamiamo ricerca il sentirci dire quello che ci piace. Basta una bufala ben costruita, una buona pubblicità che tutti siamo in fila a spendere o a provare. 

Tommaso non era di questo tipo, lui Gesù morto, senza vita, dolorante fino allo spasimo lo aveva visto su quella croce e che nessuno venga a dirgli che è vivo. I colpi dei chiodi li ha ancora negli orecchi, lui non si può togliere dall’anima quel grido disperato di Gesù, quel rantolo di morte Lui ha letto negli occhi dei suoi amici, che aveva lasciato per seguire il maestro, il disprezzo per la sua decisione di stare dietro al Nazareno e fa fatica a dimenticare lo smacco, ma ormai tutto è finito. 

“Ma lo abbiamo visto vivo -gli dicono i nuovi amici che s’è fatto con Gesù- lo abbiamo incontrato con una forza e un desiderio di comunicare con noi che non ricordavamo più, meglio ancora della prima volta che ci aveva stregati sulle rive del lago”. Gli piacerebbe credere, tornare come prima, riprendere la faticosa, ma bella peregrinazione per la Palestina e ridare speranza agli sfiduciati. Ma gli avvenimenti del Calvario gli hanno scavato dentro un abisso di disperazione. “Non ci credo neanche morto”. Non mi state a convincere: ho ancora negli orecchi quei colpi secchi sui chiodi che gli hanno stritolato i polsi. Mi hanno creato un buco nell’anima. Quel colpo di lancia per verificare che era morto me lo sono sentito nel mio petto.  

Io non ci credo per niente se non vedo, non tocco, non sento, non lo stringo tra le mie braccia. Quei buchi dei chiodi li voglio turare con le mie dita, quella ferita di morte al cuore la voglio coprire con la mia mano.  Non si adattava a credere, se non usava fino in fondo tutta la sua umanità. Non mi bastano le vostre parole, la vostra amicizia. È qualcosa tra me e lui. Devo fare i conti con la mia coscienza. 

E lui Gesù arriva: Tommaso sono qui; ricomponi con le tue dita e la tua mano gli squarci lasciati nel mio corpo. Hai ragione a riportare tutto alla tua coscienza, ma ora affidati. E Tommaso ritorna alla comunità credente. Non mette le dita nei fori dei chiodi e crolla in ginocchio e proclama la sua fede: Mio Signore e Mio Dio. 

Quanti artisti si sono cimentati nel descrivere questa volontà di Tommaso di toccare Gesù; quanti sguardi, quante mani, quante dita dipinte vicine alle ferite, quanti visi stupiti. Gesù si presenta, come si presenta alla nostra intelligenza e alla nostra vita. Sono qui. Ragazzi, giovani date pure la stura a tutte le vostre tecniche di ricerca, non fingete di cercare per non vedere. Fatevi crescere tutti i dubbi che volete, non smettete di desiderare. Al fondo della vostra intelligenza pulita, del vostro cuore sgombro, della vostra volontà pura mi troverete. Lasciate stare i maghi, smettetela di abbonarvi agli oroscopi, lo sapete anche voi che lo fate per gioco. Io sono qui, io sono il Dio che dà forza e dignità alla vostra intelligenza dilatandola nella fede.  

03 Luglio
+Domenico

Non solo liberati, ma pienamente liberi

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Audio della riflessione

Ubriachi sembravano, ma erano solo le nove del mattino, ci tenne a precisare Pietro, nel suo primo discorso urbi et orbi dalla loggia del cenacolo. Quel gruppetto di impauriti e rintanati a leccarsi le ferite della morte di Cristo non sembrava più quello: coraggiosi, decisi, entusiasti, sciolti di lingua, comprensibili, audaci. Non c’era più niente che li assimilasse a quattro poveri pescatori. Gesù non c’era più, l’avevano sperimentato risorto, ora toccava a loro, ma erano abitati da una nuova presenza: lo Spirito. 

Dio non solo aveva creato e amato da Padre amorevole ciascuno di loro, non solo aveva generato il Figlio Gesù, che aveva coltivato ciascuno di loro in una tenera amicizia e aveva per loro offerto la sua vita; ora entrava a forza in ciascuno come vento che scuote, come energia che rinnova, come Spirito che ridà la vita. La liberazione dal peccato era avvenuta, ma la mentalità da galeotto non li aveva ancora abbandonati; un conto è essere schiavi liberati, un altro è avere la mentalità da figli. Si può stare in casa ad aspettare solo l’eredità o fuggire a sperperarla, a lasciarsi fasciare dalle cose o a deglutire amaramente infelicità. È il cuore che deve essere cambiato. 

Questo è compito dello Spirito. Dio manda lo Spirito che permette di rivolgerti al Padre non con la rivalsa di ottenere “ciò che mi spetta” o ciò che non mi hai mai dato, ma con la tenerezza di un dialogo di amore: Papà, Abbà. È lo Spirito che delinea in ogni persona i tratti della figliolanza i lineamenti dell’umanità di Gesù. È questa l’unica forza che farà di ogni pescatore di Galilea un vero apostolo, un altro Gesù Cristo.  

Il Cristo ora siete voi; a voi tocca mettere la vita a disposizione del Regno. A voi il delicatissimo e prezioso compito di rimettere i peccati. Non lo potreste fare se lo Spirito non avesse dimora in voi. Non siete più soli, ma abitati, accompagnati, ricostruiti nel profondo. 

Lo Spirito rinnova a tutti i doni che ci ha fatto alla Cresima: Saggezza (Sapienza), vista lunga (Intelletto), dritte per vivere bene (Consiglio), energia e forza nel combattere ogni paura (fortezza), Intuizione e capacità di non farsi imbrogliare (scienza), capacità di pregare per voi e per gli altri (Pietà) senso di rispetto (Timor di Dio). Sono il regalo dello Spirito Santo. 

28 Maggio
+Domenico

Per la tua dolorosa passione abbi misericordia di noi…

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Audio della riflessione

Certe feste vorremmo che non finissero mai. È la festa di matrimonio, è la festa di una prima messa, è la festa di una nuova nascita. È stata attesa, preparata a lungo e quando giunge sembra debba chiudersi in un baleno. L’attesa alla velocità del suono, la festa alla velocità della luce, come i momenti di felicità della nostra vita. 

Invece per la Pasqua non è così: per noi oggi è ancora Pasqua e Giovanni ci aiuta a porre la nostra fede in parallelo con gli avvenimenti di quella giornata interminabile, piena di sorprese. Era iniziata con una notizia sconvolgente, si era prolungata in corse, constatazioni, meraviglie, emozioni, esperienze. Ora il gruppetto degli apostoli tira le somme, si ritrova nella Santa Sion, in questo luogo che tramite l’interessamento di Gesù era diventato il luogo in cui questo gruppo sparuto di Galilei si era rifugiato per la Pasqua. E arriva Gesù: pace a voi. 

Dona loro la pace, la massima aspirazione dell’uomo della terra. E oggi ci rendiamo conto quanto la guerra ci intorbida le coscienze, ci imbroglia i pensieri, fa soffrire innocenti, scatena odi e ritorsioni. Un compito ci dobbiamo dare anche oggi: supplicare Dio che ci dia la pace. Noi siamo capaci solo di fare gli interventisti o i non interventisti se Lui non ci cambia il cuore. Credo che oggi come cristiani siamo anche chiamati a una grande responsabilità. Noi costruiamo armi. Noi non vorremmo che il nostro benessere fosse dovuto alla morte dei bambini come lo è stato per tanti anni con le mine fabbricate in Italia.  Siamo davanti a Dio a supplicarlo di farci capire il dono della pace, di aiutarci a cambiare il cuore, a ritenerci tutti responsabili di questo grande male che c’è nel mondo. 

L’altra grande parola che dice Gesù è il dono dello Spirito per rimettere i nostri peccati. Sappiamo quanto è dono togliersi dal cuore il male che abbiamo fatto. Ci possiamo ubriacare, drogare, ma la coscienza pulita è un’altra cosa. Solo Dio col suo perdono può davvero mettere una pietra sopra il nostro passato. Può riportarci alla innocenza primitiva. E questo lo ha dato alla Chiesa. Abbiamo tutti provato questa gioia confessandoci a Pasqua. 

I cristiani oggi stanno dimenticandosi di avere bisogno del perdono e assillano gli studi degli psichiatri o degli psicologi. Non per niente papa san Giovanni Paolo II ha collocato nella seconda domenica dopo Pasqua la festa della divina misericordia, dopo che magari abbiamo fatto penitenza e ci siamo confessati. Pensiamo a quanta gente ancora non conosce la misericordia di Gesù e non ne ha ancora goduto, non ha provato quella pace che si sente dentro di noi quando veniamo accolti dall’amore di Dio nostro Padre 

È Gesù solo che ci può dare la pace del cuore. Certe nostre inquietudini non sono di origine psicologica, sono consapevolezza di un male più grande di noi; occorre curarsi se si è ammalati, ma spesso la nostra malattia è spirituale. Diceva il sociologo Andreoli: i giovani sono in crisi di astinenza da fede. Perché sono così inquieto nella mia vita? Perché sono sempre infelice? Come mai sono sempre arrabbiato con tutti, sono cattivo dentro? Ti sei mai chiesto che posto ha Dio nella tua vita? Se l’hai buttato fuori che felicità speri se è solo lui la pace e la felicità?

16 Aprile
+Domenico