Le confidenze di Marta

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,38-42)

Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Audio della riflessione

“Ma credete proprio che io fossi così sciocca da pensare di più a un piatto di capretto arrosto che a Gesù? Quando ritornava da quel covo di vipere che era Gerusalemme, la mia gioia saliva alle stelle … e che facevo? Tutto quello che fa ogni mamma! Ti vedo calato di peso, che hai? Mangia. Hai dormito stanotte? E in questi giorni ti hanno ascoltato? Hai trovato un posto tranquillo per riprendere forze? Ma questa tosse è un po’ che ce l’hai? Non mi piace proprio … E io che dovevo fare? Dimenticavo me stessa, la mia stessa anima per occuparmi di Lui. Sì, forse ero troppo ingombrante, occupavo io tutta la scena, quasi non lo lasciavo parlare. Temevo che un giorno o l’altro non sarebbe più tornato da Gerusalemme: si era fatto troppi nemici! Mia sorella Maria è sempre stata una sognatrice. Lei lo aspettava, ma non sapeva neanche prendergli il mantello e scuoterne la polvere: le si riempivano subito gli occhi di lui! non diceva né faceva niente, le bastava stare a guardarlo e lasciarlo parlare. Ne era innamorata pazza. Un giorno ha sperperato un capitale di profumo costosissimo per ungergli i piedi: non si accontentava di lavarglieli, non si curava di ciò che diceva la gente … anche lei come me aveva paura che prima o poi non sarebbe più tornato. E l’ha proprio indovinata perché poco dopo non avremmo potuto nemmeno accostarne il cadavere, quel giorno nefasto di Parasceve. A me faceva rabbia questa sua calma, per lei i mestieri di casa si fanno da soli.  Lei rimane incantata … ma se non ci fossi io! E quando è morto Lazzaro? Sono stata io a reagire subito, a correre incontro a Gesù: li era rimasta in casa, senza forze, senza speranza. Era stata ferita nell’amore: quei 4 giorni di sepoltura, avevano sepolto anche la sua forza di reagire! Quando Gesù ha visto me mi ha subito detto di affidarmi a Lui e io l’ho fatto. Lui era la forza che mi aveva sempre tenuto in piedi. Ancora una volta era riuscito a tornare da Gerusalemme, e mi ha subito detto di chiamare Maria. Sono stata io a dirle “il maestro ti chiama”, Mi faceva pena. E Gesù ci ha restituito Lazzaro, ma con quel dono che ha fatto a noi si è firmato la sua condanna: Non lo avremmo più visto dopo quel giorno! Abbiamo pianto tanto assieme quando ci hanno riferito come ce lo hanno ammazzato a Gerusalemme. Era il centro della nostra vita. Io mi affannavo ancora per la casa, ma per chi? Maria restava muta, ma per chi?”

Non so se questo dialogo con Marta ci aiuta a sciogliere i nostri tormentoni; contemplazione o azione?

Sicuramente c’è un insegnamento inequivocabile: tanto l’azione che la contemplazione devono avere al centro Lui, Gesù! Nessuno deve occupare la scena, è solo Lui che la riempie tutta.

Noi con le nostre caratteristiche umane, le nostre doti, i nostri modi di essere gli faremo un posto, quello centrale, ma con qualità diverse: l’importante è che Lui sia il centro! È lo Spirito che delinea in noi in maniera originale per ciascuno i tratti della sua umanità, ci conforma a Lui in termini assolutamente originali, a seconda della nostra storia, la nostra docilità … Lo Spirito vince le nostre resistenze, orienta i nostri progetti a Lui.

Si può stare ad agire riempiendo noi la scena o si può stare a contemplare per trattenere: si deve invece sempre agire e contemplare per amore.

Una azione che non ha al centro Gesù ha il fiato corto! Una contemplazione che si ripiega su se stessa diventa subito sterile anche per chi la vive.

La parte migliore da scegliere è Lui e questo ce lo dobbiamo sempre rinnovare nella coscienza, nei segni, nei gesti, nel nostro programma, nei pensieri, nelle preoccupazioni, nelle stesse nostre strutture.

29 Luglio 2024
+Domenico

Cuore Immacolato di Maria, di ascolto di Dio e di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2,41-51)

Lettira del Vangelo secondo Luca

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.

Audio della riflessione

Ogni fatto della vita di una persona è più grande della materialità con cui si avvera, apre significati più grandi e impensati, ti fa abitare mondi più profondi e ancor più veri di quello che percepisci con gli occhi, con i sensi, con la pelle. Pensiamo ai gesti d’amore, di affetto, di amicizia, di relazione tra persone. Un bacio, un abbraccio, una carezza, un sorriso non sono riducibili alla meccanica fisica con cui devono essere compiuti. Nessuno pensa che una carezza sia solo uno sfregamento di una mano su una guancia o un abbraccio sia solo la tenaglia di due braccia per un corpo. C’è una intenzionalità che essi esprimono, c’è un cuore da cui sono partiti, una volontà che li ha fatti essere che va interpretata, che va molto oltre. I gesti tentano di rendere al meglio le volontà e i pensieri, gli affetti e i desideri di coloro che li pongono, ma non riusciranno mai a esprimere la profondità del cuore da cui partono. Immaginate quanto è sciocco l’applicarsi solo alla meccanica del gesto senza curare che cosa essi esprimono. Ci aiuta ad approfondire la nostra umanità oggi il Cuore di Maria e lo contempliamo in un momento tipico della vita di una famiglia

Dio ha sposato un popolo da sempre, ora sposa una famiglia e con questa famiglia tutte le consuetudini caratteristiche che la fanno appartenere pienamente a esso. Una famiglia ebrea aveva nel suo DNA la celebrazione della Pasqua. I bambini ogni anno partecipavano alla cena pasquale e, curiosi come sono, hanno sempre riempito i gesti solenni e incomprensibili dei genitori di insistenti perché. Quando i tuoi figli ti chiederanno che cosa è questa cena, perché mangiamo in piedi, perché la mamma non ha messo il lievito nella farina… tu risponderai è il passaggio del Signore che ci viene a liberare come quella notte…

Ebbene Gesù a dodici anni, prima che scatti il tredicesimo che lo iscriveva al mondo adulto, questa nota ci servirà dopo, partecipa coi suoi genitori al pellegrinaggio verso Gerusalemme. Abbiamo in mente che cosa è successo. Il solito incidente delle gite: si sarà fermato all’autogrill, sarà con suo padre, chi riesce a star dietro a questi ragazzi di oggi, svegli, spesso indisciplinati, incapaci di stare un po’ con i propri genitori, sempre a giocare e a fare scherzi. Tornano a casa sempre sudati e sporchi, quando non laceri e contusi. Disperazione sul volto dei genitori, ansia, ricerca spasmodica; chi è l’ultimo che l’ha visto, dove era? Poi il cammino a ritroso, il ritrovamento, lo stupore. Il ritrovato è sempre più calmo di quanto si pensi, non immagina il dolore provocato, è concentrato sulla sua avventura E Gesù sta insegnando ai dottori del tempio. Quattro parole dette tra i denti, due dette davanti a tutti e una affermazione solenne, troppo solenne di Gesù chiudono l’incidente. Il ritorno a Nazaret fa balenare la ripresa di una vita di famiglia normale, che aveva avuto in questo episodio uno squarcio di mistero. Non compresero.

Maria qui appare la persona che domina gli avvenimenti, che piega la storia del piccolo gruppo di pellegrini al suo centro, che non era Gerusalemme, ma Gesù. Potremmo dire una famiglia come tutti, con i problemi di tutti, con al centro Gesù, il mistero che si rivela. Ma saremmo poco fedeli alla Parola ascoltata se ci fermassimo a questa interpretazione; L’intenzione dell’evangelista Luca non è quella del corrispondente del Corriere della sera che deve narrare della fuga del solito adolescente, rintracciato alla stazione tutto dolorante e pentito e contento dell’intervista che lo fa apparire in TV e che gli risparmia qualche ceffone dai genitori, con un finale bello che può intenerire i lettori. E’ l’evangelista del racconto dei due discepoli di Emmaus; anche là non narrava solo la gita fuori porta di due amici, col morale ai tacchi e con nel cuore la pietra tombale dell’ormai suggellata sulla tomba del crocifisso, ma parlava del cammino di accoglienza del Risorto che ogni cristiano avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.

Così anche qui. Il numero tre dei giorni di assenza di Gesù è troppo uguale al numero tre dei giorni del suo permanere nella tomba; la ricerca appassionata e carica di tensione di Maria è troppo simile alla ricerca col cuore in gola di Pietro e Giovanni e al pianto sconsolato di Maria di Magdala. L’angoscia di Maria è l’angoscia delle donne al sepolcro. Gesù era rimasto a Gerusalemme. Sappiamo tutti che un modo di dire così indica che Gesù è deciso a fare di Gerusalemme il vertice della sua missione.

Il ritrovamento è immagine precisa della scoperta di lui risorto. Infatti lo trovano seduto, un verbo che, mentre fotografa una posizione fisica, definisce una funzione che gli spetta dopo la morte e la risurrezione; si siederà alla destra di Dio. E’ nell’atto di insegnare come spetta al Signore del cielo e della terra. E’ lui la sapienza, lui la riposta, lui ancora che spiega le scritture in virtù della sua consacrazione nella morte e risurrezione. Qui tra i dottori anticipa il suo stato futuro.

E Maria quando lo vede gli racconta tutta la sua ansia, la sua ricerca, il suo affanno, il suo non capire, proprio come i discepoli di Emmaus. E tra le prime parole di Gesù, che ci sono riferite nei vangeli, appare la bellissima parola: padre, abbà. E’ venuto al mondo per questo, per dirci che Dio è Padre. Il quadro allora si ricompone, lo smarrimento e il ritrovamento sono figura di una morte e una risurrezione, di un futuro certo.

A Maria si svela  tutto il futuro di Gesù, e come è entrata nella adesione piena a Dio e custodiva ogni Parola di Dio che l’angelo le aveva annunciato, ora comincia a  custodire ogni parola di Gesù come un seme. E’ quel seme che viene gettato larghissimamente dal seminatore e che trova nel cuore di Maria, come nel cuore di ogni uomo, la possibilità di svilupparsi. In Maria si è sviluppato al cento per cento. Ora lei scompare nella vita quotidiana della santa famiglia. Lì il Signore ha imparato a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e l’amore dell’uomo. Lì ha ascoltato le parole della Torah, della legge, le preghiere a Dio, di cui non si poteva pronunciare il nome e che lui sentiva come papà. A Nazaret Gesù accanto a Maria ha imparato a essere uomo. L’artefice della sua formazione umana è stata Maria, come ogni donna nella vita del popolo ebreo, e proprio dal suo Cuore Immacolato, tutto donato. In esso conservava ogni Parola di Dio gelosamente e ora di Gesù, non per farsene un possesso, ma per caricarlo della forza di dedizione, di amore, di consacrazione alla vita di Gesù e di ciascuno di noi umani. 

8 Giugno 2024 – Memoria del Cuore Immacolato di Maria
+Domenico

Maria, già in attesa di Gesù va da Elisabetta

Riflessione sul Vangelo del giorno (Lc 1,39-56)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Audio della riflessione

C’è una forte intesa fra le donne quando si confidano le loro difficoltà, i loro segreti, le esperienze intime della loro vita, le apprensioni per quello che sta accadendo nella loro corporeità, quando sentono di avere in seno una vita che nasce. Non è solo connivenza, diventa subito solidarietà, desiderio di aiuto, condivisione dei pensieri e dei timori, delle cure e delle speranze.  

Chi si trova in questa situazione è una donna avanzata in età, Elisabetta, di origini nobili, della casta sacerdotale, sposa a un ministro dell’Altissimo, a un fedele servitore del tempio. Aveva aspettato tutta la vita un bambino, l’aveva desiderato tanto come ogni donna che vuol vivere in pienezza la sua vita, ma non le era stata data questa grazia e proprio quando aveva riposto nel cassetto ogni suo sogno si trova a registrare questo fatto sconvolgente, questa gioia incontenibile, questa sorpresa e stupore. Nasce però anche il timore: alla mia età? Che sarà di questo bambino, come nascerà? Il marito, il vecchio Zaccaria, era rimasto muto e la confortava con segni e i segni andavano sempre decifrati, capiti, inscritti in un disegno più grande di loro, nella grande bontà di Dio.  

Maria, la madre di Gesù viene a conoscere questa situazione bella e delicata, e decide di mettersi a fianco di Elisabetta per aiutarla a vivere serenamente l’attesa, perché anche lei è in attesa, anche lei è stata tirata nel vortice incontenibile della vita divina. E l’incontro tra le due madri è tra le scene più belle della storia umana di tutti i tempi: la giovanissima e l’anziana, il nuovo e il vecchio testamento, il compimento delle promesse e gli ultimi sospiri dell’attesa, la vita di Dio e la vita dell’uomo. 

Sono i due bambini ancora all’inizio della vita che si parlano, che cominciano a sconvolgere il mondo, che esprimono la gioia del mondo per quello che Dio sta finalmente compiendo. Una benedizione nasce nella bocca di Elisabetta, un canto di lode in quella di Maria. Rallegrati Maria, dice Elisabetta; l’anima mia esulta nel Signore dice Maria. Benedetto il frutto del tuo grembo, benedetto il figlio di Dio, benedetto il futuro che nasce, dice Elisabetta; grandi cose ha fatto l’Altissimo e noi ne diamo a tutti testimonianza. Dio è grande, Dio è forte, Dio è la pienezza della nostra vita. E noi ci siamo tenuti e imparati l’Ave Maria e il Magnificat 

31 Maggio – Festa della Visitazione della B.V. Maria
+Domenico

E Gesù ritorna, ma non per la resa dei conti

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Audio della riflessione.

Gesù ritorna dai suoi e li trova sconvolti e pieni di paure. Collochiamo questo fatto in un rapporto normale tra amici. Avevano vissuto assieme per circa 3 anni. Si erano lasciati lentamente convincere e scaldare il cuore. In Gesù avevano ritrovato speranza. Ce ne avevano messa di partecipazione per riuscire a entrare nel nuovo ordine di idee, nella nuova esperienza di Dio che Gesù aveva loro consegnato. 

Ne avevano viste di schiavitù saltare. Si erano sentiti entusiasti al ritorno dalle piccole missioni a due a due che avevano fatto. Ogni tanto litigavano fra loro per spartirsi i ministeri del Regno di Dio; Gesù li rimproverava amabilmente. Insomma, il seminario lo avevano fatto bene. Erano arrivati all’ordinazione, al Giovedì Santo, a quella cena convinti, partecipi, commossi. Si erano lasciati lavare i piedi. Ma poi c’era stata la prova, lo sconvolgimento, la tentazione, la fuga, per Pietro l’infamia, la crudezza della vita e della realtà aveva loro buttato in faccia la verità. Giocavano al Regno di Dio il gioco si era infranto su quella croce. La costruzione della loro nuova mentalità non aveva retto. Erano crollate a una a una le risorse umane: fascino di Gesù, amicizia, entusiasmo per una nuova visione della realtà, sogni di mondo nuovo, progetti di attività comuni, contrapposizione al mondo, della ribellione al modello impostato del tempio. 

Lui l’avevano lasciato al suo destino. Avevano sperimentato ciascuno in cuor suo la delusione, forse hanno pensato che fosse stato un inganno e forse ancora questo sentirsi “sconvolti e paurosi” era ancora una sorta di rabbia quasi fosse stato Gesù ad averli traditi e ingannati e non loro ad averlo lasciato solo. Lui non aveva mantenuto le promesse e loro se ne erano tornati a pescare. Le donne avevano speso un capitale per imbalsamarlo, tanti credevano a quanto aveva loro promesso e i discepoli si stavano a lacerare le ferite. 

E Gesù si ripresenta, ma non per la resa dei conti. Arriva per aiutare a capire, per ricostruire amicizia, per radicare nella fede le loro esistenze smarrite. Quei colpi secchi sui chiodi che avete udito da lontano mi hanno forato mani e piedi, ma non mi hanno fissato alla morte. Quell’urlo agghiacciante che avete potuto sentire ben protetti per non farvi vedere non è stata disperazione, ma affidamento a Dio che è Padre e che mi dona per sempre a voi. Quel colpo di lancia ha fatto nascere la nuova comunità che ora affido a voi, non ha chiuso la nostra comunione. 

Gesù non rinfaccia il tradimento ma continua a farli crescere, li lancia nella missione: “Voi sarete testimoni di tutto questo”. C’è un modo di educare che è quello di calcare la mano sugli errori, di togliersi tutti i sassolini dalle scarpe, quello dei consigli di classe che chiama alla resa dei conti. Oppure c’è quello di Gesù che torna ad avere fiducia, che ti richiama ancora dalla sua parte e che dice ti affido la missione. Non vi lascio soli il mio corpo e il mio sangue lo avrete sempre. 

E ce lo affida ancora oggi.

14 Aprile
+Domenico

Lasciamo il posto a Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38)

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione.

Il nostro modo di pensare di gente concreta, fatto di sogni e di progetti, ma soprattutto di realizzazioni concrete, di laboriosità contrasta un poco con il mondo della fede. Non è che chi crede debba essere un fatalista, uno che sta con le mani in mano a vedere se la vita cambia da sola, a starsene beatamente nell’inerzia più assoluta, ma sicuramente chi crede in Dio deve sicuramente mettere Dio al centro della sua esistenza e lasciarsi condurre da lui, dalla sua parola, lasciarsi convertire al suo piano e entrare nell’idea che è Dio che ha in mano le sorti del mondo e della vita e che noi spesso siamo solo di ostacolo, perché agiamo di testa nostra. Il male che c’è nel mondo è frutto di una nostra soggettività giocata male, del nostro esserci messi al posto di Lui. 

Non così, ma esattamente il contrario è stata la decisione di Maria di mettersi nelle mani di Dio. Quando l’angelo andò da Lei per chiederle a nome di Dio se volesse diventare la madre di Gesù, ella si offrì completamente. Aveva progettato nella sua vita di essere vergine e a Dio si offre così. La sua verginità indica che ciò che nasce da lei è puro dono, il futuro che inizia con lei è grazia e dono di Dio. Nelle coppie sterili dell’Antico Testamento Dio dà successo a una azione umana senza successo, qui invece Maria rinuncia ad agire, offre la sua verginità, una passività e una povertà totale che rinuncia ad agire proprio per lasciare il posto a Dio. È la fede. Questo vuoto assoluto è l’unica capacità in grado di contenere l’Assoluto. 

E Maria diventa la figura del credente, l’immagine della Chiesa, di chi nella fede concepisce l’inconcepibile: Dio stesso. Le domande che Maria fa sono nella direzione non di una volontà di agire e ancor meno di opporsi, ma nella direzione di una disponibilità massima di corpo e di spirito, di pensieri e di progetti. 

Maria realizza il mistero della fede. Quando siamo proprio decisi a lasciarci fare da Dio, a mettere in animo il suo disegno, il suo modo di vedere la realtà, Dio si fa presente. È la fede pura che attira in noi il Salvatore. La fede rompe i limiti di ogni incapacità umana per renderci capaci di Dio. 

E Dio quando coglie la nostra disponibilità decide di stare con noi di diventare l’Emmanuele, il Dio che non ci abbandona mai.

08 Aprile
+Domenico

Una nuova creazione, quella definitiva

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24, 35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Audio della riflessione.

L’esperienza tragica della morte è nostro pane quotidiano. Giustamente la nascondiamo perché vogliamo vivere, perché la vita dell’umanità è più forte delle morti che la ridefiniscono continuamente, ma non è nascondendola che la possiamo vincere, è guardandola nella vicenda di Gesù. I giorni dopo la Pasqua sono molto concitati, i discepoli si vedono ripopolare i loro momenti privati o comunitari, a Gerusalemme o in Galilea, dalla presenza del risorto: Lui si dà a vedere, si presenta inaspettato, torna a fare compagnia, soprattutto li vuol aiutare a sperimentarlo in questa nuova vita che ha conquistato. 

È Lui, Gesù, il crocifisso, risorto. Lui con la bellezza del suo volto. Visto così dopo quegli spasimi, quella devastazione è ancora più bello. Non è un fantasma, non è una presenza da X-file, non è una apparizione evanescente. È Lui. Non solo, ma qualcosa di più, non di diverso. Non è un altro, ma Lui ancora in una vita piena, definitiva, nuova, il punto più alto cui la nostra umanità è stata chiamata. Non è un morto ritornato in vita, che ha spostato la data della morte; su di lui la morte non può più niente, è sconfitta. È una nuova creazione, la nuova umanità della categoria d’ora in poi definitiva, insuperabile, senza concorrenza: la categoria del risorto a vita piena. 

Per questo torna a mangiare con loro, presenta loro i segni della passione. Quel corpo su cui tutti credevano di aver detto l’ultima parola, di aver scatenato tutto il male che potevano, ora è glorioso. Dio sa non solo ricostruire la sua immagine e la sua corporeità, ma la rende nuova e definitiva, per tutti noi. 

La risurrezione non è soprattutto un fatto di cui meravigliarsi, perché superiore alle nostre possibilità e alla nostra fantasia, ma diventa il punto di arrivo di tutti noi. C’è un mondo altro che bisogna lentamente creare, in cui in maniera impensata occorre traghettare ogni vita donata da Dio; ebbene il giorno della Risurrezione questa nuova vita ha fatto il suo ingresso nel mondo e ha trascinato con sé tutti gli uomini. Dio non ci aveva creati e buttati a caso nel mondo, ma ci aveva predestinati a questo, perché Lui non ci abbandona mai.

04 Aprile
+Domenico

La parolaccia impronunciabile: ormai

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Audio della riflessione.

I due giovani di Emmaus avevano registrato tutto quello che aveva detto Gesù. C’erano alcuni file in testa indelebili, secretati, ma non avevano fatto molto caso a tutto quello che avevano sentito e credevano che dopo aver scoperto Gesù, dopo aver provato entusiasmo per Lui, la strada sarebbe stata in discesa. “Invece Lui l’han fatto fuori come tutti i nostri sogni –si dicono sfiduciati mentre se ne vanno da Gerusalemme- Noi sappiamo solo sognare, per noi è una condizione essenziale per rendere sempre più umano il mondo in cui viviamo. In una società disillusa e scettica che non crede ai sentimenti, che educa al narcisismo, che punta tutto sul successo e sulla carriera, noi ci ostiniamo a credere ancora all’amore, al voler bene”. 

Hanno con sé telefonini con cui si mettono in contatto con tutti gli amici lasciati a Gerusalemme. Ogni tanto lanciano un sms a Giovanni, il più giovane degli apostoli, che li informa di tutte le novità che compaiono in Internet, alla TV. Continua a rimandare lo stesso messaggio: nella tomba non c’è più, le donne insistono nel dire che l’hanno visto, ma chi ci crede? 

Tra un messaggio e l’altro si aggiunge al loro cammino un pellegrino un po’ strano. Colto, comunicativo, attento, curioso. Hanno le cuffie e il walkman, stanno ascoltando tutto quello che avevano registrato di Gesù con il loro cellulare e fanno ascoltare anche a questo pellegrino le parole che li aveva entusiasmati. Lui a sua volta si toglie le cuffie, ascolta, loro spengono il cellulare e si appassionano alla sua pazienza nell’aiutarli a capire il significato della vita. Si scalda loro il cuore. La parolaccia più brutta, che non avevano mai voluto dire e che ora continuano a ripetere, brucia dentro le loro anime. Non si deve più dire “ormai”. Basta usare l’imperfetto. Che è questo speravamo? 

Avranno ancora l’impressione che il male, la prepotenza e la stupidità possano soffocare la verità, l’amore e la giustizia, ma non potranno dimenticare che qualcosa di simile è già accaduto nei confronti di Gesù. La malvagità degli uomini lo ha inchiodato alla croce, pensando in tal modo di toglierlo di mezzo; ma Dio lo ha risuscitato e la storia di Gesù continua a salvare l’uomo, a parlare al presente e al futuro non più al passato. E lo riconosceranno allo spezzare il pane, nell’Eucaristia.

03 Aprile
+Domenico

Signore, mi sento indegno di questo tuo amore  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Audio della riflessione.

Proviamo a fare la preghiera del peccatore che sta in fondo alla chiesa e che non osa alzare lo sguardo a Dio. 

Signore, sono di nuovo qui davanti a te. L’ultima volta ti avevo promesso che sarei cambiato, mi ero pentito veramente, me ne ero partito da te con nel cuore la gioia del tuo perdono. Ho osato dire a me stesso che ce l’avrei fatta, avevo ormai toccato il fondo e potevo contare su un cuore diverso; avevo sperimentato la tua bontà e ho creduto di potercela fare.  

Invece sono di nuovo tornato alla mia miseria e sono qui perché l’unica gioia che provo nella vita è il tuo abbraccio, la tua bontà che mi accoglie sempre.  

Non ti voglio promettere che d’ora in avanti sarò bravo, perché non mi fido più delle mie forze, ma voglio dirti che ti voglio bene, che senza la tua decisione di amarmi sempre, io sarei un fallito. Mi sento indegno di questo tuo amore. Non perdere tempo con me. Aiuta invece chi ti può promettere sequela e ti esprime gratitudine. 

Ho sempre creduto di essere io il centro della mia vita, mi sono fatto legge a me stesso, ma ora non ne posso più; se mi prendi con te io ritorno. Mi hai dato un corpo e l’ho disfatto; mi hai dato un cuore e l’ho venduto, mi hai dato intelligenza e l’ho sperperata a costruire tranelli per i buoni, mi hai fatto per amare e io mi sono specializzato nell’approfittare; mi hai dato una vita pulita e io ci ho scritto dentro tutte le mie carognate. Sto vivendo una storia d’amore, ma è più l’egoismo che so esprimere che il dono, e il brutto è che sono sempre alle solite; mi lascio usare e sfrutto nello stesso tempo. 

Mi voglio riempire gli occhi di te, mentre abbracci tuo figlio, che ti ha abbandonato e che ritorna, fammi godere della festa che gli prepari; mi incanti quando ascolti la supplica della vedova, che ha fiducia solo in te; ti voglio ascoltare mentre parli agli uomini dalla montagna e dici loro che sono felici, perché tu sei la loro gioia.  

Ho anch’io quattro amici che sono disposti a scoperchiare il tetto di una casa per depositarmi davanti a te, ma li ho traditi un’ennesima volta e mi hanno giustamente lasciato. 

Ti ho spiato nell’orto del Getsemani, e mi hai fatto paura, ma ho visto l’abbandono nelle braccia di tuo Padre. Apri anche a me queste braccia. 

Vorrei anch’io essere preso per mano da te come hai preso per mano il cieco. Mi riempi di speranza quando fai cadere le pietre dalle mani dei lapidatori.  

Ci sarà una strada che mi porta fuori? Posso sperare in un colpo d’ala che mi aiuta ad abitare quel cielo che tu mi rappresenti? 

Io sono del genere dei senza speranza, sto cercando di capire che sei tu l’unica mia speranza, il Dio che non mi abbandona mai. 

09 Marzo
+Domenico

Riteniamo sempre di avere la verità in tasca.

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 11,14-23

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde».

Audio della riflessione.

C’è un vizio sottile che è sempre quello di definire cattivo, nemico, poco di buono chi non è del nostro parere, chi non riusciamo a inquadrare nei nostri schemi, chi si comporta diversamente da noi. È la voglia di azzerare, di non farsi mettere in discussione, alla fine di non voler confrontarsi per crescere, per cercare la verità. Riteniamo sempre di avere la verità in tasca. 

Gesù opera prodigiosi miracoli, riesce perfino a liberare le persone dai demoni e che dicono i suoi connazionali? È d’accordo coi demoni, sta dalla loro parte, non sta dalla parte del bene, ma ha connivenza col male. Se è riuscito a ottenere quel che ha ottenuto chissà che cosa ha pagato, a quali compromessi ha dovuto cedere. Non sono disposti a riconoscere in Gesù la bontà, l’originalità di un mondo nuovo che sta nascendo, di un Dio che si mette tra gli uomini a dialogare, a convincere, a liberare.  

Gesù invece sta ingaggiando una lotta senza quartiere con il male. Non è sceso a compromessi fino dal primo giorno, fin dalle tentazioni del deserto. Satana aveva tentato di accalappiarlo come ben riesce con tutti noi, quando nella nostra debolezza cediamo alle sue lusinghe, a impostare una vita sul potere, sul danaro, sulla superbia, sulla apparenza e non sulla Parola di Dio, sulla debolezza delle nostre stesse esistenze che in Dio diventano risorse. 

Chi non è con me è contro di me. Occorre decidersi, non possiamo stare sempre a giocare a dadi, quasi ci fosse una decisione casuale o a vedere chi vincerà per collocarci al momento giusto dalla parte del vincitore. Gesù non è un vincitore di questo tipo; siamo sicuri che vince il male, ma non secondo i nostri schemi di successo, non secondo la nostra leggerezza e superficialità, ma pagando di persona con la croce.  

Metterci dalla sua parte significa che siamo disposti a fare tutta la strada di ricerca della verità, di dedizione alla sua causa, di solidarietà con i fratelli che anche faticosamente sanno camminare per le vie del vangelo. 

Stare con lui è stare con la speranza fatta persona, è sapere che c’è una meta difficile, ma sicura, impossibile se guardiamo alle nostre forze, ma garantita se gli stiamo col fiato sul collo, non lo molliamo mai. 

07 Marzo
+Domenico

Tu sei proprio difficile da seguire, a noi piace la nostra vita comoda

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4,24-30

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Audio della riflessione.

Tu Gesù non puoi stare nelle nostre città, ci costringeresti a cambiare tutto. Dovremmo cominciare a stimarci di più, dovremmo impostare la nostra vita sociale sui tuoi principi: rispetto dei deboli, mentre invece noi abbiamo proprio bisogno di loro per guadagnarci sopra, accoglienza dei senza dimora che invece noi ammassiamo in stanze asfittiche ricavandoci un buon affitto; mettere al centro i bambini, mentre invece ce ne serviamo per ricattarci tra noi genitori; seguire gli anziani, che noi troviamo troppo ingombranti; celebrarti e lodarti, mentre delle tue feste e delle tue processioni facciamo nostra vanagloria.  

Ci piacerebbe averti qui tra di noi, ma se fai un po’ di miracoli così possiamo invitare allo spettacolo tanti turisti; potresti stare qui con noi se ci aiuti a far quadrare i nostri bilanci; ti staremmo a sentire se non dicessi tutte queste prediche impegnative. Che è questo amate i nemici, oppure questo perdonate le offese ricevute? O porgere l’altra guancia? Che è questo insistere sulla croce che è un supplizio intollerabile che non vorremmo neanche si affacciasse alla nostra fantasia? Che guadagno ne avremmo se dovessimo ascoltare te quando dici di dare anche la vita? 

Lo cacciarono fuori dalla città. Lo faremmo anche noi perché ci siamo adattati al ribasso, abbiamo perso ogni slancio, ogni ideale. Ci piace la nostra vita comoda, stiamo bene nei nostri loculi. Spesso siamo disperati, ma ci adattiamo. Ci stiamo abituando a vivere di rimedi, a cercare di sopravvivere, senza lode e senza infamia. Tu vorresti trascinarci nel tuo regno. Tu ci dici che con te si avverano i sogni di bontà, di giustizia, di pace che ci hai seminato dentro, ma abbiamo provato troppe volte e ci siamo sempre trovati nella nostra miseria. Dovremmo cambiare modo di pensare, dovremmo mettere al centro te, perché tu non ti accontenti del poco o del superfluo, tu vuoi tutto. 

E Gesù li ha guardati, ci guarda tutti, non teme le nostre minacce, soprattutto la nostra superficialità e codardia e non lo fermano né le nostre infedeltà, né la nostra apatia, continua a ripeterci e ad andare, anche da solo, a dire a tutti che Dio non ci abbandona mai.   

04 Marzo
+Domenico