Cerchiamo sicurezze, che costano, ma che ci danno garanzia di futuro

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 43-49)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Audio della riflessione.

Si continua a dire che oggi mancano i valori, mancano i riferimenti, i giovani non hanno nessuna certezza cui aggrapparsi, ciascuno naviga a vista, senza bussola, senza sapere dove sta andando. Mai come oggi si sente la necessità di ancorare l’esistenza a qualcosa di solido, di incrollabile, a qualcosa che ti dà sicurezza. 

Vuoi affrontare la vita di famiglia, vuoi affrontare un nuovo lavoro, ti vuoi impegnare in una attività sociale, ma vuoi sapere su che basi solide. Quando si applicano queste ansie al mondo economico, alla vita fisica, agli interessi della produzione si esce il prima possibile dall’incertezza. Le banche cercano principi solidi di credito, non si possono permettere avventure, anche se qualcuno le tenta ingannando tutti. Nella conduzione delle nostre piccole o grandi economie domestiche si cercano punti solidi, lavori sicuri, impegno di piccoli o grandi capitali con tanta oculatezza e spesso si sperimenta il fallimento, manca il lavoro, vengono meno le solidarietà. Ti capita una siccità e per di più una grandinata, devi comperarti tutta l’acqua da un pozzo e speri che vada tutto bene. 

E nella vita spirituale? Purtroppo ci adattiamo a tutto, seguiamo la moda, ci facciamo ingannare dalle pubblicità, da stili di vita ingannevoli, i classici specchietti per le allodole. Lo spirito è l’ultima cosa a cui penso, la religione l’ho accantonata. Il mondo dei mass media spesso è complice a ragion veduta, distribuisce ricette di felicità insospettabili, ti chiude gli orizzonti sulle cose o sui soldi e alla fine sei a mani vuote. 

Gesù ha una immagine che stigmatizza molto bene questa situazione: stiamo costruendo la casa sulla sabbia. Stiamo costruendo la nostra vita sul niente, sull’effimero, sull’inconsistenza, sui disvalori, sull’inganno. Non regge, non è possibile avere futuro. Puoi stare a galla in tempi normali, forse, ma basta una piccola difficoltà che tutto crolla. E siamo sufficientemente smagati per vedere quanto maggiori sono i tempi di burrasca nella vita che i tempi di tranquillità. Sembriamo gente che si mette in viaggio con un bel cielo sereno e crede che sia sempre così, non si ricorda del vento, della pioggia, del freddo, della bufera. Crede sufficiente la solita maglietta, affronta l’inverno in maniche di camicia. 

La nostra vita va fondata sulla roccia, non può rischiare di franare per il primo colpo di vento. E la roccia, i valori, il riferimento, la sicurezza è Gesù, è la sua parola. Metterla in pratica, averla sempre come riferimento della vita è costruzione su fondamenta solide. È fondare la vita su Gesù. Se facciamo questo stiamo sicuri che la roccia che è Dio non cederà. Il suo amore è per sempre.

16 Settembre
+Domenico

Le Beatitudini si possono comprendere solo sapendo che Dio è amore per tutti

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6,20-26)

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
 
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. 
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Audio della riflessione.

Siamo sempre in cerca di giudizi morali sulla vita di tutti e pensiamo che il vangelo sia un ottimo prontuario per aiutarci a giudicare soprattutto gli altri. Occorre anche sapere che cosa è bene e che cosa è male, ma per comportarci bene non ci basta un prontuario che ci aiuti a dire; questo si, questo no, abbiamo invece bisogno di conoscere di più Dio e Gesù perché dalla contemplazione del volto che ci viene proposto scaturisce non un giudizio, ma un invito ad essere santi come il Signore è Santo, Ecco le beatitudini, prima di essere una serie di cose da fare sono il volto di Dio sulla nostra vita. Ci lasciamo allora affascinare da Lui che essendo la nostra salvezza capovolge la scala dei valori dell’uomo e annuncia il modo con il quale Dio salva e vedremo che la vita cristiana diventa una gioia non solo per noi, ma per tutti. 

Luca quando presenta le beatitudini le associa anche ai “guai a voi”, non ci dicono che cosa è bene e che cosa è male, manifestano e rivelano come agisce Dio nella storia umana. Sono non poco diverse dalle leggi che Mosè consegnò agli ebrei alla sua discesa dal monte Sinai, che perentoriamente dicevano agli uomini e alle donne che cosa dovevano fare, Gesù invece ci dice che cosa fa Lui, chi è Lui per noi. Ci rivela il volto di Dio. Le beatitudini si possono comprendere solo conoscendo che Dio è amore per tutti. La prima beatitudine in Luca e il primo guai ci vogliono far capire che il regno di Dio è già ora dei poveri e che già ora i ricchi se ne escludono consolandosi con le cose. La povertà che qui si presenta è da leggere all’interno della coscienza dell’uomo. La distinzione poveri-ricchi è di facile attribuzione all’esterno, ma di difficilissima lettura all’interno della coscienza dell’uomo. Solo la parola di Dio che penetra nel profondo dell’uomo ci fa capire se siamo dei poveri-beati o dei ricchi-infelici. 

Gesù proclama felici i poveri non perché sono bravi o hanno dei meriti speciali, ma perché Dio ama ciascuno secondo il suo bisogno, e il povero è colui che ha più bisogno. Il cristiano deve impegnarsi a favore dei poveri per imitare Gesù. La storia e la cronaca del mondo attuale, piena di miserie, di fame, di pianto e di ogni genere di mali è lo spazio d’azione del credente, se vuole imitare Gesù. 

I “guai a voi” non sono un grido di vendetta o di minaccia, ma un estremo grido di compianto, di compassione e di lamento che Gesù rivolge ai ricchi perché mettono le cose al posto di Dio e non hanno ancora sperimentato la gioia di colui che vende tutto per acquistare il tesoro che è Cristo (cfr Mt 13,44). A chi è sazio, a chi si dà alla pazza gioia perché non sanno di aver consumato tutta la felicità, che invece sta solo in Dio, va ricordato che deve chiedersi e agire di conseguenza se la povertà, la mancanza di patria in cui vivere dignitosamente per molte persone non dipenda dalla sua sazietà o dal suo egoismo nel costruire muri anziché ponti.

13 Settembre
+Domenico

Siamo ciascuno nella preghiera di Gesù e nella sua chiamata

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 12-19)

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. 
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Audio della riflessione.

Scelte difficili nella vita dobbiamo sempre farle tutti. Ti agiti, ti preoccupi, ti assale l’ansia, soprattutto se devi scegliere persone e non cose, Questo significa mettere in conto relazioni di fiducia, amicizia, vita comune; sicuramente un ideale da perseguire assieme e di cui tutti debbono se non entusiasmarsi, almeno fare proprio e buttarci tutte le proprie energie. Non sono sufficienti i curriculum, nemmeno certe segnalazioni, non certo le raccomandazioni, soprattutto se si tratta di condividere progetti che vanno oltre la semplice attività lavorativa. Gesù si deve scegliere una squadra. Alla fine vedremo che sarà una delle squadre più impossibili, sia per la collaborazione che si concretizzerà tardi, sia per la tenuta dentro il suo sogno di Regno di Dio. La prima cosa che fa Gesù per dare corpo a questa compagnia non è di farsi influenzare dal curriculum che si è fatto di ciascuno con le sue conoscenze, i suoi dialoghi sulle rive del lago, le sue impressioni vedendoli lavorare sodo, ma di ritirarsi a pregare, a dialogare con Dio suo Padre, con lo Spirito da cui era partita la decisione di mandarlo nel mondo a ridare fiducia all’umanità e ad aprirle ancora le porte del Paradiso. Mi immagino Gesù che prega così: 

“Padre, il progetto lo abbiamo fatto assieme; ora ho bisogno che sia aiutato a svilupparsi, a crescere e ad adempiersi con alcune persone cui voglio affidare l’urgenza del vangelo, della buona notizia che l’umanità sta aspettando. So di rischiare, ma devo lasciare a tutti la libertà della loro vita e della loro scelta. Chi lavora per il Regno deve rappresentare tutta l’umanità”. 

La notte fu sicuramente impegnativa, ma anche altamente consolante per Gesù. Si fece presto giorno e Gesù li chiama, li coinvolge, li carica di una missione, della sua missione, che vuol avere bisogno degli uomini, di noi, di ogni cristiano. Tra di loro ci sta Pietro entusiasta, ma anche fragile, capace di tradire; ci sta Giovanni, giovane generoso e deciso, ci stanno fratelli che desidereranno comandare, altri che nei momenti più tragici, si addormenteranno, uno addirittura lo venderà… Insomma ci stiamo tutti noi, chiamati, scelti, immessi nel progetto grande della salvezza del mondo, messi davanti a un si o a un no, a un progetto non nostro, ma suo, con tutte le nostre fragilità che nessuno ci toglie, ma con la grande forza di Dio che potrà supplire alle nostre incongruità. Le nostre vite sono state e sono tutte nella preghiera di Gesù, lui ci ha scelti, lui ci aspetta, lui ci chiama e richiama alla diffusione del vangelo. 

In questa missione entriamo con i nostri sogni, i desideri di mondo più giusto, di compagnia. Non siamo certo cristiani a caso, siamo sempre oggetto della scelta personale di Gesù e in essa realizziamo la nostra vita, le diamo senso, direzione verso la pienezza e felicità.

12 Settembre
+Domenico

Il centro per Gesù è sempre la persona

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 6-11)

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. 
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. 
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. 
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Audio della riflessione.

Spesso vogliamo incontrare Dio nella solitudine del nostro cuore, riflettendo sui nostri bisogni, aprendoci a una invocazione spontanea, direi quasi di salvataggio. Altre volte invece ci poniamo in un contesto di dialogo, discussione tra persone, in qualche evento che ci distrae, grazie a Dio, dalla nostra routine. Così capitò a Gesù di incontrare persone che consapevoli della propria fragilità si rivolgevano a Lui. Ne provocava un affidamento a sé e se ne tornava pieno di grazia e di gioia. 

Altre volte Gesù si trova in mezzo a una disputa, perché il fatto che interessa non è personale, ma riguarda le relazioni tra persone, l’accoglienza di una norma o di un atto pubblico di riconoscimento. Così capita a Gesù con un uomo che aveva una mano inaridita, secca, senza movimenti, inservibile, una sorta di moncherino fatto a forma di mano, con incapacità di stringere e di tenere, di appoggio e di sicurezza nello stesso camminare, di fronte a cadute e ostacoli, senza un minimo di agilità e versatilità tipica di una mano con dita agili. 

Si sta discutendo in questo caso se di sabato si può ridare a quest’uomo l’uso della sua mano destra, che esprime l’agire della persona, e Gesù provoca la discussione con una domanda esplicita “è lecito o no guarire in giorno di sabato?”.Qui la guarigione di una mano acquista significato profondo: é simbolo della salvezza dell’uomo che viene riportato al suo momento originario, quello della creazione. Il miracolo fatto di sabato per Gesù tende a restituire a questo giorno della settimana il significato più profondo: è il giorno della gioia, del riportare l’uomo alla incandescenza della creazione, di quel contatto tra Dio creatore che con la mano tocca la mano dell’uomo e gli regala vita piena, bella, felice, come esprime bene Michelangelo nella cappella Sistina. 

Gesù propone e si colloca, a suo rischio, dalla parte di un sabato che apre una vera finestra sul cielo e non dentro una strettoia legalistica. Ogni sua guarigione ci invita ad alzare lo sguardo alla dignità piena e alla salvezza dell’uomo. E il sabato questa deve sempre celebrare. Se le nostre domeniche smettessero di essere viste come un dovere legalistico e fossero sempre di più celebrazione di un Dio Creatore e di un Gesù Salvatore, sarebbero forse anche più frequentate. 

Gesù con questo miracolo ha guarito un uomo, ridandogli umanità risanata, ma ha anche tentato di collocare i farisei in una visione di Dio e delle sue leggi nell’alveo di un regalo continuo di salvezza e di dignità.

11 Settembre
+Domenico

Ridiamo significato e centralità alla domenica cristiana

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6,1-5)

Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Audio della riflessione.

In questi ultimi anni siamo passati da una esasperazione dei precetti e delle leggi, quasi a farcene una gabbia da cui è difficile liberarsi, a una assoluta mancanza di regole che non ci permette nemmeno di avere dei riferimenti sicuri nelle occasioni più importanti della vita. Così è per i comportamenti dovuti nel campo religioso, nella vita di famiglia, nella disciplina scolastica, per non dire delle leggi della strada e degli stessi regolamenti delle partite di calcio. 

Per il popolo di Israele la legge non era solo una regola, ma un dialogo con Dio, un ascolto attento di lui per impostare la vita secondo il suo piano di amore. Solo che da dialogo, la legge del sabato per esempio, era diventata una gabbia e la gabbia non permetteva più di vedere il grande amore di Dio. E’ come la legge della obbligatorietà della messa alla domenica. Più nessuno ci pensa, né vale il ricordarlo come precetto per portarla di nuovo al centro della vita cristiana che si merita. 

Ci si rifugia nella necessità di vendere per vivere, si accampano tutte le pur giuste esigenze di famiglia, di stare in casa, di godersi la famiglia. Il riposo e la messa alla domenica è un precetto o è un dono? è un obbligo pesante o una necessità assoluta per la nostra vita? Lo trattiamo con il metro dell’interesse o con quello del dono? Chi è che decide la bellezza della domenica’ noi o Gesù? 

Gesù dice ai farisei troppo preoccupati del precetto che Lui è il Signore del sabato. Certo riposare il sabato non è un insieme di gesti da compiere, ma è una condizione nuova da vivere. Gesù è talmente il Signore del sabato che lo ha cambiato in domenica; lo ha fatto diventare ancora più bello di una memoria storica del passaggio del mar rosso, come lo era per gli ebrei, ma lo ha fatto diventare il giorno in cui sempre Gesù risorge da morte per noi. 

La domenica non è prima di tutto un obbligo, ma una finestra di eternità che si apre sulla vita dell’uomo, è la certezza del Signore risorto che deve dare nuova speranza alla vita di ogni persona. Se all’uomo manca il riposo della domenica non è che manchi solo un necessario rifarsi le forze per vivere, ma gli manca una speranza per cui lavorare, una meta alta, un cielo non vuoto, ma abitato da Dio. Per questo Gesù si dichiarava Signore del sabato, non perchè lo aboliva, ma perché lo portava a compimento con la domenica. 

Noi cristiani dobbiamo ancora scoprire la bellezza di una domenica in cui certo torna al centro la famiglia, ma anche la famiglia di Dio: il Padre creatore che contempla la bellezza del creato che ci ha donato e che noi stiamo depredando, il Figlio che è risorto da morte, che ha sconfitto per tutti, lo Spirito che ci invade dell’amore di Dio e fa nascere di nuovo la chiesa, comunità di pace per il nostro oggi.

09 Settembre
+Domenico

La tua Parola solo ci dà sicurezza

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 5, 1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. 
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Audio della riflessione.

Capita a tutti nella vita di averle tentate tutte per riuscire in una impresa, per ricucire un amore strappato, per richiamare alla saggezza un figlio, per rimettere in sesto l’azienda, per ristabilire rapporti di buon vicinato con gli inquilini, per ridare pace a una parrocchia o a un gruppo. Alla fine, non se ne può più, non riesce niente, fiato e fatica sprecati, delusione e sconforto. Il passo successivo è rassegnazione, è consapevolezza di impotenza, è scoraggiamento e in casi più gravi, in cose che ti prendono l’anima, è disperazione. 

Forse era questo lo stato d’animo degli apostoli alla fine di quella giornata di pesca. Erano provetti, conoscevano palmo a palmo il fondo di quel lago, ne studiavano i venti, le basse pressioni, i movimenti delle onde capaci di riportare fuori dal letargo i pesci. Quella notte niente. Era proprio notte anche nei loro umori. Erano amici di Gesù, Pietro il padrone delle barche, era intimo di Gesù, lo ospitava spesso a casa, si sentiva sempre riempire il cuore di gioia quando lo ascoltava. Avrebbe potuto portargli un po’ di fortuna anche nella pesca oltre che nella sua religiosità, nella sua voglia di essere uomo onesto! Invece niente. La vita era sempre dura e la fede ne stava volentieri ai margini. Non solo, ma Gesù usava la sua barca per farne un pulpito, un ambone, da cui fare le sue prediche anziché aiutarlo a pescare. 

È ancora la nostra immagine quando mettiamo sotto processo Dio per tutto il male che succede, per le fatiche della vita che dobbiamo affrontare, per l’attesa troppo lunga di tempi migliori, per le disgrazie che ci colgono di sorpresa e ci scoraggiano. Ma Gesù è lì presente ad aiutare i suoi futuri pescatori di uomini a cambiare testa, a fidarsi di Lui, a vivere veramente di fede. Prendete il largo, ritornate a pescare, resistete al fallimento, siate perseveranti, fidatevi di una Parola, non di una congettura o di qualche colpo di fortuna. I miei apostoli non potranno essere dei calcolatori, non dovranno vivere di audience o di sondaggi, ma devono essere dei fedeli, degli abbandonati nelle mani di Dio mio Padre. 

E gettarono le reti. Sulla tua parola. Quella Parola per Pietro era già il vangelo, era la luce degli uomini, era la forza della vita, la potenza fatta carne, era Gesù stesso. Pietro tutte le volte che si rivolgerà in seguito alla sua chiesa si porterà dentro questa forte esperienza di fiducia, questo sguardo alto, questo prendere il largo in ogni senso e darà alla chiesa gli orizzonti della contemplazione e della missione. Quando sarà al timone e si vedrà debole, vecchio non temerà perché quella Parola è potente è il Dio che non lo abbandona mai. 

E noi che facciamo? Viviamo di pronostici, di fortuna, tiriamo a sorte che cosa fare, come vivere il matrimonio, quali pasticche prendere per non cadere in depressione o abbiamo fede in Gesù, siamo disposti a sperare anche contro ogni speranza? Non è così per la vita di coppia, per la vita di famiglia, per il rapporto con i figli, per il lavoro? Quante volte ci lasciamo cadere le braccia… Pietro si fida e noi ci fidiamo. Sulla Parola di Gesù impostiamo la nostra vita, il nostro amore, il nostro futuro, la nostra casa, la nostra famiglia, non sui sondaggi o su come gira l’opinione pubblica, che è solo quella che ci si vuole imporre.

07 Settembre
+Domenico

La sofferenza non è mai una maledizione

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4,38-44)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. 
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. 
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Audio della riflessione.

Se siamo andati a Lourdes con qualche treno di ammalati o a Fatima, come il papa alla GMG di Lisbona, e abbiamo condiviso con loro un pellegrinaggio di fede e di speranza, abbiamo fatto esperienza del cumulo di sofferenze che abita nella vita dell’uomo. Basterebbe anche solo passare qualche giornata in un ospedale per lasciarci sconvolgere dalla sofferenza umana. Tutti prima o poi passiamo da una sofferenza fisica, da una malattia, da una cura sofferta, da un intervento chirurgico e i pensieri che ci assalgono quando siamo malati sono sempre di grande pessimismo, di paura, di tensione. La malattia, la sofferenza è una prova della vita, è un passaggio che ci fa sperimentare le nostre fragilità, il nostro limite e spesso non lo sappiamo portare. 

Gesù nel suo continuo pellegrinare per le strade della Palestina si curva su questa nostra umanità ferita e le offre un segno del Regno di Dio che sta per instaurare. Dove passa, tutti portano fuori di casa i dolori nascosti, le pene che si tengono nel segreto degli affetti familiari per un senso di pudore. Ma se si ode che si sta facendo concreta una speranza, si esce allo scoperto e la si rincorre costi quel che costi. Gesù non fa il guaritore per meravigliare, ma compie segni per indicare nuove prospettive cui è chiamato l’uomo. Da quando il peccato è entrato nella vita umana, anche il corpo ne è stato colpito. La sofferenza ha iniziato a segnare le persone, le storie degli uomini. Dentro questa storia di sofferenza si inscrive anche Gesù, ma per dire che non è definitiva, che c’è una vita futura bella, nuova, felice, come quella del suo Regno; guarisce, fa camminare, dona la vita, ridà una carne fresca al lebbroso, ricostruisce una possibilità di vita nuova. 

I suoi miracoli sono segni, sono donati per la fiducia che ripongono in Lui, e diventano la certezza che Dio ci vuole bene e che non ci sarà più niente che potrà impedire all’uomo di essere rinnovato dal suo amore. Gesù non gioca con la sofferenza, ma se la carica tutta sulle sue spalle; quei malati, noi malati nel cuore saremo presi in carico da Lui quando sarà issato sulla croce. Per vincere il male dell’uomo non basta la sua bontà cristallina, occorre una esagerazione d’amore, quella della croce. Lì le corsie dei nostri ospedali, i pianti di disperazione per le ingiustizie subite, le nostre cattiverie sono accolte nel suo cuore e noi abbiamo la certezza di avere Gesù sempre come compagno di ogni nostro dolore, come lo era per i malati che incontrava 

Gesù accoglie tutti, guarisce tutti poi si ritira sul monte a pregare. Dice a noi tutti che la forza che lo sostiene, il messaggio che vuol dare è la bontà infinita del Padre, vuole farci capire che abbiamo tutti un Padre che ci ama, che il cielo sopra di noi non è vuoto, ma abitato da un Dio che ci perdona e ci impegna nel suo regno.

06 Settembre
+Domenico

Taci, esci da costui! e uscì da lui senza fargli alcun male

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4, 31-37)

In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. 
Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.

Audio della riflessione.

L’uomo non è del tutto libero, è sempre abitato, imprigionato, posseduto dal male. Non si potrebbero interpretare diversamente moltissimi fatti di cronaca, le ingiustizie perpetrate a danno di popoli e poveri, le persecuzioni, i terrorismi e le guerre. L’uomo è devastato dal male è preso dentro da una malvagità che lo supera, è imprigionato nel male come una preda nella ragnatela, più si agita, più si attorciglia e si ingabbia. Gesù si mette di fronte a questo male e ha il potere di vincerlo. E’ Satana e si permette di avere qualcosa da dire, ma Gesù perentorio gli intima, taci esci da costui. Non c’è più spazio per te nella vita dell’uomo. Sei stato vinto, non puoi più fare nessun danno definitivo, perché la vittoria definitiva è la mia croce. Infierisci come vuoi su di me, ma non potrai mai vincere. 

E’ una continua lotta di tutta la vita, di tutta la storia del mondo. Questo male ha tanti volti, ha tutti quelli delle nostre cattiverie, della nostra indifferenza, della noia da cui ci facciamo assalire, della incapacità a perdonarci, del disprezzo della vita. 

E’ la brama di soldi e di potere, è la ribellione alla legge dell’amore è la scarsa resistenza alle tentazioni, alle malie della vita. E’ un male che si solidifica, si organizza in istituzioni e reti maledette, si riproduce con macchine moltiplicatrici di iniquità, soffoca l’uomo, ne disorienta le pur belle aspirazioni che sente di avere dentro di sé. Si insinua nei rapporti di amore e li rende fragili e volubili, si radica nella voglia di vivere e la scambia in sopraffazione. 

Si insinua nella stessa chiesa, nei desideri di religiosità, dovunque. Chi ci libererà da questo corpo di morte, esiste una speranza che ci permette di aspirare a libertà, giustizia, carità? Era la domanda dell’uomo semplice della Palestina, ma è la domanda di ogni uomo che vive nell’attesa di una salvezza. 

E Gesù si presenta con questa autorità indiscussa. Taci. Esci. Queste parole decise e autorevoli vorremmo che dicesse sempre sulle nostre vite, sulle nostre mediocrità, sui nostri adattamenti al male, sulle nostre paure e irretimenti, sulle nostre ingiustizie e i nostri tradimenti dell’amore. La sua autorità sul male è una compagnia di cui non possiamo fare a meno e Lui non ci abbandona mai.

05 Settembre
+Domenico

La vita cristiana non è una liturgia stanca, anche se noi preti a voi cristiani di parrocchie piccole o grandi, ci accontentiamo di dirvi la messa alla domenica

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4, 16-30)

In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Audio della riflessione.

La vita è fatta di tante liturgie stanche, di tanti gesti automatizzati che ogni giorno devi fare. Può essere la levata del mattino, ahimè sempre troppo presto; il congedo da quelli di casa, l’arrivo sul posto di lavoro, il caffè e il giornale con gli amici, le pratiche dell’ufficio, le lamentele sul traffico, sui prezzi che salgono.. Oppure anche liturgie più solenni come quelle ufficiali della deposizione di una corona di fiori, di una dichiarazione alla televisione, o di una messa in chiesa. Spesso le portiamo avanti stancamente come la vita, senza slancio, anche se ne vediamo la necessità. Diventano penitenza quotidiana invece di essere caricate di significato vitale. 

Così capita a Gesù, quando di sabato entra nelle sinagoghe dei paesi della Palestina. Gente stanca che prende la Torah, il libro della bibbia, ne legge un pezzo lo fa commentare poi tutti ritornano alla propria vita. Sono così anche le nostre liturgie domenicali: spesso sono più un dovere che un atto di amore. 

Ebbene un giorno Gesù entra in una di queste liturgie scontate e ribalta la vita di chi lo ascolta. Legge il libro di Isaia che prevede per il popolo un futuro diverso e dice perentoriamente: questo futuro oggi è qui con voi, sono io. Io sono stato mandato a dare speranza ai poveri, a dirvi che sta scoppiando la potenza di Dio nel mondo. E’ finito il tempo delle lagne, una nuova presenza di Dio comincia oggi, la speranza comincerà a colorare le vostre vite, i poveri trovano fiducia, i deboli si rinfrancano, i diseredati trovano casa e accoglienza. Io sono qui a garantirvi questo amore invincibile di Dio. Mi credete? 

Lo stupore di chi lo ascolta è grande, erano andati a compiere il solito rito, come noi, e si sono trovati davanti alla verità concreta che quel rito evocava e non ci hanno creduto. Se tu tutti i giorni ti adatti alla vita senza entusiasmo, non t’accorgerai mai del senso che vi è nascosto, dell’amore che vi è inscritto e promesso. Hanno dato per scontato questo loro concittadino. Erano loro i primi a non stimarsi e a non stimare. Avevano chiuso Gesù nei loro schemi paesani e non poteva sicuramente essere la promessa di Dio. Non vorrai che Dio abiti proprio tra noi? Il senso della vita non sarà ancora questo Gesù?! Si ce lo diciamo ancora tutti i giorni. 

Invece Dio abita tra noi, ha il volto del nostro vicino, ha i pensieri di bontà di chi ci dedica la vita, ha la forza di chi ci contrasta nel male. Anche questa è la speranza della nostra vita: poterlo scorgere nella storia di ogni giorno ed essere convinti che Gesù è sempre tra noi. Oggi mi potrete scoprire nella vostra coscienza. 

Abbiamo abbandonato l’uomo di Nazaret e scelto i maghi, siamo tornati a mettere al centro al dea Terra, ci nutriamo si x-file, inventiamo l’esoterico e ci costruiamo un nuovo vitello d’oro da adorare, il suo nasdaq e il mibtel. Le grandi crisi economiche non ci fanno riflettere a sufficienza.

04 Settembre
+Domenico

Non cantatemi il de prufundis, ma il magnificat.

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Luca 1, 39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Audio della riflessione.

Della piccola famiglia di Nazareth non resta più nessuno. Di Giuseppe non s’è più detto niente da tempo. Gesù è finito tragicamente sulla croce, nonostante le promesse che aveva fatto di un regno di Dio intramontabile, molto più vero di quello di Davide. Maria, che era stata presente nel Cenacolo in quella comunità di disperati e traditori, che facevano fatica a capire come tutto fosse potuto finire così tragicamente, conclude la sua vita. I discepoli si rifanno vedere a lavorare sulle rive del lago.  

Questo potrebbe essere stato scritto nell’anagrafe del tempo e questo potevano pensare quegli ebrei che si erano riabituati alla routine quotidiana della vita. Non così aveva letto i fatti la piccola comunità dei discepoli di Cristo. Gesù era risorto, aveva vinto la morte, era esploso in una nuova vita definitiva, sperimentabile, offerta a tutta l’umanità, lo Spirito aveva bruciato paure ed egoismi e aveva lanciato la piccola comunità nel mondo, Maria, la madre tenerissima e forte, aveva chiuso gli occhi a questa vita, ma la sua vita nel suo vero corpo aveva seguito la strada indicata dal Figlio; non poteva subire la corruzione della morte, colei che era stata la madre del Dio della vita.  

Una tradizione ininterrotta, documentata da tanti luoghi di culto e tradizioni orali e scritte, descrive il sepolcro di Maria pieno di fiori, mentre il suo corpo e la sua anima salgono a Dio. Il suo corpo segue il nuovo corso aperto da Gesù. E’ una creatura in cui non c’è mai stata macchia di peccato. La catena del male si era infranta e la nuova creazione aveva potuto in Lei essere di nuovo sperimentata come vita piena, definitiva, eternamente in Dio. Così oggi la contempliamo. E’ il nostro corpo, che ci attardiamo tanto a curare e spesso ad idolatrare senza speranza di fronte alla decadenza che lo assale ogni anno di più, è il nostro spirito che vediamo sempre più spesso carico di peccati che oggi contempla quel corpo e quello spirito che ci trascina verso la nostra vera destinazione, le braccia di Dio. Il canto di Maria può ben essere ancora la nostra speranza. Dio ha fatto in noi cose grandi, non si è lasciato ingannare dalla nostra pochezza e miseria, dal nostro egoismo, ci ha chiamati a un destino di felicità. Non è il ricco, il potente, il superbo che decide la storia dell’umanità, ma gli umili, gli affamati, coloro che sanno continuamente scavare sete di bontà, desideri di giustizia nelle loro vite, piene di guai.  

Questo canto accompagna la nostra processione finale, questa melodia devono percepire tutti i mesti cortei che accompagnano alla terra coloro che ci lasciano. Nella terra resteremo, ma per poco, perché la processione non ci accompagna alla sepoltura, ma alla  felicità con Dio che Maria già gode per la risurrezione di Gesù. Non siamo specialisti del De profundis, il salmo che ci accompagna in ogni nostro funerale e chiede a Dio di non ricordare le nostre colpe, ma incantati dal Magnificat, il Canto che Maria cantava a Gesù ancora quando era nella culla e che la esalta nelle braccia di Dio in anima e corpo.

15 Agosto
+Domenico