Maria, già in attesa di Gesù va da Elisabetta

Riflessione sul Vangelo del giorno (Lc 1,39-56)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Audio della riflessione

C’è una forte intesa fra le donne quando si confidano le loro difficoltà, i loro segreti, le esperienze intime della loro vita, le apprensioni per quello che sta accadendo nella loro corporeità, quando sentono di avere in seno una vita che nasce. Non è solo connivenza, diventa subito solidarietà, desiderio di aiuto, condivisione dei pensieri e dei timori, delle cure e delle speranze.  

Chi si trova in questa situazione è una donna avanzata in età, Elisabetta, di origini nobili, della casta sacerdotale, sposa a un ministro dell’Altissimo, a un fedele servitore del tempio. Aveva aspettato tutta la vita un bambino, l’aveva desiderato tanto come ogni donna che vuol vivere in pienezza la sua vita, ma non le era stata data questa grazia e proprio quando aveva riposto nel cassetto ogni suo sogno si trova a registrare questo fatto sconvolgente, questa gioia incontenibile, questa sorpresa e stupore. Nasce però anche il timore: alla mia età? Che sarà di questo bambino, come nascerà? Il marito, il vecchio Zaccaria, era rimasto muto e la confortava con segni e i segni andavano sempre decifrati, capiti, inscritti in un disegno più grande di loro, nella grande bontà di Dio.  

Maria, la madre di Gesù viene a conoscere questa situazione bella e delicata, e decide di mettersi a fianco di Elisabetta per aiutarla a vivere serenamente l’attesa, perché anche lei è in attesa, anche lei è stata tirata nel vortice incontenibile della vita divina. E l’incontro tra le due madri è tra le scene più belle della storia umana di tutti i tempi: la giovanissima e l’anziana, il nuovo e il vecchio testamento, il compimento delle promesse e gli ultimi sospiri dell’attesa, la vita di Dio e la vita dell’uomo. 

Sono i due bambini ancora all’inizio della vita che si parlano, che cominciano a sconvolgere il mondo, che esprimono la gioia del mondo per quello che Dio sta finalmente compiendo. Una benedizione nasce nella bocca di Elisabetta, un canto di lode in quella di Maria. Rallegrati Maria, dice Elisabetta; l’anima mia esulta nel Signore dice Maria. Benedetto il frutto del tuo grembo, benedetto il figlio di Dio, benedetto il futuro che nasce, dice Elisabetta; grandi cose ha fatto l’Altissimo e noi ne diamo a tutti testimonianza. Dio è grande, Dio è forte, Dio è la pienezza della nostra vita. E noi ci siamo tenuti e imparati l’Ave Maria e il Magnificat 

31 Maggio – Festa della Visitazione della B.V. Maria
+Domenico

Lasciamo il posto a Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38)

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione.

Il nostro modo di pensare di gente concreta, fatto di sogni e di progetti, ma soprattutto di realizzazioni concrete, di laboriosità contrasta un poco con il mondo della fede. Non è che chi crede debba essere un fatalista, uno che sta con le mani in mano a vedere se la vita cambia da sola, a starsene beatamente nell’inerzia più assoluta, ma sicuramente chi crede in Dio deve sicuramente mettere Dio al centro della sua esistenza e lasciarsi condurre da lui, dalla sua parola, lasciarsi convertire al suo piano e entrare nell’idea che è Dio che ha in mano le sorti del mondo e della vita e che noi spesso siamo solo di ostacolo, perché agiamo di testa nostra. Il male che c’è nel mondo è frutto di una nostra soggettività giocata male, del nostro esserci messi al posto di Lui. 

Non così, ma esattamente il contrario è stata la decisione di Maria di mettersi nelle mani di Dio. Quando l’angelo andò da Lei per chiederle a nome di Dio se volesse diventare la madre di Gesù, ella si offrì completamente. Aveva progettato nella sua vita di essere vergine e a Dio si offre così. La sua verginità indica che ciò che nasce da lei è puro dono, il futuro che inizia con lei è grazia e dono di Dio. Nelle coppie sterili dell’Antico Testamento Dio dà successo a una azione umana senza successo, qui invece Maria rinuncia ad agire, offre la sua verginità, una passività e una povertà totale che rinuncia ad agire proprio per lasciare il posto a Dio. È la fede. Questo vuoto assoluto è l’unica capacità in grado di contenere l’Assoluto. 

E Maria diventa la figura del credente, l’immagine della Chiesa, di chi nella fede concepisce l’inconcepibile: Dio stesso. Le domande che Maria fa sono nella direzione non di una volontà di agire e ancor meno di opporsi, ma nella direzione di una disponibilità massima di corpo e di spirito, di pensieri e di progetti. 

Maria realizza il mistero della fede. Quando siamo proprio decisi a lasciarci fare da Dio, a mettere in animo il suo disegno, il suo modo di vedere la realtà, Dio si fa presente. È la fede pura che attira in noi il Salvatore. La fede rompe i limiti di ogni incapacità umana per renderci capaci di Dio. 

E Dio quando coglie la nostra disponibilità decide di stare con noi di diventare l’Emmanuele, il Dio che non ci abbandona mai.

08 Aprile
+Domenico

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione

Il nostro modo di pensare di gente concreta, fatto di sogni e di progetti, ma soprattutto di realizzazioni concrete, di laboriosità contrasta un poco con il mondo della fede. Non è che chi crede debba essere un fatalista, uno che sta con le mani in mano a vedere se la vita cambia da sola, a starsene beatamente nell’inerzia più assoluta, ma sicuramente chi crede in Dio deve sicuramente mettere Dio al centro della sua esistenza e lasciarsi condurre da lui, dalla sua parola, lasciarsi convertire al suo piano e entrare nell’idea che è Dio che ha in mano le sorti del mondo e della vita e che noi spesso siamo solo di ostacolo, perché agiamo di testa nostra. Il male che c’è nel mondo è frutto di una nostra soggettività giocata male, del nostro esserci messi al posto di Lui.  

Non così, ma esattamente il contrario è stata la decisione di Maria di mettersi nelle mani di Dio. Quando l’angelo andò da lei per chiederle a nome di Dio se volesse diventare la madre di Gesù, ella si offrì completamente. Aveva progettato nella sua vita di essere vergine e a Dio si offre così. La sua verginità indica che ciò che nasce da lei è puro dono, il futuro che inizia con lei è grazia e dono di Dio. Nelle coppie sterili dell’Antico Testamento Dio dà successo a una azione umana senza successo, qui invece Maria rinuncia ad agire, offre la sua verginità, una passività e una povertà totale che rinuncia ad agire proprio per lasciare il posto a Dio. È la fede. Questo vuoto assoluto è l’unica capacità in grado di contenere l’Assoluto. 

E Maria diventa la figura del credente, l’immagine della Chiesa, di chi nella fede concepisce l’inconcepibile: Dio stesso. Le domande che Maria fa sono nella direzione non di una volontà di agire e ancor meno di opporsi, ma nella direzione di una disponibilità massima di corpo e di spirito, di pensieri e di progetti. 

Maria realizza il mistero della fede. Quando siamo proprio decisi a lasciarci fare da Dio, a mettere in animo il suo disegno, il suo modo di vedere la realtà, Dio si fa presente. È la fede pura che attira in noi il Salvatore. La fede rompe i limiti di ogni incapacità umana per renderci capaci di Dio. 

E Dio quando coglie la nostra disponibilità decide di stare con noi di diventare l’Emmanuele, il Dio che non ci abbandona mai. 

24 Dicembre
+Domenico

Ma che vuole Dio da noi?

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,57-66)

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Audio della riflessione

Quando vivi degli avvenimenti intensi sembra che il tempo si fermi, l’attesa si fa spasmodica, conti i giorni, le ore, i minuti, poi ti guardi un attimo indietro e vedi che il tempo è passato, che gli avvenimenti procedono con una certa inesorabilità; la vita che è iniziata si radica, continua, ha i suoi ritmi che paiono lenti, ma che procedono inesorabili. E così avvenne anche per Elisabetta: la sorpresa, la vergogna di vedersi incinta alla sua età, la consolazione di avere Maria a farle compagnia, il grande evento che in Lei si sta compiendo…  

Tutto continua e nessuno più ferma la nuova storia e viene il giorno in cui questo Giovanni nasce; le meraviglie, le incredulità, la sorpresa che pure ciascuno viveva nella sua interiorità prendono fuoco, perché ora Giovanni è lì, il suo pianto è vero, il suo corpo se lo coccola sua madre, se lo mangiano con gli occhi tutti. Zaccaria è muto, è un padre ancora senza parole, gli ripassa nella mente tutta la sequenza del Tempio, della promessa, tutte le attenzioni di questi nove mesi. Elisabetta si fa aiutare, Maria dopo tre mesi ritorna a casa sua. Ora la storia di Dio continua in Lei, anch’essa ha bisogno di rientrare nella sua intimità a custodire il futuro dell’umanità.  

Il bambino di Elisabetta è nato e arriva anche il giorno della Legge, il giorno della circoncisione. Questo figlio fa parte di un popolo, non nasce in un deserto di relazioni e di storia, è dentro un nobile casato sia per parte di Zaccaria che di Elisabetta. Di nomi da ereditare ce n’è tanti e tutti nobili, tutti capaci di rievocare gesta, ruoli elevati, funzioni eminenti. A cominciare dai capostipiti Abia, per Zaccaria e Aronne per Elisabetta. Ma il bambino è destinato a far scoppiare il futuro, non a clonare il passato.  

“Chiedevano con cenni a suo padre” … i muti ora sono tutti, come si fa di solito con chi non parla, con chi deve esprimersi a cenni. Pensano forse che Zaccaria sia sordo e lo seppelliscono nell’isolamento, lo privano di qualsiasi normalità. Zaccaria esprime ancora per l’ultima volta la sua tensione di non essere capace di dire e scrive: Giovanni sarà il suo nome. Lui deve annunciare la novità assoluta, definitiva per l’umanità, non sarà cultore del tempio, non si metterà in fila come tutti a ripetere un passato anche glorioso, non farà come suo padre i turni settimanali dell’offerta dell’incenso, intuirà invece e indicherà con forza la venuta del Salvatore, brucerà di ardore per l’attesa del compimento. 

Zaccaria torna a parlare e la gente, noi, a riflettere a domandarci: ma Dio che vuole da noi? Che vuole da noi Lui che non ci abbandona mai? 

23 Dicembre
+Domenico

Un canto di lode

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,46-55)

In quel tempo, Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno
beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Audio della riflessione

Cantare è sciogliere il nostro spirito nella libertà, uscire dalla solitudine, offrire a tutti la serenità del cuore, creare un clima di distensione. Cantare è dire con il cuore e con la vita la speranza e la voglia di vivere, modulare sentimenti che con le parole sarebbero mortificati e incomprensibili. Anche Maria, quando incontra Elisabetta esce in un canto di lode e di gioia, di vita e di speranza.  

L’incontro è tra i più poetici della storia: qui nasce l’Ave Maria e il grande cantico della speranza: il Magnificat. Maria esplode nella lode al Creatore e nell’indicare agli uomini la bontà di Dio, la sua grandezza.  

“Dio è di parola, ci salva, non ci lascia in balia dei potenti, esalta gli umili. Sperare in Lui è la nostra unica forza. Lui è grande ed è grande per noi. Non gli fa paura la nostra povertà, né la strafottenza dei potenti, ci ama e ci apre un futuro di felicità e di gioia. Il tempo della pienezza è venuto. A noi non resta che aprire il cuore e lasciarci inondare da Lui. Dio è sempre più grande di ogni nostra attesa. I potenti sono lasciati a sé stessi, i ricchi troveranno i loro forzieri bucati e vuoti, i superbi che non hanno occhi per nessuno che per sé stessi, che millantano grandezze che sono di altri, che non sanno riconoscere di avere avuto tutto in dono, che si sono fatti un trono di sabbia, resteranno nella palude dei propri inganni, vedranno con verità che Dio è grande.  

I poveri sapranno di poter contare su di Dio come su una roccia incrollabile, avranno in lui la difesa si sentiranno tra le sue braccia; gli umili troveranno il sapore della vita in Lui, come l’ho sempre trovato io. Gli affamati non dovranno più cercare il cibo nei bidoni della spazzatura, ma avranno una mensa imbandita. Il popolo che saprà dare posto nelle sue leggi, nei suoi valori, nei suoi progetti a opere di pace, a solidarietà e misericordia sentiranno sempre il soccorso di Dio.” 

E così Maria fa la cantautrice, se non è irriverente il paragone, e sa scatenare nei giovani la voglia di cose pulite, si fa carico nel suo concerto di tutti quelli che la ammirano, dei nostri sogni, delle nostre speranze; non blandisce, non accontenta, ma apre alla nuova vita, la vita di Dio che va oltre ogni nostra attesa e che non abbandona mai nessuno.

22 Dicembre
+Domenico

Il futuro già lavora anche se non si vede

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,39-45)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Audio della riflessione

Si fa un gran parlare oggi di embrioni, di frutto del concepimento, di vita nata e non completa. Purtroppo, si pratica l’aborto, la soppressione della vita di chi è indifeso e viene visto come un attacco alla vita degli adulti. Esistono sofferenze immani, che vengono spesso solo usate per battaglie ideologiche e per queste sofferenze occorrerebbe avere una possibilità di accoglienza, di comprensione, di aiuto, di non lasciare nella solitudine di decisioni irrevocabili, di rimorsi che poi non riescono più ad essere assorbiti. C’è spesso molta incoscienza e molta faciloneria, un disprezzo della vita e della sofferenza delle persone che non ha eguali in altri campi.  

Ebbene il vangelo ci presenta una bellissima immagine che può aiutarci a guardare alla vita ancora prima del suo nascere con atteggiamenti di stupore e di semplicità, di gioia e di attesa. Ci sono sulla scena da alcuni mesi due madri: Elisabetta e Maria. Elisabetta è anziana, si tiene nascosta, porta in grembo un bimbo che non sperava più, ha vergogna di quel che dice la gente. “Alla tua età, hai ancora queste velleità, non potevi mettere il cuore in pace, non sai quello che rischi?” 

L’altra è Maria, la madre di Gesù. Aveva saputo delle difficoltà della cugina Elisabetta. Anche Lei porta in corpo un segreto, non si vede ancora niente, ma il fuoco che ha dentro la spinge a mettersi a disposizione, porta in grembo l’amore fatto persona e la sua vita comincia a trasformarsi in gesti di amore. E l’incontro è sì fatto dalle parole che le due donne si dicono, ma è condotto dai due concepiti: Giovanni Battista nel seno di Elisabetta scalcia e coglie la presenza di Gesù nel seno di Maria. Sono già due vite, due persone, due progetti, due missioni. Dice il vangelo: Ecco appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”. 

 È esperienza di tutte le madri sentire i propri figli scalciare nel proprio seno. Ed è già la presenza di un altro da sé, non di una appendice del proprio corpo. Ebbene Gesù già si annuncia come il salvatore fino dal seno di sua madre. È proprio una speranza già presente, perché Dio non ci abbandona mai. 

21 Dicembre
+Domenico

Con te Dio c’è da sempre

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38)

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione

Nella vicenda di ogni uomo c’è una figura necessaria che ti determina la vita, te la segna in bene o il male, te la colora di gioia e sempre di tenerezza: la mamma. L’adulto che non ce l’ha più, ogni tanto pensa a lei, le balena davanti in molte situazioni, la vede rimproverarlo o accarezzarlo fosse anche solo con lo sguardo e il sorriso. Un giovane la dà un po’ per scontata, perché è sicuro di poter contare su di lei. La scova ad aspettarlo, se la sente col fiato sul collo a interessarsi troppo di lui, litigano, la manda al diavolo, e non dovrebbe mai di farlo, ma tutto si ricompone nella consapevolezza di poterla avere come punto di riferimento. Quando ti mancherà, ti accorgerai ancora di più che c’era e dovrai fare un salto obbligato nella vita adulta.  

Anche Gesù ha voluto avere bisogno di una mamma, si è inscritto in questo gioco di tenerezze date e ricevute, di accoglienza incondizionata e sforzo di definirsi in libertà, di delicatezza e fortezza. E lei, si chiamava Maria, ha fatto la mamma fino in fondo. Viveva in una cultura in cui la donna era considerata pochissimo nella società che conta, ma determinante per la crescita del figlio. Il carattere di Gesù, la sua fortezza, la sua capacità di dialogo, la sua fiducia estrema in Dio Padre, sono nate sulle ginocchia della madre. Gesù ha cominciato da piccolo a vedere Dio, guardando negli occhi sua madre. Ha maturato la incrollabile fiducia in suo Padre anche nella prova suprema della croce vedendo l’abbandono totale in Dio di sua madre. Ma una cosa tra le tante definisce in modo originale il rapporto tra mamma e figlio in Gesù. Lui ha potuto scegliersi la mamma. Dio non è andato alla banca del seme per vedere se suo figlio poteva nascere biondo, con gli occhi azzurri, slanciato, con il quoziente intellettuale da genio, forme fisiche da dio greco… si è scelto la madre e l’ha voluta senza colpa, senza la minima colpa, non invischiata nella catena del male in cui l’umanità si dibatteva. Il Vangelo usa alcune parole semplicissime: il Signore è con te. Il Signore è la tua pienezza, ti abita completamente, non c’è spazio dato a nessuno al di fuori di Lui.  

Avere una mamma così anche noi, è il regalo più bello che Dio ci ha fatto, Lui che non ci abbandona mai.

20 Dicembre
+Domenico

Non sei mai troppo vecchio per sperare

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,5-25)

Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso.
Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccarìa disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».
Intanto il popolo stava in attesa di Zaccarìa, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».

Audio della riflessione

Il nostro mondo è sempre tentato di cedere al cosiddetto destino, cioè a una visione del vivere che ritiene essere la fatalità che decide il corso della storia. Il caso poi è legato all’impossibilità di vedere qualche bella novità che cambia il corso degli eventi. Abbiamo una visione piccola della storia e in questa si insinua sempre un abbassamento dell’orizzonte alle nostre piccole vedute, segnati dalle esperienze negative, impossibilitati a colpi d’ala che pure abbiamo talvolta sognato e che alla fine sono diventati un miraggio.  

Era una vita così quella di Zaccaria, quel vecchio prete del tempio, ormai carico di anni, che faceva dell’abitudine quotidiana del servizio del tempio l’unico suo orizzonte, l’unica sua sicurezza. Almeno questa settimana andrò a Gerusalemme e lì farò quel che la mia vita mi ha sempre permesso di fare. Darò lode all’Altissimo, gli brucerò l’incenso delle mie preghiere e quelle del mio popolo, ma sono stanco di aspettare, non c’è niente di nuovo né per me, né per il mio popolo. Non mi aspetto ormai che la morte su questa mia famiglia rimasta senza futuro, senza vita, senza il dono di un figlio. 

Ma proprio in questo estremo sconforto Dio interviene e squarcia l’orizzonte. Zaccaria: “non solo avrai un figlio, nella tua vecchiaia; non solo la tua vita avrà un futuro, ma questo figlio sarà l’inizio di un futuro nuovo per tutto il popolo, per tutta l’umanità. Smettila di lamentarti, buttati nella grandezza del tuo Dio, non credere di essere abbandonato perché Dio è proprio da te che comincia a ridare speranza a tutti”.  

Ma Zaccaria non è allenato alla speranza, è allenato al lamento, si tiene in piedi per il ruolo e non riesce a trapassare il presente, a togliere il velo dell’abitudine. E si attarda a tentare di capacitarsi di quel che gli sta avvenendo, discute, tergiversa, gli viene un sorriso amaro sulla bocca: Che pensieri stanno abitando la mia vecchiaia? Sono degne del Santo dei Santi queste fantasie? Mia moglie, che mi è sempre stata accanto, con cui tante volte abbiamo sospirato e che poi alla fine si è data pace, è ormai vecchia e rinsecchita come me, può offrirsi a Dio per questa nuova storia? 

Non può che restare muto, gli viene meno la parola, alla gente che lo aspetta fuori comunica a gesti, perché non ha saputo ascoltare e accettare l’unica Parola che salva, che ci dà la certezza che Dio non ci abbandona mai. 

19 Dicembre
+Domenico

Bella da sempre – 8 dicembre

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione.

La mamma è sempre la donna più bella della vita, almeno finché sei piccolo, poi un po’ alla volta diventi addirittura impietoso, perché ne stai a vedere tutti i difetti: non ti piace questo, quello, poi ti metti a gridarle dietro, poi la ignori, dio non voglia, la offendi; e viene un tempo che la pensi con nostalgia e la cerchi, ma non c’è più. Ti ha dato la vita e un po’ alla volta se ne è ritirata per lasciarti spazio.  

Anche Gesù ha avuto una mamma, e Dio suo Padre l’ha scelta tra miliardi di creature con una qualità impossibile all’umanità, ma a Dio sì: senza peccato. Noi uomini abbiamo una storia di male, lei no; noi siamo stati morsi dal serpente, lei no; noi abbiamo un concentrato di cattiveria, lei no; noi siamo sempre soggetti alla tentazione, lei no. Non c’è in lei niente che possa far pendere verso il male, è tutta orientata alla bellezza, alla bontà, all’accoglienza.  

Con un po’ di irriverenza qualcuno potrebbe pensare a un automa, a una creatura già programmata, senza possibilità di scelta, costretta dentro un ruolo disegnatole addosso da altri. Il vangelo invece ce la presenta nel massimo della sua libertà, della sua ricerca, dello stupore per l’invito a diventare madre di Dio, ad abbandonare i suoi progetti per i progetti nuovi di salvezza per tutti. Vuol sapere, ha deciso diversamente fino ad ora, c’è di mezzo una persona, Giuseppe; si sente già un cuore donato e ora deve ripensare, riflettere, affidarsi a Dio. Occorre proprio una fede grande per fare così; non ha spostato solo qualche impegno per accontentare gli amici, come spesso dobbiamo fare noi, ma ha definito di nuovo la sua giornata, la sua vita, la sua fede. 

Vuoi diventare la madre del Salvatore? È la domanda più bella e più impegnativa che Dio può fare a una creatura e vuol appendere i suoi sogni, il suo progetto, la sua volontà alla decisione di Maria, di una giovanissima ragazzina.  È un dialogo d’amore, una decisione di lasciarsi prendere e di donarsi, di offrirsi e di dedicarsi. Maria rischia tutta la sua giovinezza, la sua semplicità, la sua affettività, il suo amore, lo mette a disposizione di Dio. Si offre mamma e viene esaltata come regina, si presenta serva e ne esce come mediatrice. Sperimenta anche Lei nella gioia della nascita di Gesù il desiderio di offrire tutto e si butta, sono la tua serva, non mi abbandonare. E Dio questa mamma l’ha lasciata a noi prima di morire in croce: Figli questa è vostra mamma e noi possiamo sempre dire: mamma sia sempre tuoi figli. E siamo ancora più sicuri che Dio non ci abbandona mai. 

08 Dicembre
+Domenico

Non cantatemi il de prufundis, ma il magnificat.

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Luca 1, 39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Audio della riflessione.

Della piccola famiglia di Nazareth non resta più nessuno. Di Giuseppe non s’è più detto niente da tempo. Gesù è finito tragicamente sulla croce, nonostante le promesse che aveva fatto di un regno di Dio intramontabile, molto più vero di quello di Davide. Maria, che era stata presente nel Cenacolo in quella comunità di disperati e traditori, che facevano fatica a capire come tutto fosse potuto finire così tragicamente, conclude la sua vita. I discepoli si rifanno vedere a lavorare sulle rive del lago.  

Questo potrebbe essere stato scritto nell’anagrafe del tempo e questo potevano pensare quegli ebrei che si erano riabituati alla routine quotidiana della vita. Non così aveva letto i fatti la piccola comunità dei discepoli di Cristo. Gesù era risorto, aveva vinto la morte, era esploso in una nuova vita definitiva, sperimentabile, offerta a tutta l’umanità, lo Spirito aveva bruciato paure ed egoismi e aveva lanciato la piccola comunità nel mondo, Maria, la madre tenerissima e forte, aveva chiuso gli occhi a questa vita, ma la sua vita nel suo vero corpo aveva seguito la strada indicata dal Figlio; non poteva subire la corruzione della morte, colei che era stata la madre del Dio della vita.  

Una tradizione ininterrotta, documentata da tanti luoghi di culto e tradizioni orali e scritte, descrive il sepolcro di Maria pieno di fiori, mentre il suo corpo e la sua anima salgono a Dio. Il suo corpo segue il nuovo corso aperto da Gesù. E’ una creatura in cui non c’è mai stata macchia di peccato. La catena del male si era infranta e la nuova creazione aveva potuto in Lei essere di nuovo sperimentata come vita piena, definitiva, eternamente in Dio. Così oggi la contempliamo. E’ il nostro corpo, che ci attardiamo tanto a curare e spesso ad idolatrare senza speranza di fronte alla decadenza che lo assale ogni anno di più, è il nostro spirito che vediamo sempre più spesso carico di peccati che oggi contempla quel corpo e quello spirito che ci trascina verso la nostra vera destinazione, le braccia di Dio. Il canto di Maria può ben essere ancora la nostra speranza. Dio ha fatto in noi cose grandi, non si è lasciato ingannare dalla nostra pochezza e miseria, dal nostro egoismo, ci ha chiamati a un destino di felicità. Non è il ricco, il potente, il superbo che decide la storia dell’umanità, ma gli umili, gli affamati, coloro che sanno continuamente scavare sete di bontà, desideri di giustizia nelle loro vite, piene di guai.  

Questo canto accompagna la nostra processione finale, questa melodia devono percepire tutti i mesti cortei che accompagnano alla terra coloro che ci lasciano. Nella terra resteremo, ma per poco, perché la processione non ci accompagna alla sepoltura, ma alla  felicità con Dio che Maria già gode per la risurrezione di Gesù. Non siamo specialisti del De profundis, il salmo che ci accompagna in ogni nostro funerale e chiede a Dio di non ricordare le nostre colpe, ma incantati dal Magnificat, il Canto che Maria cantava a Gesù ancora quando era nella culla e che la esalta nelle braccia di Dio in anima e corpo.

15 Agosto
+Domenico