Le confidenze di Marta

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,38-42)

Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Audio della riflessione

“Ma credete proprio che io fossi così sciocca da pensare di più a un piatto di capretto arrosto che a Gesù? Quando ritornava da quel covo di vipere che era Gerusalemme, la mia gioia saliva alle stelle … e che facevo? Tutto quello che fa ogni mamma! Ti vedo calato di peso, che hai? Mangia. Hai dormito stanotte? E in questi giorni ti hanno ascoltato? Hai trovato un posto tranquillo per riprendere forze? Ma questa tosse è un po’ che ce l’hai? Non mi piace proprio … E io che dovevo fare? Dimenticavo me stessa, la mia stessa anima per occuparmi di Lui. Sì, forse ero troppo ingombrante, occupavo io tutta la scena, quasi non lo lasciavo parlare. Temevo che un giorno o l’altro non sarebbe più tornato da Gerusalemme: si era fatto troppi nemici! Mia sorella Maria è sempre stata una sognatrice. Lei lo aspettava, ma non sapeva neanche prendergli il mantello e scuoterne la polvere: le si riempivano subito gli occhi di lui! non diceva né faceva niente, le bastava stare a guardarlo e lasciarlo parlare. Ne era innamorata pazza. Un giorno ha sperperato un capitale di profumo costosissimo per ungergli i piedi: non si accontentava di lavarglieli, non si curava di ciò che diceva la gente … anche lei come me aveva paura che prima o poi non sarebbe più tornato. E l’ha proprio indovinata perché poco dopo non avremmo potuto nemmeno accostarne il cadavere, quel giorno nefasto di Parasceve. A me faceva rabbia questa sua calma, per lei i mestieri di casa si fanno da soli.  Lei rimane incantata … ma se non ci fossi io! E quando è morto Lazzaro? Sono stata io a reagire subito, a correre incontro a Gesù: li era rimasta in casa, senza forze, senza speranza. Era stata ferita nell’amore: quei 4 giorni di sepoltura, avevano sepolto anche la sua forza di reagire! Quando Gesù ha visto me mi ha subito detto di affidarmi a Lui e io l’ho fatto. Lui era la forza che mi aveva sempre tenuto in piedi. Ancora una volta era riuscito a tornare da Gerusalemme, e mi ha subito detto di chiamare Maria. Sono stata io a dirle “il maestro ti chiama”, Mi faceva pena. E Gesù ci ha restituito Lazzaro, ma con quel dono che ha fatto a noi si è firmato la sua condanna: Non lo avremmo più visto dopo quel giorno! Abbiamo pianto tanto assieme quando ci hanno riferito come ce lo hanno ammazzato a Gerusalemme. Era il centro della nostra vita. Io mi affannavo ancora per la casa, ma per chi? Maria restava muta, ma per chi?”

Non so se questo dialogo con Marta ci aiuta a sciogliere i nostri tormentoni; contemplazione o azione?

Sicuramente c’è un insegnamento inequivocabile: tanto l’azione che la contemplazione devono avere al centro Lui, Gesù! Nessuno deve occupare la scena, è solo Lui che la riempie tutta.

Noi con le nostre caratteristiche umane, le nostre doti, i nostri modi di essere gli faremo un posto, quello centrale, ma con qualità diverse: l’importante è che Lui sia il centro! È lo Spirito che delinea in noi in maniera originale per ciascuno i tratti della sua umanità, ci conforma a Lui in termini assolutamente originali, a seconda della nostra storia, la nostra docilità … Lo Spirito vince le nostre resistenze, orienta i nostri progetti a Lui.

Si può stare ad agire riempiendo noi la scena o si può stare a contemplare per trattenere: si deve invece sempre agire e contemplare per amore.

Una azione che non ha al centro Gesù ha il fiato corto! Una contemplazione che si ripiega su se stessa diventa subito sterile anche per chi la vive.

La parte migliore da scegliere è Lui e questo ce lo dobbiamo sempre rinnovare nella coscienza, nei segni, nei gesti, nel nostro programma, nei pensieri, nelle preoccupazioni, nelle stesse nostre strutture.

29 Luglio 2024
+Domenico

Chi è tagliato fuori, gli sta ancora più a cuore

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 21-24

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Audio della riflessione.

C’è tanta gente che è tagliata fuori dalla vita, che non riesce più a mettersi in corsa. Tutti gli altri hanno trovato lavoro, degli affetti stabili, si sono fatti una famiglia, hanno raggiunto la pace interiore; sono pure intelligenti; fortunati si dice. Invece qualcuno non è riuscito a stare al passo, è caduto; una sbandata, un giro di amici, una debolezza su cui si sono accanite tutte le sfortune, una leggerezza diventata abitudine e resta indietro; tenta di risalire, si sforza di riprendere la corsa, ma c’è sempre qualche inciampo.  

In alcune società molti diventano barboni, altri incappano negli usurai, spesso ci pensa la mala vita a incatenare e a togliere ogni voglia di riscatto. Gesù dice che è venuto proprio per questi e ringrazia Dio perché ha rivelato la bellezza e il senso della vita proprio a questi. Non sono i potenti che gli danno gloria, non sono gli intelligenti, i grandi della terra, i dotti autosufficienti, ma i senza niente, quelli che hanno fame e sete, quelli che in cuor loro desiderano una vita pulita e non ce la fanno e mettono la loro fiducia solo in Dio.  

Vedere e ascoltare sono i segreti di un incontro con Gesù. Occorre avere il coraggio di vederlo all’opera nella storia e ascoltare la sua Parola, sentire da lui chi essere nella vita, ma ancor prima ascoltare la Parola che descrive la grandezza della sua bontà. Il povero ha bisogno di tutto, ma al di sopra di ogni cosa ha bisogno di sapere che nella sua vita c’è una meta, che oltre le sue sofferenze c’è una salvezza, che non è vero che per essere liberi occorre disfarsi di questa nostra esistenza, perché in questa nostra sofferenza si è inscritto il Salvatore, il Signore. Avvento è aspettare e essere certi di una presenza; è sapere che nelle nostre storie è stato seminato un principio di verità e di felicità e attendere con fiducia che si sviluppi. 

I poveri della terra sono i beati. La salvezza, la felicità della vita è svincolata da privilegi, da prenotazione di posti, da tribune d’onore, da prime file. Non è un colpo impazzito di fortuna che a caso si colloca in chi non sa attendere e sperare, non la possiede la mala vita, nemmeno il giro delle felicità artificiali. È Gesù che raggiunge i tagliati fuori, che si aprono a Lui con tutta la fiducia che riescono ad esprimere. Per questo diventa proprio vero che Dio non abbandona nessuno mai. 

05 Dicembre
+Domenico

Agnelli e lupi, lo siamo tutti. Solo Gesù ci salva  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”»

Audio della riflessione.

Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi è la verità nuda e cruda che Gesù dice ai suoi discepoli che dovevano cominciare da soli a predicare il vangelo, a far nascere anche in tante altre persone la speranza che avevano visto in Lui. Il bene è sempre osteggiato, quindi; il vangelo che sembra un bel messaggio di pace crea reazioni incontrollate; il male è pronto a soffocare il bene. La sua parola è una spada, il suo messaggio un fuoco, il regno di Dio una sfida. È il mistero della cattiveria dell’umanità che indica quanto il male si è radicato dentro di noi, nelle nostre relazioni, nei tessuti sociali.  

Uno che vive di furti, non accetta chi gli dice che non può rubare; uno che vive di inganni non si adatta a perdere il suo potere; chi ha impostato la vita sullo sfruttamento non accetta di essere richiamato alla giustizia e di cambiare soprattutto comportamento, lo spacciatore cui vengono sottratti i clienti perché qualche sforzo educativo riesce a far rinsavire i giovani non perde impunemente i suoi facili guadagni. Potremmo continuare; lupi lo siamo tutti quando veniamo contestati nella nostra vita egoista; lupi siamo quando siamo chiamati a perdere interessi disonesti, a fare pulizia nei nostri sentimenti e relazioni disordinate; lupi siamo quando veniamo richiamati ai nostri doveri di padri e madri, di cittadini e di uomini responsabili di tutto il creato… Proprio per questo abbiamo bisogno di uomini e donne forti, capaci di andare controcorrente.  

L’agnello vincerà non certo per la sua potenza, lui è inerme, ma per la forza di Dio, con la sua umiltà. Dio guarda l’umile e lo ascolta. C’è bisogno di agnelli, anche se i lupi saranno sempre più agguerriti, ma Dio non ci abbandona mai. 

Vogliamo vivere di speranza, La nostra vita spesso si svolge nell’incertezza, nella approssimazione. Viviamo di tentativi, di scongiuri qualche volta, di fortuna. Gesù invece è venuto con una decisione definitiva: lavorare per il regno di Dio e in Lui c’era una certezza incrollabile: è vicino a voi il regno di Dio. Regno di Dio è una realtà che racchiude in sé tutte le attese del popolo di Israele. Quando lo udivano dalle labbra di Gesù capivano immediatamente che si trattava della loro grande speranza, della aspirazione di secoli: per loro era la fine di un incubo, la realizzazione di un sogno di popolo, incarnato in ogni famiglia, in ogni pio ebreo. Era la certezza della presenza misteriosa, ma reale di Dio nella storia del popolo e di ogni persona. Gesù voleva che tutti si orientassero a questa attesa sicura.  

Anche noi credenti oggi dobbiamo avere questa certezza. Non è vero che il mondo va verso il peggio, che la vita diventa sempre più impossibile, che il male è destinato ad avere il sopravvento, che stiamo andando verso la barbarie. Non è vero che ci stiamo allontanando dalla salvezza. Dio è fedele, il suo amore è senza se e senza ma. La sua promessa non è vana, non vincerà il male per quanto si faccia forte e usi tutte le astuzie per compiere la sua distruzione. Riuscissimo a vivere con questa certezza, con la consapevolezza che il Regno di Dio, che la pace, la giustizia, la felicità non sono solo promesse, ma realtà che determineranno per sempre la vita dei giusti, avremmo più fiducia nel nostro semplice e povero operare il bene.  

Certo quello che vediamo ci può scoraggiare, ma abbiamo bisogno di apostoli, come san Luca che oggi celebriamo, che parlano del grande bene che c’è nelle vite donate di chi soffre, di chi lavora per la giustizia, di chi con semplicità ama i suoi figli, i suoi malati, di chi fa il suo volere. Le cronache dei giornali non sono il diario del regno di Dio, ma solo il negativo che sta sotto un mare di bene che Dio semina in ogni creatura. Occorre andare a due a due a rinfocolare la speranza nel mondo, perché Dio sta con noi, è presente più di quanto lo possiamo scorgere nelle pieghe della vita. Operai della messe siamo noi tutti battezzati. Gesù non sta parlando ai preti nella giornata per le vocazioni, Tutti non dobbiamo far altro che imitare Lui, Gesù Cristo, che non solo ci ha offerto la sua parola, ma anche la vita. 

18 Ottobre
+Domenico

Gesù conosce ciò che c’è nel nostro cuore  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Audio della riflessione.

Sei impegnato anche quando ti riposi? anche quando te ne stai tranquillo in compagnia di due ragazze? Sei disimpegnato anche se lasci per un po’ di tempo le public relations e ti lasci coccolare dall’amicizia? Nel mondo in cui siamo, il tempo va tutto calcolato, anche quello libero, soprattutto quello libero. Occorre spremere di tutto e di più. Se vuoi far carriera, sappi che non c’è niente di inutile, devi calcolare tutto e non farti irretire da sentimenti e romanticismi e non farti legare dall’amicizia. Devi essere sempre tu che ha in mano la vita, che la orienta, che decide dove collocarla.  

Lui, Gesù tornava spesso a Betania. C’erano due sorelle che stravedevano per lui, c’era un amico che lo rincuorava dopo le sfide e le provocazioni senza esclusione di colpi dei farisei. Dice il vangelo: “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro”. Si metteva in pantofole, lui che nessuno fermava nell’ardore di buttarsi nell’avventura del Regno, Lui che appena il giorno prima aveva buttato all’aria le bancherelle del tempio e qualcosa di più nella coscienza della gente. “Venite in disparte e riposatevi un po’, passate di qua quando non ne potete più e avete giù la catena e non capiterà mai che io abbia qualcosa d’altro da fare che abbracciarvi, ascoltarvi, coccolarvi”.  

Maria se ne stava là a contemplare, non lo vedeva tutto, tanto gli stava vicino, lo riempiva dei suoi sguardi, Marta brigava e borbottava perché si voleva mettere al centro della scena, Lazzaro gli dava il cuore e senza volerlo gli preparava in gola il pianto per la sua morte. Gesù non era un super eroe, non era un blocco di pietra, non girava col portatile per programmare tutto e sempre, prendere appunti e non perdere tempo, ma un cuore che ama, che apprezza i sentimenti, che sa commuoversi e piangere, arrabbiarsi e presentare contro il male una faccia dura come la pietra. Gesù sapeva e sa quello che c’è nel cuore dell’uomo. Sa che la nostra parte migliore è stare in contemplazione, lui del Padre e noi di Lui.  

Marta questo l’aveva capito forse un po’ a fatica, ma non aspettava che Gesù, non vedeva che Lui. Alla morte di Lazzaro la sua iperattività forse, ma la sua concretezza riesce a far incontrare Gesù con Maria troppo demotivata e inerte per quella morte. “Gesù ti vuol parlare!, dice Marta. Ora non stai contemplandolo, ma stai crogiolandoti nel tuo dolore, soffrendo da sola.  

Basta questa attenzione per ridare a Maria la dignità che spesso con i nostri strani ragionamenti le togliamo. E Gesù risuscita Lazzaro e Marta ne ringrazia Dio e ne gioisce. 

10 Ottobre
+Domenico

Anche se siamo ripiegati a terra  e mezzo morti, Gesù ci viene a prendere  

Una riflessione sul vangelo secondo Luca (Lc 10, 25-37)

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Audio della riflessione.

Ricordiamo tutti lo sforzo di Gesù di insegnarci a volerci bene, ad essere generosi, a fare della vita cristiana un atto di amore verso tutti. E per farsi capire racconta la parabola di quell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico e incappa nei briganti.  

Io, tu, siamo questo uomo, stiamo facendo un cammino contrario a quello di Gesù, Lui sale a Gerusalemme, brama gli atri del Signore, sa che là incontra il Padre e lo incontrerà sulla croce, noi facciamo la strada al contrario: siamo stanchi del tempio, non ci interessa la religione, stiamo distanti dalla chiesa. Non ci attira più quel mondo che qualche volta abbiamo anche amato. Ce ne siamo allontanati anche noi dalla Chiesa dopo la Cresima…  e troviamo briganti che ci spogliano di tutto: il nostro cuore, la nostra vita, le nostre qualità, la nostra figura. Veniamo privati di tutto perché i doni che abbiamo li sperperiamo. Diamo la colpa a noi, prima di tutto, siamo noi che buttiamo via le risorse più belle nell’inedia, nella superficialità, siamo noi che vendiamo corpo e sentimenti sulla strada. E sperimentiamo la morte. Ci sarà qualcuno che mi ferma su questa discesa? Qualcuno che mi prende per il bavero e mi dà una scossa per farmi capire quanto sono fuori di testa? Oppure sono attorniato sempre da amici compiacenti, perché anch’io sono sempre compiacente con i miei amici, non ho mai il coraggio di dire quello che non condivido? 

Incontra due persone che non si degnano di uno sguardo. Ad un certo punto c’è una sorpresa. Sulla stessa strada, ma nella direzione opposta dell’uomo che scende da Gerusalemme si fa incontro un samaritano. Il samaritano è Gesù. Chi ci incontra mezzi morti è Gesù, chi si comporta diversamente da una legge fredda e un culto ingessato è Gesù. Lui lo chiamano già mangione e beone; lui, a detta anche dei suoi parenti, è fuori di testa, lui è trasgressivo sul sabato, lui è un bestemmiatore perché si fa Dio, lui è quello che sta ad aspettare il figlio che è andato a sperperare tutto, il suo amore compreso, lui è quello che chiama Dio papà mancando del minimo senso di deferenza verso il Dio di Mosè, lui non ne può più di come hanno ridotto a spelonca di ladri il tempio la casa della preghiera e non degli affari anche religiosi, lui è quello che ha fatto cadere a terra una dopo l’altra le pietre dei vecchioni pronti a lapidare l’adultera…  

Siamo contentissimi se Gesù ci viene incontro ancora su questa nostra strada della vita per guarire le nostre ferite, per aiutarci a superarne le sventure, per darci capacità di aprire occhi e cuore su chi è ferito come noi o peggio di noi, per scrivere nella nostra agenda quotidiana la gratuità verso tutti, l’amicizia, il sostegno, la compagnia, l’aiuto vicendevole.

09 Ottobre
+Domenico

I piccoli, gli scartati godono dei segreti di Dio  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 17-24)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione.

C’è tanta gente che è tagliata fuori dalla vita, che non riesce più a mettersi in corsa. Tutti gli altri hanno trovato lavoro, degli affetti stabili, si sono fatti una famiglia, hanno raggiunto la pace interiore; sono pure intelligenti; fortunati si dice. Invece qualcuno non è riuscito a stare al passo, è caduto; una sbandata, un giro di amici, una debolezza su cui si sono accanite tutte le sfortune,  una leggerezza diventata abitudine e resta indietro; tenta di risalire, si sforza di riprendere la corsa, ma c’è sempre qualche inciampo.  

In alcune società molti diventano barboni, altri incappano negli usurai, spesso ci pensa la mala vita a incatenare e a togliere ogni voglia di riscatto. Gesù dice che è venuto proprio per questi e ringrazia Dio perché ha rivelato la bellezza e il senso della vita proprio a questi. Non sono i potenti che gli danno gloria, non sono gli intelligenti, i grandi della terra, i dotti autosufficienti, ma i senza niente, quelli che hanno fame e sete, quelli che in cuor loro desiderano una vita pulita e non ce la fanno e mettono la loro fiducia solo in Dio.  

Vedere e ascoltare sono i segreti di un incontro con Gesù. Occorre avere il coraggio di vederlo all’opera nella storia e ascoltare la sua Parola, sentire da lui chi essere nella vita, ma ancor prima ascoltare la Parola che descrive la grandezza della sua bontà. Il povero ha bisogno di tutto, ma al di sopra di ogni cosa ha bisogno di sapere che nella sua vita c’è una meta, che oltre le sue sofferenze c’è una salvezza, che non è vero che per essere liberi occorre disfarsi di questa nostra vita, che in questa nostra sofferenza si è inscritto il Salvatore, il Signore. La nostra vita è una attesa, è aspettare e essere certi di una presenza; è sapere che nelle nostre storie è stato seminato un principio di verità e di felicità e attendere con fiducia che si sviluppi. 

I piccoli della terra sono i beati. La salvezza, la felicità della vita è svincolata da privilegi, da prenotazione di posti, da tribune d’onore, da prime file. Non è un colpo impazzito di fortuna che a caso si colloca in chi non sa attendere e sperare, non la possiede la mala vita, nemmeno il giro delle felicità artificiali. La salvezza di Gesù raggiunge i tagliati fuori. 

Per questo diventa proprio vero che Dio non abbandona nessuno mai. Non è a caso che la Madonna ci abbia insegnato la preghiera semplice del rosario, quel ripetere sempre Ave Maria è un atto d’amore a Dio attraverso sua madre, soprattutto oggi ci rivolgiamo a Lei così; non sono necessarie astrazioni, ma solo imitazione di Lei  

07 Ottobre
+Domenico

La fede non è un pilota automatico, ma un dono sempre nuovo

Una riflessione sul vangelo secondo Luca (Lc 10, 13-16

In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Audio della riflessione.

L’abitudine è una grande facilitazione nella vita, ma è anche un grosso rischio e pericolo. E’ chiaro che ogni giorno dobbiamo fare press’appoco le stesse cose; ci vediamo, ci salutiamo, ci diciamo i nostri bisogni e sentimenti, parliamo dei nostri interessi comuni. Mettiamo spesso il pilota automatico per fare le stesse cose ogni mattina: levata, colazione, bacetto, automobile, giornale, caffè, coda, entrata in cantiere o in ufficio, saluto, tuta, cartelle o attrezzi, lavoro…  

Sarebbe impossibile tutti i giorni fare queste cose se ad ognuna di esse dovessimo pensare, ragionare, decidere scegliere. Se ogni mattina il papà o la mamma dovesse sedersi ai bordi del letto, farsi portare una margherita e stare a strappare petalo dopo petalo per decidersi se andare o no a lavorare. Ci sono delle leggi che abbiamo scelto di seguire ragionevolmente e che poi diventano una sana abitudine della nostra vita. Non è così invece dei sentimenti, dell’amore, della fede. Sono realtà che hanno bisogno di essere sempre di più portate a coscienza altrimenti non esprimono più la verità dei loro significati. Non ci si può abituare ad amare una persona, occorre vederla sempre con occhi nuovi, non si può mettere il pilota automatico alla fede altrimenti diventa solo ritualismo.  

Ai compaesani di Gesù era capitato così del rapporto con Dio: si sentivano di avere Dio in tasca, pur sempre con il grande rispetto tipico della loro sensibilità religiosa. Non avevano più le orecchie attente alla Parola, non era disponibili più a lasciarsi sorprendere dalla bontà e dalla creatività di Dio. Il rapporto con Lui era in certo modo ingessato, come lo è per tanti di noi la vita di coppia, la vita di famiglia, le relazioni con i colleghi, la stessa pratica religiosa. 

La fede, l’amore hanno sempre invece bisogno dell’intelligenza, della dedizione, della capacità di dare il meglio di sé. Se certe famiglie potessero godere di condizioni di vita affettiva, come ce n’è in tante, sarebbero felici, invece in molte le stesse condizioni portano alla noia. Se a Tiro e Sidone, due città del Libano, fossero capitate le cose che avvenivano a Nazaret, si sarebbero mobilitate per dare spazio alla novità che era Gesù. Invece la nebbia della autosufficienza o della routine lo hanno emarginato. Noi abbiamo speranza di essere sempre nuovi, perché la fede in Gesù ha questa carica quotidiana di novità e quindi di rinnovamento della vita. Ma abbiamo ancora fede?

06 Ottobre
+Domenico

C’è qualcosa di più bello nella vita; dillo a tutti

Una riflessione sul vangelo secondo Luca (Lc 10, 1-12

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

Audio della riflessione.

C’è più sete di Dio di quante sono le fontane capaci di offrire acqua pura. C’è più domanda di Dio di quante siano le risposte vere. Non ditemi che non vi siete mai posti qualche domanda che va al di là dei soldi dei vostri conti correnti, più in su del nasdaq o del dow jones, che non vi è mai capitata come una coltellata nella schiena qualche domanda del tipo: ma io chi sono? Che ci sto a fare qui? Ma questa è vita? C’è qualcuno che mi pensa o sono destinato a vagare da solo nell’esistenza di ogni giorno? Dio, se esisti, batti un colpo! Fatti sentire! E di là arrivano delle risposte?  

La messe è molta, gli operai sono pochi . Molti chiedono di Dio, ma chi l’ha incontrato si rintana. Le fontane ci sono, ma ci hanno costruito attorno delle palizzate per non far bere nessuno. Oppure chi potrebbe aiutare ad estinguere la sete si mimetizza, si preoccupa di bisacce, sandali, borse, microfoni, auditel, concerti, organizzazione, clack, persuasione e potenza e si dimentica quello che deve dire, chi deve essere perché la domanda incontri in profondità la risposta. Il tuo collega di lavoro ti gira attorno una settimana perché ha sentito anche lui che si può aver sete non solo di bibite, ma anche di Dio, sa che tu sei imparentato con questo Dio, esprimi qualche volta le tue convinzioni cristiane e tu … continui a fuggire? Perché non ti fermi, non l’aiuti?  

Perché non dai una svolta più profonda alla tua relazione, così che in essa possano passare anche le domande vere della vita? Anche tu consumi tutti i tuoi dialoghi per metà settimana a parlare della partita di domenica e per l’altra metà a pronosticare la prossima? Andate, diceva Gesù, vi mando come agnelli in mezzo ai menefreghisti. In qualunque casa entriate dite: c’è qualcosa di più bello nella vita: la pace che dà solo il Signore. Un invito di Gesù così lo penso spesso, potrei essere più attento a chi mi sta intorno, ho una fede piccola, ma meglio di niente e non mi decido mai. 

05 Ottobre
+Domenico

Lo Spirito non ha una agenda da affari

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Audio della riflessione

La nostra vita di questi tempi è molto agitata, frenetica; l’agenda detta le leggi, gli impegni ti vedono tutta la giornata in corsa, se vuoi guadagnare quattro soldi non puoi addormentarti un momento, se vuoi educare i figli devi far loro l’autista per tutti i loro spostamenti. Quando torni a casa stanco del lavoro, ne devi riprendere un altro. Finalmente vado in chiesa per trovare un po’ di pace, per affidarmi a Dio e invece anche lì mi dicono che bisogna impegnarsi, che non si può stare con le mani in mano.  

Se sono giovane, sembro una rarità e mi caricano di ogni attività: oratorio, grest, scuola di canto, Caritas… mi riempiono finalmente la giornata, ma io ho anche bisogno di momenti in cui mi prendo la mia vita tra le mani e la faccio vedere al Signore. 

Anche la chiesa è un altro impegno da segnare in agenda.  Io, Lui, il Signore, quando lo incontro? quando mi posso sentire amato da Lui? quando gli posso affidare tutta la mia vita rubata dai vortici della competizione, della lotta per sopravvivere? È certo che tante nostre chiese devono offrire maggiormente spazio per la contemplazione e la preghiera, per l’incontro con Dio e per l’ascolto della sua Parola, ma è anche certo che la vita cristiana non può essere ridotta a celebrazione di riti, che ci accontentano e ci chiudono in noi stessi.  

Marta e Maria quando arriva Gesù a casa loro non capiscono più niente, tanta è l’amicizia che hanno con Lui, tanto è il bisogno di poterlo contemplare; solo che Marta lo fa lavorando e Maria ascoltando la sua Parola. Marta si lamenta, ma Gesù la rimprovera perché rischia di mettersi la centro lei del movimento dell’ospitalità, mentre l’ospite è Lui. Se mettiamo al centro Lui, sempre, l’azione, la routine, la frenesia e l’ascolto, la preghiera, l’abbandono nelle braccia di Dio, la contemplazione si compongono. Contempliamo il suo volto e vediamo in filigrana quello del povero; serviamo il povero e vediamo sotto le sue sembianze Gesù.  

La nostra meta, la nostra scelta è di mettere sempre al centro Gesù, di aprirgli il cuore, di non sostituirci mai a Lui, di tenere fisso lo sguardo sul suo volto. E Lui ci chiamerà a dare il meglio di noi. Sta di fatto però che tenere fisso lo sguardo su lui non è rito sterile o affaccendarsi per non pensare, ma sempre risposta d’amore, a Lui che ci cerca sempre, ci chiama a vita intensa e ce ne dà la forza.

29 Luglio
+Domenico

La missione è sempre una avventura di impegno, ma dà gioia

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!
Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite:
Pace a questa casa!.
Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio».

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Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi è la verità nuda e cruda che Gesù dice ai suoi discepoli che dovevano cominciare da soli a predicare il vangelo, a far nascere anche in tante altre persone la speranza che avevano visto in Lui. Il bene è sempre osteggiato, quindi; il vangelo che sembra un bel messaggio di pace crea reazioni incontrollate; il male è pronto a soffocare il bene. La sua parola è una spada, il suo messaggio un fuoco, il regno di Dio una sfida. È il mistero della cattiveria dell’umanità che indica quanto il male si è radicato dentro di noi, nelle nostre relazioni, nei tessuti sociali. Uno che vive di furti, non accetta chi gli dice che non può rubare; uno che vive di inganni non si adatta a perdere il suo potere; chi ha impostato la vita sullo sfruttamento non accetta di essere richiamato alla giustizia e di cambiare soprattutto comportamento, lo spacciatore cui vengono sottratti i clienti perché qualche sforzo educativo riesce a far rinsavire i giovani non perde impunemente i suoi facili guadagni. Potremmo continuare; lupi lo siamo tutti quando veniamo contestati nella nostra vita egoista; lupi siamo quando siamo chiamati a perdere interessi disonesti, a fare pulizia nei nostri sentimenti e relazioni disordinate; lupi siamo quando veniamo richiamati ai nostri doveri di padri e madri, di cittadini e di uomini responsabili di tutto il creato… Proprio per questo abbiamo bisogno di uomini e donne forti, capaci di andare controcorrente. Il papa Benedetto a Loreto invitava i giovani così: 

“Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione. Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie “alternative” indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda”.  

L’agnello vincerà non certo per la sua potenza, lui è inerme, ma per la forza di Dio, con la sua umiltà. Dio guarda l’umile e lo ascolta. C’è bisogno di agnelli, anche se i lupi saranno sempre più agguerriti. 

E’ quello che vissero i due compatroni d’Europa, assieme a san Benedetto, che oggi celebriamo: i santi Cirillo e Metodio. Erano due fratelli in cerca sempre di dare un senso bello alla loro vita. Erano figli di nobile famiglia. Cirillo dimostrava il suo eclettismo: sapeva di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio. Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l’arabo e l’ebraico. La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella di annunciare il vangelo presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia. 

Cirillo rinvenne le reliquie del papa San Clemente, sepolto in Crimea, un Vangelo ed un salterio scritti in lettere russe. Inventò un nuovo alfabeto, detto glagolitico che oggi si chiama appunto cirillico. Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma, vi portarono le reliquie di san Clemente e il papa Adriano II riservò loro una grande accoglienza ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Cirillo a Roma si ammalò e morì, il 14 febbraio, Metodio ritornò in Moravia predicare il vangelo agli slavi, fu fatto vescovo. Qui si scontrò con re ancor di più, perché non volevano la loro linea di evangelizzazione, fu messo in carcere per due anni. Morì a Velehrad, i suoi discepoli furono incarcerati e subirono crudeli persecuzioni e il messaggio di Cirillo e Metodio si rinforzò in Bulgaria e con l’alfabeto cirillico avvicinarono enormemente i popoli slavi al mondo greco-bizantino.  

Fecero insomma un grande lavoro di inculturazione della bibbia e della esperienza della fede tra i popoli slavi; ecco perché sono compatroni dell’Europa che per san Giovanni Paolo II aveva due polmoni quello, evangelizzato da san Benedetto e quello slavo evangelizzato dai santi Cirillo e Metodio. 

Anch’essi come i primi discepoli di Gesù mandati a due a due, evangelizzarono mezza Europa e oggi chiediamo a Dio di essere in grado di rinfrescare la fede e la comunione tra le nazioni che la compongono in Europa, che si sta affievolendo non poco.

14 Febbraio
+Domenico