Gesù si è caricato nel suo sangue tutta la nostra umanità

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 1, 1-16.18-23)

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.

Audio della riflessione.

Ogni uomo che nasce a questo mondo è una sicura originalità. Sappiamo tutti, infatti, che con le impronte digitali riescono a distinguere qualsiasi persona da un’altra, col DNA ancora di più; i genitori vedono crescere i figli e sono sorpresi dei loro comportamenti originali. All’inizio stanno a vedere a chi assomiglia, rintracciano in loro i tratti dei parenti, dei nonni, degli zii, poi si devono adattare a vedere, e giustamente, che non sono la somma di nessuno, ma una originalità assoluta, un nuovo carattere, una nuova sensibilità, un nuovo modo di pensare e di reagire, di trovare ragioni di vita e di organizzare l’esistenza. Ciascuno però è il punto di arrivo delle generazioni precedenti, si porta dentro dei segni di chi lo ha preceduto: il sorriso della nonna, o la tenacia dello zio, la dolcezza della mamma, lo scatto di impazienza del nonno, l’andatura del fratello, la litigiosità o l’imprenditorialità di qualcun altro… 

È stato così anche di Gesù: nel prendere carne, nell’assumere un corpo si è messo, in maniera del tutto originale come ogni uomo, ma anche in totale incarnazione, nella fila delle generazioni che lo hanno preceduto. Ed è interessantissimo che il vangelo di Matteo che si legge nelle chiese oggi, che è la festa della nascita della Madonna, metta in fila le generazioni che hanno preceduto Gesù, in termini non soprattutto cronologici, ma genealogici. Ed è sorprendente vedere come in questa fila ci stanno grandi personaggi, oscuri avi, gente giusta e prode, peccatori e delinquenti, uomini e donne di fede e persone violente, cultori della pace e disonesti mercanti di guerre… 

Nel sangue di Gesù scorre tutta l’umanità che lo ha preceduto. Ci stiamo tutti noi. Ci sta il buono e il cattivo, il kamikaze e il martire, l’importante e lo sconosciuto. Dio si è fatto uomo, ha condiviso tutto della nostra vita eccetto il peccato. La sua carne è il punto di arrivo di tutti i tentativi, anche falliti di umanità, di chi lo ha preceduto. Questo Figlio di Dio prende su di sé tutte le nostre caratteristiche umane, direi quasi somatiche e ci viene a dare coraggio, a dire che l’umanità è sempre in cammino verso il bene e lui ci sta dentro, se la prende tutta su di sé, ci carica tutti sulle sue spalle e ci porta nelle braccia del Padre. 

Non siamo né abbandonati, né disperati, ma accompagnati e tenuti per mano, inscritti nella carne del Figlio di Dio e di Maria, speranza certa per tutti gli uomini anche per i più abbandonati. In questa fila c’è un salto di qualità, si inscrive Maria, l’Immacolata, la stella del mattino, la tutta pura, la donna per eccellenza in cui si realizzano le promesse della nostra salvezza; in Lei si rispecchia la bellezza primigenia con cui Dio aveva concepito l’umanità; in Lei rinasce il colloquio degli Angeli con l’uomo innocente; in Lei rifulge una integrità verginale che il mondo ammira e non ha; in Lei si compie il sovrano mistero dell’Incarnazione per la gloria di Dio e la pace sulla terra; in Lei il silenzio profondo dell’anima perfetta e aperta all’infinito si fa amore, si fa parola, si fa vita, si fa carne, si fa Cristo; in Lei abita ogni pietà, ogni gentilezza, ogni sovranità, ogni poesia; è donna viva, ideale e reale; in Lei il dolore raggiunge 

acerbità impossibili che nessun cuore di madre ha egualmente provate; in Lei la fede, la fortezza, la bontà, l’umiltà, la grazia infine, nella sua più splendida e misteriosa realtà, hanno espressioni sovrumane; in Lei, come in lampada viva, splende lo Spirito Santo e irradia Cristo Gesù. 

“Le feste della Madonna sono tutte fontane traboccanti di gaudi e di consolazioni incomparabili. L’esaltazione della nostra povera umanità all’altezza e alla bellezza dei privilegi della Vergine è una gioia unica per il nostro mondo, soggetto al peccato, alla corruzione, alla disperazione, alla maledizione. Piove sul mondo e specialmente sulle anime fedeli, ad ogni festa della Madonna, una effusione di letizia, che solo nella Chiesa Cattolica si conosce. Non per nulla Maria è celebrata come “causa nostrae letitiae” e invochiamo come madre che ci aiuta a prendere la strada vera della vita, con il suo consiglio, la sua luce e la sua profezia. Oggi a lei noi ci affidiamo, sicuri che ci porta a suo Figlio Gesù, magari ancora sulla croce di ogni nostra vita, ma sicuri che ci aspetta la risurrezione.

08 Settembre
+Domenico

Noi adulti spesso giochiamo sulla pelle dei giovani   

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,17-29)

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Audio della riflessione.

Almeno tre o quattro volte all’anno leggiamo nella liturgia questo episodio della decapitazione di Giovanni il Battista. Oggi vogliamo riflettere su questo fatto a partire dalla nostra responsabilità di adulti.  

Ogni martire è testimone che Dio ci ama alla follia. Giovanni Battista ancor di più. Era stato un dito puntato verso Gesù. L’uomo di Nazareth era apparso sulla scena del mondo e lui doveva scomparire. Era stato severo con se stesso, con la religione del tempio, con chi lo voleva seguire e la sua predicazione era molto severa: 

Chi ha ingessato il Signore. Avete in cuore una profonda sete di Dio, sentite urgere dentro una aspirazione insopprimibile e la spegnete con la droga, con l’ecstasi, con i compromessi! Avete una sete insaziabile di pace e la cercate con armi e tritolo! Sentite desiderio di interiorità e sperate di trovarla nei talk show! Giovanni non aveva mezze misure. Avete desideri di affetto pulito e profondo e vi prendete i mariti o le mogli degli altri? Poi è venuto Gesù. Non credeva ai suoi occhi e ha ceduto il passo.  

Incrocia la vita di Giovanni, una ragazzina, bella, agile, elegante, armoniosa. Vuole sfondare con la sua bellezza e la sua leggiadria. Si allena e finalmente arriva la sua grande occasione. Non si tratta del solito saggio col papà, la mamma, gli zii, i nonni alla festa di compleanno, ma oggi c’è tutto il governo, i notabili. E danza. Se la mangiano tutti con gli occhi. Erode stravede, i giovani sono sempre sorprendenti, ti incantano, meritano tutto: la metà del mio regno è tua. La ragazza è saggia, i complimenti non le danno alla testa. La sua danza è una sfida con se stessa, non con gli adulti. Sa di aver bisogno di tutti per crescere, per decidere e va da sua madre. 

“Mamma è il momento più bello della mia vita”. Sono riuscita a superarmi; ti ricordi quanti allenamenti, quante volte volevo smettere e tu mi hai aiutato? Se non ci fossi stata tu starei ancora a divertirmi con l’orsacchiotto di pelouche. Il re è disposto a darmi la luna. Ho un avvenire sicuro, non sono in casa sua solo perchè vuole bene a te. Ho un  posto anch’io”. Non si sente più una vita da scarto, come capita a tanti giovani, quasi destinati alla discarica, ma le si è aperta nella vita una strada. Non vuoi che sia questa anche l’aspirazione degli adulti che le vogliono bene, di colei cui tra una coccola e l’altra si confida? 

E la madre, l’adulta, il maturo, quella che vede bene, che calcola, che è navigata nella vita, colei che si è lasciata indurire il cuore dall’interesse, che non sa più sognare e cambia i sogni dei giovani in incubi, dice tutto il suo odio per la vita, e per il futuro dei figli: la testa di Giovanni Battista. Una sentenza che prima di ammazzare Giovanni, distrugge speranza e uccide l’anima di sua figlia che non ha ancora il coraggio di ribellarsi, è ancora soffocata dall’affetto predatore di sua madre, dell’adulto senza scrupoli, che non le ha insegnato di avere sempre la vista più lunga dei sentimenti. Noi adulti saremo capaci di smettere di giocare all’eterna giovinezza e assumerci verso di loro le nostre responsabilità? di mostrarci come adulti cristiani contenti della nostra fede in Gesù ? 

29 Agosto
+Domenico

È un fiume di gente che scarta una povera vecchietta, ma non Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Audio della riflessione.

La vita è proprio un fiume lento che scorre, al centro ci siamo noi, una barca portata dalla corrente. Non è detto che vada automaticamente verso il porto della felicità, anche se la direzione è quella. Ogni barca segna con la sua stazza le onde, colora il fiume, gli obbedisce, ricama con originalità il suo percorso, si aggrega, si accompagna o cozza contro le altre. È una festa o una battaglia, una regata o un ingorgo a seconda della volontà di convivere o di dominare.  

Mi piace pensare Gesù, che un giorno siede a guardare un fiume di persone che passano davanti al tesoro del tempio. È un punto obbligato. Quando vai alla presenza di Dio non puoi andare a mani vuote; certo porti te stesso, ti vai ad affidare a lui. Sai che la tua vita è nelle sue mani, hai un cuore, una intelligenza, un progetto: lo metti lì perché Lui ne sia il custode, ed esprimi questo dono, questo amore con un segno.  

Davanti al tesoro del tempio passa il ricco commerciante di pecore: ha guadagnato molto e non può non far cadere nei grandi vassoi monete d’oro sonanti: è una sorta di investimento per i prossimi commerci o contratti. Arriva l’esattore delle imposte, firma un assegno e lascia cadere in maniera visibile: tutti devono vedere ondeggiare questa ricca “piuma” di soldi che va ad arricchire il tempio; arriva l’agricoltore che ha da poco venduto il raccolto e fa risuonare anche lui le sue monete.  

Nel trambusto spunta una vecchietta, mentre le televisioni spengono i riflettori, fa due o tre passi incerti e lascia cadere due spiccioli: non si vedono, non fanno rumore, nessuno li nota: per lei sono tutto quello che ha e lo dona a Dio, lo mette a sua disposizione. È povera, è sola, non ha futuro: il suo solo futuro è Dio, la sua vita è tutta in lui e per lui. Domani? È nelle sue mani.  

Gesù è lì che guarda, non s’è lasciato incantare dalle televisioni, dal numero di zeri, dalle cifre dei ricchi, dal suono ammaliante dell’oro. Di fronte a Dio non ci si fa rappresentare dal superfluo, ma solo dal necessario. I due spiccioli non risuonavano, non pesavano, ma si portavano dentro la vita.  

E noi che facciamo? che cosa mettiamo in gioco della nostra vita? Che cosa buttiamo nel piatto? Le nostre cose, quelle meno consistenti o tutto quello che siamo? Dio a noi non ha dato il superfluo ma, come l’amore, ha dato tutto. 

Ciò che ci occorre è di poter disporre di quello che siamo per una causa vera e buttarci senza riserve.  Dio non vuole stabilire un contatto con le tue cose, ma con te. Non devi fare offerte, ma essere una offerta. Le offerte sono un segno concreto di te che vuoi offrire la tua vita per il Signore, per i suoi poveri, per chi è senza speranza e senza futuro. 

Oggi la chiesa ha bisogno del tuo tempo, ti chiede di stare a contemplare Gesù, ha bisogno che tu stia ad ascoltare le persone che si sentono sole, ha bisogno che ti assuma le tue responsabilità perché i principi del vangelo nel lavoro sono derisi, ha bisogno che tu crei terra bruciata attorno agli spacciatori di droga, ha bisogno che tu indichi ai tuoi figli la strada della vita, anche a costo di turbare la serenità di una vita di famiglia fatta solo da un comodo vitto e alloggio.

10 Giugno
+Domenico

Il Signore è proprio Gesù

Una riflessione sul vangelo secondo Marco (Mc 12,35-37)

In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

Audio della riflessione.

Fa parte di un buon modo di pensare, abbastanza accettabile anche nelle relazioni quotidiane il credere che Dio esista, pensare di non essere a questo mondo a caso, ma entro un sapiente piano di un Dio che ha creato cielo e terra. L’uomo è naturalmente religioso. È un Dio che sta bene ci sia, che entra abbastanza facilmente dentro i nostri modi di pensare, quasi una componente necessaria al funzionamento dei nostri ragionamenti.  

A un cristiano però è chiesto un passo più in profondità, è richiesto di pensare e di credere che questo Dio che sta al principio di ogni cosa, che dà identità al nostro stesso essere, è quel Gesù di Nazaret di cui parlano i vangeli, che è vissuto concretamente in un determinato popolo, entro le esperienze della nostra esistenza umana. 

Se non si sta attenti noi cristiani adoriamo sempre un Dio che ci costruiamo noi con le nostre fantasie, con le nostre devozioni, con i nostri sentimenti. La bibbia dice chiaramente che Dio nessuno lo ha mai visto. Non si dà a vedere, non è frutto di congetture umane, né di raffigurazioni esaltanti. L’unico che ce lo può mostrare è Gesù di Nazaret, questo uomo che fu crocifisso. 

L’atto di fede che ogni giorno siamo chiamati a fare è credere che il mio Signore, il senso della mia vita e della storia, l’unico in cui c’è salvezza, la roccia su cui poggiare la vita intera non è un’idea o un principio, anche molto nobile come la giustizia, la libertà, l’uguaglianza, ma è questo uomo di Nazaret, questo Gesù che nella sua morte da maledetto, nella sua vita normale e umile, ci rivela il volto di Dio, la sua grande bontà e la sua dedizione alla felicità di ogni uomo.  

In questa direzione andavano le diatribe che i farisei facevano con Gesù e lui si è dedicato a chiarire questo con un linguaggio molto popolare e che la gente seguiva volentieri. Dice il vangelo: e la numerosa folla lo ascoltava con gusto. Certo ti fa piacere che qualcuno faccia luce nei tuoi pensieri, ti aiuti a svelare il senso della vita.  

Qualcuno purtroppo crede ancora che queste cose siano un di più: quello che conta è avere un lavoro, aver salute, avere soldi sufficienti per vivere, possibilmente anche un po’ di più per stare bene. Crediamo che la fede in Dio sia un soprammobile. Invece credere nel Dio di Gesù Cristo ci permette di collocarci al posto giusto nella vita, di definirci chi siamo, di guardare con speranza al nostro futuro, di dare senso alle cose che ci capitano tutti i santi giorni del nostro pendolarismo esistenziale.  

S. Giovanni Paolo II è stato un uomo che a Gesù ha dedicato tutta la sua vita che si è speso per riaccendere le speranze di tutti in lui, non nella magia, non nel devozionismo, non nelle belle maniere, ma in Lui, morto e risorto, sofferente e gioioso.  

09 Giugno
+Domenico

Dio e il prossimo: l’unico vero amore della vita  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Audio della riflessione.

La necessità di semplificare, non di fare i leggeroni, oggi è assolutamente necessaria. In un mondo pieno di informazioni, invaso da immagini, destabilizzato dall’esasperazione delle emozioni e dei sentimenti è necessario avere qualche punto fisso da cui guardare la vita, soprattutto è necessario avere capacità di sintesi, cioè la possibilità di dare unificazione al nostro pensare. La vita non è una somma di fatti, un susseguirsi disordinato di eventi, ma è una storia composta di avvenimenti nella coscienza di ciascuno, un filo d’amore che Dio tesse nella vita di tutti e tocca a noi intercettare, rendere consistente, offrire quasi una corda di solidarietà a tutti. Così è della nostra vita cristiana.  

C’è un punto unificatore di tutto? Esiste una scelta di base che dà significato a tutta l’esistenza, che permette di valutare e rivedere, di riorientare e ritrovare forza dopo le immancabili cadute e defezioni, dopo lo smarrimento e la debolezza dei nostri comportamenti? C’è nel cristianesimo un principio base che giudica tutte le alterne vicende della nostra vita? L’aveva anche il popolo di Israele. Era lo Shemà Israel: ricordati, ascolta Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore.  

Anche Gesù lo ha imparato dalle labbra della mamma, lo ha ripetuto tante volte quando andava in sinagoga come ogni bambino ebreo e lo ripropone carico della novità assoluta dell’amore di Dio fatto carne in Lui al nuovo popolo dell’alleanza, a tutti i cristiani che erano allora, che sono e che verranno.  

\Ama Dio e ama il prossimo. Non fare separazioni che sarebbero ben comode, non fissarti sull’ uno o sull’altro se vuoi rispondere seriamente alle esigenze che io ho seminato in te: ti ho messo dentro una nostalgia di Dio grandissima e non sarai felice se non la seguirai; ti ho messo dentro una assoluta necessità di stare con gli altri, di amare e vivere in pace con tutti gli uomini e la loro compagnia ti sarà strada di felicità se li amerai. Sono un unico amore, ma attento: non viverli mai in alternativa, non dare all’uomo quel che è di Dio e non depositare in Dio quello che devi assolutamente ai tuoi simili. È un riferimento semplice, ma è impegnativo, come si è sempre impegnato Dio per noi. Non si tratta di fare fifty-fifty, metà ciascuno, ma di fare quell’unità che riconosce a Dio la pienezza e nell’amore del prossimo la concretezza sperimentabile nella nostra umanità.

08 Giugno
+Domenico

La vita eterna si snoda al sole di Dio, non ai nostri aggiustamenti

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,18-27)

In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

Audio della riflessione.

La nostra vita finisce qui tra queste quattro strade che percorriamo ogni giorno per andare a lavorare, a studiare, a fare la spesa? I nostri giorni sono inscritti e delimitati da questi orizzonti pur belli, ma chiusi su cui ci muoviamo? C’è un futuro a questi giorni, la polvere di ossa consumate o cremate, i tristi loculi di un cimitero sono la nostra fine? Abbiamo in cuore una insopprimibile esigenza di oltre, di futuro, di apertura a orizzonti e spazi infiniti. Il cielo che ci sovrasta, che tentiamo di bucare con ogni sorta di sforzo tecnico e che ci meraviglia per le dimensioni grandissime che ha, ci apre a sogni di eternità. La nostra vita non può ridursi al niente. È il desiderio di ogni uomo. L’avevano anche i contemporanei di Gesù. “Vennero a Lui dei sadducei, i quali dicono che non c’è risurrezione”. 

 In un mondo religiosissimo come quello di Gesù, in cui la presenza di Dio era parte integrante della vita personale e pubblica e non era assolutamente messa in dubbio, si stentava a credere in un futuro di risurrezione. Allora Gesù molto semplicemente li fa ragionare. Che Dio è quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe? È il custode di un cimitero, assiste imperturbabile alla distruzione definitiva della vita delle sue creature? Si accontenta di mettere al mondo dei giocattoli che alla fine si rompono irreparabilmente e spariscono? Che vanno collocati per un po’ di tempo in loculi tristi e caduchi? O è un Dio che costruisce eternità, vita per sempre? Oggi noi facciamo più fatica a credere nella risurrezione, perché abbiamo tolto dall’orizzonte Dio, ma se Dio sta nella nostra fede, allora è bello pensare che la nostra vita non avrà mai fine, ma si troverà al suo vero posto in Lui. È sicuramente un fatto non immaginabile e tutte le nostre congetture peccano sempre di adattamento al ribasso. 

  I sadducei hanno fatto a Gesù la classica domanda di chi poteva essere moglie nell’aldilà una donna che aveva sposato sette fratelli dopo la morte di ciascuno di essi. Non abbiamo proprio fantasia, o non vogliamo averla. Immaginiamo la vita in Dio come un tranquillo accomodamento delle nostre vite nel tempo. È come quando sei nella nebbia e continui a pensare che è meglio avere fari sempre più capaci di fenderla, mentre invece la vera risposta è il sole, qualcosa che va al di là e al di sopra delle nebbie.  Così sarà la nostra vita in Dio oltre le nostre piccole fantasie, nella sua grandezza e bontà, nella radice di ogni nostro amore che è solo una pallida idea di quello di Dio. Non ci serve più l’immaginazione, ma una grande fiducia in Dio, nella sua paternità e nel suo amore unico per ciascuna delle sue creature.

07 Giugno
+Domenico

Oltre le tasse, il regno di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,13-17)

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
 Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.

Audio della riflessione.

Pagare le tasse è sempre un problema di tutti. Fai parte di un comune e ti arriva l’IMU, fai una compera e c’è sempre l’IVA, inizi una attività e metti un cartellone e c’è la tassa sulla pubblicità, devi collocare correttamente i rifiuti, devi separarli bene e ti mettono un’altra tassa…. Il tema è vecchio come il mondo e molti cristiani non si fanno nemmeno la domanda che fanno a Gesù e non le pagano.  

Nel vangelo sono i farisei e gli erodiani, i sudditi di Roma e di Erode che fanno la domanda non troppo innocente a Gesù per coglierlo in fallo; non hanno dubbi che bisogna pagare le tasse, e in questo sono più onesti di molti di noi, ma, a seconda di colui a cui le paghi, passi per ebreo irriducibile o per sobillatore politico. “È lecito o no dare il tributo a Cesare?”. Come sempre Gesù non abbocca, non solo per evitare il tranello che gli hanno posto, ma per fare della domanda un momento umano, serio, religioso di ricerca della propria condizione umana. A Gesù non interessa dare solo e soprattutto la ricetta per un comportamento civico; non raccomanda né la rassegnazione di fronte all’ordine costituito (punto di vista dei farisei) né il rifiuto (opinione degli zeloti) e neppure benedice lo stato imperiale (tendenza degli erodiani). 

Gesù fa capire che anche a partire dal pagamento delle tasse occorre alzare il livello del comportamento umano. C’è sicuramente una responsabilità di cui farsi carico se si vive in una comunità; c’è da convivere con altri e questa convivenza se vien orientata a dei beni comuni come la difesa della salute, della sicurezza del lavoro di tutti i principali diritti umani… ha diritto di chiedere a chi ne fa parte di partecipare ai costi della vita sociale. La risposta di Gesù non è una semplice astuzia per eludere il problema e non cadere nel tranello teso dai farisei e dagli erodiani. Non dice semplicemente: «Date a ciascuno ciò che gli spetta», senza determinare ciò che spetta a ciascuno. 

Per Gesù il problema è un altro: dare a Dio ciò che è di Dio. Come la moneta del tributo porta l’immagine di Cesare e appartiene a Cesare, così l’uomo è immagine di Dio e appartiene a Dio. Il tributo da non lesinare al Signore è quello di darsi a Lui, amando Lui con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. Le forme di servizio al bene comune di uno stato saranno tante, è importante che siano ben fatte, oneste, che non siano un latrocinio. La partecipazione alle spese è legittimamente voluta da Dio.  

Gesù ci dà un criterio in base al quale fare le nostre scelte: prima dare a Dio ciò che è di Dio. Solo così sapremo cosa dare al Cesare di turno. È importante sapere che l’uomo, immagine di Dio, è di Dio e deve ritornare a lui. Il titolo regale di Gesù non lo troveremo scritto su alcuna moneta, ma sulla croce.

06 Giugno
+Domenico

La vita è possesso o dono?

Una riflessione sul vangelo secondo Marco (Mc 12,1-12)

In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.

Audio della riflessione.

Nella vita siamo chiamati sempre a scegliere tra due traiettorie: tra la traiettoria del dono e quella del possesso, tra la traiettoria dell’amore e quella dell’odio, della gratitudine o del sopruso, e siamo chiamati a calcolare soprattutto come queste due traiettorie si incrociano nel cuore di Dio e lasciano segni nella carne di Gesù. 

Ti capita questo quando guardi la natura o la apprezzi e ti esalta o la sfrutti e ti abbruttisce; quando hai relazione con le persone: o le ami e le fai felici oppure le usi e ti rendi infelice; quando ti elevi a Dio; o lo canti e benedici e ti si aprono nuovi orizzonti oppure credi di fartene oggetto di inganno e distruggi la tua stessa dignità umana. Il teatro di queste scelte è la vita, è la vigna del Signore. 

La vita è sua, non nostra: ce l’ha affidata, l’ha curata, ne ha fatto capolavoro, l’ha architettata entro questo grande e meraviglioso universo; l’ha incastonata come un gioiello, in un cielo che ci pare infinito. 

In questo grande ordine ha messo noi e ci ha dato capacità di sognare, di stupore, di iniziativa, soprattutto di libertà. 

Abbiamo cominciato a sognare, ma invece di sognare un dono, una gratitudine un regalo, abbiamo concepito una morte. Si sono incrociati due grandi sogni su questa stessa vigna:  

– Il sogno di Dio: manderò mio figlio, è tutta la mia vita, io vivo per lui; è lui l’amato sopra ogni cosa, è la pienezza della vita, lui è la bellezza, la bontà, la santità, il sapore di ogni cosa. Mio figlio mi ha detto subito senza esitazione quando alla mensa della trinità è risuonata la mia domanda: chi manderò? Chi andrà per me? Eccomi manda me. Mi ha scelto lui di entrare in questa vigna, ho capito quanto ci tenesse a questo uomo, alla perla del creato, a questa storia di libertà.  

Gesù viene da questo oceano di amore, da questa sconfinata vastità di bellezza e di bontà.  Invece dai filari della vita, già resi tortuosi e imbrattai di sangue si formula un altro sogno 

Il sogno dei vignaioli, (che Dio non voglia che sia pure il nostro) Ecco il sognatore uccidiamolo. Questa vita è nostra e la vogliamo distillare e torchiare fino a spremerne l’ultima goccia. Dio aveva creato nei vignaioli l’abilità del torchio, una capacità innata di chiedere alla vita tutto e, illusi di poter possedere la vita come una cosa hanno mescolato il mosto con il sangue del figlio; hanno scatenato sul corpo del figlio il livore degli sforzi adirati, ma frustrati, di poter possedere la vita. E la vigna si è inaridita, ha incominciato a produrre veleno e non più vino.  

È la nostra storia, è il punto di arrivo della nostra mancanza di dono, della nostra miopia. È il mistero della nostra libertà, è il rischio in cui Dio ogni giorno gioca il suo amore. È una storia personale, che sta nel diario della nostra anima e diventa la storia di una comunità, di una società, di un mondo. Quando Dio dice le mie vie non sono le tue vie anche a questi due sogni contrastanti si rifà. 

Gesù si è messo di mezzo per svelare la contraddizione di questi sogni, la traiettoria sbagliata della nostra vita. È lui che svela le nostre intenzioni che ci spinge a prendere posizione.  

05 Giugno
+Domenico

La vita è una domanda da affrontare seriamente

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 11,27-33)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?».
Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo».
E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Audio della riflessione

Capita spesso di trovarci sotto inchiesta. La gente vuol sapere di te, vuole informarsi; magari ha capito che le puoi essere utile o l’hai incuriosita oppure anche senza saperlo l’hai importunata e vuole quindi difendersi. Siamo sempre sotto inchiesta? O deve essere più limpida la nostra esistenza, più attenta alle persone, più coinvolta nella vita di tutti? 

A Gesù capitava spesso di trovarsi a dover rispondere a domande, spesso provocazioni, anche perché la sua vita voleva essere un messaggio di salvezza per tutti. Il mondo religioso di allora era sempre molto preoccupato delle sue affermazioni e a ragione, perché la sua missione era di dare una svolta radicale al modo di pensare Dio che vivevano gli ebrei colti. Questo Dio se lo erano imprigionato nei loro modi di pensare. Gesù spesso subisce un interrogatorio in piena regola. Il processo che gli intenteranno per ucciderlo era già cominciato prima del tempo. Gli argomenti erano vari, il tributo da pagare a Cesare, la risurrezione dei morti, il ruolo centrale e definitivo del Tempio, l’autorizzazione a lapidare una prostituta… e molte altre. Quella che oggi ci propone il vangelo è l’autorità di Gesù. Con quale autorità fai queste cose? La domanda gliela pongono i membri del Sinedrio, l’alta corte di giustizia, quindi la cupola della religione ebraica. Gesù infatti si era permesso, perché era anche il cuore della sua missione, di metterli sotto accusa perché si ritenevano gli unici a proporsi come maestri in questo campo specifico e si ritenevano depositari di un potere che proviene da Dio. Come sempre Gesù ritiene le domande dell’umanità, non come cosette che hanno bisogno di una rispostina, come dei tombini da coprire con delle botole, ma come esigenze di vita che vanno approfondite e su cui fare delle scelte. Chiama subito in causa, con un’altra domanda, la figura di Giovanni il Battista e la sua missione. Era tutta farina del suo sacco o proveniva dall’alto? Era stato mandato da Dio o era una sua iniziativa, mandato dagli uomini? Riporta cioè i sadducei a prendere posizione su una eventuale missione divina di Giovanni e quindi aprire la loro mente a pensare di origine divina la sua stessa missione di Figlio di Dio. Chiaro che non rispondono perché non vogliono mettersi in quella profonda conversione che lo stesso Giovanni non era ancora riuscito a provocare in loro, ma soprattutto li vuole aiutare ad andare al fondo delle loro stesse domande.  

“Quindi neanch’io vi dico con che autorità vi parlo!” Come a dire: scavate a fondo nelle vostre domande, che sono domande che Dio stesso vi fa nascere dentro per la vostra salvezza che voi continuate a rifiutare perché vi sentite padroni non solo della gente, ma anche di Dio.  

Questa sicumera l’abbiamo anche noi quando non ci decidiamo a fare una scelta vera di fede in Gesù, quando mettiamo Dio alla sbarra, lo riteniamo responsabile di tutti i nostri mali, ci crediamo di essere meglio di Lui a reggere l’universo sia della nostra vita che del mondo e non vogliamo convertirci alla sua Parola, al suo Figlio Gesù. 

03 Giugno
+Domenico

La fede per Gesù è ricercata dall’umanità, ma non è nell’ordine delle nostre evidenze o delle risposte ai nostri bisogni

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 11,11-25)

[Dopo essere stato acclamato dalla folla, Gesù] entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
“La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni”?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.
La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, per- donate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe»
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Audio della riflessone

Abbiamo tutti dei sentimenti religiosi. Quasi tutte le ricerche sociologiche dicono che la domanda di Dio è dentro la vita di ogni uomo, fa quasi parte del suo statuto antropologico, del suo DNA. Dicono infatti molti scrittori e pensatori, molti uomini di scienza che nell’uomo c’è una inquietudine innata dovuta alla ricerca di un punto di riferimento solido, di un trascendente, che è necessario per capire la vita. Ci occorre salire su un albero per allargare gli orizzonti se vogliamo capire chi siamo e questo albero non è il tifo per la squadra del cuore o l’infatuazione per una star, ma la ricerca di un essere trascendente, di cui riuscire a scoprire le carte, il volto, meglio.  

La dimensione religiosa insomma non è una forzatura o un partito preso, ma spontaneo e normale. Tanto più che là dove non si cura la dimensione religiosa, questa irrompe nella vita dell’uomo in molteplici forme anche violente. L’uomo è tendenzialmente religioso. Ha bisogno di rapportarsi un qualcosa di superiore.  

La storia dei popoli della terra è tutta una dimostrazione di questo. Il secolo 21esimo che stiamo vivendo sta caratterizzando di religiosità, talora impazzita, le nostre storie quotidiane. Non avremmo pensato dall’alto del nostro positivismo e materialismo viscerale del secolo scorso che ci sarebbe stata una impennata di religiosità, di spiritualità, di domande che vanno oltre le nostre esperienze o constatazioni. I giovani oggi, dopo la stagione del Covid hanno bisogno di spiritualità, di fare i conti con il senso dell’esistenza. Sono già passi importanti e spesso inquietanti 

Ma la fede in Gesù esige un ulteriore salto di qualità, non è in continuità con i nostri ragionamenti umani, è un fatto del tutto nuovo. Il Dio che la fede in Cristo invoca è un Dio sorprendente, che non sta negli schemi della storia delle religioni. È un Dio Crocifisso, è un amore che si inscrive nella debolezza, è un perdono gratuito, non è una riscossione di meriti, ma una agenda di gratuità, di sovrabbondanza di doni. 

Per questo quando Gesù parla di Giovanni, che è un campione di religiosità, di esperienza di Dio, lo dice grande, ma non tanto come colui che accetterà il dono di un Dio Crocifisso, la grazia della definitiva offerta di Gesù come senso completo della vita. Il più piccolo del regno dei cieli è più grande di Lui. Da quando Gesù è entrato nella nostra vita la religione ha fatto un salto di qualità.  Questo è un altro segno di un Dio che accompagna l’umanità nella sua esistenza. 

02 Giugno
+Domenico