È necessario cambiare vita e seguire Gesù nel deserto  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 1, 12-15)

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Audio della riflessione.

Laconico il vangelo, arida l’immagine: un deserto pietroso, una solitudine e un silenzio assoluti, una fame e una sete che ti tormenta la carne. È Gesù che viene condotto dallo Spirito nel deserto. Quante volte sentiamo il bisogno di staccare la spina perché non ce la facciamo più, perché non capiamo più niente di noi, perché la vita ci travolge. Qualche volta abbiamo dei flash, che ci fanno percepire le assurdità che viviamo e desideriamo prenderci in mano la vita.  

Gesù prima di dare corpo ai suoi sogni, prima di mettere in atto il suo progetto radicale, prima di ripercorrere tutte le strade della Palestina per predicare il vangelo, la buona notizia, si guarda dentro, vuol organizzare tutta la sua vita per l’unico scopo che con Dio Padre ha da sempre sognato: dire a tutti gli uomini, farlo loro provare, convincerli che è imminente la salvezza definitiva per l’umanità, dono di un Padre pieno di amore e misericordia. Sono giunti i tempi in cui Dio rimette il mondo nella prospettiva vera, definitiva, in cui libera l’uomo dal peccato, dalla disperazione, dalla solitudine mortale. A questo occorre orientare tutto.  

La nostra arte invece è sempre quella di sfruttare l’occasione, di tenere il piede in due scarpe, di non deciderci mai per cose definitive. C’è sempre un rimedio a tutto. Certo, decidersi vuol dire tagliarsi le vie di fuga, sapere bene per che cosa vivere, o meglio, per chi vivere e per questo imboccare la strada giusta. 

C’è una inversione a U da fare. Nella vita non è come in autostrada, dove occorre sempre andare avanti diritti; nell’esistenza qualche volta c’è da cambiare radicalmente, da tornare indietro. Abbiamo capito che siamo fuori strada, qualche amico, i genitori o il coniuge, ce lo ha fatto intendere, talvolta ci si apre davanti un baratro, spesso è un rimorso insostenibile. Non ci sono calmanti da prendere, c’è solo da dirci onestamente: ho sbagliato; ho perso la testa, sto rovinando tutto. Cambio. Mi costerà, ma voglio una vita dignitosa, più bella, veramente senza fiele per nessuno e piena di gesti di amore. Cambio, mi converto. Sarà dura, ma ne val la pena. Stacca davvero le cuffie e mettiti a gridare che c’è ancora una speranza di vivere alla grande.

18 Febbraio
+Domenico

Una lebbra che ci corrode tutti è il peccato  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 1,40-45)

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Audio della riflessione.

Ci sono delle persone che hanno un coraggio indomabile di fronte a tutte le avversità, altri si adattano e non reagiscono. Capita così anche nella malattia. Vedi subito se uno ha voglia di vivere o no, se vuol combattere o ha perso ormai ogni energia. Qualcuno si lascia morire, altri invece hanno voglia di vita da vendere e reagiscono. Spesso questa è la forza necessaria per continuare a vivere, è una forza che compie miracoli. La vita anziché essere una fatalità è sempre una scelta, o meglio, un dono da accogliere e se non lo vuoi, nessuno te lo può imporre, prima o poi se ne va. 

Era attaccato alla vita quel lebbroso che è corso ai piedi di Gesù: ha saltato tutte le regole che imponevano ai malati di lebbra l’isolamento e si è portato davanti a Gesù. La gente pensava: ormai sei condannato, stattene tranquillo dove sei, la vita è un colpo di fortuna, tu sei sfortunato, adattati alla tua situazione!  

Invece lui balza nella vita e supplica: se vuoi, se mi dai ascolto, se guardi alle mie privazioni, a quel che mi manca per essere un uomo, tu puoi ridarmi tutto quello che hai dato ad ogni creatura. Perché io dovrei rimanerne privo? Puoi guarirmi. È una preghiera semplice, ma decisa, sa quel che chiede e sa a chi chiede. Gesù di fronte a questa fede risponde subito: lo voglio. È animato da compassione, da attenzione profonda alla sofferenza.  

E lui, il lebbroso diventa il primo annunciatore della grandezza di Gesù, lo va a dire a tutti, non lo tiene più fermo nessuno; ha riottenuto la gioia di vivere e la canta più che può. E annuncia non solo e soprattutto il fatto, ma la parola, il logos, se vogliamo stare alla parola greca che Marco usa. Annuncia qualcosa di più di un miracolo, di un aspetto meraviglioso, che ha dell’incredibile, ma annuncia la parola di salvezza.  

Nella guarigione della lebbra è significata ogni altra guarigione. Anche noi siamo quel lebbroso, anche a noi cade la vita a pezzi, perdiamo la freschezza e l’innocenza. Anche a noi le mani anziché essere tese all’abbraccio diventano moncherini mortificati, le nostre labbra anziché essere aperte a parole d’amore, sono disfatte dalla maldicenza; anche i nostri piedi anziché essere portatori di gioia, di vangelo sono paralizzati nella nostra solitudine. Una lebbra ce la portiamo dentro tutti, un principio che smonta la nostra vita pezzo a pezzo e ce ne fa perdere la bellezza la proviamo tutti. È lebbra il peccato, è lebbra lo scoraggiamento, è lebbra la paura. È lebbra l’odio. È lebbra la ritorsione, la vendetta. È lebbra farsi giustizia da sé. È lebbra farsi sempre e solo i fatti propri. È lebbra un cellulare che non riesci mai a spegnere. Abbiamo bisogno di gridare anche noi: se vuoi, puoi guarirmi, certi che Dio non ci abbandona mai. È lebbra possedere la persona amata invece che volerla sempre più sé stessa e gioire della sua originalità. È lebbra il tuo amore di giovane se comincia ad essere un laccio invece che un seme che apre a una vita nuova che completa la vostra.

11 Febbraio
+Domenico

Il tam-tam tra tutti i disperati: c’è Gesù  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 1,29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, andò subito nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Audio della riflessione.

Ogni uomo che viene al mondo deve portare il suo carico di dolore, di pena, di male. Non è una fatalità, ma un dato di fatto.  Resti spesso sconcertato quando fai il conto di tutto il male che esiste nel mondo, ti senti schiacciato quando ne devi portare una parte. Ti tocca perché sei papà o mamma e spesso ti sembra di non farcela a sostenere il dolore che ti accumula la vita di famiglia; ti tocca per la tua stessa vita, per le vicende che ti capitano, che qualche volta hai provocato tu con la tua insipienza o che spesso ti vengono caricate sulle spalle senza tua colpa: è un incidente, è una malattia, è una ingiustizia, sono le disonestà, le cattiverie, i delitti di chi non ha rispetto di nessuno. 

 La TV e la stampa ogni giorno ci mettono davanti le sofferenze dell’umanità. Se poi hai avuto occasione di visitare direttamente qualche popolo del cosiddetto terzo mondo ti senti sicuramente in colpa. Ma perché tutto questo macigno straziante di male? C’è qualcuno o qualcosa o qualche prospettiva che ci permetta di vincerlo, non solo di sfuggirlo; di superarlo non tanto di scaricarlo sulle spalle di altri. 

A Gesù, al tramonto del sole di quella prima giornata di Cafarnao, passata amichevolmente nella casa di Pietro, si presenta una massa di ammalati e di indemoniati. Si è diffuso un rapidissimo tam-tam tra tutti i disperati; la notizia della sua presenza è passata di tugurio in tugurio, di disperazione in disperazione e ciascuno ha trovato, la forza di portare alla luce i suoi mali, i suoi malati, i reclusi del dolore. C’è Lui. Lui ha detto che il Regno sta scoppiando, Lui comanda ai demoni; Lui è capace di portare tutto il male del mondo e se ne sente quasi schiacciato.  

Ha bisogno di fissare il suo sguardo gravato dalle scene del dolore negli occhi del Padre e di buon mattino si ritira in un luogo deserto a pregare: Non è una fuga, al “tutti ti cercano” che Pietro gli grida non oppone rifiuto, ma allarga ancora più l’orizzonte a tutti i villaggi vicini. 

È Lui l’agnello che si carica il male del mondo. Non siamo più soli a portarlo. Lui è la chiave di volta sotto cui il peso della vita non potrà mai schiacciarci. Non ci lascia soli. Il male del mondo è tanto, siamo tentati di dire che è troppo, ma bisogna cercare Lui per avere la certezza di vincerlo. Se la terra è spaesata, il cielo non è vuoto. 

Papa Francesco ci dice sempre che la chiesa deve uscire e accogliere tutti. Gli siamo obbedienti oppure ci fermiamo a guardarci negli occhi? Noi i bravi, i garantiti, quelli che dicono di avere bisogno di nessuno e magari non aiutano nessuno? Tutti cercano solidarietà, compagnia, amore. La chiesa è in uscita sempre per questo. 

04 Febbraio
+Domenico

Taci, esci: non ti chiedo per favore

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,21-28)

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Audio della riflessione

E’ esperienza di noi tutti andare per uffici a chiedere qualche permesso. Dobbiamo fare dei lavori di allargamento della casa, oppure dobbiamo ristrutturare o rimettere a norma, dobbiamo fare una scala. Che si fa? Si vanno a chiedere permessi. Modulo, spiegazione, compilazione, raccolta di documenti, spedizione, raccomandata, consegna. Poi si aspetta. Certi uffici sono eterni. Soprattutto quando devi ritirare un permesso. Le carte sono tutte a posto, ma vede signora, c’è una nuova disposizione che prevede l’autorizzazione dell’ufficio che trova lì nella seconda porta a sinistra. Vai alla seconda porta a sinistra e ti rimandano a quella del piano di sotto; al piano di sotto ti dicono che devi ripassare perché quello riceve solo il martedì e tu sei andato il lunedì. Insomma vai da questo, ti manda da un altro, esponi il caso a quest’altro, occorre una istanza superiore. Vai dal superiore e ti accorgi che ne ha altri sopra di sé. E’ mai possibile poter parlare con chi ha piena autorità o ci si deve adattare sempre a strappare raccomandazioni, mezzi consensi, pareri? Se questo poi capita per la tua salute o per la tua stessa vita, il problema è ancora più serio. C’è qualcuno che può dire sulla mia vita qualche parola definitiva?

Capitava così anche agli ebrei. La religione era arrivata a un punto di non ritorno. I riti erano freddi, la gente andava in sinagoga, in chiesa diremmo noi, ascoltava la Parola di Dio, ma pareva una parola spenta, ingessata. Occorreva tornare a sperare e la speranza non poteva nascere dalla routine, dalla ripetitività, dal sentito dire.  Ormai quando parlavano gli scribi davano l’impressione di chi inizia un discorso con “mi dicono di dire”. Come il presentatore televisivo, che sarà molto brillante, ma ha sempre in mano una maledetta scaletta in cui altri hanno scritto quello che deve fare, non solo, ma ha una auricolare attraverso cui gli sparano nell’orecchio anche le battute da dire.

Anche gli scribi avevano una sorta di regia che dovevano seguire. Era la regia del riportare fedelmente i versetti della torah, di chiosarli con i pareri autorevoli della scuola rabbinica da cui provenivano, ne riportavano le flessioni, i punti e le virgole, portavano a conoscenza la sapienza concentrata nei commentari.

Veniva spesso il dubbio che ci credessero, che si battessero per qualcosa di nuovo, di importante, di inedito. L’elogio migliore che si poteva fare di uno di loro era: “non profferì mai una parola che non avesse imparato dal suo maestro”. Mai una volta “io vi dico che… è stato detto sempre che, ma io… Sicuramente molto fedeli, ma senza autorità.

Quando si presenta Gesù invece è tutta un’altra cosa. Lui è diverso: intanto parla in prima persona, non si mette a dire: mi dicono di dirvi… oppure: secondo i pareri più importanti che sono stati espressi su questo argomento sembra utile, tenendo conto delle varie situazioni che … Gli va qualcuno a chiedere se c’è una speranza nella vita e lui non risponde: vediamo che cosa dicono gli altri. Lui dice: Io sono la via, la verità e la vita; Lui parla in prima persona. A chi ha terrore della morte Lui dice: Io sono la risurrezione e la vita e lo dimostra con la risurrezione di Lazzaro, del figlio unico di quella mamma vedova, soprattutto lo dimostrerà con la sua risurrezione, con la sua vittoria sulla morte. Gesù non ha una autorità di professione anche molto curata, ma sempre imparata: Lui è l’autorità, la sorgente del suo dire e del suo potere.  Dice perentorio: taci, esci da quest’uomo! Esci, non ti chiedo per favore. Non ammette discussioni e Satana sopraffatto non osa resistere. Anzi i demoni hanno paura.

Torniamo al nostro caso che abbiamo detto prima.  Finalmente dopo tanti giri trovi la porta giusta. Resti impressionato quando finalmente sei arrivato per risolvere il tuo problema davanti a chi se ne intende, ha potere e lo risolve senza contorsioni, né rimandi. Non ti fa più girare né di qua né di là, ma ha lui l’autorità di aprire tutte le porte. Questa è stata l’impressione che ne hanno ricavato i primi ascoltatori di Gesù. Lui parlava con autorità, non vendeva speranze a buon mercato, ma era lui la speranza; non cercava mediazioni, ma offriva soluzioni. Lui era ed è la porta della vita, la parola definitiva, assoluta, potente. E’ Lui la sorgente del nostro essere e ha in mano tutti i segreti della nostra felicità. Per chi cerca ragioni di vita questa è l’unica strada possibile e noi con Gesù la possiamo percorrere.

28 Gennaio
+Domenico

Il Regno di Dio è già tra di noi

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Audio della riflessione

Avere un lavoro vero, stabile, non a tempo o mal pagato, in cui ci si possa guardare dentro (e non poter ingannare per far crescere solo le percentuali di lavoratori e far calare le percentuali di  disoccupazione) oggi è una fortuna. Se è vero lavoro, è possibilità di vita, di sviluppo della persona, di creatività, di libertà di decidere di sé, di fatica, ma anche  di progetto, di futuro. Quando lo perdi vai in crisi nera. Oggi che sei costretto a cambiarlo piuttosto spesso, se hai una certa età provi ansia e disperazione.  In certe zone d’Italia puoi stare in area di parcheggio per una vita e spesso sei costretto ad emigrare.

Proprio entro questa esperienza quotidiana, comune, intensa fa la sua irruzione Gesù. I lavoratori sono pescatori, proprietari e salariati. Vita dura, esposta ai capricci della sorte, si può stare tutta notte a raschiare il fondo del lago senza prendere niente, qualche volta ti sorprende la burrasca e rischi la vita. Ma è sempre il tuo lavoro, la tua possibilità di vivere e di essere. Andrea e Pietro, Giacomo e Giovanni ci stanno da una vita. Ma arriva Gesù nel mezzo della loro fatica, mentre gettano le reti o mentre le rassettano. “Ma vi rendete conto che siamo a una svolta della nostra storia? Non sapete che sta scoppiando una novità inaudita, nuova, impensabile? Avete posto orecchio e occhio a quel che capita? Non vi suggerisce niente il vostro cuore? Non percepite che la terra sta gemendo per le doglie di un parto? sta nascendo un mondo nuovo e voi state a tendere l’amo ai pesci, state a litigare con le correnti, a ingarbugliavi con le reti!?

Il regno di Dio ci scoppia tra le mani e voi lo lasciate passare? Bisogna che vi lasciate rivoltare la vita, occorre guardarla da un altro orizzonte. C’è qualcosa di ancora più importante del vostro lavoro: non sono i pesci da pescare,  ma gli uomini da salvare.

Seguitemi, vi farò pescatori di uomini, Pietro il tuo posto è oltre le tue barche, i tuoi tradimenti e le tue cocciutaggini; è in una nuova casa per tutti gli uomini: la Chiesa. Ci state a darmi una mano? Non vedete quanti uomini hanno perso la speranza, si adattano alla mediocrità, si impantanano nei loro peccati?”.

E questi, subito, lasciate le reti, lo seguirono. Avevano sentito il fascino di Gesù, ma soprattutto contemplato in Lui, in carne e ossa, volto e decisione, fatti e non solo parole quel tempo che la loro storia prediceva che sarebbe arrivato.

Noi invece siamo esperti del calcolo, del rimando, del pesare bene tutte le opzioni, dell’indugiare, del lasciar passare la vita nella nostra inerzia. Nel regno di Dio c’è lavoro per tutti, tanto che il nostro stesso lavoro ne è un cantiere se vi saranno dedizione alla giustizia e alla solidarietà. Per noi è da allora regno di Dio anche il lavoro, la condivisione della sua fatica con tutti, la solidarietà che vi si esprime, i sogni di mondo nuovo che vi nascono, le trasformazioni della terra che rispettano la natura.

21 Gennaio
+Domenico

Non siamo lebbrosi, ma poco ci manca alla lebbra spirituale

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,40-45)

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Audio della riflessione

Ci sono delle persone che hanno un coraggio indomabile di fronte a tutte le avversità, altri si adattano e non reagiscono. Capita così anche nella malattia. Vedi subito se uno ha voglia di vivere o no, se vuol combattere o ha perso omai ogni energia. Qualcuno si lascia morire altri invece hanno voglia di vita da vendere e reagiscono. Spesso questa è la forza necessaria per continuare a vivere, è una forza che compie miracoli. La vita anziché essere una fatalità è sempre una scelta, o meglio, un dono da accogliere e se non lo vuoi, nessuno te lo può imporre, prima o poi se ne va.

Era attaccato alla vita quel lebbroso che è corso ai piedi di Gesù: ha saltato tutte le regole che imponevano ai malati di lebbra l’isolamento e si è portato davanti a Gesù.

Ormai sei condannato, stattene tranquillo dove sei, la vita è un colpo di fortuna, tu sei sfortunato, adattati alla tua situazione!

Invece lui balza nella vita e supplica: se vuoi, se mi dai ascolto, se guardi alle mie privazioni, a quel che mi manca per essere un uomo, tu puoi ridarmi tutto quello che hai dato ad ogni creatura. Perché io dovrei rimanerne privo? Puoi guarirmi. E’ una preghiera semplice, ma decisa, sa quel che chiede e sa a chi chiede. Gesù di fronte a questa fede risponde subito:  lo voglio. E’ animato da compassione, da attenzione profonda alla sofferenza.

E lui, il lebbroso diventa il primo annunciatore della grandezza di Gesù, lo va a dire a tutti, non lo tiene più fermo nessuno; ha riottenuto la gioia di vivere e la canta più che può. E annuncia non solo e soprattutto il fatto, ma la parola, il logos, se vogliamo stare alle parola greca che Marco usa. Annuncia qualcosa di più di un miracolo, di un aspetto meraviglioso, che ha dell’incredibile, ma annuncia la parola di salvezza.

Nella guarigione della lebbra è significata ogni altra guarigione. Anche noi siamo quel lebbroso, anche a noi cade la vita a pezzi, perdiamo la freschezza e l’innocenza. Anche a noi le mani anziché essere tese all’abbraccio diventano moncherini mortificati, le nostre labbra anziché essere aperte a parole d’amore, sono disfatte dalla maldicenza; anche i nostri piedi anziché essere portatori di gioia, di vangelo sono paralizzati nella nostra solitudine. Una lebbra ce la portiamo dentro tutti, un principio che smonta la nostra vita pezzo a pezzo e ce ne fa perdere la bellezza la proviamo tutti. E’ lebbra il peccato, è lebbra lo scoraggiamento, è lebbra la paura. Abbiamo bisogno di gridare anche noi: se vuoi, puoi guarirmi, certi che Dio non ci abbandona mai.

Ma noi siamo due ragazzi che ci siamo da poco fidanzati, non siamo lebbrosi. Certo, siamo qui a chiedere a Dio che vi risparmi dal vedere il vostro amore cadere a pezzi come la carne del lebbroso, vi mantenga sempre la freschezza e un po’ di ingenuità sulla vita che oggi ancora avete. Il vostro amore fresco è come la pelle del lebbroso che Dio ha rifatto; per questo lo ringrazierete ogni giorno.

11 Gennaio
+Domenico

Le sofferenze, le disperazioni chiamano in causa sempre Gesù

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Audio della riflessione

Ogni uomo che viene al mondo deve portare il suo carico di dolore, di pena, di male. Non è una fatalità, ma un dato di fatto. Resti spesso sconcertato quando fai il conto di tutto il male che esiste nel mondo, ti senti schiacciato quando ne devi portare una parte. Ti tocca perché sei papà o mamma e spesso ti sembra di non farcela a sostenere il dolore che ti accumula la vita di famiglia; ti tocca per la tua stessa vita, per le vicende che ti capitano, che qualche volta hai provocato tu con la tua insipienza o che spesso ti vengono caricate sulle spalle senza tua colpa: è un incidente, è una malattia, è una ingiustizia, sono le disonestà, le cattiverie, i delitti di chi non ha rispetto di nessuno.

La TV e la stampa ogni giorno ci mettono davanti le sofferenze dell’umanità. Se poi hai avuto occasione di visitare direttamente qualche popolo del cosiddetto terzo mondo ti senti sicuramente in colpa. Ma perché tutto questo macigno straziante di male? C’è qualcuno o qualcosa o qualche prospettiva che ci permetta di vincerlo, non solo di sfuggirlo; di superarlo non tanto di scaricarlo sulle spalle di altri.

A Gesù, al tramonto del sole di quella prima giornata di Cafarnao, passata amichevolmente nella casa di Pietro, si presenta una massa di ammalati e di indemoniati. Si è diffuso un rapidissimo tam-tam tra tutti i disperati; la notizia della sua presenza è passata di tugurio in tugurio, di disperazione in disperazione e ciascuno ha trovato, la forza di portare alla luce i suoi mali, i suoi malati, i reclusi del dolore. C’è Gesù. Lui ha detto che il Regno sta scoppiando, Lui comanda ai demoni; Lui è capace di portare tutto il male del mondo e se ne sente quasi schiacciato.

Ha bisogno di fissare il suo sguardo gravato dalle scene del dolore negli occhi del Padre e di buon mattino si ritira in un luogo deserto a pregare: Non è una fuga, al “tutti ti cercano” che Pietro gli grida non oppone rifiuto, ma allarga ancora più l’orizzonte a tutti i villaggi vicini.

È Lui l’agnello che si carica il male del mondo. Non siamo più soli a portarlo. Lui è la chiave di volta sotto cui il peso della vita non potrà mai schiacciarci. Gesù non ci lascia soli. Il male del mondo è tanto, siamo tentati di dire che è troppo, ma bisogna cercare Gesù per avere la certezza di vincerlo. Se la terra è spaesata, il cielo non è vuoto. Papa Francesco ci dice sempre che la chiesa deve uscire e accogliere tutti. Gli siamo obbedienti oppure ci fermiamo a guardarci negli occhi? Noi i bravi, i garantiti, quelli che dicono di avere bisogno di nessuno e magari non aiutano nessuno? Tutti cercano solidarietà, compagnia, amore. La chiesa è in uscita sempre anche per questo.

10 Gennaio
+Domenico

Gesù stana tutte le nostre miserie e ce ne guarisce

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,21b-28)

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,] insegnava. Ed erano stupìti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Audio della riflessione

Siamo veramente immersi in un mare di sofferenze. Spesso non ce ne accorgiamo o facciamo finta che non esistano, le nascondiamo per pudore, ce le teniamo nel segreto delle nostre vite, per vergogna, per evitare commiserazioni inutili.

Tanto i giornali sono pieni di notizie negative per fare colpo, tanto gli intrattenimenti televisivi invece nascondono le sofferenze umane. Molte famiglie si tengono in casa il loro malato, il loro handicappato, il figlio o la figlia incapace di autonomia o soggetto a crisi depressive, a schizofrenia.

Spesso ci si mette anche il demonio a distruggere la vita di una persona proprio con la sua possessione. Se ne raccontano più di quelle che esistono, ma non c’è dubbio che il demonio ci sia e sia operativo. E queste malattie escono alla ribalta appena si sente un segnale di aiuto, appena si sente dire che c’è qualcuno capace di dare pace, di guarire, di offrire per lo meno speranza.

Capitò così anche a Gesù: quando transitava per un paese, stanava tutte le miserie che c’erano; le mamme si facevano coraggio e mettevano in pubblico le loro sofferenze, i malati che potevano si portavano sulla piazza per incrociare Gesù, chi vi era impossibilitato trovava qualche amico che lo aiutava.

E Gesù dimostrava di comandare anche agli spiriti del male: Taci, esci, te lo comando. Qui c’è il Figlio di Dio e non ci può essere nessuna zona umana posseduta dal male. Gesù è l’unica potente salvezza. E’ giusto che ricorriamo alle medicine e alle scoperte scientifiche, ma ci sono dei mali che si superano solo nella preghiera, solo affidandoci a Lui. Non c’è nessuna pastiglia che scaccia il male, il demonio, non ci sono sostanze chimiche che possono scacciare dalla vita lo spirito del male. Occorre molta preghiera, una esposizione costante alla Parola di Dio.

Chi è mai Gesù? Certo non è riducibile a una persona politicamente corretta, tutta dimostrabile, ben comprensibile. E’ finito il tempo in cui per accettare criticamente Gesù dovevamo sempre dire che i miracoli che compiva e di cui ci parla il vangelo fossero frutto di visioni distorte o di racconti edificanti senza nessuna base reale. Gesù è colui che parla con autorità e che compie segni che lo dimostrano figlio di Dio, che lo accreditano a noi come il Signore che non ci abbandona mai.

09 Gennaio
+Domenico

Una squadra di lavoro, appassionata di vangelo

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Audio della riflessione

Sono finite le feste, le vacanze, le variazioni di orario di vita, di percorsi di incontri. La ripresa del lavoro, della scuola, dello studio è sempre faticosa, ma necessaria. La vita è fatta di poche feste e di tanti giorni feriali; la quotidianità è la legge, la festa è l’eccezione, anche se le feste danno sapore ai giorni normali perchè te ne fanno intravvedere e gustare il significato. La legge di inerzia dello spirito è ancora più difficile da vincere di quella degli oggetti. Esige grinta interiore, forza di volontà, soprattutto motivazioni: un papà o una mamma hanno davanti una famiglia, un lavoro, un adulto punta di più sull’abitudine, un giovane sulla spontaneità, ma la cosa più utile è avere degli amici, essere in squadra per potersi aiutare l’un l’altro a trovare motivi, mettendo assieme il poco di tutti per fare una forza imbattibile.

Gesù era partito deciso, aveva lasciato il suo bel paesello, aveva voltato pagina. La prima cosa che fa è di mettere assieme una squadra che, come Lui, si mette a condividere passione per la sua causa e li chiama. Aveva visto non poco volte questi giovani, questi uomini rotti dalla fatica, attaccati al loro lavoro, decisi a non lasciarsi sopraffare dalle condizioni avverse. Li ha pensati tante volte a impiegare la loro grinta nella sua missione di annunciatore del vangelo, anziché nel tentare di riuscire nella pesca, nel loro lavoro.

Andrea, Simone, Giacomo, Giovanni ci state a vivere con me, a predicare speranza a questo nostro mondo che è continuamente tentato di vivere alla giornata? Ci state a costruire un cenacolo di persone che si misurano sul futuro di Dio? Ci state a mettere tutte le vostre forze nell’aiutare gli uomini a decidersi per il Regno di Dio? Vi sta a cuore la bontà, la giustizia, l’amore vicendevole, il perdono, la lode a Dio? Riuscite a cogliere che il tempo è maturo perché Dio si riveli padre misericordioso? Volete condividere con me i momenti intimi di una crescita e di un confronto, di una compagnia e di una missione?

Un avverbio caratterizza la loro risposta: subito. Anche loro era da tempo che ascoltavano Gesù e le speranze che aveva fatto nascere nel loro cuore li avevano proprio affascinati. E si misero con Gesù, decisi. E’ sempre importante cominciare decisi, avere in cuore un ideale alto. Ogni giorno è abitato da una Parola, da un brano di vangelo, da un messaggio di speranza; di questa speranza devo vivere e devo portare agli altri, al mondo.

08 Gennaio
+Domenico

Con Gesù nella fila del Battesimo

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,7-11)

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Audio della riflessione

Abbiamo tutti un ricordo lieto e triste di una prima volta. Il primo giorno di scuola, il primo giorno di naia, il primo giorno di matrimonio, il primo figlio, il primo bacio, il primo volo, il battesimo dell’aria.

È stato qualcosa che ci ha iniziato alla vita, che le ha dato un nuovo colore, che ha coronato una lunga preparazione o attesa, che ci è capitato improvviso e che ci ha fatto scoprire qualità impensate. Spesso è stata una investitura. “Adesso sei grande, tocca a te, non ti tirare indietro; sei su un trapezio, non ci sono più reti di protezione”. Un misto di brivido, di paura, di orgoglio ci ha fatto decidere.

Non so se Gesù provasse qualcuno di questi sentimenti, là al Giordano in quella fila di peccatori. Era stato attratto da Giovanni, sentiva che suo Padre non era ingessato nei ritualismi o imprigionato nel tempio, ma era là nell’attesa della povera gente, povera di speranza soprattutto, una povertà che attraversa ricchi e poveri, stolti e intelligenti, uomini di potere e servi inutili.

E qui al Giordano il Padre, che Lui chiamerà sempre papà (solo sulla croce lo chiama Dio quando ripete le parole del salmo; Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato, ma le sue ultime parole saranno ancora: papà nelle tue mani mi abbandono), ebbene qui al Giordano è ancora suo Papà che lo offre a noi a mani spiegate, lo manda, lo accredita, lo spinge sul trapezio dell’annuncio e del dono fino alla morte, senza rete. L’unica rete sono le sue braccia. Con questa consapevolezza Gesù guarderà in faccia la morte, supererà le tentazioni, non soffrirà la solitudine.

Sei mio figlio, oggi ti ho generato; sei il prediletto, sei l’agapetos, Agapito (mi richiama il martire patrono della mia diocesi di Palestrina, in cui sono ancora incardinato), non ho altro bene fuori di te, ti affido all’ascolto di tutti, ti mando il mio Spirito; il nostro Spirito è la tua compagnia, la tua consolazione, la tua forza. Oggi lo Spirito aleggia su queste acque come spirò sulle acque del caos primitivo, è una nuova creazione che cammina con te.

Sono disposto a perderti purché questa fila di peccatori, che sta con  te nell’acqua del Giordano diventi una fila di santi, di giusti, di uomini e donne nuovi. Anche tutti noi oggi siamo in questa fila, che Gesù ci immerga nella  sua santità.

07 Gennaio – Festa del Battesimo del Signore
+Domenico