Il Signore Dio nostro è l’unico Signore e tu ama Dio e il prossimo

Una riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 12, 28b-34)


In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Audio della riflessione

La necessità di semplificare, non di fare i sempliciotti, oggi è assolutamente prioritaria. In un mondo pieno di informazioni, invaso da immagini, destabilizzato dall’esasperazione delle emozioni e dei sentimenti è necessario avere qualche punto fisso da cui guardare la vita, soprattutto è necessario avere capacità di sintesi, cioè la possibilità di dare unificazione al nostro pensare. La vita non è una somma di fatti, un susseguirsi disordinato di eventi, ma è una storia composta di avvenimenti nella coscienza di ciascuno, un filo d’amore che Dio tesse nella vita di tutti e tocca a noi intercettare, rendere consistente, offrire come corda di solidarietà a tutti. Così è della nostra vita cristiana.  

C’è un punto unificatore di tutto? Esiste una scelta di base che dà significato a tutta l’esistenza, che permette di valutare e rivedere, di riorientare e ritrovare forza dopo le immancabili cadute e defezioni, dopo lo smarrimento e la debolezza dei nostri comportamenti? C’è nel cristianesimo un principio base che giudica tutte le alterne vicende della nostra vita? L’aveva anche il popolo di Israele. Era lo shemà israel: ricordati, ascolta Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore.  

Anche Gesù lo ha imparato dalle labbra della mamma, lo ha ripetuto tante volte quando andava in sinagoga come ogni bambino ebreo e lo ripropone carico della novità assoluta dell’amore di Dio fatto carne in Lui al nuovo popolo dell’alleanza, a tutti i cristiani che erano allora, che sono e che verranno.  

Ama Dio e ama il prossimo. Non fare separazioni che sarebbero ben comode, non fissarti su uno o sull’altro se vuoi rispondere seriamente alle esigenze che io ho seminato in te: ti ho messo dentro una nostalgia di Dio grandissima e non sarai felice se non la seguirai; ti ho messo dentro una assoluta necessità di stare con gli altri, di amare e vivere in pace con tutti gli uomini e la loro compagnia ti sarà strada di felicità se li amerai.  

Sono un unico amore, ma attento: non li separare mai, non viverli mai in alternativa, non dare all’uomo quel che è di Dio e non depositare in Dio quello che devi assolutamente ai tuoi simili. È un riferimento semplice, ma è impegnativo, come si è sempre impegnato Dio per noi perché Lui è un Dio non ci abbandona mai. 

06 Giugno
+Domenico

La vita futura dell’umanità

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12, 18-27)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

Audio della riflessione

La nostra vita finisce qui tra queste quattro strade che percorriamo ogni giorno per andare a lavorare, a studiare, a fare la spesa? I nostri giorni sono inscritti e delimitati da questi orizzonti pur belli, ma chiusi su cui ci muoviamo? C’è un futuro a questi giorni, la polvere di ossa consumate o i tristi loculi di un cimitero sono la nostra fine? Abbiamo in cuore una insopprimibile esigenza di oltre, di futuro, di apertura a orizzonti e spazi infiniti. Il cielo che ci sovrasta, che tentiamo di bucare con ogni sorta di sforzo tecnico e che ci meraviglia per le dimensioni grandissime che ha, ci apre  a sogni di eternità. La nostra vita non può ridursi al niente. E’ il desiderio di ogni uomo. L’avevano anche i contemporanei di Gesù. “Vennero a Lui dei sadducei i quali dicono che non c’è risurrezione”.

 In un mondo religiosissimo come quello di Gesù, in cui la presenza di Dio era parte integrante della vita personale e pubblica e non era assolutamente messa in dubbio, si stentava a credere in un futuro di risurrezione. Allora Gesù molto semplicemente li fa ragionare. Che Dio è quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe? E’ il custode di un cimitero, assiste imperturbabile alla distruzione definitiva della vita delle sue creature? Si accontenta di mettere al mondo dei giocattoli che alla fine si rompono irreparabilmente e spariscono? O è un Dio che costruisce eternità, vita per sempre? Oggi noi facciamo più fatica a credere nella risurrezione, perchè abbiamo tolto dall’orizzonte Dio, ma se Dio sta nella nostra fede, allora è bello pensare che la nostra vita non avrà mai fine, ma si troverà al suo vero posto in Lui. E’ sicuramente un fatto non immaginabile e tutte le nostre congetture peccano sempre di adattamento al ribasso.

Per capire come sarebbe stato il mondo dopo la nostra morte i sadducei hanno fatto a Gesù la classica domanda di chi poteva essere moglie nell’aldilà una donna che aveva sposato sette fratelli dopo la morte di ciascuno di essi. Non abbiamo proprio fantasia, o non vogliamo averla. Immaginiamo la vita in Dio come un tranquillo accomodamento delle nostre vite nel tempo. E’ come quando sei nella nebbia e continui a pensare che è meglio avere fari sempre più capaci di fenderla, mentre invece la vera risposta è il sole, qualcosa che va al di là e al di sopra delle nebbie.  Così sarà la nostra vita in Dio oltre le nostre piccole fantasie, nella sua grandezza e bontà, nella radice di ogni nostro amore che è solo una pallida ombra del suo. E’ la speranza cristiana. Di questa speranza voglio sempre vivere

5 Giugno 2024
+Domenico

Che governo deve scegliere il cristiano?

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12, 13-17)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
 Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.

Audio della riflessione

Gesù era sicuramente una personalità molto convincente e definita; non aveva mezze misure, sapeva dire pane al pane e vino al vino. Non temeva confronti, non si adattava, né faceva il camaleonte. Era veritiero, non si faceva intimorire da nessuno, insegnava con verità la via di Dio. Coglieva l’astuzia dei suoi accusatori che sotto complimenti così precisi (tipo: sappiamo che sei veritiero, che non guardi in faccia a nessuno…) nascondevano sicuramente un tranello. E Gesù, da par suo non si tira indietro e si presenta con la sua massima sincerità; non teme la morte e tuttavia qui capendo che la domanda non è sincera, ma un tranello, non ne accetta l’impostazione. Secondo gli Erodiani o si pagava il tributo a Cesare e si accettava un sacrilegio; se lo si fosse rifiutato sarebbe risultato un ribelle.

Gesù non è d’accordo né con gli uni, né con gli altri. Tutti assolutizzano una realtà relativa, quale era il tributo e l’immagine del Cesare scolpito sulla moneta. Gesù non voleva che il servizio a Dio, la scelta di mettere al primo posto il Signore si riducesse a pagare o non pagare il tributo. Si poteva pagare il tributo senza rinunciare per questo al primo comandamento. Si può conservare intatta la fedeltà a Dio anche pagando un tributo. Era né con gli zeloti, né con gli erodiani. Aveva da educare anche alcuni degli apostoli che erano zeloti di estrazione. Simone detto appunto zelota, Giuda iscariota e i figli di Zebedeo.

L’alternativa alla dominazione romana non era per Gesù un governo nazionale ierocratico, religioso e non lo era mai stato prima. Gesù era un critico spietato dell’élite orgogliosa e ipocrita, ambiziosa e rapace che poi lo ucciderà pure per conservare l’ordine e la legalità.

I termini dell’alternativa non sono Dio e Cesare, ma Dio e ogni tipo di movimento umano, anche chiamato di liberazione, che in qualche modo intende occupare il monopolio assoluto che compete solo a Dio. Il potere, compreso il potere liberatore o il massimo di efficienza e di concentrazione di esso in regimi totalitari, porta in sé il virus della pretesa assolutista. Per questo il profeta resta sempre ad una discreta distanza dal potere e la fede non si deve asservire a nessuno.

4 Giugno 2024
+Domenico

La vigna del Signore è molto più di una coltivazione per avere vini

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12, 1-12)

In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori del- la vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; aveva- no capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.

Audio della riflessione

Se c’è un paesaggio che caratterizza la nostra Italia è proprio quello delle vigne. Non sapremmo vivere senza questa immagine collinare, di questi filari ordinati, che seguono la curva delle conche e degli avvallamenti, delle cime smorzate e degli incroci delle valli, talora approssimati, talora in linea perfetta, ben sarchiati, puliti, ordinati, curati.

Al tempo di Gesù era una fortuna avere una vigna, era segno di terra cui abbarbicarsi, da cui avere dignità di appartenenza a un territorio, radicamento in un paese, una sorta di radice antropologica e culturale necessaria per definirsi. E Gesù nel vangelo paragona tutta la sua vicenda alla storia di una vigna, alla descrizione di questo bene primario che caratterizzava il popolo Israele. Lui alla fine per questa vigna viene ammazzato; perché altri se ne possano impadronire lui viene sacrificato. È l’erede! Ammazziamolo così sarà nostra.

Nell’Antico Testamento la regina Gezabele aveva fatto ammazzare un povero piccolo padrone perché il re che aveva tutto quello che voleva si potesse impadronire della sua vigna. Il re gliela aveva chiesta, ma per lui la vigna era un segno e un diritto di vivere da buon ebreo nella sua terra, di far parte del popolo di Israele Sembrava tutto a posto, ma Dio è custode del povero e manda in malora il prepotente e il ricco operatore di soprusi.

Gli ingiusti hanno ammazzato il figlio del padrone per avere una vigna, ma Dio è più grande di loro. Proprio per la morte del figlio quella vigna sarà di tutti, quella identità, quella appartenenza al nuovo popolo di Dio, al suo regno, quella nuova vigna sarà ereditata da tutti quelli che accoglieranno il figlio non più solo come padrone della vigna, ma come Signore del cielo e della terra. Sarà data a chi si affiderà a Dio, a chi avrà il coraggio di accogliere Gesù come il vero vignaiolo.

È stato scartato dal male questo figlio, questa pietra scomoda, ma Dio lo ha fatto diventare la pietra su cui tutto, lo stesso regno di Dio, il futuro avrebbe poggiato. C’è una pietra che non deve cedere a nessun peso, che dà stabilità alla intera costruzione; occorre un riferimento sicuro che permette ad ogni vita di costruirsi nella certezza dell’oggi e nella speranza di un futuro di bene: questa pietra è Gesù.

3 Giugno 2024
+Domenico

Non separare mai l’amore di Dio dall’amore del prossimo

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Audio della riflessione.

Non ho mai capito perché molte volte si entra in crisi di fede e di vita cristiana accampando tanti motivi strani: la ricchezza della chiesa, il comportamento dei preti, la severità dei comportamenti, la opposizione politica, la mancanza di modernità, la complessità dei comportamenti che richiede. Ma Gesù ha detto soprattutto che essere cristiani è amare Dio e amare il prossimo. È solo e soprattutto questione di amore. Questa è una affermazione che ci deve mettere il cuore in pace e nello stesso tempo trasferire nella vita cristiana tutte le leggi, i comportamenti, i sentimenti, le intuizioni, le emozioni dell’amore.  

Essere cristiani è essere presi dall’amore verso Dio e verso il prossimo e non separarlo mai. Le separazioni sono tutte un tradimento; molti si rifugiano in un astratto amore di Dio che non tiene conto del prossimo, che taglia fuori tutti in un isolamento che non è contemplazione di Dio, ma adorazione di sé; molti altri invece si danno da fare per il prossimo, ma su un orizzonte chiuso, incapace di dare slancio e apertura all’infinito. Prima o poi è un amore che si chiude su orizzonti ristretti e non permette di volare, di stimare il vero bene dell’altro.  

Se non hai come orizzonte Dio non riesci a fare il bene massimo dell’uomo, ci si adatta troppo ai condizionamenti, si abbassa la guardia. È un esempio di questa necessità quel filantropismo che non bada troppo a limitazione delle nascite con qualsiasi metodo, a soppressione di vite prima di nascere, a limitazioni di fertilità attraverso mutilazioni, a disprezzo della cultura dei poveri… 

Ma Gesù con molta determinazione ci ripropone il grande precetto di Israele, con questa accentuazione sul prossimo che diventerà il distintivo di ogni cristiano. Da qui nasce il perdono, da qui la dedizione fino alla morte, da qui il famoso esame finale della nostra vita. Non mi avete dato da mangiare, non mi avete dato da bere, non mi avete visitato…Quando mai Signore? Noi ti abbiamo adorato, abbiamo cantato le tue lodi, di abbiamo fatto posto tra le nostre case. Quello che non avete fatto ai più piccoli è a me che non lo avete fatto 

La vita cristiana è della massima coerenza. Proprio perché in ogni persona Lui è presente e non ci abbandona mai.  

08 Marzo
+Domenico

È un fiume di gente che scarta una povera vecchietta, ma non Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Audio della riflessione.

La vita è proprio un fiume lento che scorre, al centro ci siamo noi, una barca portata dalla corrente. Non è detto che vada automaticamente verso il porto della felicità, anche se la direzione è quella. Ogni barca segna con la sua stazza le onde, colora il fiume, gli obbedisce, ricama con originalità il suo percorso, si aggrega, si accompagna o cozza contro le altre. È una festa o una battaglia, una regata o un ingorgo a seconda della volontà di convivere o di dominare.  

Mi piace pensare Gesù, che un giorno siede a guardare un fiume di persone che passano davanti al tesoro del tempio. È un punto obbligato. Quando vai alla presenza di Dio non puoi andare a mani vuote; certo porti te stesso, ti vai ad affidare a lui. Sai che la tua vita è nelle sue mani, hai un cuore, una intelligenza, un progetto: lo metti lì perché Lui ne sia il custode, ed esprimi questo dono, questo amore con un segno.  

Davanti al tesoro del tempio passa il ricco commerciante di pecore: ha guadagnato molto e non può non far cadere nei grandi vassoi monete d’oro sonanti: è una sorta di investimento per i prossimi commerci o contratti. Arriva l’esattore delle imposte, firma un assegno e lascia cadere in maniera visibile: tutti devono vedere ondeggiare questa ricca “piuma” di soldi che va ad arricchire il tempio; arriva l’agricoltore che ha da poco venduto il raccolto e fa risuonare anche lui le sue monete.  

Nel trambusto spunta una vecchietta, mentre le televisioni spengono i riflettori, fa due o tre passi incerti e lascia cadere due spiccioli: non si vedono, non fanno rumore, nessuno li nota: per lei sono tutto quello che ha e lo dona a Dio, lo mette a sua disposizione. È povera, è sola, non ha futuro: il suo solo futuro è Dio, la sua vita è tutta in lui e per lui. Domani? È nelle sue mani.  

Gesù è lì che guarda, non s’è lasciato incantare dalle televisioni, dal numero di zeri, dalle cifre dei ricchi, dal suono ammaliante dell’oro. Di fronte a Dio non ci si fa rappresentare dal superfluo, ma solo dal necessario. I due spiccioli non risuonavano, non pesavano, ma si portavano dentro la vita.  

E noi che facciamo? che cosa mettiamo in gioco della nostra vita? Che cosa buttiamo nel piatto? Le nostre cose, quelle meno consistenti o tutto quello che siamo? Dio a noi non ha dato il superfluo ma, come l’amore, ha dato tutto. 

Ciò che ci occorre è di poter disporre di quello che siamo per una causa vera e buttarci senza riserve.  Dio non vuole stabilire un contatto con le tue cose, ma con te. Non devi fare offerte, ma essere una offerta. Le offerte sono un segno concreto di te che vuoi offrire la tua vita per il Signore, per i suoi poveri, per chi è senza speranza e senza futuro. 

Oggi la chiesa ha bisogno del tuo tempo, ti chiede di stare a contemplare Gesù, ha bisogno che tu stia ad ascoltare le persone che si sentono sole, ha bisogno che ti assuma le tue responsabilità perché i principi del vangelo nel lavoro sono derisi, ha bisogno che tu crei terra bruciata attorno agli spacciatori di droga, ha bisogno che tu indichi ai tuoi figli la strada della vita, anche a costo di turbare la serenità di una vita di famiglia fatta solo da un comodo vitto e alloggio.

10 Giugno
+Domenico

Il Signore è proprio Gesù

Una riflessione sul vangelo secondo Marco (Mc 12,35-37)

In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

Audio della riflessione.

Fa parte di un buon modo di pensare, abbastanza accettabile anche nelle relazioni quotidiane il credere che Dio esista, pensare di non essere a questo mondo a caso, ma entro un sapiente piano di un Dio che ha creato cielo e terra. L’uomo è naturalmente religioso. È un Dio che sta bene ci sia, che entra abbastanza facilmente dentro i nostri modi di pensare, quasi una componente necessaria al funzionamento dei nostri ragionamenti.  

A un cristiano però è chiesto un passo più in profondità, è richiesto di pensare e di credere che questo Dio che sta al principio di ogni cosa, che dà identità al nostro stesso essere, è quel Gesù di Nazaret di cui parlano i vangeli, che è vissuto concretamente in un determinato popolo, entro le esperienze della nostra esistenza umana. 

Se non si sta attenti noi cristiani adoriamo sempre un Dio che ci costruiamo noi con le nostre fantasie, con le nostre devozioni, con i nostri sentimenti. La bibbia dice chiaramente che Dio nessuno lo ha mai visto. Non si dà a vedere, non è frutto di congetture umane, né di raffigurazioni esaltanti. L’unico che ce lo può mostrare è Gesù di Nazaret, questo uomo che fu crocifisso. 

L’atto di fede che ogni giorno siamo chiamati a fare è credere che il mio Signore, il senso della mia vita e della storia, l’unico in cui c’è salvezza, la roccia su cui poggiare la vita intera non è un’idea o un principio, anche molto nobile come la giustizia, la libertà, l’uguaglianza, ma è questo uomo di Nazaret, questo Gesù che nella sua morte da maledetto, nella sua vita normale e umile, ci rivela il volto di Dio, la sua grande bontà e la sua dedizione alla felicità di ogni uomo.  

In questa direzione andavano le diatribe che i farisei facevano con Gesù e lui si è dedicato a chiarire questo con un linguaggio molto popolare e che la gente seguiva volentieri. Dice il vangelo: e la numerosa folla lo ascoltava con gusto. Certo ti fa piacere che qualcuno faccia luce nei tuoi pensieri, ti aiuti a svelare il senso della vita.  

Qualcuno purtroppo crede ancora che queste cose siano un di più: quello che conta è avere un lavoro, aver salute, avere soldi sufficienti per vivere, possibilmente anche un po’ di più per stare bene. Crediamo che la fede in Dio sia un soprammobile. Invece credere nel Dio di Gesù Cristo ci permette di collocarci al posto giusto nella vita, di definirci chi siamo, di guardare con speranza al nostro futuro, di dare senso alle cose che ci capitano tutti i santi giorni del nostro pendolarismo esistenziale.  

S. Giovanni Paolo II è stato un uomo che a Gesù ha dedicato tutta la sua vita che si è speso per riaccendere le speranze di tutti in lui, non nella magia, non nel devozionismo, non nelle belle maniere, ma in Lui, morto e risorto, sofferente e gioioso.  

09 Giugno
+Domenico

Dio e il prossimo: l’unico vero amore della vita  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Audio della riflessione.

La necessità di semplificare, non di fare i leggeroni, oggi è assolutamente necessaria. In un mondo pieno di informazioni, invaso da immagini, destabilizzato dall’esasperazione delle emozioni e dei sentimenti è necessario avere qualche punto fisso da cui guardare la vita, soprattutto è necessario avere capacità di sintesi, cioè la possibilità di dare unificazione al nostro pensare. La vita non è una somma di fatti, un susseguirsi disordinato di eventi, ma è una storia composta di avvenimenti nella coscienza di ciascuno, un filo d’amore che Dio tesse nella vita di tutti e tocca a noi intercettare, rendere consistente, offrire quasi una corda di solidarietà a tutti. Così è della nostra vita cristiana.  

C’è un punto unificatore di tutto? Esiste una scelta di base che dà significato a tutta l’esistenza, che permette di valutare e rivedere, di riorientare e ritrovare forza dopo le immancabili cadute e defezioni, dopo lo smarrimento e la debolezza dei nostri comportamenti? C’è nel cristianesimo un principio base che giudica tutte le alterne vicende della nostra vita? L’aveva anche il popolo di Israele. Era lo Shemà Israel: ricordati, ascolta Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore.  

Anche Gesù lo ha imparato dalle labbra della mamma, lo ha ripetuto tante volte quando andava in sinagoga come ogni bambino ebreo e lo ripropone carico della novità assoluta dell’amore di Dio fatto carne in Lui al nuovo popolo dell’alleanza, a tutti i cristiani che erano allora, che sono e che verranno.  

\Ama Dio e ama il prossimo. Non fare separazioni che sarebbero ben comode, non fissarti sull’ uno o sull’altro se vuoi rispondere seriamente alle esigenze che io ho seminato in te: ti ho messo dentro una nostalgia di Dio grandissima e non sarai felice se non la seguirai; ti ho messo dentro una assoluta necessità di stare con gli altri, di amare e vivere in pace con tutti gli uomini e la loro compagnia ti sarà strada di felicità se li amerai. Sono un unico amore, ma attento: non viverli mai in alternativa, non dare all’uomo quel che è di Dio e non depositare in Dio quello che devi assolutamente ai tuoi simili. È un riferimento semplice, ma è impegnativo, come si è sempre impegnato Dio per noi. Non si tratta di fare fifty-fifty, metà ciascuno, ma di fare quell’unità che riconosce a Dio la pienezza e nell’amore del prossimo la concretezza sperimentabile nella nostra umanità.

08 Giugno
+Domenico

La vita eterna si snoda al sole di Dio, non ai nostri aggiustamenti

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,18-27)

In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

Audio della riflessione.

La nostra vita finisce qui tra queste quattro strade che percorriamo ogni giorno per andare a lavorare, a studiare, a fare la spesa? I nostri giorni sono inscritti e delimitati da questi orizzonti pur belli, ma chiusi su cui ci muoviamo? C’è un futuro a questi giorni, la polvere di ossa consumate o cremate, i tristi loculi di un cimitero sono la nostra fine? Abbiamo in cuore una insopprimibile esigenza di oltre, di futuro, di apertura a orizzonti e spazi infiniti. Il cielo che ci sovrasta, che tentiamo di bucare con ogni sorta di sforzo tecnico e che ci meraviglia per le dimensioni grandissime che ha, ci apre a sogni di eternità. La nostra vita non può ridursi al niente. È il desiderio di ogni uomo. L’avevano anche i contemporanei di Gesù. “Vennero a Lui dei sadducei, i quali dicono che non c’è risurrezione”. 

 In un mondo religiosissimo come quello di Gesù, in cui la presenza di Dio era parte integrante della vita personale e pubblica e non era assolutamente messa in dubbio, si stentava a credere in un futuro di risurrezione. Allora Gesù molto semplicemente li fa ragionare. Che Dio è quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe? È il custode di un cimitero, assiste imperturbabile alla distruzione definitiva della vita delle sue creature? Si accontenta di mettere al mondo dei giocattoli che alla fine si rompono irreparabilmente e spariscono? Che vanno collocati per un po’ di tempo in loculi tristi e caduchi? O è un Dio che costruisce eternità, vita per sempre? Oggi noi facciamo più fatica a credere nella risurrezione, perché abbiamo tolto dall’orizzonte Dio, ma se Dio sta nella nostra fede, allora è bello pensare che la nostra vita non avrà mai fine, ma si troverà al suo vero posto in Lui. È sicuramente un fatto non immaginabile e tutte le nostre congetture peccano sempre di adattamento al ribasso. 

  I sadducei hanno fatto a Gesù la classica domanda di chi poteva essere moglie nell’aldilà una donna che aveva sposato sette fratelli dopo la morte di ciascuno di essi. Non abbiamo proprio fantasia, o non vogliamo averla. Immaginiamo la vita in Dio come un tranquillo accomodamento delle nostre vite nel tempo. È come quando sei nella nebbia e continui a pensare che è meglio avere fari sempre più capaci di fenderla, mentre invece la vera risposta è il sole, qualcosa che va al di là e al di sopra delle nebbie.  Così sarà la nostra vita in Dio oltre le nostre piccole fantasie, nella sua grandezza e bontà, nella radice di ogni nostro amore che è solo una pallida idea di quello di Dio. Non ci serve più l’immaginazione, ma una grande fiducia in Dio, nella sua paternità e nel suo amore unico per ciascuna delle sue creature.

07 Giugno
+Domenico

Oltre le tasse, il regno di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12,13-17)

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
 Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.

Audio della riflessione.

Pagare le tasse è sempre un problema di tutti. Fai parte di un comune e ti arriva l’IMU, fai una compera e c’è sempre l’IVA, inizi una attività e metti un cartellone e c’è la tassa sulla pubblicità, devi collocare correttamente i rifiuti, devi separarli bene e ti mettono un’altra tassa…. Il tema è vecchio come il mondo e molti cristiani non si fanno nemmeno la domanda che fanno a Gesù e non le pagano.  

Nel vangelo sono i farisei e gli erodiani, i sudditi di Roma e di Erode che fanno la domanda non troppo innocente a Gesù per coglierlo in fallo; non hanno dubbi che bisogna pagare le tasse, e in questo sono più onesti di molti di noi, ma, a seconda di colui a cui le paghi, passi per ebreo irriducibile o per sobillatore politico. “È lecito o no dare il tributo a Cesare?”. Come sempre Gesù non abbocca, non solo per evitare il tranello che gli hanno posto, ma per fare della domanda un momento umano, serio, religioso di ricerca della propria condizione umana. A Gesù non interessa dare solo e soprattutto la ricetta per un comportamento civico; non raccomanda né la rassegnazione di fronte all’ordine costituito (punto di vista dei farisei) né il rifiuto (opinione degli zeloti) e neppure benedice lo stato imperiale (tendenza degli erodiani). 

Gesù fa capire che anche a partire dal pagamento delle tasse occorre alzare il livello del comportamento umano. C’è sicuramente una responsabilità di cui farsi carico se si vive in una comunità; c’è da convivere con altri e questa convivenza se vien orientata a dei beni comuni come la difesa della salute, della sicurezza del lavoro di tutti i principali diritti umani… ha diritto di chiedere a chi ne fa parte di partecipare ai costi della vita sociale. La risposta di Gesù non è una semplice astuzia per eludere il problema e non cadere nel tranello teso dai farisei e dagli erodiani. Non dice semplicemente: «Date a ciascuno ciò che gli spetta», senza determinare ciò che spetta a ciascuno. 

Per Gesù il problema è un altro: dare a Dio ciò che è di Dio. Come la moneta del tributo porta l’immagine di Cesare e appartiene a Cesare, così l’uomo è immagine di Dio e appartiene a Dio. Il tributo da non lesinare al Signore è quello di darsi a Lui, amando Lui con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. Le forme di servizio al bene comune di uno stato saranno tante, è importante che siano ben fatte, oneste, che non siano un latrocinio. La partecipazione alle spese è legittimamente voluta da Dio.  

Gesù ci dà un criterio in base al quale fare le nostre scelte: prima dare a Dio ciò che è di Dio. Solo così sapremo cosa dare al Cesare di turno. È importante sapere che l’uomo, immagine di Dio, è di Dio e deve ritornare a lui. Il titolo regale di Gesù non lo troveremo scritto su alcuna moneta, ma sulla croce.

06 Giugno
+Domenico