La nostra vita è come una barca, dove sta Gesù?

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc4, 35-41)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Ogni mattina ci si alza e da semi-automi si procede, si va a scuola, si va a lavorare, ci si diverte, si sta assieme… Poi un giorno capita qualcosa che sconvolge tutto: è una esperienza di dolore, come la morte, come la malattia, come un tradimento oppure è un fatto che hai ritenuto da routine invece ti cambia la vita, come un posto di lavoro o una amicizia che si rompe o si deteriora. Spesso è una ingiustizia, che non t’aspettavi, una indefinita svogliatezza che ti toglie il sapore alla vita, un non trovare ragioni per continuare come prima.

Qualcuno la chiama depressione e comincia a ingoiare antidepressivi. La soluzione dei nostri problemi sta nella chimica. Di fatti qualcun altro riempie il vuoto con alcool o con spinelli, con droghe o con ubriacature. È salutare sentirsi in pericolo, accorgersi che non tutto fila liscio, che c’è nella vita una emergenza. Dio ci ha dato dei buoni sensori per capire quello che stiamo facendo nella vita, ci permette prima o poi di prendere coscienza che c’è qualcosa che non va. La barca è ormai piena di sofferenze, di dolori, di errori, di sfortune, di cose insopportabili.

Buon per noi se in questo stato andiamo a cercare aiuto, vogliamo trovare qualche riferimento che ci permette di stare in piedi, di capire, di dare un senso a quello che ci capita. Quel Dio che prima ritenevi un soprammobile ora lo cerchi, lo accusi, lo chiami in causa. Ma tu dove sei? Perché mi fai capitare tutto questo? E scopriamo che Dio è assente dalla nostra vita. stavolta non se ne cura, sta dormendo beatamente. È assente, non risponde, non risolve un bel niente, è solo un peso. Ma che fai? Come ti permetti di giocare sulle nostre vite? Che significa questa tuo assoluto estraniamento?

È la domanda di molti di fronte al male del mondo, di fronte alle sfortune della vita, di fronte alle morti degli amici, di fronte alle ingiustizie. Molti ragazzi cominciano ad abbandonare la chiesa, la pratica, la parrocchia perché si ribellano all’assenza di Dio, perché credono che Dio dorma sulle loro vite e le loro vicende.

Il sonno, il silenzio o l’assenza di Dio suscita in noi paura e disappunto, più che una domanda che va alla radice del problema. Non abbiamo il coraggio di domandarci prima: ma io credo in Dio? Ho fede in Lui, ho sperimentato la bellezza dell’abbandono nelle sue braccia? So di stare a cuore a lui? Ci credo davvero? Mi sono mai affidato a Dio con qualche preghiera? Il cero che vado ad accendere per il compito di matematica è scaramanzia, paura o affidamento?

In questo dolore che si prova Dio è sparito, ma non c’era già più da un pezzo. È da una vita che tu vai avanti senza riferirti veramente a Lui, senza interpellarlo sul tuo futuro, sulla tua vocazione. Ti sei già ridotto a pensare la vita come un destino e speri di essere fortunato. Fortuna si chiama la presenza di Dio, non fede. Ci fu un tempo in cui si ricorreva alla dea fortuna. Lo svegliano e lo rimproverano. Non ti importa che moriamo? È un grido e un rimprovero, è una disperazione e una rabbia, è una constatazione e una pressante richiesta. E Gesù ancora una volta ti dice:

Tu sei un palpito del cuore di Dio e vuoi che a me non importi niente di te?  Io ti ho amato fino a morire per te e tu credi che io abbia abbandonato la mia missione? Tu mi sei stato affidato da Dio, mio Padre e credi che io non sia deciso a fare tutto quello che è necessario per te? Sono io che dormo o sei tu che non hai fede?

23 Giugno 2024
+Domenico

La forza del seme piccolo e quasi invisibile

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4, 26-34)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Audio della riflessione

Ogni persona custodisce in sé una grandezza unica. Ci sembra di essere nessuno, di sentirci pure ignorati o schiacciati, ma ogni persona ha la forza di un seme che il Creatore gli ha posto dentro con amore. E Dio ha tutto un suo modo di coltivare e far fiorire i semi, la sua parola che ci ha scritto dentro ogni vita, l’inizio invisibile del suo regno in noi.

Esso ha l’aspetto della piccolezza, ma la forza di una concretezza, la parola e l’amore diventano storici con una presenza povera, nascosta e silenziosa, come il sale che dà sapore se non è avvertito, come il lievito che fa fermentare la massa se si dissolve in essa e come la luce che illumina senza essere vista, una fiaccola che si accompagna nel cammino spesso tortuoso di ogni giorno; per il cammino della vita in profondità non serve un faro che acceca, ma una fiaccola che fa compagnia, così spesso ci dice papa Francesco.

Saper aspettare con pazienza è quello che ci dice Gesù del suo regno, del mondo bello da tutti sognato, della giustizia, della stessa felicità vera. Lui andava per ogni città a predicare, gettava il seme, ma poi si doveva aspettare che la Parola lavorasse con pazienza nella coscienza delle persone. E sembrava che non succedesse niente, che all’orizzonte non si vedesse nessun cambiamento, che la predicazione di Gesù fosse inutile. Noi vorremmo vedere subito i risultati, siamo malati di efficientismo, di produttività. Invece occorre sempre agire come se tutto di pendesse da noi, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio.

Questo è vero in tutte le attività in cui viene interpellata la libertà e la coscienza delle persone, soprattutto in campo educativo. Educare significa far crescere e la crescita ha il ritmo del seme. L’amore ha il ritmo del seme, del dono paziente e dell’attesa vigile, della accoglienza e della disponibilità. Una delle cose che mancano di più oggi è proprio la pazienza, la capacità di attendere fiduciosi, la consapevolezza che se si è seminato, i frutti verranno.

Occorre però saper guardare molto in avanti, non avere la vista corta, sempre ripiegata sui nostri piccoli problemi, avere la forza di progettare e non sempre soltanto di farci travolgere dai problemi dell’oggi. Sedersi assieme genitori e figli e sognare il futuro, mettere le basi di una intesa profonda serve di più che litigare ogni giorno per le incomprensioni che costellano la nostra vita. 

16 Giugno 2024
+Domenico

La vita incontra tempeste e in noi nasce bisogno di salvezza, di Dio

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 4,35-41)

In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Quando siamo depressi o stritolati dalle difficoltà della vita, come gli apostoli nella tempesta che si scatenò su lago mentre lo attraversavano in barca, andiamo a cercare aiuto, vogliamo trovare qualche riferimento che ci permette di stare in piedi, di capire, di dare un senso a quello che ci capita. Quel Dio che prima ritenevamo un soprammobile ora lo cerchiamo, lo accusi, lo chiamiamo in causa. Ma tu dove sei? Perché mi fai capitare tutto questo? E scopriamo che Dio è assente dalla nostra vita.

Abbiamo sempre vissuto come se non esistesse, lo abbiamo ritenuto ininfluente, abbiamo programmato sempre la vita senza di Lui. Oppure dicevamo ogni giorno le preghiere, ma erano appunto le preghiere, le formule, non la preghiera. Abbiamo giocato soltanto. I discepoli avevano Gesù a disposizione tutti i giorni, vi si erano quasi abituati. Lui doveva risolvere tutti i loro problemi, quasi si sentivano in diritto di restarne protetti. Invece stavolta non se ne cura, sta dormendo beatamente. E’ assente, non risponde, non risolve un bel niente, è solo un peso. Ma che fai? Come ti permetti di giocare sulle nostre vite? Che significa questa tuo assoluto estraniamento? E’ la domanda di molti giovani e non più giovani di fronte al male del mondo, di fronte alle sfortune della vita, di fronte alle morti degli amici, di fronte alle ingiustizie. Molti ragazzi cominciano ad abbandonare la chiesa, la pratica, la parrocchia perché si ribellano all’assenza di Dio, perché credono che Dio dorma sulle loro vite e le loro vicende. Il sonno, il silenzio o l’assenza di Dio suscita in noi paura e disappunto, più che una domanda che va alla radice del problema. Non hanno il coraggio di domandarsi prima: ma io credo in Dio? Ho fede in Lui, ho sperimentato la bellezza dell’abbandono nelle sue braccia? So di stare a cuore a lui? Ci credo davvero? Mi sono mai affidato a Dio con qualche preghiera? Il cero che vado ad accendere per il compito di matematica è scaramanzia, paura o affidamento?

In questo dolore che si prova Dio è sparito, ma non c’era già più da un pezzo. E’ da una vita che va avanti senza riferirsi veramente a Lui, senza interpellarlo sul suo futuro, sulla sua vocazione. Si è già ridotto a pensare la vita come un destino e spera di essere fortunato. Fortuna si chiama la presenza di Dio, non fede. Siamo tornati ai tempi della dea fortuna, siamo tornati indietro di secoli. Allora a Palestrina un ragazzino Agapito, il giovane martire prenestino, con la sua tenacia, la sua testardaggine, la sua decisione d’amore per Gesù, morto e risorto, aveva cambiato la storia di un popolo, noi la facciamo tornare indietro di diciotto secoli

Lo svegliano e lo rimproverano. No, qui non ci stai a farti i fatti tuoi, ci hai tirato dentro e adesso ti dai da fare con noi. Non ti permettiamo di affogare senza accorgerti, devi vedere anche tu la morte in faccia come la vediamo noi. Non ti importa che moriamo? E’ un grido e un rimprovero, è una disperazione e una rabbia, è una constatazione e una pressante richiesta.

Tu sei un palpito del cuore di Dio e vuoi che a me non importi niente di te?  Io ti ho amato fino a morire per te e tu credi che io abbia abbandonato la mia missione? Tu mi sei stato affidato da Dio, mio Padre e credi che io non sia deciso a fare tutto quello che è necessario per te? Sono io che dormo o sei tu che non hai fede?

27 Gennaio
+Domenico

Produce di più la serenità che l’agitazione

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielopossono fare il nido alla sua ombra”.
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Audio della riflessione

Viviamo in un tempo dove occorre programmare tutto, definire i tempi, fare sondaggi, distribuire su scala i passaggi, studiare bene il target, mobilitare tutto in vista del risultato… Non è una sequenza da infarto, ma quasi. C’è di peggio. E’ la nostra vita convulsa degli affari, se vuoi riuscirci. E’ importante però non tirar dentro in questo affanno gli affetti, il compito educativo, l’amicizia, lo stesso amore.

Una vita di famiglia impostata in maniera convulsa prima o poi si sfascia. Il Regno di Dio non è certo una sequenza da cardiopalma, ma è l’abbraccio di una forza nel massimo della serenità della vita. Occorre caricarsi di pazienza e fiducia. E’ Dio che butta dentro la nostra vita il seme della bontà e con la sua grazia lo farà sicuramente maturare. L’importante è accogliere la semina di questo Regno di Dio, poi esso si svilupperà nella persona, nella comunità, nella società per forza propria interiore, fino alla maturazione.

Allora occorre fare esperienza positiva di attesa, non di fretta o di coercizione, tanto meno  di disperazione. Il seme cresce lentamente e silenziosamente, ma con sicurezza, Anche se nell’attesa ti assale il dubbio che tutto dipenda da fortuna o sfortuna, ho fatto bene o dovevo fare diversamente. Un insuccesso umano, nostro, non è valutato allo stesso modo da Dio.  Anzi i santi ci insegnano che la sofferenza dell’attesa, della fatica, del dubbio, della solitudine è segno del lavoro di Dio, una garanzia di autenticità.

Gli atteggiamenti di un vero apostolo o di ogni educatore non sono l’agitazione, ma la serenità; non il disinteresse, ma l’impegno; non lo scoraggiamento, ma la certezza della fede. Venga il tuo regno… viene anche senza la nostra preghiera, anche se pregando supplichiamo Dio che questo regno si compia anche da noi, affinché noi non ne veniamo esclusi.

La povertà dei nostri mezzi in rapporto al compito immenso di annunciare il regno a tutti gli uomini fa meglio risaltare l’azione di Dio. Nessun apostolo, nessun educatore è autorizzato a mettere la firma su una qualsiasi  realizzazione del regno di Dio; come del resto nessuno la può mettere sulla vita sua o quella degli altri. Siamo soltanto servi, siamo felici che Dio abbia voluto aver bisogno di noi, ma noi giochiamo sempre e solo il ruolo di mediani, facciamo l’assist, se Dio ce ne dà la forza e la gioia e si intesta la fede di ogni popolo.

I santi Timoteo e Tito, che oggi celebriamo cresciuti e battezzati da Paolo, sono stati tra i primi non provenienti dal popolo ebreo a ricevere il battesimo di Gesù aiutando a superare la grossa difficoltà di accoglierli nella comunità cristiana, senza passare dalla religione ebraica, senza quindi essere circoncisi.

26 Gennaio – Memoria dei Santi Timoteo e Tito
+Domenico

Gesù semina a larghe mani ed è sicuro che qualcosa spunterà sempre

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 4,1-20)

In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva.
Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».
E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».

Audio della riflessione

La semina oggi si fa con le macchine, il seminatore scompare. Si calcola tutto al computer, si vedono gli effetti degli anni precedenti, si fanno delle previsioni e si mettono in moto gli attrezzi: quantità, solchi, suolo, raggio di azione, stagione adatta. Non va perso niente. Il seminatore del regno dei cieli, della Parola di Dio invece è un po’ atipico. E’ all’antica, cammina per il mondo e sparge a piene mani. Non gli interessa dove va a cadere il seme, ha fiducia anche nelle pietre. Lui i suoi figli li va a stanare ovunque. Li sbalza da una gru, li chiama dalla consolle di una band, gli manda un flash sulla pedana da disk jockey, li ricupera da un after hour, li acceca sulla via di Damasco, li sorprende nei progetti d’amore, nelle noie interminabili delle vacanze. Là dove la più intelligente pastorale pensa di arrivare, Lui è là che aspetta da sempre.

All’inizio del Regno e di ogni vita che ne farà parte c’è una Parola, la parola del Regno, e un seminatore, Gesù. E’ Lui il centro della vita del mondo, è lui il Signore dei tempi e degli spazi, è Lui l’immagine del Dio invisibile. E’ Lui che si prende cura di come sviluppare la vita nel mondo, è lui che sceglie i semi, è lui che con larghezza li sparge ovunque. Sa che terreno incontrerà, conosce le capacità di produzione del campo. Ha chiamato anche Giuda, ha chiamato Pietro, ha chiamato Giovanni. Tutti avevano libertà di rispondere alla Parola.

Getta il seme a larghe mani, con grande generosità, vuol provocare ogni porzione di terreno a dare una risposta. Se dovesse controllare dove cade ogni seme, alla fine mieterebbe solo le sue ansie. Passerà poi con il chiodo ad arare e a coprire il seme con la terra perché attecchisca, ma ora abbonda nel seminare. La certezza che il guardare a Gesù ci infonde è che l’esito positivo della semina è sicuro.

Dice il Vangelo che il terreno in cui cade è spesso più duro dell’asfalto, è impermeabile non ne vuol sapere, si sente completo in sé, non ha bisogno di nessun seme e resterà nella sua aridità; il terreno, questa nostra vita, altre volte è sassosa: si ascolta bene, mi fa anche piacere qualche volta ragionare di Dio, cercare il senso della vita, ascoltare una parola buona, ma non le permetto mai di radicarsi. Incostante, superficiale. Produce fuochi di paglia. Sono come gli osanna gridati a Gerusalemme che si cambiano nel giro di pochi giorni in “crocifiggilo”.

Talvolta, mi faccio prendere dalle preoccupazioni; lavoro, soldi, amici, avventure, posizione, cose, ferie, automobili, tablet, cellulari…; dice il Vangelo le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la Parola, ti spengono la vita. E’ la potenza del rovo. Sono quattro versetti disperati con cui il seminatore mette in evidenza le difficoltà. Quattro trappole o difese o debolezze costellano la nostra vita e vanno stanate, le false speranze vanno frantumate per far spazio alla speranza unicamente nel Signore. Ma il Signore non si arrende sparge il seme in abbondanza. C’è anche per te, nelle tue carognate e fughe. Non ti molla.

24 Gennaio – Memoria di San Francesco di Sales
+Domenico

Noi vogliamo sempre e ancora credere, oltre ogni paura

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4,35-41)

In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Di fronte a una realtà sconosciuta che ci sta capitando addosso siamo assaliti da paure e angosce. Possono essere le difficoltà della vita, le conseguenze di qualche nostro comportamento non ben valutato nella sua portata e nelle sue conseguenze, un pericolo imminente che non possiamo evitare, una malattia che riteniamo incurabile. Abbiamo la sensazione che quel che avviene sia più forte di noi. La morte soprattutto ci fa paura. Ecco possiamo mettere tutto questo e anche molto di più su quella barca che hanno preso gli apostoli e che si trova in mezzo al lago e che viene colta da una forte tempesta.

Gli apostoli sono accompagnati da Gesù, lo hanno con sé, ma non sono ancora capaci di fidarsi, di essere certi che con lui non c’è pericolo che possa sopraffarlo. Lui Gesù, colui che li ha scelti a uno a uno, colui a cui mettono in mano le loro vite, i loro sogni, le loro volontà di bene, però dorme tranquillamente. A loro non sembra più di poter contare su di lui; anzi nasce una sorta di invidia o delusione, disappunto per il male che può succedere: affogherà senza accorgersi senza aver provato le loro paure.

 È la disperazione massima condita di cattiveria perché almeno lo vogliono svegliare perché condivida con loro le paure e la disperazione. Non hanno ancora capito che Gesù vuole loro tutto il bene che si può avere nella amicizia che ha dichiarato a tutti e ad uno ad uno. Ha dei progetti grandi su di loro. Li ha appena coinvolti nel fine ultimo della sua vita: l’annuncio e la inaugurazione del Regno di Dio. Il sonno di Gesù è una prova ancora più grande della solitudine che provano di fronte ai pericoli.

Il silenzio di Dio è il fatto più tragico e reale del nostro tempo. Perché oggi Dio tace? Dove è la sua capacità di salvezza, dopo che ha liberato il popolo di Israele dall’Egitto e ha fatto risorgere Gesù da morte? Possiamo sperare che questo mondo cambi, divenga più giusto, viva finalmente in pace? Lascerà che questo mondo venga distrutto e noi con esso, dalle bombe atomiche con cui si misurano i muscoli i potenti della terra, che potenti non sono proprio, perché si stanno scavando la fossa?

Gli apostoli non potevano ancora contare sulla impensata e verissima esperienza della risurrezione di Gesù, sulla parola fine detta dalla cattiveria degli uomini su Gesù, che sarebbe stata ribaltata dal Padre che lo ha risuscitato.

A noi oggi è permesso di mettere in atto un “tuttavia”, un “ciò nonostante”,  noi vogliamo ancora e sempre credere, avere fiducia massima in Dio che non ci lascerà mai soli in preda a forze più grandi di noi. Tarderà un quarto d’ora per sottrarsi al nostro possesso, per vedere se siamo ancorati a una forte fede come Abramo, ma sicuramente non cancellerà il suo progetto e la sua decisione di amore definitivo per ciascuno di noi e per l’umanità intera. Non cadremo mai al di fuori delle sue braccia. Quella barca, quasi sparita fra le onde riprenderà la sua rotta. È la vita, è la chiesa è il nostro futuro che ci verrà regalato eterno e felice in Dio.

28 Gennaio
+Domenico

La crescita ha il ritmo e la forza del seme

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Audio della riflessione

Ogni persona custodisce in se una grandezza unica. Ci sembra di essere nessuno, di sentirci pure ignorati o schiacciati, ma ogni persona ha la forza di un seme che il Creatore gli ha posto dentro con amore. E Dio ha tutto un suo modo di coltivare e far fiorire i semi, la sua parola che ci ha scritto dentro ogni vita, l’inizio invisibile del suo regno in noi.

Esso ha l’aspetto della piccolezza, ma la forza di una concretezza, la parola e l’amore diventano storici con una presenza povera, nascosta e silenziosa, come il sale che dà sapore se non è avvertito, come il lievito che fa fermentare la massa se si dissolve in essa e come la luce che illumina senza essere vista, una fiaccola che si accompagna nel cammino spesso tortuoso di ogni giorno; per il cammino della vita in profondità non serve un faro che acceca, ma una fiaccola che fa compagnia, così spesso ci dice papa Francesco.

Saper aspettare con pazienza è quello che ci dice Gesù del suo regno, del mondo bello da tutti sognato, della giustizia, della stessa felicità vera. Lui andava per ogni città a predicare, gettava il seme, ma poi si doveva aspettare che la Parola lavorasse con pazienza nella coscienza delle persone. E sembrava che non succedesse niente, che all’orizzonte non si vedesse  nessun cambiamento, che la predicazione di Gesù fosse inutile. Noi vorremmo vedere subito i risultati, siamo malati di efficientismo, di produttività. Invece occorre sempre agire come se tutto di pendesse da noi, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio.

Questo è vero in tutte le attività in cui viene interpellata la libertà e la coscienza delle persone, soprattutto in campo educativo. Educare significa far crescere e la crescita ha il ritmo del seme. L’amore ha il ritmo del seme, del dono paziente e dell’attesa vigile, della accoglienza e della disponibilità. Una delle cose che mancano di più oggi è proprio la pazienza, la capacità di attendere fiduciosi, la consapevolezza che se si è seminato, i frutti verranno.

Occorre però saper guardare molto in avanti, non avere la vista corta, sempre ripiegata sui nostri piccoli problemi, avere la forza di progettare e non sempre soltanto di farci travolgere dai  problemi dell’oggi. Sedersi assieme genitori e figli e sognare il futuro, mettere le basi di una intesa profonda serve di più che litigare ogni giorno per le incomprensioni che costellano la nostra vita. 

27 Gennaio
+Domenico

La preghiera nella disperazione

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4, 35-41)

In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Ci sono dei momenti nella vita pieni di tensione, di paura, quasi di disperazione che ci costringono a tirar fuori tutte le nostre forze, anche persino di cattiveria: non riusciamo a vedere una soluzione e saltano tutte le nostre difese.

Penso che sia stato un momento così quello degli apostoli sulla barca con Gesù in piena tempesta da temere un naufragio: Gesù dorme e gli apostoli agitatissimi lo svegliano … “No, qui non ci stai a farti i fatti tuoi, ci hai tirato dentro e adesso ti dai da fare con noi! Non ti permettiamo di affogare senza accorgerti, devi vedere anche tu la morte in faccia come la vediamo noi! Non ti importa che moriamo?” … questa è la frase che hanno detto : è un grido e un rimprovero, è una disperazione e una rabbia, è una constatazione e una pressante richiesta.

“Come … Tu sei un palpito del cuore di Dio e vuoi che a me non importi niente di te?  Io ti ho amato fino a morire per te e tu credi che Io abbia abbandonato la mia missione? Tu mi sei stato affidato da Dio, mio Padre, e credi che Io non sia deciso a fare tutto quello che è necessario per te? Sono Io che dormo o sei tu che non hai fede?”.

La preghiera può anche diventare un rimprovero, ma soprattutto una lotta: era stata così anche quella di Giacobbe con Dio la notte piena di paura in cui doveva incontrarsi con suo fratello Esaù a cui aveva fatto il torto più grande della sua vita: lo aveva imbrogliato e gli aveva rubato il diritto di essere il capo, il primo, il fondatore del popolo di Israele, che non è poco …. si era rivolto a Dio dicendo “ho paura di mio fratello” … e incontra di notte un personaggio misterioso e con lui ingaggia una battaglia fino all’alba.

L’uomo esce vittorioso e fortificato da questa lotta nella misura in cui, prendendo coscienza della propria debolezza, dei propri limiti, riconoscendosi bisognoso di salvezza, si apre all’azione di Dio.

Gli apostoli si riconoscono bisognosi di salvezza, per questo svegliano Gesù! L’uomo, la persona, esce vittoriosa e fortificata da questa lotta nella misura in cui si lascia da Lui rinnovare, si lascia cambiare il nome, nella misura in cui depone ogni pretesa di impossessarsi di Dio, come voleva fare Giacobbe, di asservirlo ai propri progetti.

Depongo ogni pretesa di conoscere le intenzioni di Dio, ma ne adoro il mistero, ne rispetto la libertà e mi rendo disponibile a collaborare all’unico progetto che ha senso nella storia, che è il suo: mi rendo disponibile a collaborare al progetto e all’iniziativa salvifica di Dio, l’unica che avrà successo.

La potenza di Dio trionfa sulla povertà dell’uomo, che di fronte a Lui non accampa pretese, non accampa diritti, ma non si chiude neppure nelle false sicurezze di chi proclama la propria giustizia.

Nella misura in cui l’uomo – noi – cessiamo di chiuderci, ma ci apriamo, e chiediamo come Giacobbe la benedizione, ci affidiamo a Dio,  come gli apostoli e Gesù … allora spunta per Giacobbe l’aurora, dove la lotta si placa, e per noi la vita.

Più tardi quando si scatenerà la vera tempesta su Gesù, chi dormiva? Dormivano gli apostoli tutti e una volta svegliati se la daranno a gambe! Quando Gesù suderà sangue e sarà nella tempesta più nera della sua vita, quando vedrà la morte in faccia, loro non ci saranno.

“Non avete vegliato con me un’ora sola?”.

Qui Gesù è calmo, si sente nelle mani di Dio Padre … e allora su quella barca, destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati! ” … il vento cessò e vi fu grande bonaccia

29 Gennaio 2022
+Domenico

La morte e la forza del seme  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4, 26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Audio della riflessione

Ogni persona custodisce in se una grandezza unica: ci sembra di essere nessuno, di sentirci pure ignorati o schiacciati, ma ogni persona ha la forza di un seme che il Creatore gli ha posto dentro con amore … e Dio ha tutto un suo modo di coltivare e far fiorire i semi: la sua parola che ci ha scritto dentro ogni vita, l’inizio invisibile del suo regno in noi.

Esso ha l’aspetto della piccolezza, ma la forza di una concretezza: la parola e l’amore diventano storici con una presenza povera, nascosta e silenziosa, come il sale che dà sapore se non è avvertito, come il lievito che fa fermentare la massa se si dissolve in essa e come la luce che illumina senza essere vista, una fiaccola che si accompagna nel cammino spesso tortuoso di ogni giorno; per il cammino della vita in profondità – infatti – non serve un faro che acceca, ma una fiaccola che fa compagnia: così spesso ci dice papa Francesco.

Saper aspettare con pazienza è quello che ci dice Gesù del suo regno, del mondo bello da tutti sognato, della giustizia, della stessa felicità vera: Lui andava per ogni città a predicare, gettava il seme, ma poi si doveva aspettare che la Parola lavorasse con pazienza nella coscienza delle persone … e sembrava che non succedesse niente, che all’orizzonte non si vedesse  nessun cambiamento, che la predicazione di Gesù fosse inutile, anzi la sua vita andava verso una ignominiosa fine: la croce.

Anch’egli doveva morire come il seme, perché Dio Padre gli donasse  vita nuova, esplosiva, imperitura da Risorto. Noi vorremmo vedere subito i risultati, siamo malati di efficientismo, di produttività .. invece occorre sempre agire come se tutto dipendesse da noi, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio.

Questo è vero in tutte le attività in cui viene interpellata la libertà e la coscienza delle persone, soprattutto in campo educativo: educare significa far crescere e la crescita ha sempre il ritmo del seme. L’amore ha il ritmo del seme, del dono paziente e dell’attesa vigile, della accoglienza e della disponibilità.

Una delle cose che mancano di più oggi è proprio la pazienza, la capacità di attendere fiduciosi, la consapevolezza che se si è seminato, i frutti verranno.

Occorre però saper guardare molto in avanti, non avere la vista corta, sempre ripiegata sui nostri piccoli problemi, avere la forza di progettare e non sempre soltanto di farci travolgere dai  problemi dell’oggi. Sedersi assieme genitori e figli e sognare il futuro, mettere le basi di una intesa profonda serve di più che litigare ogni giorno per le incomprensioni che costellano la nostra vita. 

Oggi veneriamo san Tommaso  d’Aquino, un grande Teologo: attorno alla sua cattedra, come contro uno scoglio, si abbatterono non le ondate della persecuzione o della ribellione, ma gli errori, le eresie che sono le cose più ostinate, più insistenti e più logoranti, che in breve tempo o alla lunga rendono ciechi. Serio – lui, Tommaso – sereno, silenzioso, sempre più lucido di mente, di analisi e di sintesi … maestro Tommaso li confutava alla luce della ragione, illuminata dalla fede. Così molto presto, Alberto Magno, già suo maestro, lo chiamò «splendore e fiore del mondo».

28 Gennaio 2022
+Domenico

Verrà in luce a suo tempo il bene che Dio vuole all’umanità

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4, 21-25)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Audio della riflessione

E’ molto naturale che si voglia diffondere il bene che riusciamo a capire, a sviluppare e a vivere nelle nostre vite: è evidente che se uno ha una fede non deve nasconderla o se ho una verità non la debba seppellire come una luce sotto un coperchio o sotto il letto.

Gesù però, come sempre, va più in profondità: questa luce deve essere accesa sulla sua Parola, sul messaggio che Lui è per il mondo al momento giusto, entro condizioni adatte, dentro un minimo di maturazione di colui che ne viene a contatto … e Gesù descrive una “strategia” di esplosione della Verità con le sue parabole, i suoi gesti, i fatti che propone agli apostoli … Per esempio: quando si rivelerà ai tre discepoli con la Trasfigurazione – ricordate? – “ordinò di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti”.

Si percepisce che Gesù ci tiene a un certo “segreto messianico” – lo chiamavano – e le due parabole del moggio, letto, lucerniere, e nascosto-messo in luce definiscono questa strategia: è la stessa strategia del seme, che prima di irrompere con il suo stelo, la sua spiga alla vista di tutti, deve marcire, scomparire e morire.

Il segreto di Gesù cesserà quando sarà “ innalzato”: allora sarà manifestata a tutti la sua Luce, sarà posto sul candelabro adatto, vero, decisivo, evidente a tutti e questo candelabro è la sua croce; contro ogni logica umana, sarà il nascondimento della sua morte che lo manifesterà.

La luce di Gesù di rivelerà solo a chi lo avrà contemplato sulla sua croce, proprio come capitò al centurione che dopo averlo visto morire così ignominiosamente, ma nella sua dignità di offerta di sé fino alla fine esprimerà la sua scoperta della luce che Gesù è per tutta l’umanità: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio!”.

Gesù è quindi Luce e, che va colta nel suo nascondimento: è il grande mistero del Regno di Dio.

L’esplosione della luce vivissima che è Gesù non è sicuramente una azione dimostrativa di potenza, di imposizione, ma di umile ricerca e di umile accoglienza.

Da buon bresciano non posso oggi non proporre a tutti una luce che ha illuminato nella storia la bontà di Gesù: sant’Angela Merici, bresciana di nascita e di vita; tenuta in gran concetto di santità, ovunque era chiamata a consolare, a comporre dissidi, a richiamare sulla via della virtù anime perdute. Affamata del pane degli Angeli, si accostava spesso alla sacra Mensa, con tale infuocato amore da essere spesso rapita fuori dei sensi, e intraprese un giorno con somma devozione un viaggio in Terra Santa. Approdata all’isola di Candia, divenne cieca; nel ritorno, alla stessa isola, miracolosamente riebbe la vista – immaginate – tutto il tempo “interessante” senza vedere niente; sfuggì ai Saraceni, e da sicuro naufragio. Desiderosa poi di venerare il papa e di lucrare l’indulgenza del Santo Giubileo, andò a Roma e si portò a piedi dal Papa Clemente VII, che insisteva perché lei stesse a Roma a fare quello che faceva di gran bene a Brescia, invece ritornò a Brescia, e qui stabilitasi presso la chiesa di Sant’ Afra, nel centro della città, diede inizio nel 1535, alla nuova congregazione detta delle “Orsoline”, congregazione innovatrice rispetto al mondo femminile religioso del  tempo. Le diede una sicura disciplina e regola di vita santa e la pose sotto il patrocinio di Sant’Orsola – ecco perché si chiamano “Orsoline”. Molte furono le vocazioni, così che in breve tempo le Orsoline si diffusero in Italia ed in tutta Europa e poi anche oltre oceano. Loro scopo è l’educazione delle ragazze. Il suo corpo oggi è venerato nella chiesa di sant’ Afra a Brescia.

27 Gennaio 2022
+Domenico