L’equilibrio di una vita sempre in dono e la sindrome dell’agenda

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,30-34)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Audio della riflessione

La nostra vita è spesso divisa tra l’assillo delle cose da fare, la “sindrome dell’agenda” : il sentirsi la vita segnata da impegni, appuntamenti, incontri oltre evidentemente al tempo da dedicare al lavoro, alla famiglia agli elementi costanti di ogni vita e il desiderio di fermarsi, di stare un po’ in pace, di riprendersi in mano la vita, di fare il punto … di mettere a fuoco le cose più importanti, di stare a pregare, se siamo uomini e donne di fede … e viviamo spesso una sorta di lacerazione, perché quando finalmente abbiamo trovato o ci siamo imposti questo tempo di calma, siamo assaliti dalle “cose che dobbiamo fare” e che in questo momento trascuriamo e quando siamo nel pieno delle attività ci assale la voglia di pace.

La stessa situazione – forse – vivevano anche i discepoli di Gesù: mangiati dalla folla e nello stesso tempo desiderosi di stare con Gesù … e Gesù li chiama: “venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po’”.

Sembrerebbe una soluzione facile … smettiamo di farci divorare dalle cose e stiamo a contemplare il Signore della vita!

Gesù passava notti in preghiera, i santi erano fortemente contemplativi: sottraevano tempo a sé per farsi affascinare da Dio.

Ma la folla incalza, insegue gli apostoli e Gesù e preme, chiede. “Ci avete acceso speranze, ci avete tolti dal torpore delle nostre vite senza senso ora non ci potete lasciare, perché la legge del convento dice di chiudere, perché la notte è fatta per dormire, perché c’è un tempo per ogni cosa” e Gesù si commosse. Il Vangelo di Marco ci tiene a far vedere in Gesù una umanità dolcissima. “E si mise a insegnare di nuovo”.

C’è sicuramente un equilibrio da cercare tra l’essere mangiati e il mangiare, tra lo stare e l’andare, tra l’agenda e l’anima, tra la vita di coppia e i figli, ma è un equilibrio sbilanciato verso il dono, verso una vita capace di trovare il senso, la santità, la bellezza non solo in alcune isole di tempo, ma sempre, anche quando abbiamo l’impressione di esserne privati.

21 Luglio 2024
+Domenico

Ogni cristiano deve fare dono del Vangelo a tutti

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6, 7-13)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Audio della riflessione

Chi ha dimestichezza con le vite dei santi sa che alla base della loro opera, che spesso è di grande portata, di grande impegno anche organizzativo, c’è sempre una assoluta fiducia in Dio, che chiamano “Provvidenza”; Soprattutto quando si interessano dei poveri riescono a portare avanti opere di assistenza grandiose solo con l’aiuto di Dio.

C’è un’altra opera nel mondo che è altrettanto importante come le opere di carità, perché ne sta alla sorgente: è l’opera di evangelizzazione, cioè l’impegno di far giungere a tutti la Parola di Dio, il dono del Vangelo, la conoscenza di Lui, la speranza ….

Per questa opera ogni cristiano si deve mettere a disposizione!

Nel Vangelo si racconta di Gesù che dà mandato ai suoi discepoli di mettersi in viaggio per questa opera di sensibilizzazione della gente nei confronti della buona novella: li mandò a due a due.

I suoi apostoli, il suo gruppo, la sua squadra … doveva cominciare ad affrontare direttamente – e non stando sempre coperti dall’ombra del maestro – il compito dell’annuncio: Loro sono i primi missionari, i primi mandati, i primi continuatori del suo compito nel mondo … e vanno, ma con alcune indicazioni precise.

La Parola di salvezza ha in sé soprattutto la sua potenza salvatrice, non è legata all’apparato degli strumenti, alla potenza dei mezzi, ma si basa solo sul potente aiuto di Dio.

Chi va ad annunciare il Vangelo, deve fare un atto di fede in Dio, deve sapersi abbandonare in Lui, deve trovare la sua forza soltanto nella grazia di Dio: Bisaccia, denaro, borsa, sandali appesantiscono soltanto il cammino!

La povertà è segno efficace della fede nel Signore: Senza povertà non c’è fede, se non a parole!

Noi non riusciamo mai a fare un salto di qualità nella vita di fede proprio perché siamo troppo attaccati a noi: non siamo disposti ad abbandonarci totalmente al Signore.

Di fatto dopo la morte di Gesù Pietro e Giovanni sapranno offrire l’aiuto di Dio al povero storpio che incontrano dicendo semplicemente appunto: “oro e argento non ho, ma quello che ho te lo do: nel nome di Dio alzati e cammina”.

E’ Dio che salva! è Lui la nostra felicità: non sono i nostri accomodamenti o le nostre parole, i nostri apparati …

Le opere più grandi la chiesa le ha fatte quando era povera, ma ricca soltanto di Dio: Lui ci ha promesso che non ci abbandona mai!

Al ritorno molti discepoli saranno delusi: anche per loro si ripete l’esperienza di Gesù di fronte alla libertà degli uomini: molti non lo hanno seguito.

Quando l’ebreo tornava a casa dopo essere stato in ambienti pagani scuoteva la polvere dai sandali: i discepoli faranno lo stesso non per dire: «io ho fatto di tutto, voi non mi avete ascoltato, andate al diavolo!» ma per richiamare a ciascuno la propria responsabilità, la necessità di decidere!

In un mondo come il nostro occorre deciderci da che parte stiamo, in piena libertà, ma dalla parte del nostro buon pastore.

14 Luglio 2024
+Domenico

La fede è sempre una novità, mai un adattamento

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6, 1-6)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Audio della riflessione

Siamo un po’ strani come persone: quando siamo chiamati a credere ci portiamo sempre in un mondo non nostro, non quotidiano. Abbiamo bisogno di cose grandiose, di fatti eccezionali, possibilmente inspiegabili, meglio ancora se favolosi. Così è stata anche la mentalità dei compaesani di Gesù. Non riuscivano a credere che Dio si potesse manifestare in questo carpentiere, in questo semplice compaesano di cui tutti potevano dire data di nascita, famiglia, mestiere, abitudini, complicità. Dio si manifesterebbe in questo giovane qualunque, in questo Gesù di cui si sa tutto?

Ogni volta che siamo chiamati a fare un salto di qualità nella nostra vita per vivere la fede abbiamo bisogno di uscire dalle frontiere che la nostra vita quotidiana delimita e impone. Rischiamo di rifiutare Cristo e di imitare le durezze di cuore dei nazareni, che faceva fatica anche Gesù a capire ogni volta che mettiamo in atto una attesa straordinaria, un misticismo facile una sacralità forzata. E’ la persona di ogni giorno che deve essere misurata sul metro di Dio e riconosciuta in Lui. I compaesani di Gesù ammettono facilmente che le cose dette da Gesù e fatte da lui non hanno origine umana, sono un dono dall’alto, ma non riescono a capire che Dio sia strettamente legato a un uomo concreto. Che Dio abbia agito in maniera definiva nella persona e nell’azione di Gesù è scandaloso.

Ecco perchè anche nella nostra testa la rivelazione di Dio è sentita come un attacco alla nostra mondanità e carnalità. La carne e il sangue, la patria, il colore della pelle, il buon senso non superano lo scandalo della nostra fede che ci dice che la Parola di Dio si è fatta carne. Dio non è il Signore astratto, generale della storia; Dio è scritto dentro un pezzo di storia concreta, in un brano di storia, quella di Gesù e da lì tutti vogliamo e dobbiamo passare. Dio nessuno l’ha mai visto: Gesù ce ne ha fatto fare esperienza decisiva. Così anche da noi oggi questo Gesù rischia di essere confinato in una sua umanità passata, invece che essere ancora oggi e sempre il vero volto di Dio, la nostra salvezza.

7 Luglio 2024
+Domenico

Devo toccarlo a tutti i costi

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,53-56

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.

Audio della riflessione.

È abbastanza innato per noi persone fatte di carne e ossa che i nostri incontri abbiano sempre bisogno di una concretezza, di un contatto. Il contatto concreto non solo da smartphone, ma nella nostra corporeità è ancora più desiderato oggi, che possiamo tenerci in contatto 24 ore su 24 con il mondo virtuale.  

Il dire io c’ero, non stavo solo a distanza a vedere su un monitor, è la festa dell’esserci, del toccare con mano luoghi, persone, suoni e panorami. Ancora di più è importante il contatto fisico se si tratta di un amico, di un medico, di un taumaturgo e, per i ragazzi e i giovani, di un idolo del calcio o della TV, di una persona sempre vista, ma mai incontrata. Ho un selfie con lui, ho una sua firma sulla mia T-shirt, un suo autografo sul libro che ha scritto in cui io mi riconosco.  

Gesù nei suoi giorni di predicazione, di incontro con la gente sulle rive del lago, sa che la gente non solo lo vuol ascoltare, ma anche vedere e toccare, soprattutto se sono malati. È la festa della corporeità ferita, dell’aver raggiunto una meta, una possibilità di salute e salvezza come molti capiranno, oltre la salute fisica.  

Per Gesù è anche la possibilità di un contatto personale, per Lui ciascuno è una originalità, non sono mai massa, né gente anonima, ma persone con una storia, con una sete, con una vita spirituale assetata di pienezza.  

Noi questa consolazione di sentirci amati personalmente da Lui, la vogliamo provare, sentire, accogliere. Non essere solo un numero soprattutto quando il cuore canta a mille e la vita ha bisogno di sentirsi accolta, di travasare dentro di sé un amore unico, un momento per me.  

Diceva san Giovanni Paolo II: Voi siete un pensiero di Dio, un palpito del suo cuore. Ebbene Gesù era il tocco del Padre di ognuno, era il contatto col mantello, cioè il trapasso nella vita di chi lo toccava della sua forza d’amore, del suo slancio di offerta, del suo sguardo negli occhi del Padre. 

Noi oggi questo tocco personale, questa udienza privata e comunitaria l’abbiamo ogni giorno nell’Eucaristia: un mistero grande, ma che ci riporta sempre a quel pane che Gesù si è mostrato di essere anche ai suoi discepoli sempre scoraggiati.

05 Febbraio
+Domenico

Con Gesù in preghiera  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Audio della riflessione.

In ogni nostra vita ci sono decisioni importanti da prendere, progetti di vita da attuare, ideali forti da seguire e diventa necessario darsi una calmata, trovare tempo e spazio adatti per decidersi più concretamente, impostare un cammino deciso e riportare alla luce della coscienza il significato profondo per sé e per gli altri della posta in gioco. Gesù dopo aver accolto i discepoli che tornavano dalle prime missioni cui li aveva mandati, sente la necessità di aiutarli a riflettere sulla loro missione a confronto esplicito con la sua.  

Li aveva scelti per farne una squadra di annunciatori della buona novella e ora si iniziava ad entrare nel vivo della missione. Propone loro quindi un retroterra di riflessione, di contemplazione, di preghiera che dia all’attività missionaria tono e carica. Questo, Gesù, propone alla gente che gli sta attorno, che ha pure scelto a uno a uno e che comincia ad affiatarsi, a raccontare le proprie esperienze di impatto con la gente. E a noi oggi che cosa propone, che cosa ci insegna per le nostre vite distratte, segnate dalla sindrome dell’agenda, da molteplici impegni, mangiati dalle cose da fare, senza tempo per riflettere e ricentrare sempre sulla sua persona la nostra sequela?  

Certo noi ci siamo fatti regole di programmazione, facciamo sedute di consultazione e di confronto, valutiamo i risultati e ipotizziamo nuove missioni. Abbiamo però una necessità assoluta di stabilire un esplicito e diretto riferimento a Dio per tutto quello che facciamo e vogliamo essere. Che cosa meglio della preghiera ci può aiutare a questo? Gesù lo faceva sempre, noi ci stiamo facendo pensate strane sulla preghiera.  

Pensiamo sempre che il luogo della preghiera è la vita stessa, dentro il tessuto di relazioni, dentro i nostri impegni: lavorare è pregare diciamo, predicare è pregare, fare il proprio dovere è pregare, cucinare è pregare… 

Ma la preghiera è anche l’esercizio del dialogo con Dio che diventa la fonte della nostra libertà, perché in essa avviene l’incontro con la libertà divina che rende possibile la libertà umana. Ognuno di noi si sente chiamato a divenire persona responsabile, cioè capace di rispondere. Così nasce e si sviluppa una bella relazione tra due libertà: Dio davanti all’uomo come uno che gli parla, lo chiama, lo attira a sé e l’uomo davanti a Dio come uno che si consegna e si affida a lui. 

Per vivere questo occorre il silenzio delle cose e degli uomini, una dimensione interiore che chiamiamo deserto, che non è alienazione, ma spazio di dialogo intenzionale e di intimità non distratta da preoccupazioni distorcenti. 

Altrimenti come faranno i discepoli e come potremo sentirci noi quando Gesù ci metterà davanti la sua croce, il dolore, la sofferenza necessaria per esprimere il massimo dell’amore per ogni nostra crescita umana e spirituale?

03 Febbraio
+Domenico

La povertà è sacramento della fede  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Audio della riflessione

Chi ha dimestichezza con le vite dei Santi sa che alla base della loro opera, che spesso è di grande portata, di grande impegno anche organizzativo, c’è sempre una assoluta fiducia in Dio, che chiamano Provvidenza. Soprattutto quando si interessano dei poveri riescono a portare avanti opere di assistenza grandiose solo con l’aiuto di Dio.  

C’è un’altra opera nel mondo che è altrettanto importante come le opere di carità, perché ne sta alla sorgente: è l’opera di evangelizzazione, cioè l’impegno di far giungere a tutti la Parola di Dio, la conoscenza di Lui, il Vangelo, la speranza. Per questa opera di annuncio, di far conoscere Gesù, come per la carità, l’amore concreto ai poveri, ogni cristiano si deve mettere a disposizione.  

Nel vangelo si racconta di Gesù che dà mandato ai suoi discepoli di mettersi in viaggio per questa opera di sensibilizzazione della gente nei confronti della buona novella: li mandò a due a due. I suoi apostoli, il suo gruppo, la sua squadra doveva cominciare ad affrontare direttamente, e non stando sempre coperti dall’ombra del maestro, il compito dell’annuncio. Loro sono i primi missionari, i primi mandati, i primi continuatori del suo compito nel mondo. E vanno, ma con alcune indicazioni precise.  

La potenza salvatrice della sua Parola di salvezza non è legata all’apparato degli strumenti, alla potenza dei mezzi, ma si basa solo sul potente aiuto di Dio. Chi va ad annunciare il vangelo, deve fare un atto di fede in Dio, deve sapersi abbandonare in lui, deve trovare la sua forza solo nella grazia di Dio. Bisaccia, denaro, borsa, sandali appesantiscono solo il cammino.  

La povertà è segno efficace della fede in Dio. Senza povertà non c’è fede, se non a parole. Noi non riusciamo mai a fare un salto di qualità nella vita di fede proprio perché siamo troppo attaccati a noi, non siamo disposti ad abbandonarci totalmente a Dio. 

Di fatto, dopo la morte di Gesù, Pietro e Giovanni sapranno offrire l’aiuto di Dio al povero storpio che incontrano ogni giorno alla porta bella del tempio. cui si sono quasi abituati coloro che frequentano il Tempio, dicendo semplicemente appunto: oro e argento non ho, ma quello che ho te lo do: nel nome di Dio alzati e cammina. 

È Dio che salva, è Lui la nostra felicità, non sono i nostri accomodamenti o le nostre parole, i nostri apparati. Le opere più grandi la chiesa le ha fatte quando era povera, ma ricca solo di Dio. Lui ci ha promesso che non ci abbandona mai.

01 Febbraio
+Domenico

Gesù non era solo un comunissimo giovane

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 6,1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Audio della riflessione

L’esperienza nella fede in Gesù deve sempre sentirsi provocata al cambiamento. Ti credi di essere riuscito a inquadrare la figura di Gesù nel tuo corretto modo di pensare, in uno schema di comprensione che a tutti è necessario per capire la realtà e invece ti sei fatto un’immagine tutta tua, comoda, in difesa, acquietante.

I concittadini di Gesù, gli abitanti di Nazareth vivono questa provocazione. Hanno sentito che Gesù sta spopolando nelle contrade vicine. È partito dal loro paese con una decisione radicale, si è spostato sulle vie del lago dove la gente sviluppa i suoi affari, la sua vita sociale, i suoi lavori artigianali. Ha predicato, ha fatto miracoli, ha trascinato nella sua avventura gente matura, giovani, persone per bene. Ora ritorna a Nazareth. Ma non è il carpentiere? non è il figlio di Maria? la sua famiglia non è quella che incrociamo tutti i giorni in sinagoga, per la spesa, al mercato? Non è quello che sta fuori alla sera con i nostri figli?

E si scandalizzavano di lui, dice il Vangelo. La sua umanità, la sua popolarità, la sua quotidianità era un ostacolo. C’era in lui una sapienza, una forza, una consuetudine al meraviglioso che è tipico di Dio; c’era in lui l’evocazione di una speranza che richiamava invocazioni profonde verso l’Altissimo, ma era un comunissimo giovane di cui si sapeva tutto, completamente posseduto da sguardi, informazioni, relazioni quotidiane. Se Dio si deve manifestare non sarà certo in questa normalità e debolezza. Come sempre, come anche per noi, Dio, pur immaginato come indicibile, sorprendente, è inscatolato nei nostri schemi.

Ma la cosa che sorprende ancor di più è la umanissima sorta di “crisi” che assale Gesù: si meravigliava della loro incredulità, della loro incapacità a forare la crosta dell’umano, del quotidiano per vederci spiragli di infinito. Gesù è di fronte al mistero della libertà dell’uomo. Il messaggio del Vangelo non si impone, ma si offre; non può penetrare là dove viene radicalmente rifiutato; neppure Dio può far violenza alla libertà dell’uomo.

Questa meraviglia di Gesù è espressione della logica di Dio che si abbassa al livello dell’uomo. La logica di un Dio “debole” che deve diventare la logica della Chiesa e di ogni credente. La mia potenza, dice S. Paolo, si manifesta pienamente nella debolezza. Questa debolezza ci caratterizza e, se abitata da Gesù, si fa per noi salvezza. Ricordiamo e chiediamo l’intercessione di san Giovanni Bosco che oggi celebriamo, perché ci aiuti come chiesa ad aprirsi di più ai giovani consapevoli che temono di più la mediocrità che il sacrificio; il nostro non sentire di niente, piuttosto che una dedizione generosa.

31 Gennaio – Memoria di San Giovanni Bosco
+Domenico

Noi adulti spesso giochiamo sulla pelle dei giovani   

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,17-29)

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Audio della riflessione.

Almeno tre o quattro volte all’anno leggiamo nella liturgia questo episodio della decapitazione di Giovanni il Battista. Oggi vogliamo riflettere su questo fatto a partire dalla nostra responsabilità di adulti.  

Ogni martire è testimone che Dio ci ama alla follia. Giovanni Battista ancor di più. Era stato un dito puntato verso Gesù. L’uomo di Nazareth era apparso sulla scena del mondo e lui doveva scomparire. Era stato severo con se stesso, con la religione del tempio, con chi lo voleva seguire e la sua predicazione era molto severa: 

Chi ha ingessato il Signore. Avete in cuore una profonda sete di Dio, sentite urgere dentro una aspirazione insopprimibile e la spegnete con la droga, con l’ecstasi, con i compromessi! Avete una sete insaziabile di pace e la cercate con armi e tritolo! Sentite desiderio di interiorità e sperate di trovarla nei talk show! Giovanni non aveva mezze misure. Avete desideri di affetto pulito e profondo e vi prendete i mariti o le mogli degli altri? Poi è venuto Gesù. Non credeva ai suoi occhi e ha ceduto il passo.  

Incrocia la vita di Giovanni, una ragazzina, bella, agile, elegante, armoniosa. Vuole sfondare con la sua bellezza e la sua leggiadria. Si allena e finalmente arriva la sua grande occasione. Non si tratta del solito saggio col papà, la mamma, gli zii, i nonni alla festa di compleanno, ma oggi c’è tutto il governo, i notabili. E danza. Se la mangiano tutti con gli occhi. Erode stravede, i giovani sono sempre sorprendenti, ti incantano, meritano tutto: la metà del mio regno è tua. La ragazza è saggia, i complimenti non le danno alla testa. La sua danza è una sfida con se stessa, non con gli adulti. Sa di aver bisogno di tutti per crescere, per decidere e va da sua madre. 

“Mamma è il momento più bello della mia vita”. Sono riuscita a superarmi; ti ricordi quanti allenamenti, quante volte volevo smettere e tu mi hai aiutato? Se non ci fossi stata tu starei ancora a divertirmi con l’orsacchiotto di pelouche. Il re è disposto a darmi la luna. Ho un avvenire sicuro, non sono in casa sua solo perchè vuole bene a te. Ho un  posto anch’io”. Non si sente più una vita da scarto, come capita a tanti giovani, quasi destinati alla discarica, ma le si è aperta nella vita una strada. Non vuoi che sia questa anche l’aspirazione degli adulti che le vogliono bene, di colei cui tra una coccola e l’altra si confida? 

E la madre, l’adulta, il maturo, quella che vede bene, che calcola, che è navigata nella vita, colei che si è lasciata indurire il cuore dall’interesse, che non sa più sognare e cambia i sogni dei giovani in incubi, dice tutto il suo odio per la vita, e per il futuro dei figli: la testa di Giovanni Battista. Una sentenza che prima di ammazzare Giovanni, distrugge speranza e uccide l’anima di sua figlia che non ha ancora il coraggio di ribellarsi, è ancora soffocata dall’affetto predatore di sua madre, dell’adulto senza scrupoli, che non le ha insegnato di avere sempre la vista più lunga dei sentimenti. Noi adulti saremo capaci di smettere di giocare all’eterna giovinezza e assumerci verso di loro le nostre responsabilità? di mostrarci come adulti cristiani contenti della nostra fede in Gesù ? 

29 Agosto
+Domenico

Voglio toccare Gesù, non solo ascoltarlo

Una riflessione sulVangelo secondo Marco (Mc 6,53-56)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.

Audio della riflessione

C’è una componente delicatissima della nostra esistenza che finisce per diventare determinante tutta la nostra vita: la nostra corporeità. La divisione in corpo e anima di tipo platonico, con un certo disprezzo per il corpo, come prigione dell’anima non fa più parte della nostra mentalità anche se ogni tanto riaffiorano comode semplificazioni, soprattutto quando si invecchia, quando il nostro corpo perde smalto, si appesantisce in malattie insopportabili, la prestanza fisica viene meno e il declino è irreversibile. Sappiamo invece che la corporeità e tutto quello che è legato ad essa, fa parte della globalità della persona e, quindi, va recuperata dal suo interno come un “segno”; soprattutto deve diventare lo spazio personalissimo e originale per vivere veri rapporti con tutti e veri rapporti di amore.  

In questo contesto dobbiamo collocare la nostra naturale necessità di vedere, toccare, sentire, gustare, far passare per la porta dei nostri sensi anche l’esperienza spirituale, anche il mondo misterioso della fede. 

Quando la gente va a qualche santuario vuole toccare la statua, vuol vedere, vuol entrare in contatto concreto con qualcosa. E non ci dobbiamo meravigliare, perché questo accade anche quando i giovani vanno a qualche concerto rock; avere una maglietta, un autografo, una bacchetta del batterista, un braccialetto del cantante, una stretta di mano, un bacio è il massimo per sentirsi dentro veramente in una esperienza. 

Così era la gente che rincorreva Gesù per le strade della Palestina. Tutti volevano sentirlo, vederlo, ascoltarlo, ma soprattutto toccarlo. Aveva fatto di tutto quella donna che toccò il lembo della sua tunica e restò guarita, così vogliono fare tutti quelli che si sentono imprigionati dalla malattia. Il toccare però è vero se si porta dentro una fede profonda. Occorre sempre unire l’anima al corpo per unire la speranza al presente, il desiderio alla realtà. Infatti, Gesù offre la sua salvezza se chi lo accosta lo fa con fede, sa andare oltre il fatto fisico e lo carica di adesione spirituale alla sua persona, lo fa diventare un segno di una fede profonda, di una consapevolezza di mettere al centro della sua vita Gesù. La forza che promanava da Gesù era la conferma della certezza che Dio è incontrabile nella vita quotidiana perché Lui non ci abbandona mai. 

6 Febbraio
+Domenico

La vita non ce la deve legare l’agenda, ma nemmeno i social

Una riflessione sul Vangelo di Marco (Mc 6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Audio della riflessione

La nostra vita è spesso divisa tra l’assillo delle cose da fare, la sindrome dell’agenda, il sentirsi la vita segnata da impegni, appuntamenti, incontri oltre evidentemente al tempo da dedicare al lavoro o alla scuola, alla famiglia agli elementi costanti di ogni vita e il desiderio di fermarsi, di stare un po’ in pace, di riprendersi in mano la vita, di fare il punto, di mettere a fuoco le cose più importanti, di stare a pregare, se siamo uomini e donne di fede, giovani che non hanno ancora liquidato la religione tra le cose inutili o fastidiose.  

E viviamo spesso una sorta di lacerazione perché quando finalmente abbiamo trovato o ci siamo imposti questo tempo di calma, siamo assaliti dalle cose che dobbiamo fare e che in questo momento trascuriamo e quando siamo nel pieno delle attività ci assale la voglia di pace. Sembrerebbe una tentazione solo di adulti, ma anche i giovani cominciano a farsi legare la vita non con l’agenda, ma con i social, le sfide affettive, le comparse che diventano spesso maschere di personalità.  

La stessa situazione forse vivevano anche i discepoli di Gesù: mangiati dalla folla e nello stesso tempo desiderosi di stare con Gesù. E Gesù li chiama: venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po’. Sembrerebbe una soluzione facile. Smettiamo di farci divorare dalle cose e stiamo a contemplare il Signore della vita. Gesù passava notti in preghiera, i santi erano fortemente contemplativi: sottraevano tempo a sé per farsi affascinare da Dio. 

Ma la folla incalza, insegue gli apostoli e Gesù e preme, chiede. “Ci avete acceso speranze, ci avete tolti dal torpore delle nostre vite senza senso ora non ci potete lasciare, perché la legge del convento dice di chiudere, perché la notte è fatta per dormire, perché c’è un tempo per ogni cosa” e Gesù si commosse. Il Vangelo di Marco ci tiene a far vedere in Gesù una umanità dolcissima. “E si mise a insegnare di nuovo”. 

C’è sicuramente un equilibrio da cercare tra l’essere mangiati e il mangiare, tra lo stare e l’andare, tra l’agenda e l’anima, tra la vita di coppia e i figli, tra lo studio impegnativo e la vita affettiva o tra le distrazioni obbligatorie dei social e la vita interiore. Se cerchi la fede, se ti interessa la vita spirituale, se in te si è accesa una voglia di infinito, di amore senza confini, l’equilibrio di cui hai sete deve essere bilanciato verso il dono, verso una vita capace di trovare il senso, la santità, la bellezza non solo in alcune isole di tempo, ma sempre, anche quando abbiamo l’impressione di esserne privati.  

Papa Francesco direbbe che occorre uscire, non stare sempre al balcone della vita, ma giocarsi relazioni coinvolgenti, capaci di strapparti dalle comode solitudini che ci creiamo. Le ragazze e i ragazzi dell’Iran ci mettono al palo, ci costringono a una interiorità insopprimibile, capace di darci delle dritte di vita che sposano questa nostra umanità ferita. 

4 Febbraio
+Domenico