Siamo operai presi a giornata o amati senza condizioni?

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 20,1-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perchè ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perchè io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Audio della riflessione.

Precari nel lavoro è il nostro destino, siamo presi a giornata e buttati, dobbiamo fare cento lavori per sperarne uno un po’ più serio. Cinque mesi di qua, da giornalista, per una pubblicazione che deve convincere a far emergere il lavoro nero e io puntualmente pagato in nero; un anno dall’amico di papà che ti ha promesso mari e monti e poi ti liquida dalla mattina alla sera; una stagione a fare animazione, senza assicurazione; un anno finalmente a fare quel che mi è sempre piaciuto e poi la ditta è stata assorbita e mi hanno relegato al magazzino. 

Stavolta me ne sono andato io. Ho fatto mille colloqui e tutti mi dicevano che mi avrebbero preso se avessi avuto qualche esperienza di lavoro in quel campo. Ma, me ne fate cominciare almeno una? Finalmente in internet ho trovato un bel lavoro, purtroppo è a progetto, prima o poi occorrerà cambiare. Liberi di prenderci e di lasciarci, ingiusti con noi ci tentano un po’ tutti. Con Dio sarà la stessa cosa? 

Ditemelo, perché sono stufo di impegnarmi senza portare a casa un po’ di futuro e di vedere che tutti gli altri mi passano davanti. Erano precari anche quei lavoratori che stavano sulla piazza ogni mattina ad aspettare che qualcuno li andasse a invitare. Oggi la cosa si fa ancora più triste, perché non sei nemmeno precario, ma disoccupato. Nel vangelo però stavolta c’è proprio lavoro per tutti. Non ne resta fuori nessuno. Anche il solito che sta in discoteca fino a mattina, anche lui la sera va in piazza e viene preso a lavorare. Non s’è mai dato una mossa e ha sempre trovato di sbarcare il lunario. Sembra tutto casuale, ma chissà quante raccomandazioni ci stanno dietro. Ebbene tutti al lavoro; bello, oggi abbiamo riempito la vita, abbiamo dato un orario al nostro stare ad aspettare. 

Il problema però non è finito: uno che lavora si vuol sentire anche riconosciuto. Qui, con Dio non solo c’è precarietà, non solo non sai mai quando Dio ti assume, ma non sai nemmeno che cosa ne ricavi. Il nottambulo pazzo che s’è dato una mossa solo verso sera prende come me che sono lì dal mattino, che ho programmato tutto, che ho impostato il lavoro, che ho potuto anche dialogare e valutare col padrone. Questa è pura ingiustizia! 

Amico, non ti ho dato quello che avevo pattuito… oppure sei invidioso perché io sono buono? 

Dio ha un altro modo di ragionare, sa che la nostra vita è precaria. Quello che Dio ha pattuito con noi è tutto, è molto di più di quello che ci meritiamo. Il paradiso non lo guadagniamo, ma ci viene dato in aggiunta. Non ti mancherà assolutamente niente nella felicità dell’abbraccio con Dio. Solo che devi guardare con altrettanto amore agli altri. Non perderti a guardare le differenze o a fare sequenze di merito. Godi che tutti possano incontrare Dio, anche a sera tarda. Saranno ancor più felici se incontreranno anche te ad accoglierli con gioia. 

Ma c’è un punto di vista molto interessante per capire questo nostro Dio che non ci fa mai del male, che ci è padre, che non possiamo mettere sempre alla sbarra perché secondo noi ci fa dei torti: la famiglia. Oggi la mettiamo al centro non per far battaglie, ma per riscoprire di più la bontà di Dio 

La famiglia è proprio il luogo in cui si può capire di più Dio. Il lavoratore della prima ora che resta deluso e si arrabbia con Dio per me era un single: tutto concentrato su di sé. Abbiamo in mente la parabola del padre misericordioso? Questo lavoratore della prima ora assomiglia proprio al figlio più grande tutto casa e chiesa, campi e vitelli, azienda e profitto. Come? Vieni qui ancora a dividere la mia eredità, dopo che ti sei fatta fuori la tua? Che giustizia è far festa al figlio pazzo e vagabondo. Questo tuo figlio! 

Un papà, una mamma, un fratello sanno che in famiglia ci si rapporta molto diversamente e non si mette in atto nessuna ingiustizia, ma si vede che la giustizia ha bisogno di amore per essere una regola di vita. 

Non decidono i figli quando nascere in una famiglia, dove non è un errore o un merito l’essere nati prima o dopo: l’amore di papà e mamma è sempre al massimo per tutti. Dio ci dona sempre il massimo, non fa differenza di persone; il suo amore non si baratta, non si taglia a fette, non si conta come gli euro: è la sua bontà infinita per noi, per tutti quelli che lo amano anche all’ultimo momento. 

Nel nostro mondo a modello commerciale dove quello che più conta è la capacità di barattare, di stabilire accordi, scambi vantaggiosi, condizioni favorevoli, sfruttare l’occasione, intuire le debolezze del compratore per fare guadagni, farsi creativi nel collocare la nostra merce, pensiamo che il nostro rapporto con Dio sia un grande commercio. 

L’idea forse la danno anche certe nostre abitudini di rapporto con le cose sacre, con i sacramenti, con le offerte, con i servizi liturgici, con gli oggetti sacri, le visite ai santuari. Spesso li facciamo diventare luoghi di commercio anziché di incontro tra la nostra povera vita e la grandezza di Dio. 

Crediamo di poter commerciare la nostra salvezza, di comperare la sua misericordia, di sostituire l’amore vero profondo, con le nostre cose, di tenerci il cuore e di dare a Dio solo le nostre cose. E allora accampiamo diritti, rimproveriamo Dio perché non tiene conto di quello che abbiamo fatto, riteniamo di esserci guadagnati il paradiso, una vita bella, felice, solo perchè noi abbiamo dato, abbiamo fatto, abbiamo vissuto in un certo modo. 

Vogliamo un rapporto con Dio non a modello commerciale, ma a modello famigliare; perché Lui è famiglia; è Trinità. Il paradiso Dio ce lo regala sempre; è più grande di ogni nostro merito; è dono del suo amore che decidiamo di accettare nella nostra vita.

24 Settembre
+Domenico

Gesù punta su di lui il dito e dice: Seguimi, pianta tutto

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 9, 9-13)

In quel tempo, mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Audio della riflessione.

Prendere decisioni per la propria vita, il proprio futuro, per quella felicità cui tutti siamo chiamati, consapevoli di dare un senso bello e pieno alla vita è sempre molto difficile. Si procede spesso per tentativi, dentro incertezza e rischio. Quale è la mia vera strada? C’è qualcuno che mi aiuta a trovare la strada giusta? C’è un satellitare infallibile? Spesso forse siamo in attesa che sia qualcun altro che decide per noi. Non è bello non caricarci della responsabilità della scelta, e nemmeno pensare di scaricare su altri i nostri fallimenti. 

Qualcuno invece sembra abbia deciso bene, se ne sta tranquillo a fare i fatti suoi, a un certo punto però si accorge che c’è qualcosa che non quadra nella vita oppure viene posto di fronte con evidenza a una luce, a una intuizione, a una verità, mai finora percepita, che gli fa cambiare radicalmente strada, gli si aprono gli occhi, si sente dentro una voce, una spinta che non lo lascia tranquillo. 

Matteo era uno di questi. Pacifico, stava a contare i suoi soldi in banca, aveva un lavoro fisso, disprezzato da tutti perché se la intendeva per forza di cose con i romani, potenza occupante della Palestina; un avvenire sicuro, una cerchia di amici della stessa risma che gli faceva da cortina di fumo per non vedere i problemi, qualche bella cena, qualche buona avventura e guadagno sicuro. 

Ma un giorno gli capita al banco dove sta contando euro a non finire Gesù. E Gesù punta su di lui lo sguardo, il dito, la sua persona, la sua voce perentoria, tutto il suo fascino e gli dice: Seguimi! e lui alzatosi, messosi dritto davanti a Gesù, davanti alla vita, davanti a un nuovo futuro, nella dignità di tutta la sua umanità, messa in discussione da questo invito, lo seguì. 

Continua ancora la sua vita di relazione, ha ancora i suoi amici, sicuramente deve giustificare loro perché abbandona la sua ricca posizione sociale per correre dietro a un predicatore che non si sa quanto raccomandabile sia; sta di fatto che vuole che Gesù incontri questa sua potente fasciatura, tutto il mondo di pubblicani che lo accerchia. 

E Gesù va con grande scandalo dei benpensanti a sradicare certezze e a portare la sua speranza. Gesù non disdegna nessuna delle nostre mense, si fa compagno di tutti, non ha paura, vuole solo la nostra felicità.

21 Settembre
+Domenico

Per essere capaci di perdono occorre riconoscere che siamo perdonati da Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Audio della riflessione.

Ci rappresenta un po’ tutti quella parabola che narra di quel servitore perdonato alla grande dal suo creditore, che fa lo strozzino con un suo debitore che in confronto gli deve solo quattro miseri spiccioli. Vagonate di oro era il suo debito, pochi soldi il suo credito. Questa è la nostra fotografia di fronte a Dio. Il nostro debito verso di Lui è senza misura e Lui se lo carica sulle spalle e ce lo cancella. Siamo stati perdonati, ma non abbiamo ancora capito che cosa è il perdono, non lo abbiamo ancora accolto, ci è rimasta dentro una mentalità da schiavo, calchiamo sempre con i nostri passi il perimetro della prigione che ci siamo fatti allontanandoci da Dio. Siamo abituati a vivere in una pozzanghera e non sappiamo renderci conto del mare aperto. Giochiamo ancora con le barchette di carta. 

Chi ci permette di accettare la pienezza del perdono è lo Spirito. Dio ci fa liberi, noi a mala pena ci sentiamo liberati, abbiamo ancora addosso tutta la fasciatura del male, tutta la nostra mentalità da galeotti, da gente che deve sfruttare le occasioni, deve calcolare, deve farsi rincrescere la bontà. Siamo ancora ammalati di delirio di onnipotenza, il modello di ragionamento non è affatto cambiato. Quello che lo strozzino descritto nel vangelo fa al suo debitore è ancora legato al suo falso “ti restituirò tutto” detto al padrone, a Dio, una falsità consapevole, con la pretesa di imbrogliare il Signore, che è tanto buono da far finta di niente, sapendo che purtroppo si sta rovinando con le sue stesse falsità. 

Il suo comportamento con il suo piccolo debitore è evidentemente crudele, ma è più sottile e infido di quanto pensiamo. Ha considerato il condono ottenuto, una sua furbizia, un suo merito dovuto alla sua richiesta e non assolutamente un invito a cambiare il suo cuore. Crede di essere lui il salvatore, ma non ha ancora capito di essere un salvato, un comprensivo e non ha capito di essere un perdonato, uno che accoglie e non ha capito di essere stato accolto, un giusto e non ha capito di essere stato giustificato, uno che può esprimere amore, ma non ha capito che è stato tanto amato. Ma salvatore, comprensivo, accogliente, giusto, amabile è Dio, non Lui. Non ci passa nemmeno per la testa che queste qualità devono essere d’ora in avanti le nostre, che il dono più grande del perdono è il cambiamento del cuore. 

Proprio per questo il perdono di Dio è legato al nostro perdonare, è quel gesto di Dio che è legato indissolubilmente alla nostra libertà; Dio non riesce a perdonare se nella nostra libertà non ci lasciamo cambiare dal suo perdono. Il perdono torna indietro. 

Toccherà ancora a Dio riprenderci perché Lui non ci abbandona mai.

17 Settembre
+Domenico

Di nuovo assieme uno accanto all’altra/o nel nome del Signore

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Audio della riflessione.

Essere cristiani non è mai stata una esperienza da single. E’ importante la coscienza personale, la libertà di decisione. Sei tu che sei chiamato non il tuo gruppo o la tua famiglia. E’ verissimo che occorre partire sempre dalla propria libertà personale. Sono finiti i tempi in cui si diventava cristiani perché lo erano tutti quelli del nostro ambiente, paese, città, famiglia, anche se la cultura ha il suo influsso sempre, e così le tradizioni. Ma quello che è assolutamente sempre vero è che la fede non è un fatto privato, non si chiude nella coscienza, non si isola dal mondo. Non si può essere cristiani senza creare relazioni positive con gli altri, non si può amare Dio se non si ama il prossimo. 

Essere credenti in Cristo esige aprire la propria vita a una relazione di bontà con gli altri. Proprio perché la fede è un atto d’amore e l’amore è vero se non termina su se stessi, ma si apre all’altro. Ecco allora i tanti insegnamenti del vangelo sulla necessità dell’amore a Dio e al prossimo contestualmente, del vivere uniti per chiamare nell’esistenza la presenza di Dio. Dove sono due o tre riuniti nel mio nome lì ci sono io. Ci si domanda spesso, dove sta Dio? Ci aiuta? È a noi vicino? Il modo più sicuro per sperimentare la sua presenza è stare assieme nel suo nome e lì c’è Lui. Le nostre comunità cristiane allora diventano palestre di comunione, anche se è la comunione più impossibile perché ci stiamo tutti noi con le nostre divergenze, i nostri difetti, le visioni opposte di vita, le condizioni contrastanti. Eppure Dio fa il miracolo di tenerci assieme, come ha tenuto assieme gli apostoli, i primi cristiani, popoli barbari e civili, potenti e deboli, schiavi e liberi. 

Spesso la nostra testimonianza non è compresa dal mondo perché viviamo disuniti, perché non siamo capaci di mostrare il dono dell’unità. Se non siamo capaci di stare uniti nel suo nome, lui non c’è, non può starci, è contrario al suo stesso essere; siamo noi che lo buttiamo fuori. Come è bello che i fratelli vivano assieme diceva il salmo, è un unguento sulle nostre ferite, un balsamo per la nostra cattiveria, una speranza per le nostre solitudini, una certezza della sua presenza tra noi. 

Abbiamo sperimentato tutti la impossibilità di stare assieme anche in chiesa, abbiamo chiamato distanza “sociale”, una contraddizione, quella penitenza di non stare accanto, di non poterci dare la mano, di tenerci coperto il volto con la mascherina. I giovani l’hanno patito ancora di più, ma alla GMG di Lisbona hanno ricuperato alla grande lo stare assieme, la calca, lo sguardo di tutti alla stessa persona che capivano e ascoltavano con gioia, il papa, il messaggio della fede. Hanno ricuperato lo stesso isolamento dai giovani di altre nazioni e con gioia hanno celebrato assieme la stessa fede, compiuto gli stessi gesti espresso, la gioia con gli stessi canti, coi volti tutti fissi a quelle meravigliose via crucis, per rivivere assieme il dolore e condividerlo con gli addolorati di tutto il mondo.

10 Settembre
+Domenico

L’ideale di Gesù non è il dolore, ma l’amore che esso esprime

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 16,21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Audio della riflessione.

Abbiamo bisogno di felicità come dell’aria per respirare. Non c’è pezzo della nostra carne, tratto del nostro vivere, tensione dei nostri istinti che non sia in ricerca della sua soddisfazione. Eppure annaspiamo in un mare di sofferenza. Meno te l’aspetti ti arriva e ti sconvolge la vita. È dolore morale, è malattia, è ingiustizia subita, è pura casualità o ostinata cattiveria di qualcuno. 

Doveva essere esperienza quotidiana anche per il gruppo che aveva seguito Gesù. Forse però, quando hanno risposto con tanta schiettezza e generosità all’invito di Gesù, si erano illusi che con uno così si potesse dare una svolta decisiva e scrivere una pagina bianca nell’agenda dell’infelicità. Pietro è il primo che s’immagina a ragione Dio dalla parte opposta del dolore. Tu sei il figlio di Dio, il Messia che aspettiamo, sei la casa della felicità, sei tutta la bellezza che la vita può sprigionare. Sei quello che noi da sempre sogniamo e non mi dire che anche tu ti devi adattare a soccombere alle nostre colline delle croci. Dio te ne scampi Gesù: questo a te non succederà mai. 

Gesù gli aveva invece appena detto che la croce era la strada scelta da Dio per far brillare in ogni coscienza il massimo di amore che nutre per gli uomini. Questo è un altro punto centrale per la fede cristiana. Si può confessare che Gesù è Dio, andando oltre i criteri di ogni corretta razionalità e accettare il mistero che questo uomo di carne e ossa si porta dentro. È già molto, ma non è ancora la fede cristiana. 

È necessario confessare ancora che egli è un Dio crocifisso. Il mondo ebreo uno scandalo così non lo sopporta, il mondo intellettuale greco lo ritiene un controsenso, una stupidità, un cristiano invece accetta di cambiare anche la logica dell’esistenza, accetta di rinunciare a quell’idea di Dio che razionalmente a fatica può correttamente costruire per accogliere l’idea di Gesù: non più un Dio glorioso e potente, ma un Dio che si svela nell’amore e nel dono di sé. 

Quella croce non è l’apoteosi del masochismo, del godere a farsi del male o a star male, ma il segno di una vita vissuta in dono, della vera felicità, dell’amore di Gesù. Un amore così disarmato e disinteressato, che è un amore anche scomodo, perché dice a noi persone umane la verità su di noi, il nostro bene e il nostro male; per come esso si esprime sconvolge i quadri di comportamento e di valore umani e ci fa capire la contraddizione che rivela ancora di più la miseria e il peccato dell’uomo di fronte all’amore incondizionato di Gesù. E la contraddizione la risolve con “Padre perdona loro”!

03 Settembre
+Domenico

Sempre a contatto con Dio con tutte le nostre forze

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 14-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Audio della riflessione.

C’è stato un tempo non molto lontano dai nostri giorni in cui si pensava che tutti gli uomini erano uguali, tutti con gli stessi diritti, tutti con gli stessi doveri, tutti alla pari. Venivamo da un mondo in cui tanti diritti fondamentali erano conculcati per molte persone: per esempio la vita, la cura della salute, il lavoro, lo studio, la giustizia… Era giusto che si lottasse perchè tutti potessero avere le stesse possibilità di fronte alla vita. 

Non è però vero che tutti rispondono alle proprie risorse con lo stesso impegno, non solo, ma Dio ci ha creati diversi, con gusti e desideri, carattere e qualità diverse, e ci ha chiesto di far fruttare quello che ciascuno ha. Talenti chiama il vangelo tutte le risorse che l’uomo ha a disposizione. Chi ha dieci deve lavorare per dieci altrimenti non è fedele alla sua vita e a Dio che gliel’ha data, chi ha cinque deve lavorare per i suoi cinque, non si deve sentire inferiore se non ha tutte le qualità che hanno altri; purtroppo c’è chi ne ha solo uno e si crede furbo a non farlo fruttare, a star comodo a vivere di rendita. 

La parabola del vangelo non è un testo di economia, ma un invito a sentirsi nella vita sempre a contatto con Dio con tutte le nostre forze. Dio ha dato a tutti la possibilità di rispondere al suo amore, anche se abbiamo avuto genitori cattivi, disgrazie impensabili, malattie, ingiustizie… Dio sa andare sempre al cuore, all’interiorità e lì ci siamo solo noi con la nostra coscienza che diciamo a Dio la nostra voglia di vivere, la nostra decisione di fare della nostra vita un dono, di scavare tutte le possibilità che Lui ci ha dato. Dio è esigente come è generoso, non vuole che noi ci adattiamo al ribasso, che il fuoco della sua vita divenga un fumo evanescente. 

Molti di noi anziché far fruttare la propria vita per la felicità di tutti la buttano, la sperperano, stanno comodi, vivono alle spalle degli altri, si scoraggiano. E’ bello invece pensare che anche se ci sembra di avere poco quello che Dio ci ha dato può fare miracoli e salvare anche altri dalla disperazione e dall’infelicità 

Occorre gente che aiuta sempre tutti ad alzare lo sguardo al cielo per vedervi la gioia di Dio che ci ha dato la possibilità di raggiungerlo per sempre

02 Settembre
+Domenico

Non ci lasciamo vivere nel fatalismo, ma osiamo sempre sperare

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 25,1-13)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Audio della riflessione.

O la vita è una accozzaglia di eventi che si succedono a caso e noi cerchiamo di navigare a vista per cogliere le occasioni e sfruttarle al massimo per il nostro interesse oppure la vita è una storia con un centro, un inizio, una fine, una direzione e noi ci aspettiamo di dover rendere conto a qualcuno di come l’abbiamo vissuta. 

Gesù ci ha insegnato che il mondo è nelle mani di Dio, che da Lui ha avuto inizio e in Lui si compirà. La vita che viviamo sulla terra è incerta, provvisoria, destinata ad essere superata in una situazione definitiva e certa in cui tutto verrà trasformato nei cieli nuovi e mondi nuovi verso cui siamo incamminati. Lui ci ha promesso che tornerà. 

La nostra vita è meglio rappresentata da una attesa vigile piuttosto che da un annoiato torpore fatalistico. Non fare il fanatico papà, lasciami vivere, non crearmi stati ansiosi, vedrai che un colpo di fortuna ci sarà anche per me. Un allenatore ti avrebbe già buttato fuori di squadra. È segno di grande dignità per l’uomo sapere che deve rispondere a un giudizio, a una valutazione globale della sua vita, in una coscienza che permane come nucleo decisivo nell’evolversi degli eventi. Tutto passa, tu rimani e ogni fatto della tua vita lascia sulla tua spiaggia un segno, viene infilato come un grano di una lunga collana. Ma te la guardi ogni tanto questa collana? Riesci a legare i tuoi gesti in una storia? C’è una lampada nella tua esistenza che ti dissolve le ombre dell’insignificanza? 

C’erano, dice Gesù, dieci ragazze in attesa dello sposo: cinque avevano fatto scorta di olio per le lampade, sapevano che l’attesa sarebbe stata indecifrabile, che la vita era in salita, che non si è mai preparati abbastanza per affrontare la notte. Altre cinque invece avevano preso l’invito a nozze con leggerezza. Troveremo sempre qualche rimedio. Non vale la pena di preoccuparsi tanto della vita, qualche furbizia, qualche terno al lotto, le debolezze di qualcuno possiamo sempre sfruttarle. Una vita lasciata continuamente al caso. Vivi alla giornata, vedrai che ci si potrà sempre arrangiare. Siamo in Italia, non siamo in Germania. Una leggina ci farà entrare per la porta giusta anche se ce ne siamo lasciate scappare tante. C’è sempre tempo per prendere la decisione giusta. 

Ma non è vero. Esiste un momento in cui la vita decide per te e ti trova impreparato. Si sente un grido nella notte: è qui, la vita è al suo culmine, la pienezza è giunta, la festa senza fine comincia, la tua lampada accesa ti fa trovare la strada, mentre il buio in cui ti sei adattato ti toglie ogni prospettiva. I rimedi dell’ultima ora sono pezze che si sfilacciano. E la porta fu chiusa. Il rumore di quei catenacci non sono solo quelli di un inammissibile ritardo, impossibilità, ma hanno il rumore di una perdita di futuro. Vigilate perché non sapete né il giorno, né l’ora. C’erano dei segni e non li abbiamo visti. I segni della venuta di Gesù nella vita di ogni persona ci sono, bisogna farsi aiutare a leggerli, porre attenzione, forare il quotidiano per carpire il segreto dell’esistenza che si porta.

01 Settembre
+Domenico

Vivere di attesa e vegliare è la vita del cristiano

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 24, 42-51)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Audio della riflessione.

La vita dell’uomo è fatta di tante attese,  non tutte  vere, non tutte capaci di tenere l’animo sveglio e attento al bene, alla manifestazione di Dio. Attende la mamma il suo bambino nella lunga gestazione, attende il ragazzo la sua ragazza all’uscita dalla scuola, attende il malato i risultati delle analisi, attende il giovane l’esito dell’ennesimo colloquio di lavoro, attendono i genitori che cigoli la porta di casa alle cinque del mattino per tirare un sospiro di sollievo: è tornato vivo! Attende il bambino il sorriso del papà al suo ritorno da scuola, attendono gli immigrati il permesso di soggiorno in fila fin dalle prime luci del mattino, attende l’anziano nella casa di riposo la visita di qualcuno che gli ricordi di essere vivo; attendono gli affamati un pane, gli esiliati la patria, tanti bambini la pace e non la sanno nemmeno immaginare tanto sono abituati a vivere sotto i colpi dei mortai.   

Non è attesa invece quella del terrorista che ha già la mano sulla cintura esplosiva o sul telecomando del detonatore, non è attesa quella del pedofilo che sta tirando le maglie dei suoi ricatti, non è attesa la lunga coda di automobili che dobbiamo subire ogni giorno per andare e tornare dal lavoro; non è attesa l’aria greve che prende la piazza per l’arrivo dello spacciatore o l’appostamento lungo la strada per comperare il corpo di qualcuna o di qualcuno; non è attesa la solitudine di chi dopo tante tergiversazioni prende la finestra di corsa; e nemmeno quella dell’usuraio che ogni giorno torna a misurare il sangue succhiato ai poveri… 

E’ attesa la tensione verso la vita, quella degli altri, la mia, quella del mondo; non è attesa la velocità dissennata per le strade, che disprezza la vita degli altri e la propria, quella percezione o orientamento alla  morte che spesso abita le nostre esistenze. L’attesa vera di una meta alta, dello stesso Signore che viene, ha la capacità di tirarti dentro tutto, di trasformarti, di ridefinire la tua stessa identità, di farti crescere e di rimodulare la tua esistenza su quello che attendi. E’ una forza potente per concentrare energie, per dare organicità ai nostri molteplici impulsi, per canalizzare le qualità personali e di gruppo. Questo ci dice Gesù quando ci invita a vegliare ad attendere il Signore che passa sicuramente nella vita di ogni uomo, perché Lui non ci abbandona mai. Questo vegliate in un tempo ancora di ferie la dice lunga sul nostro esserci addormentai nello spirito in questo mese che termina. Ci stimola a riprendere la cura della vita spirituale a tener desto sempre lo spirito e l’attenzione agli altri. 

31 Agosto
+Domenico

Dio ci guarda dentro, non s’accontenta della facciata

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 27-32)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».

Audio della riflessione.

La nostra è una società dell’apparire, dell’immagine, degli occhi e non del cuore e dell’intelligenza. Forse è un tributo che dobbiamo pagare alla invasione di immagini nella nostra comunicazione. Infatti non c’è mai stato un tempo in cui i rapporti tra le persone, gli eventi, le cose fossero così legati alle immagini, tanto che se non appari non esisti, se non sei visto non conti, se non traduci il tuo pensiero in immagini non sei capito. Sono innovazioni cariche di tante promesse per l’umanità e come tutte hanno bisogno che l’uomo maturi un rapporto veramente umano che non gli tolga la dignità di cui deve essere sempre custode.   

Il progresso non è mai per definizione contro l’uomo, occorre però che l’uomo a mano a mano che amplia le sue capacità comunicative cresca interiormente e solidifichi i valori fondamentali del suo vivere.   E’ talmente vero tutto questo che anche in tempi non sospetti, tempi in cui di immagini  non si parlava, né si usavano, Gesù dovette mettere in guardia dall’apparire, dal dare importanza solo a quello che si vuol far vedere. C’è una interiorità della persona che è assolutamente prima di ogni immagine di essa. Il sepolcro può essere bello fuori, ma dentro è pieno di ossa.   

 E’ l’interiorità che conta davanti a Dio, è la coscienza, è l’immagine interiore che ciascuno si costruisce nel segreto del suo rapporto con Dio. E’ questione ancora di apparenza quando ci si riferisce al passato e si prendono le distanze dalle responsabilità di chi ci ha preceduto e si pensa che gli errori fatti da loro non possano essere anche i nostri. Occorre un giudizio vero, ma sempre capace di cogliere che anche noi spesso non saremmo stati migliori di chi ci ha preceduto.  

E’ sempre Dio che ci dà la grazia di vivere bene; se fosse solo per noi il mondo sarebbe già caduto in rovina. E’ tipico della nostra ipocrisia far fuori la gente e dopo pochi anni fare loro un monumento. Certo la colpa non è stata nostra, ma di chi ci ha preceduto, ma forse abbiamo ancora lo stesso cuore, la stessa cattiveria, e non siamo disposti a convertirci e così ritornano guerre, ingiustizie, perché non abbiamo il coraggio di imparare la lezione della storia, cambiando il nostro cuore.  

Nessuno si può chiamare fuori dalla storia dell’umanità. importante è capire che dobbiamo sempre seguire Gesù che ci aiuta a costruirne una nuova nel suo amore e nella sua giustizia.

30 Agosto
+Domenico

Ci sentiamo un poco tutti farisei e Gesù ce ne avverte  

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 13-22)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi.
Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso».

Audio della riflessione.

Si sente spesso nel vangelo Gesù che si rivolge a una particolare categoria di connazionali che lo interpellano, lo insidiano, lo disturbano: i farisei. Erano una categoria di persone molto ligie alla legge, molto osservanti, spesso anche esageratamente formali; sostanzialmente però persone che conoscevano bene la Legge di Dio e che si davano da fare per aiutare gli uomini a osservarla. Spesso però si rivolgevano a Gesù presentando il loro lato più negativo: quello di essere ingessatori della religione, legulei, preoccupati della forma a scapito della sostanza, sicuri di se stessi, e per questo incapaci di cogliere la novità che è Gesù.  

E’ un difetto non solo della religione ebraica, ma una tentazione che inquina ogni religione organizzata. Anche noi cristiani di oggi abbiamo una buona dose di fariseismo, quando appunto non ci facciamo più provocare dalla Parola di Dio, ma la carichiamo delle nostre mire, dei nostri modi di pensare, del nostro stesso egoismo.  E noi siamo doppiamente colpevoli, perché abbiamo lo Spirito che difende la persona di Gesù in noi dalle nostre deformazioni comode. 

Ebbene Gesù  affronta i farisei, e noi con loro, con una serie di “guai a voi” da far accapponare la pelle. Guai a voi che predicate bene e razzolate male, guai a voi che fate di tutto per accalappiare persone al vostro modo di pregare e rendere culto a Dio e le schiavizzate ai vostri gusti. Guai a voi che fate da guida, non v’accorgete che siete ciechi e così portate a rovina anche quelli che vi ascoltano. 

Sono rimproveri, guai senza tempo; vanno bene anche oggi sulle nostre vite superficiali, sui nostri attaccamenti alla religione che non hanno niente di fede, ma sono solo tradizioni che fanno comodo a noi, senza anima, che vogliamo mantenere per paura di invecchiare. Vanno bene pensati come diretti anche a noi che magari proprio per non apparire farisei abbiamo abbandonato la religione, ma ne abbiamo costruita un’altra per i nostri comodi. Ci sono alcuni sindaci per esempio che fanno i matrimoni civili in vecchie chiese sconsacrate con tanto di predica e di simbologia liturgica. Questa sarebbe sana laicità o cattiva coscienza che una fede buttata fuori dalla porta entra dalla finestra? Ascoltare i rimproveri di Gesù alla nostra vita ingessata ci fa bene, è speranza di vita pulita e bella, come Lui ce la sa dare! 

Ricordiamo oggi sant’Agostino di Ippona, grande vescovo, convertito a Milano da sant’Ambrogio e grande predicatore della fede in Gesù dopo tutte le sue ricerche filosofiche e religiose e una vita irregolare, aiutato sicuramente dalle preghiere insistenti di sua mamma santa Monica. Sarebbero utile da leggere per la nostra vita di fede il suo libro autobiografico Le confessioni, di cui leggo una sua preghiera  

Tardi ti ho amato, 
bellezza così antica e così nuova, 
tardi ti ho amato. 
Tu eri dentro di me, e io fuori. 
E là ti cercavo. 
Deforme, mi gettavo 
sulle belle forme delle tue creature. 
Tu eri con me, ma io non ero con te. 
Mi tenevano lontano da te 
quelle creature che non esisterebbero 
se non esistessero in te. 
Mi hai chiamato, 
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. 
Hai mandato un baleno, 
e il tuo splendore 
ha dissipato la mia cecità. 
Hai effuso il tuo profumo; 
l’ho aspirato e ora anelo a te. 
Ti ho gustato, 
e ora ho fame e sete di te. 
Mi hai toccato, 
e ora ardo dal desiderio della tua pace. 

28 Agosto
+Domenico