Mi sai amare più di tuo padre e tua madre? 

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,34-11,1)

lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.
Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Audio della riflessione

Ogni giorno noi non possiamo fare a meno di leggere una pagina di vangelo, perché è la buona notizia non solo della giornata, ma della vita nostra e di tutto il mondo. Sappiamo però che le parole di Gesù possono stupirci, disarmarci; non sono parole tanto per dire, non sono osservazioni sradicate da ogni vita, non sono vento che non scuote nemmeno le foglie di un cespuglio, ma sono lo stesso Gesù, Lui è il vangelo, Lui è la Parola di Dio e non c’è Parola di Dio che pronunciata, fatta sentire, ascoltata, ritorni a chi l’ha detta senza operare ciò per cui era stata apposta pronunciata.

E proprio perché sono state mandate, scritte proprio a noi, saranno sempre davanti a noi a interpellarci in una maniera inquietante. “Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me”. Frase pesante, ma in essa Gesù non ha condannato l’amore umano,  lo ha talmente esaltato da farne un segno sensibile del suo amore per gli uomini. Se però smette  di essere segno e strumento, allora diventa un ostacolo. Infatti non pochi hanno trovato nell’amore umano l’impedimento a seguire una vocazione speciale, o a vivere in  pienezza la propria vita cristiana.  Non hanno saputo operare una scelta giusta.

E’ proprio nei piani di Dio che l’amore che lega genitori e figli, l’amore degli sposi tra loro sia normalmente la forza che apre ai valori dello spirito e a un concretissimo amore di Dio nella comune ricerca della sua volontà. E’ necessario però lo sforzo di ognuno per purificare  nella luce di Cristo, il suo amore da ogni scoria di egoismo. Allora noi vogliamo vivere una religiosità  che si concretizzi quotidianamente nell’amore verso i fratelli, desideriamo che la pace sia costruita in ogni nazione e venga abolita qualsiasi forma di schiavitù. I giovani devono essere posti nella condizione di scegliere  Dio e di decidersi per Cristo anche a costo di dover affrontare grandi difficoltà. Allora anche tutta la nostra comunità si apre a diventare missionaria. L’amore al padre e alla madre nella vita potrà diventare un impegno serio, quando non saranno più autosufficienti. Noi sappiamo che l’amore al padre e alla madre è fondamentale ma sappiamo che al di sopra c’è sempre l’amore di Dio e quello dei genitori sarà sempre una lampada, una fiaccola che accompagna i figli all’abbraccio tenerissimo di Dio Padre. 

15 Luglio 2024
+Domenico

Il cristiano è sempre attento testimone coraggioso della sua fede

una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,24-33)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!
Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Audio della riflessione

Non è raro trovare un cristiano che ha paura a testimoniare la sua fede religiosa, il suo credere, il mondo di valori cui si affida, le convinzioni radicate nella sua educazione familiare. E’ un comportamento che si chiama vergogna, latitanza, nascondersi dietro un dito, mancanza di coraggio, anonimato. Questa paura talvolta viene camuffata da dialogo, da ascolto, da umiltà, da libertà massima che deve essere lasciata alle persone Tutte doti vere e necessarie, che vanno sempre però coniugate con una identità forte del cristiano, una identità non prevaricatoria, ma disponibile a offrire quella speranza che ci è stata data e che  non è nostra, una Parola che viene da oltre. La paura cresce poi se si sperimenta il rifiuto

L’invio in missione da parte di Gesù, infatti, non garantisce necessariamente ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo dal fallimento e dalle sofferenze. Per cui essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, come la possibilità e perfino l’inevitabilità della persecuzione. E’ sempre stata storia delle nostre comunità e associazioni quella di far crescere persone disposte fino al martirio a difendere e proporre la nostra fede. Lo è anche oggi nei contesti di intolleranza nei confronti della fede cristiana

Molte ragazze hanno dato la vita per difendere la propria verginità. Del resto un discepolo di Cristo non può che conformare la sua vita a Lui. Qualche momento prima infatti Gesù aveva detto: “Un discepolo non è più grande del maestro, ma è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro.(Mt6,40). Il discepolo deve seguire il modello che è Cristo respinto e perseguitato dagli uomini, che ha conosciuto il rifiuto, l’ostilità, l’abbandono, e la prova più atroce: la croce. La persecuzione non è eventualità remota, ma una possibilità sempre attuale: non esiste missione all’insegna della tranquillità.

Forse per molti di noi il coraggio della fede non ci chiede eroismi, ma di confrontarci con l’indifferenza, con la irrilevanza, con una corrente contro cui si deve andare sempre, ci chiede di essere sempre attaccati alla Parola, di difendere il povero, l’immigrato, il rom, il lavoratore, di offrire riferimenti scomodi, ma roccia su cui si può fondare una crescita.

Non siamo assetati di morte, ma desiderosi di spenderci  sempre per la vita di tutti, mettendo la nostra nella mani di Dio.

13 Luglio 2024
+Domenico

Pecore tra i lupi, ma Gesù è il pastore

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 16-23)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».

Siamo in tempi in cui ancora essere cristiani per molti è questione di vita o di morte. Ancora molti pagano con la loro vita la fede in Gesù che professano. Molti anche di noi nel nostro mondo pagano in indice di gradimento, in posti di lavoro, in possibilità di fare carriera la propria appartenenza alla vita cristiana. Di fronte a chi fa della fede un paravento per far passare tutti i suoi interessi, per giustificare guerre e calcoli commerciali, per fare battaglie elettorali esistono luoghi in questo nostro mondo progredito in cui ai cristiani è chiesta una scelta tra la vita o la fede in Gesù e scelgono Gesù:

Vi mando come pecore in mezzo ai lupi. La forza del male è sempre più agguerrita della forza del bene. Di fronte alla potenza dell’impero romano la parola di Gesù, in quella lontana provincia ai margini dell’impero, delle cose che contano, era del tutto insignificante, ma lungo i secoli ha saputo farsi strada tra gli uomini, ha saputo parlare al cuore e cambiare modi di vita e superare idolatrie e schiavitù.

La vita di Gesù al riguardo è esemplare; se hanno fatto così al maestro, la stessa sarà la sorte di chi lo vuol seguire, ma Gesù mentre offre uno scenario non molto   preoccupatevi di cosa dovrete dire, di come riuscire a difendervi, perché lo Spirito metterà sulla vostra bocca le parole giuste, la difesa imbattibile, la pace insospettabile, la forza impensata.

Prudenti come serpenti, perché occorre applicare tutta la nostra intelligenza e umanità, ma senza affanno, perché Gesù è il nostro pastore. Intelligenti nell’offrire il vangelo e non le nostre fisime o elucubrazioni o i nostri difetti e interessi camuffati, ma sempre nell’intelligenza di Dio, nell’ascolto fedele della sua Parola. Il cristiano deve guardarsi dal complesso del perseguitato perché spesso sono i suoi difetti presi di mira non la sua fede, è il suo cattivo essere cristiano, la sua pratica religiosa ipocrita che è osteggiata non la sua fede in Gesù. Ben vengano queste difficoltà se servono a purificare la fede.  Solo così può rinascere speranza, può essere ridetta con forza la parola che gli uomini aspettano da Dio per la loro salvezza.

Vediamo tra i cristiani molte defezioni e le loro fughe in mondi esoterici, dove forse la libertà personale viene abilmente manipolata. Ci asteniamo da giudizi sommari, o da giudizi comunque. Lasciamoli a Dio. Le tentazioni di cercare altri riferimenti che non siano il vangelo come è portato dalla chiesa nei suoi sacramenti, nella sua autorevolezza, nella guida del suo pastore, il papa, hanno distorto la vita di tante persone lungo la storia. Nessuno ha in tasca la salvezza, tanto meno se la affida al suo ruolo e allo stesso ministero, senza invocarla umilmente sulla propria vita davanti a Dio, nella purificazione della volontà, dell’intelligenza e degli affetti. Nel disegno di Dio questi fatti possono purificare la nostra fede, ci aiutano a cercare sempre la verità con umiltà e ci rendono ancora più responsabili nei confronti della sete di Dio che tanti uomini e donne hanno e invocano da Gesù, il nostro Signore crocifisso e risorto. 

12 Luglio 2024
+Domenico

Il mister è il Maestro: e con gli apostoli fa la sua squadra

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 1-7)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».

Audio della riflessione

Ci sono momenti nella vita delle squadre sportive che puntano tutte su un idolo, un giocatore, entusiasmante, bravo, simpatico. E per lui si scatena la campagna acquisti, in altri momenti invece i giocatori passano in seconda e occorre cercare un bravo allenatore, un ottimo mister che non solo sa farsi obbedire, ma che sa intuire le qualità di tutti e farle mettere a disposizione della vittoria.

Anche Gesù un giorno è alle prese con la sua squadra. Non è l’allenatore, ma di più; non è il mister, ma il maestro; non procede per tentativi, ma per colpi di fiducia; non scarta nessuno e li lancia a uno a uno all’obiettivo di tutti da perseguire con l’originalità di ciascuno. E’ esigente, ma vuole persone libere; sa far domande insistite che ti  destabilizzano (Pietro mi vuoi proprio bene?), ma vuol far crescere sempre nell’umiltà e nell’amore. Se si sbaglia è perché c’è un mistero di libertà che vuol rispettare fino alla fine. E’ Gesù che si fa la sua squadra non va al Regno di Dio mercato, ma prega notti intere e osa: vi farò pescatori di uomini. Li sceglie a uno a uno

La compagnia che Gesù si era scelta non era il meglio che poteva trovare. Nessun allenatore si creerebbe una squadra così diversa, così disomogenea fatta di gente semplice, non colta, nemmeno fedele. Giuda lo tradirà alla grande, Pietro non sarà una roccia di fedeltà, Giovanni è troppo giovane, Natanaele è schietto, ma si fa vincere dal sentito dire… ma Gesù sa di poter contare sulla vita di tutti: in ciascuno è impressa l’immagine di Dio e Gesù da fiducia perché ognuno di loro sappia stanare la grandezza che ha dentro e soprattutto sappia rispettare l’altro per quello che è, accettarne la differenza e assieme, con l’apporto originale di ciascuno, costruire il Regno di Dio.

La vita di ogni comunità cristiana sarà sempre così. Dovrà mettere assieme diversità e doni particolari, culture e idee disparate, abitudini e stili di vita diversi, ritmi e coinvolgimenti di varia intensità. Già in quel gruppo di apostoli si cominciava a delineare la cattolicità della chiesa, la sua grande capacità di scrivere il vangelo in ogni popolo e cultura, accogliendo, purificando, trasformando, soprattutto annunciando il vangelo cui essa deve obbedire in fedeltà assoluta.

Sarà la presenza viva e operante dello Spirito Santo che in tutti cesellerà i lineamenti della figura di Gesù, il suo volto, il suo amore per tutti, la sua fedeltà al Padre. Ogni discepolo pur diverso è imitatore del maestro. Tutti imiteranno Gesù nel donare la vita fino al sangue, in regioni diverse, in contesti diversi, ma tutti per quel Gesù che aveva riempito la loro vita di pescatori e peccatori.

10 Luglio 2024
+Domenico

Festa di San Barnaba

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 7-13)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».

Audio della riflessione

Oggi riflettiamo sulla figura di san Barnaba, che ha realizzato nella sua vita alla lettera il brano di Vangelo di oggi, che invita ogni annunciatore del Regno di Dio di offrire gratuitamente e con coraggio la propria vita intera per testimoniare Gesù.

Uno dei termini che ricorrono più volte negli Atti degli Apostoli, che descrivono la chiesa primitiva dei primi tempi dopo la morte e risurrezione di Gesù Cristo, è il termine franchezza, una parola che ricorre spesso quando si parla di primi cristiani, un po’ meno quando si parla di noi cristiani del 2000. In greco si dice “parresia”, per noi significa coraggio, forza, decisione, dinamicità, franchezza, radicalità…, metterci la faccia, resistere, affrontare, guardare in faccia le situazioni, prenderle di petto, sapersi sacrificare… E vorremmo essere tutti così.

Invece noi ci specializziamo nel contrario, cioè paura, rispetto umano, compromesso, debolezza, nascondersi, mimetizzarsi, scantonare, far finta di niente, cedere, adattarsi, usare verbi al condizionale, infarcire il discorso e la vita di tanti “se” e tanti “ma”, attutire le frasi forti, optare per la mediocrità. 

Ma sia ben chiaro che non siamo chiamati ad essere talebani, fondamentalisti, violenti, gente che conosce solo imposizione, costrizione, togliere libertà, stressare, fare ricatti…

È l’esperienza e la forza tipica che gli apostoli si trovano regalata da Dio e accolta con radicalità dopo la risurrezione, o meglio, dopo la discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo a Pentecoste.

Parlano con franchezza gli apostoli che, dopo aver ricevuto umiliazioni e torture, sono lieti di averle subite nel nome di Gesù; ha questa franchezza san Paolo di fronte ai puri della fede d’Israele; riprende coraggio Pietro, dopo che era bastata una serva nel pretorio per demolire tutta la sua boria, che scambiava per fede in Gesù. È storia di coraggio e franchezza quella di Stefano che affronta la lapidazione per dire alto il nome di Gesù, come Signore. È coraggio quello di Giacomo che affronta il martirio a Gerusalemme, ancora prima che la comunità degli apostoli si disperda.

È franchezza quella di un altro personaggio poco noto della prima comunità cristiana, ma molto amato, e patrono di tante comunità cristiane: Barnaba, uno che infonde coraggio, come significa il nome. Era talmente entusiasta della vita, capacedi compagnia, convinto di quel che viveva, attento alle cose belle nell’esistenza, che gli amici l’avevano soprannominato così, nonostante si chiamasse Giuseppe, un nome di tutto rispetto e significato.

Con lui non potevi stare col morale ai tacchi, non potevi lasciarti andare alla lagna, al rimpianto: dovevi riprenderti, ritentare, osare. Avere coraggio nella vita è non lasciare dire l’ultima parola su di te a nessuno. Vuol dire convivere col rischio e l’incertezza, decidere di vivere sul trapezio della vita senza rete di protezione.

Avere un animo giovanile che guarda più al futuro che al passato, che affida la riuscita nella vita più ad una fionda che a un’armatura, come Davide contro Golia.

Avere coraggio è farsi conquistare dal discorso della montagna, avere quella marcia in più che una fiducia assoluta in Dio, ti dà.

Avere coraggio è aver dentro un fuoco che vuoi che bruci tutte le incertezze che ti tarpano le ali.

Avere coraggio della fede è sapersi amati da Dio senza riserve e sapere di avere la sua forza per affrontare l’esistenza.

Avere coraggio è essere contenti di vivere per un ideale e portarlo a tutti, farlo cantare nella tua vita perché diventi forza per tutti.

Ebbene Barnaba era fatto così.

Decide subito: ha un campo, un legame concretoe solido, un’àncora per la sua vita; un ebreo prima di rinunciare a un campo si faceva passare un esercito sul suo corpo: va, lo vende e pone il ricavato a disposizione. Non ha mezze misure. Mette in pratica alla lettera le parole di Gesù. Non si ritira triste nella sua tana, nella sua bellissima compagnia, coi suoi soldi, i suoi amici, il suo computer, i suoi CD, le sue notti brave, il suo sballo; parte deciso con i classici elementi di stile di ogni credente:

  • la gratuità: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
  • la libertà da pesantezze e da organizzazioni, da fasciature e da sentimenti intriganti; ha sentito Gesù dire: lascia che i morti seppelliscano i morti, io non ho tana, né nido come gli animali e gli uccelli, se mi vuoi seguire devi avere un animo libero
  • la fiducia in chi incontra: ogni uomo e donna che gli si para davanti è sempre un messaggio di Dio, un dono da accogliere piuttosto che una persona da convertire.
  • gli occhi fissi su Gesù, la speranza che non delude, la contemplazione della verità che fonda ogni libertà.

È tale il coraggio di vivere che con Paolo diffonde, che ad Antiochia per la prima volta, chi segue questa ventata di aria fresca viene chiamato Cristiano.

C’è sempre una prima volta e c’è sempre, dietro, uno che dà coraggio: o Barnaba o qualsiasi cristiano che ci crede.

11 Giugno 2024
+Domenico

Vivere e morire da cristiani

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,16-23)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione

La figura di Santo Stefano oggi ci permette di ritrovare la forza della nostra fede e motivi profondi, veri, rinnovati per vivere da cristiani. C’è una differenza tra la vita e la morte di un cristiano e la vita e la morte di un non credente? Un vecchio testo dei primi secoli della chiesa dice: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio né per lingua o abiti. Essi non abitano in città proprie né parlano un linguaggio inusitato; la vita che conducono non ha nulla di strano… Abitano nelle città greche o barbare, come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di vita… Abitano nella propria patria, ma come stranieri… Ogni terra straniera è loro patria e ogni patria è terra straniera… Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi…”. 

Abbiamo allora un nostro sistema di vita. È quello che ha incarnato Santo Stefano. Era in atto durante la sua breve vita un grande cambiamento nella sua società. Si stava facendo chiaro nella coscienza di tutti che bisognava cambiare modo di credere in Dio e modo di viverne la legge. Non era più il tempio dove si sacrificavano animali il centro della fede, ma la dolcissima figura di Gesù, il suo modo di vivere, i suoi insegnamenti. E Stefano si decide per questa scelta e fa di tutto per trascinarvi la gente, gli amici, il popolo. Vi si mette al servizio. Un servizio per la vita quotidiana, ma soprattutto un servizio per la vita piena, eterna, fatta di fede in Gesù di Nazareth. 

È una scelta che destabilizza le sicurezze a buon mercato del: “abbiamo sempre fatto così”; mette in campo sentimenti di bontà che sembrano codardia: se uno ti percuote su una guancia, porgi l’altra. È troppo facile perdonarsi tra amici che fanno uno sgarbo, occorre perdonare i nemici… Insomma, un nuovo stile di vita. Il vostro tesoro è nei cieli. Chi ama la propria vita la perde. Chi vuol venire dietro a me prenda ogni giorno la sua croce e mi segua… 

E Stefano si pone in questa nuova mentalità. L’averlo scelto come primo santo dopo il Natale significa che la Chiesa, i fedeli i nostri avi, hanno visto in questo santo una indicazione di vita, una freccia che indica come costruire i nostri stili di vita. Noi vogliamo essere gente decisa per la fede come lo è stato S. Stefano, gente che è capace di pagare con la vita ciò in cui crede, gente che sa perdonare le offese, gente che crede fermamente nella vita futura, nella risurrezione, gente che vede i cieli aperti, e che ha coraggio di professare la sua fede. 

Noi siamo convinti che c’è una vita futura, che Dio ci attende nel suo amore, che la nostra vita non va verso il niente, ma verso la pienezza, la morte non è l’ultima parola sui nostri affetti e sui nostri sogni, sui nostri dolori e sulle nostre fatiche; siamo convinti che c’è un cielo, un paradiso, un giudizio sulla nostra vita. Non siamo buttati a caso in questo mondo, ma siamo oggetti di un grande amore. 

Questo noi ci vogliamo dire anche oggi e questo vogliamo ottenere pregando da Santo Stefano. Certo i tempi sono difficili. I nostri figli non ci seguono più, il mondo è imbarbarito, chi vive da cristiano è disprezzato, i nostri ragazzi hanno vergogna ad andare in chiesa… Che adulti hanno alle spalle? Siamo gente che dice, ma che non crede o gente che sa pregare e affidarsi all’amore di Dio? Crediamo di essere autosufficienti nella vita o abbiamo fiducia di stare a cuore a un Dio che ci accoglie sempre nelle sue braccia? Sappiamo mettere davanti a tutto la coscienza retta o i risultati a qualsiasi costo? 

Questi nostri figli vedono dei genitori che credono o adulti stanchi che fanno della religione una vecchia abitudine? Ai genitori costa essere cristiani sempre e dovunque o comanda la legge del mercato, prendo quello che mi serve? 

La festa di Santo Stefano deve assolutamente richiamarci le nostre radici, deve aiutarci ad andare in profondità nella nostra coscienza per rigenerare la nostra fede. Certo per fare questo occorre tornare a Dio, occorre tornare a scuola della sua parola, occorre prendere in mano il vangelo e farlo diventare scuola di vita, occorre che ogni laico, ogni papà e mamma non aspetti solo dal prete qualche raro invito ad andare in chiesa.  

È finita la religione che consiste solo nell’andare in chiesa, quando suona la campana. Ogni cristiano è chiamato a vivere nel mondo la sua fede e deve aiutarsi con gli altri cristiani a vivere e approfondire le ragioni del suo credere.  

Non siamo in tempo di persecuzioni come paventa il vangelo per i primi cristiani e come lo è poi stato, ma siamo in una persecuzione più strisciante, fatta coi guanti bianchi, ma che ottiene lo stesso effetto, ci toglie dal cuore la fede.  

Santo Stefano ci dia la forza di un colpo di reni, di una impennata di grinta per noi e per le generazioni future. 

26 Dicembre
+Domenico

La vera pace non è incapacità di cercare la verità

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,34-11,1)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.
Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». 
Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Audio della riflessione.

È giusto che nel continuo susseguirsi di modelli di vita, di nuove sfide da affrontare, di situazioni universali di tensione, di conflitti insuperabili abbiamo a cercare un punto di vista, un riferimento alto per trovarne risposta. Una prima frase di Gesù sul tema della pace e della violenza ci sorprende non poco: E allora, “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.” Vuol dire allora che viviamo in una conflittualità non episodica, è come se fossimo proprio definitivamente scartati, assolutamente incapaci di aprire una finestra di speranza?  

Questa affermazione non significa assolutamente che Gesù stesse a favore della guerra e delle armi divisione. Gesù non vuole né la spada, né la divisione. Vuole l’unione di tutti nella verità. In quel tempo, l’annuncio della verità che lui, Gesù di Nazaret, era il Messia divenne motivo di molta divisione tra i giudei. Nella stessa famiglia o comunità, alcuni erano a favore ed altri radicalmente contro e Gesù non era un esaltato, era un segno di contraddizione, e si rendeva conto che di fronte a Lui occorreva fare una scelta impopolare e Lui stesso ne sarebbe stata la prima vittima, non certo il primo kamikaze. Era ciò che stava succedendo, infatti, nelle famiglie e nelle comunità: molta divisione, molta discussione, conseguenza dell’annuncio della Buona Novella tra i giudei di quel tempo, perché alcuni accettavano, altri negavano.  

Oggi succede la stessa cosa. Molte volte, lì dove la Chiesa si rinnova, l’appello della Buona Novella diventa ‘segno di contraddizione’ e di divisione. Persone che per anni sono vissute comode nella routine della loro vita cristiana, si sentono disturbate dall’invito di papa Francesco a uscire, a vedere Gesù nel povero, nel bisognoso, nell’oppresso dalla guerra e dalla fame e non vogliono lasciarsi scomodare da questo nuovo stile che non è nient’altro che lo stile di Gesù.  

Scomodate dai mutamenti, usano tutta la loro intelligenza per trovare argomenti in difesa delle loro opinioni e per condannare i mutamenti considerandoli contrari a ciò che loro pensano essere la vera fede. Sappiamo che il criterio fondamentale su cui Gesù insiste sempre è questo: la Buona Novella di Dio deve essere il valore supremo della nostra vita. Non ci può essere nella vita un valore più grande. La ristrettezza delle nostre piccole vedute non è secondo il vangelo e non devono provocare divisioni, ma adesione alla verità che è Gesù. 

17 Luglio
+Domenico

Vi riconoscerò davanti a Dio, Padre mio e vostro

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,24-33)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!
Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Audio della riflessione.

Non è raro trovare un cristiano che ha paura a testimoniare la sua fede religiosa, il suo credere, il mondo di valori cui si affida, le convinzioni radicate nella sua educazione familiare. È un comportamento che si chiama vergogna, latitanza, nascondersi dietro un dito, mancanza di coraggio, anonimato. Questa paura talvolta viene camuffata da dialogo, da ascolto, da umiltà, da libertà massima che deve essere lasciata alle persone che ti ascoltano. Tutte doti vere e necessarie, che vanno sempre però coniugate con una identità forte del cristiano, una identità non prevaricatoria, ma disponibile a offrire quella speranza che ci è stata data e che non è nostra, una Parola che viene da oltre. La paura cresce poi se si sperimenta il rifiuto 

L’invio in missione da parte di Gesù, infatti, non garantisce necessariamente ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo dal fallimento e dalle sofferenze. Per cui essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, come la possibilità e perfino l’inevitabilità della persecuzione. È sempre stata storia delle nostre comunità e associazioni quella di far crescere persone disposte fino al martirio a difendere e proporre la nostra fede. Lo è anche oggi nei contesti di intolleranza nei confronti della fede cristiana 

Molte ragazze hanno dato la vita per difendere la propria verginità. Del resto, un discepolo di Cristo non può che conformare la sua vita a Lui. Qualche momento prima, infatti, Gesù aveva detto: “Un discepolo non è più grande del maestro, ma è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro. (Mt 6,40). Il discepolo deve seguire il modello che è Cristo respinto e perseguitato dagli uomini, che ha conosciuto il rifiuto, l’ostilità, l’abbandono, e la prova più atroce: la croce. La persecuzione non è eventualità remota, ma una possibilità sempre attuale: non esiste missione all’insegna della tranquillità.  

Forse per molti di noi il coraggio della fede non ci chiede eroismi, ma di confrontarci con l’indifferenza, con la irrilevanza, con una corrente contro cui si deve andare sempre, ci chiede di essere sempre attaccati alla Parola, di difendere il povero, l’immigrato, il rom, il lavoratore, di offrire riferimenti scomodi, ma roccia su cui si può fondare una crescita.  

Non siamo assetati di morte, ma desiderosi di spenderci sempre per la vita di  tutti, mettendo la nostra nelle mani di Dio. 

15 Luglio
+Domenico

Non siete soli, io sono con voi

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,16-23)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: 
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. 
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. 
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione.

Siamo in tempi in cui ancora essere cristiani per molti è questione di vita o di morte. Ancora molti pagano con la loro vita la fede in Gesù che professano. Molti anche di noi nel nostro mondo pagano in indice di gradimento, in posti di lavoro, in possibilità di fare carriera la propria appartenenza alla vita cristiana. Di fronte a chi fa della fede un paravento per far passare tutti i suoi interessi, per giustificare guerre e calcoli commerciali, per fare battaglie elettorali esistono luoghi in questo nostro mondo progredito in cui ai cristiani è chiesta una scelta tra la vita o la fede in Gesù e scelgono Gesù: 

Vi mando come pecore in mezzo ai lupi. La forza del male è sempre più agguerrita della forza del bene. Di fronte alla potenza dell’Impero Romano la parola di Gesù, in quella lontana provincia ai margini dell’impero, delle cose che contano, era del tutto insignificante, ma lungo i secoli ha saputo farsi strada tra gli uomini, ha saputo parlare al cuore e cambiare modi di vita e superare idolatrie e schiavitù.  

La vita di Gesù al riguardo è esemplare; se hanno fatto così al maestro, la stessa sarà la sorte di chi lo vuol seguire, ma Gesù mentre offre uno scenario non molto attrattivo per gli uomini garantisce anche la forza. Non siete soli, io sono con voi, non preoccupatevi di cosa dovrete dire, di come riuscire a difendervi, perché lo Spirito metterà sulla vostra bocca le parole giuste, la difesa imbattibile, la pace insospettabile, la forza impensata. 

Prudenti come serpenti, perché occorre applicare tutta la nostra intelligenza e umanità, ma senza affanno, perché Gesù è il nostro pastore. Intelligenti nell’offrire il vangelo e non le nostre fisime o elucubrazioni o i nostri difetti e interessi camuffati, ma sempre nell’intelligenza di Dio, nell’ascolto fedele della sua Parola. Il cristiano deve guardarsi dal complesso del perseguitato perché spesso sono i suoi difetti presi di mira non la sua fede, è il suo cattivo essere cristiano, la sua pratica religiosa ipocrita che è osteggiata non la sua fede in Gesù. Ben vengano queste difficoltà se servono a purificare la fede.   

  Solo così può rinascere speranza, può essere ridetta con forza la parola che gli uomini aspettano da Dio per la loro salvezza. 

14 Luglio
+Domenico

E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,7-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città».

Audio della riflessione.

Le nostre giornate spesso sono popolate di messaggi di dolore; le disgrazie fanno subito il giro del vicinato, degli amici, sono proposte con maggior larghezza dai giornali. Sembra ci sia una sorta di soddisfazione per dirci il dolore e la tragedia, molto meno per darci notizie belle.  

Per le strade della Palestina invece Gesù voleva che corressero notizie belle, soprattutto la buona notizia, il vangelo, la speranza per tutti, la certezza che Dio si interessa degli uomini e che è disposto a tutto l’amore possibile per ridare all’uomo la serenità e la fiducia nella vita. Li mandò a due a due senza altra preoccupazione che di dire, di parlare, di testimoniare, di far capire che nella vita Lui è la svolta necessaria per un mondo nuovo e che ogni uomo è messo in condizioni di dare sapore all’esistenza, di offrire speranza a tutti. 

Siamo tutti un dono di Dio all’umanità e non solo a noi stessi, abbiamo carica di amore sufficiente a salvare il mondo, invece pensiamo di farne calcoli, egoismi, interessi privati. Siamo sale che dà gusto, ma spesso lo perdiamo anche per noi. Quello che abbiamo è tutto ricevuto. Anche là dove ti sembra di avercela sempre messa tutta, dove ti pare di avere fatto miracoli, devi sapere che è Dio che sta alla sorgente di tutto, è Lui che ti ha dato un cuore, una bocca, una vita da mettere a disposizione. Abbiamo avuto gratis e non possiamo offrire a pagamento.  

Il pagamento è di vario genere; può essere togliere la libertà di decisione, come fanno tanti genitori nei confronti della scelta definitiva dei loro figli. Può essere una strumentalizzazione ai nostri interessi fatta con i guanti bianchi; può essere un ricatto affettivo. È sicuramente la nostra pretesa di giudicare le persone, di condannare, di crederci migliori. Gesù inviò i suoi discepoli per le strade della Palestina per seminare speranza, per dare coraggio a chi soffriva.  

È ancora la nostra vocazione di cristiani per le strade del mondo di oggi, nelle nuove e vecchie povertà, nel desiderio di spiritualità e di vangelo che molti uomini esprimono, nel disorientamento di tanti giovani di fronte ai valori della vita. Tocca a noi offrire il vangelo per il Regno, per dire a tutti che Dio è un Padre che ci vuole bene. 

13 Luglio
+Domenico