Per essere capaci di perdono occorre riconoscere che siamo perdonati da Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Audio della riflessione.

Ci rappresenta un po’ tutti quella parabola che narra di quel servitore perdonato alla grande dal suo creditore, che fa lo strozzino con un suo debitore che in confronto gli deve solo quattro miseri spiccioli. Vagonate di oro era il suo debito, pochi soldi il suo credito. Questa è la nostra fotografia di fronte a Dio. Il nostro debito verso di Lui è senza misura e Lui se lo carica sulle spalle e ce lo cancella. Siamo stati perdonati, ma non abbiamo ancora capito che cosa è il perdono, non lo abbiamo ancora accolto, ci è rimasta dentro una mentalità da schiavo, calchiamo sempre con i nostri passi il perimetro della prigione che ci siamo fatti allontanandoci da Dio. Siamo abituati a vivere in una pozzanghera e non sappiamo renderci conto del mare aperto. Giochiamo ancora con le barchette di carta. 

Chi ci permette di accettare la pienezza del perdono è lo Spirito. Dio ci fa liberi, noi a mala pena ci sentiamo liberati, abbiamo ancora addosso tutta la fasciatura del male, tutta la nostra mentalità da galeotti, da gente che deve sfruttare le occasioni, deve calcolare, deve farsi rincrescere la bontà. Siamo ancora ammalati di delirio di onnipotenza, il modello di ragionamento non è affatto cambiato. Quello che lo strozzino descritto nel vangelo fa al suo debitore è ancora legato al suo falso “ti restituirò tutto” detto al padrone, a Dio, una falsità consapevole, con la pretesa di imbrogliare il Signore, che è tanto buono da far finta di niente, sapendo che purtroppo si sta rovinando con le sue stesse falsità. 

Il suo comportamento con il suo piccolo debitore è evidentemente crudele, ma è più sottile e infido di quanto pensiamo. Ha considerato il condono ottenuto, una sua furbizia, un suo merito dovuto alla sua richiesta e non assolutamente un invito a cambiare il suo cuore. Crede di essere lui il salvatore, ma non ha ancora capito di essere un salvato, un comprensivo e non ha capito di essere un perdonato, uno che accoglie e non ha capito di essere stato accolto, un giusto e non ha capito di essere stato giustificato, uno che può esprimere amore, ma non ha capito che è stato tanto amato. Ma salvatore, comprensivo, accogliente, giusto, amabile è Dio, non Lui. Non ci passa nemmeno per la testa che queste qualità devono essere d’ora in avanti le nostre, che il dono più grande del perdono è il cambiamento del cuore. 

Proprio per questo il perdono di Dio è legato al nostro perdonare, è quel gesto di Dio che è legato indissolubilmente alla nostra libertà; Dio non riesce a perdonare se nella nostra libertà non ci lasciamo cambiare dal suo perdono. Il perdono torna indietro. 

Toccherà ancora a Dio riprenderci perché Lui non ci abbandona mai.

17 Settembre
+Domenico

Non capiremo mai abbastanza di essere dei perdonati

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-19.1)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano.

Audio della riflessione.

Ci rappresenta un po’ tutti questa parabola che narra di quel servitore perdonato alla grande dal suo creditore, che fa lo strozzino con un suo debitore che in confronto gli deve solo quattro miseri spiccioli. Vagonate di oro era il suo debito, pochi soldi il suo credito. Questa è la nostra fotografia di fronte a Dio. Il nostro debito verso di Lui è senza misura e Lui se lo carica sulle spalle e ce lo cancella. Se lo porta sulla croce, ne soffre, ma ce ne libera definitivamente.  

Siamo stati perdonati, ma non abbiamo ancora capito che cosa è il perdono, non lo abbiamo ancora accolto, ci è rimasta dentro una mentalità da schiavo, calchiamo sempre con i nostri passi il perimetro della prigione che ci siamo fatti allontanandoci da Dio. Siamo abituati a vivere in una pozzanghera e non sappiamo renderci conto del mare aperto. Giochiamo ancora con le barchette di carta.   

Chi ci permette di accettare la pienezza del perdono è lo Spirito. Dio ci fa liberi, noi a mala pena ci sentiamo liberati, abbiamo ancora addosso tutta la fasciatura del male, tutta la nostra mentalità da galeotti, da gente che deve sfruttare le occasioni, deve calcolare, deve farsi rincrescere la bontà. Siamo ancora ammalati di delirio di onnipotenza, il modello di ragionamento non è affatto cambiato. Quello che lo strozzino descritto nel vangelo fa al suo debitore è ancora legato al suo insincero e volutamente ingannatore: “ti restituirò tutto”.  

Il suo comportamento è evidentemente crudele, ma è più sottile e infido di quanto pensiamo. Crede di essere già un salvatore, ma non ha ancora capito di essere un salvato, un comprensivo e non ha capito di essere un perdonato, uno che accoglie e non ha capito di essere stato accolto, un giusto e non ha capito di essere stato giustificato, uno che può esprimere amore, ma non ha capito che è stato tanto amato. Ma salvatore, comprensivo, accogliente, giusto, amabile è Dio, non lui. Non ci passa nemmeno per la testa che queste qualità devono essere d’ora in avanti le nostre, che il dono più grande del perdono è il cambiamento del cuore. 

Proprio per questo il perdono di Dio è legato al nostro perdonare, è quel gesto di Dio che è legato indissolubilmente alla nostra libertà; Dio non riesce a perdonare se nella nostra libertà non ci lasciamo cambiare dal suo perdono. Il perdono torna indietro. Toccherà ancora a Dio riprenderci perché Lui non ci abbandona mai. 

17 Agosto
+Domenico

Siamo devoti di san Rocco e vogliamo tenere viva la fede in Gesù in ogni epidemia 

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Audio della riflessione.

Nessuno può scordare per la sua vita e per la vita dell’umanità l’epidemia in cui siamo stati sommersi per almeno due o tre lunghi anni; nessuno può minimizzare il grande impegno dei medici, degli operatori sanitari e sociali e nessuno può lavarsi le mani dagli sciacalli che la nostra società opulenta, predatrice, fa nascere dai suoi egoismi inveterati. 

E’ guardando invece a san Rocco che osiamo sperare in una conversione e in una nuova mentalità nei confronti della natura, degli altri e dello stesso Dio. San Rocco, dentro epidemie ancora più virulente e devastatrici di quelle odierne, cristiano convinto, deciso, capace di mettere al centro delle sue cure anche la sua vita spirituale, non è stato a bilanciare vantaggi e  svantaggi, pericoli e fortune, devozioni alle tombe degli Apostoli a Roma  e morti che continuamente incontrava sulla strada del suo pellegrinare. Si è messo immediatamente a servizio del sofferente, povero o ricco, giusto o malvagio, strafottente o condiscendente, il povero insomma che incontrava mezzo morto nel suo cammino e così si fermò, cambiò direzione, sensibilizzò il giro dei sani per recare sollievo ai colpiti dall’epidemia. Fu tale la sua opera e tanto pericolosa l’epidemia dei suoi tempi, da renderlo la mano di Dio in soccorso per tutta la sua vita dei malati di lebbra e di ogni altra malattia contagiosa 

Non era medico, ma portava ai malati l’affetto di un uomo, la forza di un lavoratore che presta mani e piedi a chi purtroppo nemmeno si può muovere, e portava anche tanta misericordia, la misericordia di un Dio che  nei giorni del dolore spalancava le porte di tutti i conventi per favorire un incontro di ogni frate con le donne e gli uomini tormentati dalle epidemie, perchè non perdessero mai la speranza. Invocava per tutti la misericordia di Dio, aiutava gli uomini ad abbassare la testa del loro smisurato orgoglio, convinceva i poveri a non perdere la speranza, aiutava i fragili a mettere assieme le forze e le preghiere, faceva risuonare nelle strade del lutto il canto di speranza che era forse allora anche solo il miserere, il Signore pietà, convinto che dietro ogni morte non c’era soprattutto il caso o la sfortuna, ma precise colpe dell’umanità, come per noi c’è la responsabilità di aver distrutto la bontà del creato per la nostra cupidigia e smania di potere.. Aiutava a sognare un mondo nuovo e diverso.  

Rocco metteva assieme le forze disponibili, una sorta di task force per i  momenti più impossibili e gravi. Convinto che era Dio come sempre a guidare la storia convertiva gli strafottenti al servizio di Dio nei poveri abbandonati a se stessi. Noi oggi che ci ispiriamo ancora a lui ci sentiamo ancora maggiormente impegnati come credenti a metterci a disposizione dei bisogni spirituali, morali e curativi di tutti e soprattutto delle vittime di ogni isolamento, di ogni . 

Noi oggi  ricordiamo san Rocco,  celebriamo la sua santità che lo rese famoso e che inondò tutto il mondo cattolico allora conosciuto, ma troppo poco riandiamo alla sua vita del tutto normale, semplice, attenta al prossimo e radicata nel Signore. Rocco si accompagnava ai poveri pellegrini, che ansimando raggiungevano Roma per incontrarsi col perdono di Dio. Era diventato loro amico, ancor prima di giungere lui stesso alla meta, anzi mettendo la meta in secondo piano rispetto a una amicizia di compassione e di solidarietà. Aveva capito che la prima povertà per un pellegrino era bisogno di amicizia, un antidoto all’assenza di punti di riferimento, e all’insopprimibile desiderio di essere capiti e aiutati senza essere giudicati e demoralizzati. Per questo mentre curava le piaghe dei pellegrini e li nutriva faceva loro sperimentare la compagnia di Dio. Oggi, l’aumento delle povertà spirituali, può diventare aumento di relazioni spirituali. Papa Francesco ci dice che la santità non è frutto dell’isolamento. «Nessuno si salva da solo. Rocco ha saputo mettere a disposizione dei poveri, compagnia di vita, conforto nella malattia e affidamento filiale a Dio. 

16 Agosto
+Domenico

Il nostro debito immane nei confronti di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”.  Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Audio della riflessione

Il debito verso Dio di ognuno di noi peccatori è enorme; l’uomo della parabola del vangelo gli doveva 10.000 talenti. Un talento valeva dai 34 ai 35 kg di oro. Siamo nell’ordine di 350 tonnellate di metallo prezioso. Una colonna di 350 furgoni lunga 3 Km. Un debito impossibile da pagare. Ma è sempre ancora una pallida idea di quello che Dio ci ha dato. Abbiamo bisogno ogni tanto di riflettere sui doni incalcolabili di Dio, gratuiti, che Lui ci ha donato, ma che diventano debiti perché ne facciamo scempio o li usiamo per rivoltarci contro di Lui. Sono i furgoni del nostro tesoro che va restituito al Creatore, che devono trovare la strada verso la sorgente e non verso la dispersione o la distruzione. 
La vita. È un bene senza prezzo. Quante persone avrebbero dato tutto per vivere un secondo in più. Quante persone avrebbero dovuto essere morte invece sono sopravvissute a tutte le malattie e a tutti gli attentati. La vita è sempre dono di Dio. Riflettere su come la valorizziamo, la accogliamo, la custodiamo, la trattiamo, è sempre il primo grande compito che abbiamo nei confronti di Dio  
Il creato, la terra, il sole, la natura, sono il grande contesto in cui possiamo godere la vita, un bene prezioso che spesso è sull’orlo della distruzione per le guerre, è un patrimonio che viene distrutto e inquinato. La creazione è la dote che Dio ci mette a disposizione nel patto d’amore che stabilisce con noi e spesso noi la dilapidiamo stupidamente  
La sessualità: ci ha fatto uomini e donne, ha messo nella intelligenza, nella vita, nella conformazione del corpo, nei pensieri, nelle aspirazioni, negli istinti, il desiderio di incontro, di dialogo, la voglia di stare assieme, la luce che si accende negli occhi, quando ci si vede, la tensione, la ricerca della bellezza, i pensieri inquieti, l’attesa, la musica per esprimere, la poesia per avere parole, tutte insufficienti per dare voce ai sentimenti, alle emozioni, la capacità di generare vita. E noi l’abbiamo avvelenata e deturpata alla grande la nostra sessualità 
La giovinezza: sono gli anni della ricerca, della tensione verso ideali alti; la giovinezza è il tempo di una visione pulita della vita, dell’entusiasmo, dello slancio, della leggerezza rispetto al passato che è di altri; spesso invece è l’età della noia, dello spreco, della cattiveria senza motivo, della distrazione e della superficialità 
Mettiamo su questi 350 furgoni tutto quello che abbiamo ricevuto da Dio 
C’è il furgone della salute, della intelligenza, dell’amore, della capacità di lavoro, del benessere, della pace, della dignità. Questa colonna di furgoni l’abbiamo sequestrata, l’abbiamo fatta deviare nei nostri territori e ne abbiamo fatto scempio. Dio ci perdoni, perché non sappiamo come riconsegnare questi doni o essergliene grati. 

14 Marzo
+Domenico

Mi sono perso e Gesù non riesce a chiudere la giornata se non mi trova

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 12-14)

lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».

Audio della riflessione

Sono tanti i ritratti che vorremmo farci di Gesù: è tanto il desiderio di farcene una immagine, di sentircelo evidente agli occhi, al cuore, alla vita che non smetteremo mai di immaginarcelo.

Non siamo così fortunati come Veronica, la donna che nella tradizione s’è visto regalato il volto di Gesù su quella pezza di lino, ma abbiamo lo Spirito che delinea in noi i tratti dell’umanità di Gesù … e questa umanità si fa sempre più evidente anche alla nostra sensibilità se riusciamo attraverso le immagini del Vangelo a rendercelo concreto alla mente, al cuore e agli occhi.

Una delle immagini più frequenti è quella del pastore: il pastore s’accorge della pecora che manca; le conta a una a una, non ha però criterio quantitativo, ma personale; non pensa all’efficienza, alla percentuale, ma alla relazione; non si lascia incantare dalla massa anonima, ma stabilisce un rapporto a tu per tu.

Nella sua conta Lui vede che la pecora non c’è: gli manca troppo, non riesce a chiudere la giornata, non dice: “chi c’è, c’è. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare, adesso tocca a lui”. Riprende la strada, il tratturo che ha percorso faticosamente nella giornata, è pronto a ricominciare la ricerca: è l’amante del Cantico dei cantici che cerca il suo amato, innamorato persa che gira a chiedere a tutti se hanno visto il suo amore. E’ il padre del figlio scapestrato e del figlio troppo per bene: lo vede da lontano, è su quella lunghezza che ha consumato la vista ogni giorno, lo vede dal punto più alto dell’abbaino della casa: era lì che consumava la sua vecchiaia, la sua ansia e dava sfogo al suo amore.

Dice sempre la Parola di Dio, narrando di un consiglio di famiglia piuttosto decisivo: chi manderò io e chi andrà per me? Eccomi manda me.

Chi si metterà a far capire a questi uomini che abbiamo fatto a nostra immagine che s’allontanano dalla bellezza, dalla felicità, dalla gioia, che si fanno imbrogliare? Eccomi manda me … e Gesù si fa uomo.

Il pastore che cerca la pecora smarrita è sempre Lui, e lo è da sempre.

“se gli riesce di trovarla”: non è certo che possa incontrare la pecora, o meglio, la ritroverà, ma non è detto che quella accetti di essere riportata nel calore della sua casa.

Noi invece vogliamo vivere l’Avvento e siamo in attesa che questo incontro si compia e superi ogni nostra attesa.

6 Dicembre 2022
+Domenico

Il Signore ha un modello nuovo di giustizia per l’umanità

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-19,1)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano.

Audio della riflessione

A ciascuna persona piace, ed è una esigenza forte, quella di essere trattato con giustizia. Sono tanti i soprusi cui il debole è soggetto, tante le situazioni in cui non puoi difenderti da torti subiti che desideri con forza per te e per gli amici di essere riconosciuti nella propria unicità, personalità, individualità. Ed è giusto che chi sbaglia paghi. La giustizia del Figlio di Dio, di Gesù invece è una giustizia superiore, propria di chi ama, che è in debito verso tutti: all’avversario deve la riconciliazione, al piccolo l’accoglienza, allo smarrito la possibilità di trovare il senso perduto, al colpevole un aiuto con la correzione, al debitore sommerso dai suoi debiti, la possibilità di un condono. E’ una giustizia che introduce una grande disparità, che si chiama misericordia, dono e perdono. Il male che faccio è l’occasione che, facendomi sentire perdonato di più, mi farà amare di più il Signore e il male che subisco è l’opportunità di amare di più i fratelli. Il perdono che ricevo e che accordo è il respiro di Dio. Il perdono è il cuore della vita cristiana, mi rende figlio  del Padre e fratello dei miei simili. Un amore che non perdona non è amore.

Fa proprio pena questo ricco sfondato che è vissuto di debiti, 10.000 talenti sono tonnellate di oro; finge di poter ripagare, ma non sa che vuol dire essere perdonato. Noi siamo questo ricco sfondato, questa persona che alla leggera accoglie il grande perdono di Dio, si crede furbo solo e fortunato solo lui e continua a indebitarsi verso Dio, non perdonando al prossimo. Se pensiamo a quanto ci ha dato Dio: la vita, la salute, l’aria che respiriamo, il creato in cui viviamo, la luce e il calore della esperienza di umanità condivisa… Sono una pallida idea delle vagonate di oro che Dio ci ha regalato di fronte a quei miseri centesimi che possiamo aver speso per il prossimo e che non siamo capaci di perdonare per condonare.

Il bisogno del perdono cristiano non è “godere” di essere indegni, non è nemmeno dispiacersi di non aver avuto coerenza, ma è prima di tutto contemplazione di un amore, è capacità di lasciarci guardare con amore, è avere negli occhi lo sguardo di Gesù, risentire nel cuore il calore della sua amicizia, scomparire per far brillare la sua grazia. Il centro è Lui, non il nostro smacco o la nostra umiliazione. Spesso siamo più dispiaciuti di non essere stati all’altezza del nostro compito che di aver offeso Gesù. E’ Lui che dobbiamo mettere al centro. E’ Lui che dobbiamo contemplare in tutti i suoi gesti umanissimi di amore.

Allora solo questa contemplazione ci farà capaci e  desiderosi di perdonare chi ci ha fatto del male

11 Agosto 2022
+Domenico

Perdono è “qualità”

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,28-30) dal Vangelo del giorno (Mt 18, 21-35)

«Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: “Paga quel che devi!”. Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito”. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.»

Audio della riflessione

Perdonare è un’arte: inizia sempre dall’essere perdonati e continua fino all’amore verso chi ti ha fatto del male.

La nostra società non è molto allenata al perdono: preferisce l’avvocato, il giudice e, al massimo, un patteggiamento; potrebbe desiderare maggiormente la giustizia, ma siccome non ci si fida di nessuno, si preferisce passare alla vendetta.

Il Vangelo, invece, è del tutto sbilanciato dalla parte del perdono: nonostante le rimostranze di Pietro, che si rivolge a Gesù preoccupato di quanto deve perdonare, non tanto della “qualità” del suo perdono.

Sette è già molto, ma per Gesù il perdono non è mai una quantità, ma una qualità della vita di relazione e dice “non solo sette volte, ma settanta volte sette”, cioè un numero esagerato, spropositato, non “calcolabile”.

Il perdono di Dio nasce dalla contemplazione del Padre che perdona, di Gesù che allarga le braccia ai peccatori: l’accoglienza del perdono è un atto di contemplazione, prima che la constatazione di un rimorso o di un pentimento, è incrociare lo sguardo di Gesù sulla nostra vita, è immergersi nel suo stato d’animo, nella sua innocenza assoluta o nella sua tenerezza.

Chiedere e offrire perdono è prima di tutto contemplazione di un amore: è capacità di lasciarci guardare con amore, è avere negli occhi lo sguardo di Gesù, risentire nel cuore il calore della sua amicizia, scomparire per far brillare la sua grazia … il centro è Lui, non il nostro smacco o la nostra umiliazione.

Al peccatore perdonato a dismisura da Dio e che non è capace di fare altrettanto con il suo collega, mancava proprio l’essere stato in estasi davanti al grande perdono di Dio che aveva ottenuto … invece ha ritenuto che questo perdono fosse una fortuna o, addirittura, frutto della sua bravura o preghiera, una furbizia, forse quindi uno “sconto” … e quando il suo collega lo supplica per una miseria, il suo cuore è lontano, sa solo calcolare, non vuole perdonare.

Perdono è il grido di dolore del Calvario e il grido di gioia che si ode per le strade di Gerusalemme il primo giorno dopo il sabato; perdono è l’inondazione dello Spirito che ci fa passare da schiavi, anche liberati, a figli.

Il nostro perdono può diventare comunicazione ordinaria di vita solo se ci sentiamo figli, se ci sentiamo fratelli, tutti amati da Dio, che ci garantisce che in cielo qualcuno c’è che si fida di noi e ci sottrae alle nostre strade di desolazione.

22 Marzo 2022
+Domenico

Che paura hai? ti vengo prendere

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,13) dal Vangelo del giorno (Mt 18,12-14)

«… se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite …».

Audio della riflessione

Abbiamo tutti nell’immaginario un gruppo di pecore con qualche cane a seguito, un pastore piuttosto trascurato … vita dura è la sua, si sposta con loro, le tiene assieme, le blocca, le aiuta ad attraversare la strada, le porta a pascolare ovunque … si vede subito se è il padrone o se è stato solo pagato per contenere i danni.

Ma forse abbiamo anche nella memoria un’immagine un po’ strana a dire il vero, ma dolcissima: un pastore robusto, vestito di pelli di pecora, con calzari alti, tunica stile romano, bisaccia a tracolla, con una pecora o un agnello mansueto sulle spalle a far da corona al suo collo. La pecora è tranquilla, il pastore è fiero: è un’immagine antichissima che risale ai primi secoli del Cristianesimo.

Con questa immagine viene fissata nella vita, nell’immaginario collettivo un dramma d’amore: una pecora smaliziata che si stanca di stare sempre in coda, che perde il richiamo delle altre, che si avventura da sola negli anfratti del pascolo e si smarrisce. Ha provato il gusto di una libertà ingannatrice? È stata sfortunata … le hanno fatto un tranello? Ci sono tanti modi di perdersi nella vita:lLe cronache ti fanno vedere come accade l’impossibile.

“Era qui due secondi fa, mi sono girato, non c’è più …”

La vita umana è popolata di fughe, di smarrimenti. La nostra stessa vita si accorge troppo tardi di aver perso la saggezza, il senso, il senno, la strada giusta … e spesso non interessa a nessuno dove sei finito, anzi qualcuno te lo rinfaccia solo, con un gusto sadico. Hai visto? L’hai voluto, te l’ho detto, ora arrangiati e non farti più vedere.

Lui invece, il nostro pastore – chi è se non Gesù?! – a sera fa la conta e gliene manca una. Si accorge di te, di me, di ogni sconosciuto e riparte a cercare.

È bello sentirsi cercati, è bello quando ti appare un sms che ti dice: dove sei? Smettila di scappare!

“Quando ti troverò, non avrò altro da fare che abbracciarti, coccolarti, ridarti casa: le novantanove che stanno qui, stanno bene e si sono dimenticate di te, ma non io! Ti vengo a prendere!” E dall’altra parte, può esserci ancora una fuga, quasi il dispetto di essere stati trovati, la superbia di non ammettere solitudine ed errore … e lui sempre a cercare fino a coinvolgerti nella festa: non è più un dramma, è una gioia! Questa è un’altra grande speranza che abita la nostra vita. Noi siamo questa prima speranza per gli altri?

Sant’Ambrogio che oggi veneriamo, e Milano lo celebra da sempre con una grande festa, è stato questa speranza per la sua gente che amministrava, ma che lo voleva vescovo: lo divenne e ne fu una originale e grande figura di credente, di apostolo, di padre e un appassionato pastore e guida.

7 Dicembre 2021
+Domenico

Il mondo meraviglioso di angeli che ci custodisce

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,1-5.10)

Audio della riflessione

Proprio nella chiamata di uno degli apostoli, la più strana, appare l’affermazione che indica la presenza degli angeli nella nostra vita: il soggetto è Natanaele, che si era tenuto sulle sue perché diceva francamente che non s’aspettava niente da uno che veniva da un paesetto sperduto, Nazareth, vicino al suo, Cana, e crolla di fronte a un Gesù che lo guarda dentro e, alla sua meraviglia, gli allarga ancora di più gli orizzonti e dice proprio «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo»: non è la scala di Giacobbe, frequentata dagli angeli, ma lo stesso Gesù che ora apre la comunicazione con Dio Padre per tutti gli uomini, e ci dice che c’è un mondo meraviglioso che sta a custodirci, che fa da corona a Gesù e agli uomini: gli angeli.

Chi sono gli angeli? La parola stessa ne dà un significato ben preciso: sono “portatori di notizie”, di annuncio, sono quindi intermediari tra Dio e gli uomini nella nostra storia di salvezza, sono legati strettamente a Dio e ne realizzano i progetti, coinvolgono gli uomini in questa avventura del Regno di Dio; hanno svegliato nella notte profonda i pastori per annunciare la nascita di Gesù, ne hanno subito cantato la lode; uno di loro aveva annunciato a Maria e chiesto la sua collaborazione per la venuta di Gesù su questa nostra terra.

La Bibbia, insomma, è popolata da queste presenze spirituali, vere, decisive, collaboratrici del Signore … poi la nostra filosofia si sbizzarrisce a vedere che tipo di creature sono: non sono forse visioni … solo, non possono essere stati usati da scrittori di cronache per semplificare la comprensione di alcuni fatti inspiegabili? Si possono fare tutte le congetture.

Noi, come ci ha detto Gesù, e per come hanno servito il piano di salvezza di Dio, crediamo a questa loro presenza e soprattutto e soprattutto vogliamo vedere in loro la vicinanza di Dio alla nostra vita, la sua compagnia quotidiana, personalizzata, i messaggeri della sua parola, coloro che ci aiutano a prendere posizione per Gesù.

Se c’è un principio del male, come Satana, che sta sotto Dio, ma che nuoce non poco agli uomini, è giusto che ci siano delle creature di Dio, come lo sono gli angeli, che invece lavorano nella vita dell’uomo per aiutarlo a convertirsi sempre di più a lui, per proteggerne il cammino.

Sono forza imbattibile come Michele e speranza per una vita buona, bella e felice per ogni persona … e ciascuno di noi ne ha uno che lo custodisce, l’angelo custode, “personalizzato”, che ha cura di noi.

Essere custoditi è una gran bella cosa, sapere che qualcuno veglia su di noi, che concretizza la cura che Dio ha di me e di tutti gli uomini, ci fa sentire concretamente e sempre di qualcuno.

Non siamo abbandonati nel mondo, nel cosmo, ma siamo sempre a contatto con Dio e gli angeli ci fanno sentire Dio vicino a noi.

2 Ottobre 2021
+Domenico

Il Perdono sempre contro ogni disperazione

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-22) dal Vangelo del giorno (Mt 18, 21-19,1)

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

Audio della riflessione

Pietro domanda un giorno a Gesù quante volte deve perdonare. Si perdona sempre, perché abbiamo sempre bisogno noi di perdono. Avere bisogno di perdono significa essere consapevoli di aver tradito un amore smisurato e sentirsi addosso insistente una continua proposta d’amore che ogni giorno rimette in discussione la nostra vita. Bisogno di perdono è constatazione di tradimento, dopo insistite promesse di fedeltà e patti di amicizia. Bisogno di perdono è percezione di una inconsistenza esistenziale, dovuta alla sperimentazione di una assurda autosufficienza che ha disarticolato il  nostro senso del limite, il sentirsi creature, e aprirsi a Dio che solo può riempire la nostra vita vuota. Bisogno di perdono è consapevolezza che il male profondo che è il peccato non possiamo guarirlo da noi, non abbiamo la capacità di ricucire le nostre ferite. E’ solo Dio che lo può fare.

L’accoglienza del perdono è un atto di contemplazione, prima che la constatazione di un rimorso o di un pentimento. E’ incrociare lo sguardo di Gesù sulla nostra vita. E’ immergersi nel suo stato d’animo, nella sua innocenza assoluta, nella sua tenerezza. Non è guardarsi addosso per dire quanto siamo sbagliati, per aver vergogna di quello che siamo, per disprezzarci e registrare un altro smacco, un altro venir meno ai nostri impegni, un altro: non son capace di fare niente. Il bisogno del perdono cristiano non è “godere” di essere indegni, non è nemmeno dispiacersi di non aver avuto coerenza, ma è prima di tutto contemplazione di un amore, è capacità di lasciarci guardare con amore, è avere negli occhi lo sguardo di Gesù, risentire nel cuore il calore della sua amicizia, scomparire per far brillare la sua grazia. Il centro è Lui, non il nostro smacco o la nostra umiliazione. Spesso siamo più dispiaciuti di non essere stati all’altezza del nostro compito che di aver offeso Gesù. E’ Lui che dobbiamo mettere al centro. E’ Lui che dobbiamo contemplare in tutti i suoi gesti umanissimi di amore.

Abbiamo bisogno di trovare Grazia presso Dio, come l’ha trovata Maria, di essere immersi in un mare di gratuità, in una pienezza del tempo, in quel vortice della storia della salvezza che Dio ha sempre pensato per l’uomo, da quando ha deciso di rischiare sulla nostra libertà. Abbiamo usato la libertà per vivere da schiavi; diventare figli non è opera nostra; è solo per la pienezza del perdono di Dio, che non ci abbandona mai.

12 Agosto 2021
+Domenico