Seguire Gesù è l’annuncio fondamentale del Vangelo

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mt 8, 23-27)

In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Di tempeste ne capitano tante nella vita di ogni persona, di ogni comunità, di ogni famiglia e sappiamo che Gesù sa sempre sedare ogni tempesta, ma questo non è l’elemento più importante che ci vuol far capire l’evangelista Matteo. Lui ha soprattutto l’intenzione di presentarci Gesù, ì suoi discepoli, la sua Chiesa e dice che i suoi discepoli lo seguirono; questa frase indica il tratto essenziale del discepolo di Gesù: seguirlo; è il tratto essenziale di tutti i discepoli, della sua Chiesa.  

E siccome il verbo seguire è usato unicamente quando l’oggetto del verbo è Gesù, sta a sottolineare e a insegnare l’unione del discepolo col Gesù concreto della storia, la partecipazione al suo destino, l’entrata nel suo regno mediante l’appartenenza a Cristo attraverso l’ubbidienza e la fiducia.  

I discepoli che stanno nella barca non hanno fiducia, sono uomini di poca fede. Il tempo in cui Matteo scrive il suo vangelo era il tempo in cui la Chiesa era perseguitata, lottava con coraggio per non andare a fondo come la barca tra le onde della tempesta che infuriava, tempo in cui si fece sentire lo scoraggiamento, la sfiducia e anche la defezione di alcuni. Questo brano di vangelo continua a parlare per tutti i tempi, per tutte le circostanze, anche dell’oggi ad ognuno dei discepoli.  

Caratteristica del discepolo è la fede, la fiducia e il coraggio di fidarsi del potere di Dio, che è al di sopra del potere del mare. E qui abbiamo la conferma che Dio è presente, particolarmente in Gesù con tutto il suo potere di vittoria sulla morte e sui pericoli mortali. Questa è la convinzione profonda che dobbiamo avere come discepoli di Gesù e partecipi della chiesa come tale. Ci resta forse ancora la domanda o il dubbio del chi è mai costui? Un interrogativo ancora troppo razionale di incredulità, che si supera con l’insieme del racconto, col tratto essenziale del discepolo: seguire sempre Gesù. 

02 Luglio
+Domenico

Sentinelle decise e non demotivati in rinuncia

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 18-22)

In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

Audio della riflessione

La comparsa di Gesù presso il mare di Galilea, a Cafarnao, aveva scoperchiato tutte le miserie umane: zoppi, storpi, ciechi, sordi, indemoniati. E’ zoppo chi non cammina e chi non trova la strada della vita; è cieco chi non vede e chi non trova la verità, è storpio chi è ricurvo su di sé e chi non riesce a stare diritto nella sua dignità, è sordo chi non  sente e chi non vuol sentire, chi si isola nel suo mondo, chi si aliena, è indemoniato che si sente prigioniero di quello spirito del male che solo Dio può vincere. Gesù quando gli si para davanti tutta questa povera umanità gli si contorcono le viscere, così si può tradurre quel termine compassione, ha le reazioni dolorose e piena di partecipazione di una madre verso i suoi figli. 

Gesù guarisce e consola, sfama e nutre, si colloca nella vita degli uomini e ne diventa il cibo, il sostegno, la forza. Nello stesso tempo, questo Gesù, così attento alle povertà e alle debolezze, è severo, deciso nel fare la proposta del Regno. Non vuole mezze misure, è travolgente con la sua passione e decisione. Il suo linguaggio non è per nulla accomodante, non è politicamente corretto. Il buon senso dovrebbe addomesticare queste affermazioni. Occorrerebbe ogni tanto aggiungere alle sue sparate un “si fa per dire”. 

Va’ vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri poi vieni e seguimi! Si fa per dire.  

Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i fratelli. Si fa per dire. 

Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me. Si fa per dire. 

È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Si fa per dire. 

No, non si fa proprio per dire. È così.  

E quando Gesù trova le nostre domande e le nostre riserve impaurite non comincia da attenuare come fa ogni pessimo educatore: sì, ma vedrai che poi non è proprio così come pensi, si trova sempre una via mediana, un compromesso. Gesù rincara la dose e in un’altra decisione da prendere provoca con un’altra domanda i suoi discepoli impauriti: volete andarvene anche voi?  

C’è un’arte che sta imperversando ai nostri giorni: quella di non decidersi mai, di tenere sempre il piede in due scarpe, di rimandare all’infinito quello che è necessario fare oggi. E’ indeciso il giovane che non riesce a trovare la forza di distaccarsi dalla sua famiglia per crearsene una nuova, in Italia si arriva a una media di 34 anni, è indeciso il giovane che si vuol donare a una missione radicale, chi vuol vivere la verginità per il Regno, chi deve orientare una comunità verso mete che esigono prendere o lasciare, è indeciso il politico che cerca di cavalcare tutte le possibilità e stare a galla sempre, è indeciso forse anche chi non ha il coraggio della verità e fa il tappezziere: mette pezze a tutti, accontenta tutti, anche quelli che dicono e fanno il contrario.  

Sarà forse l’arte di governare, non è certo l’arte della sequela di Cristo.  

Ci provano in tre a presentare le loro tergiversazioni, le loro indecisioni a Gesù. Io ti seguirei… si sta bene con te. E’ un po’ che ti sento, ho visto quanto bene vuoi alla gente. Tu non ti lasci sopraffare dal dolore, ma lo vinci. E Lui: le volpi hanno tana e gli uccelli nidi, con me non c’è nessun loculo protettivo dove puoi stare tranquillo con i tuoi social 

E l’altro: ti verrei dietro, ma fammi sistemare i miei affetti, non voglio rompere così di netto, non vorrei ferire.  E Gesù: se hai deciso non continuare a voltarti indietro credi di fare il delicato, il sensibile, ma non t’accorgi che continui a rimandare, a lasciarti fasciare. Credi di decidere, ma continui a crearti alibi.  

E l’altro ancora: ho deciso di seguirti, ma prima devo seppellire mio padre. E Gesù: guarda che la cosa più importante è che tu dia la tua vita per incendiare il mondo non per stare ad aspettare gli eventi. Sei una sentinella del mattino o il becchino di un cimitero? Gesù è così. Non distrugge i sentimenti, ma non si adatta al buonismo. Non spegne il lucignolo, lo stoppino che fa fatica ad ardere, ma vuole radicalità; non gli vanno le mezze misure, le nostre melasse. 

1 Luglio 2024
+Domenico

Lo voglio: guarisci

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 1-4)

Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì.
Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.
Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

La lebbra purtroppo è ancora un male che tormenta l’umanità, soprattutto là dove c’è povertà e miseria. Ancora esistono persone che vengono segregate, non fatte vedere, isolate, condannate ai margini, private della possibilità di vivere i propri rapporti sociali. Anni fa si erano segregati tali ammalati su un’isola dell’oceano Pacifico, lontani il più possibile dalla vista di tutti, in una sorta di inferno dei dannati. Non solo segregati per non infettare, ma anche lontani dalla vista per non vederli.

Così vivevano i lebbrosi al tempo di Gesù. Ed è grande il coraggio di quel lebbroso che alle porte di Cafarnao, disobbedisce a tutte le leggi di segregazione e di condanna e punta diritto su Gesù. Ne aveva sentito parlare, da lontano aveva seguito il vociare della gente al suo passaggio o al ritorno dagli incontri con Lui. Gesù scendeva dalla montagna dove aveva fatto rinascere speranza a tutti, dove aveva proposto la bellezza del regno dei cieli cui tutti erano chiamati a partecipare. Il lebbroso non si adattava a restarne escluso. Allora rompe le catene dell’isolamento in cui è costretto a vivere, lancia quella bella preghiera che può ben essere la nostra di tutti i giorni: Signore, basta che tu lo voglia, puoi mondarmi, se Tu lo vuoi io posso cambiare vita, tu hai la possibilità di ricrearmi non solo la pelle sul mio corpo, ma anche di ridarmi la gioia di vivere. E Gesù lo ascolta. Ripete le parole che il lebbroso gli ha suggerito: lo voglio, sii mondato. E il lebbroso torna a vivere.

Anche noi vorremmo sentirci dire sulla nostra vita, sui nostri mali, sulle nostre infedeltà, sulle nostre cattiverie, su tutto quello che distrugge la nostra vita interiore, sui nostri peccati: lo voglio sii mondato. Ti tolgo dal cuore il male che ci sta dentro da troppo tempo. Ti immagino e ti faccio diventare pulito, la tua carne diventa fresca come quella di un bambino, la tua vita diventa innocente come la sua.

Questa è la speranza che abita i nostri giorni, la speranza di avere un Dio che ci vuole tanto bene da dire sempre sulle nostre vite: sii mondato e di sperimentare cuore pulito, vita rinnovata, gioia e serenità.

28 Giugno 2024
+Domenico

Il centurione, deciso, spontaneo, uno che sa stare al suo posto  

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8,5-11)

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

Audio della riflessione.

Lui è un militare. Sa che cosa significa comandare e obbedire. Gli hanno sempre detto che lui non deve pensare, sono i suoi superiori che pensano per lui. Lui deve eseguire. Ci mancherebbe anche che i soldati si mettessero a votare su come difendersi o attaccare, su che cosa è necessario fare per conquistare una postazione invece che un’altra. Io dico a uno fa questo e lui lo fa, a un altro scatta e vieni qui e lui corre. Ho obbedito anch’io per tanti anni e ora so comandare.  

Ma il centurione ha un cuore, ha una famiglia, ha un servo, forse un figlio (a seconda delle traduzioni della parola greca che significa l’uno o l’altro) che gli muore. La vita non è così schematica: al cuore non si comanda, agli affetti non si può dire di tacere, a una morte non si può reagire attaccando o difendendo, comandando o distruggendo. Il tuo cuore è a pezzi e non c’è più niente che puoi fare. Puoi rendere la tua faccia dura come la pietra, ma il tuo cuore sanguina. Allora il centurione cerca al di fuori della sua sicurezza una speranza. Ha visto Gesù tante volte, lo ha dovuto pedinare per lavoro, spesso lo hanno mandato a sedare tumulti, a fare deterrenza, perché dove passava Lui la vita non procedeva troppo tranquilla. Suscitava speranze là dove c’era assuefazione e la speranza mette movimento, attiva le coscienze, turba la quiete del dormitorio anche nella lontana provincia di Palestina.  

Il centurione doveva vigilare, sedare, contenere. Ma la speranza che Gesù gli faceva nascere in cuore era grande anche per lui. Abituato a comandare e a mettere sull’attenti, a dirimere le questioni con la forza, a puntare tutto sulla strategia, sulla repressione, sul potere e spesso la violenza, il terrore, la paura, si trovava davanti un uomo, Gesù, inerme, dolce, calmo, sorridente eppure persuasivo, ascoltato, seguito, ammirato, osannato, soprattutto amato.  

Per questo appunto quando vede il suo servo in pericolo di vita pensa immediatamente a Gesù e va da lui. Non fa più il calmiere di tumulti, ma si mette umilmente in fila e chiede: Se vuoi, puoi guarirmi il servo, se vuoi puoi ridare pace a questo mio cuore, se vuoi, so che a te non è impossibile niente. Hai una forza nel tuo mondo come io credo di avere con i miei soldati, sei una sicurezza per me come io con il mio lavoro lo voglio essere per gli altri. Ho studiato e insegnato tante strategie, ma davanti a questa morte falliscono tutte, non mi dicono più niente. Ho qualcosa nella mia travagliata esistenza che non posso controllare, solo tu hai la chiave della mia vita. 

Mi basta una tua parola, non sono degno di Averti a casa mia. Ti metto a nudo il mio cuore, è tuo: sollevalo, dagli speranza, fallo cantare ancora d’amore per mio figlio.  

E Gesù ne legge in profondità l’abbandono fiducioso. Tuo figlio vive, il tuo servo è guarito, la tua vita può tornare a cantare a partire dalla fede profonda che hai. Quando ti senti crescere dentro questa sete sai ora dove trovare la sorgente, lascia perdere le tattiche di mimetizzazione, abbandona le cisterne screpolate e le paludi, e lascia sgorgare questa sorgente limpida che il mio Spirito fa nascere dentro di te. 

04 Dicembre
+Domenico

Non abbiamo paura di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8,28-34)

In quel tempo, essendo Gesù giunto all’altra riva del mare di Tiberiade, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada.
Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?».
A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci a pascolare;
e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria».
Egli disse loro: «Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti.
I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati.
Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio.

Audio della riflessione.

Hanno avuto paura di Gesù, come spesso tanti uomini hanno paura di Lui. Erano i cittadini Gadarèni che avevano visto Gesù con potenza scacciare una legione di demoni e calmare due indemoniati pericolosi. Chi è questo Gesù che sconvolge la natura e la vita? Che potere ha se i demoni gli obbediscono? Che cosa può provocare in noi che stiamo tutto sommato bene dove siamo, senza lode e senza infamia? Perché esporci al rischio di vederci la vita trasformata. Aver paura di Gesù è un sentimento più diffuso di quanto pensiamo e capace di venire a galla alla nostra coscienza nelle forme più impensate. Ben lo sapeva Giovanni Paolo II, quando appena affacciato sulla Piazza di San Pietro alla sua elezione, gridava: non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo.  

Purtroppo, abbiamo paura di Cristo. Hanno paura i potenti perché Gesù mina alla radice il male nel quale si sono cullati, abbiamo paura di Gesù, perché vuole da noi dono, amore e non egoismo e interesse; abbiamo paura di Gesù perché ci chiama a decidersi per il vangelo, perché ci fa proposte impegnative, perché se seguiamo la sua strada ci porta alla croce, perché non ci lascia in nessuna depressione e acquiescenza al male. Gesù ci vuole decisi e generosi, purtroppo invece il male che sta in noi ci vuole insipidi e autocentrati. 

I dittatori sanno che la fede in Gesù non permetterà loro di stare sicuri al potere soprattutto se è un potere che distrugge anziché servire. Un po’ alla volta a mano a mano che nella persona crescono le convinzioni, si affina l’intelligenza, si purificano le intenzioni, si scoprono le qualità che Dio ci ha dato si scatena la sua luce, il suo ardore, la sua visione di vita, il suo Regno. I cristiani sono i rivoluzionari di Dio, non sono rivoluzionari della violenza o della guerra. Sanno farsi ammazzare per la fede, per questo sono imbattibili, non temono le difficoltà, sanno scavare come una goccia per portare alla luce la sorgente della vita. 

Forse nessuno ha più paura dei cristiani, perché non dicono niente a nessuno. Vuol dire che abbiamo annacquato il cristianesimo. Questa è la prima arma che si usa per vincere la paura dei cristiani e purtroppo spesso è un’arma letale per tanti tiepidi e indifferenti. Lui invece ci aiuta a guardare al cielo e a vedervi la pienezza della sua presenza per la vita della nostra terra. 

05 Luglio
+Domenico

Avere fede è attendere i tempi di Dio con fiducia

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8,23-27)

In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione.

Capita a tutti di sentirsi abbandonati, di non percepire nessuno che nelle nostre difficoltà ci possa dare una mano, di aver pregato pure e di non sentire che silenzio. Anche gli apostoli un giorno vivono una dura disperazione; sono sulla barca e la burrasca li atterrisce.  

Nel pericolo si rivolgono a Gesù con un grido di implorazione; dunque, hanno fiducia in Lui e sanno che Gesù li può salvare. Eppure, Gesù li rimprovera come uomini di poca fede e spesso si rivolgerà a loro mettendo in risalto questa scarsità di fede, questa oligopistia. Loro sono uomini di poca fede.  

E allora ci domandiamo: che cosa ci vuole per essere uomini di Fede? Gesù dormiva e la paura dei discepoli non li poteva aiutare, sembrava loro che ormai stesse per passare il momento giusto per una possibilità di intervento. Ma il momento giusto lo conosce solo il Signore.  

Non ci diciamo anche noi tante volte: perché il Signore ha permesso questa disgrazia? Quanto ho fatto per gli altri! e adesso mi sento addosso quasi una maledizione di Dio! che cosa ho fatto di male? sono le manifestazioni della nostra poca fede.  

Vogliamo essere noi a suggerire a Dio il tempo e il modo di intervenire nella nostra esistenza, nella vita del mondo. In realtà è spesso difficile capire perché avvengono certi fatti, ma il cristiano sa che Dio vede e confida in Lui. Non sta certo con le mani in mano, si industria, prega. Ma al di sopra di tutto tiene alta la sua speranza, la sua fiducia in Dio.  

Certo dobbiamo avere tutti coraggio, dobbiamo sempre sperare che il Signore elimini il male dal mondo. E in questo siamo sempre sostenuti dalla forza di Dio. A nostra volta possiamo essere capaci di accogliere la voce di chi ci interpella, di chi sta perdendo la speranza.  

Anche noi sentiamo il peso della tentazione e allora aiutiamoci tutti ad avere questa fiducia in Dio. Insomma, sempre come cristiani dobbiamo operare nella società come persone di grande fede. Possiamo essere anche famiglie provate dal dolore, ma Dio ci rende capaci di aver fiducia nella sua bontà e di esserne segno per tutti. 

04 Luglio
+Domenico

Signore, mi basta la tua parola!

Una riflessione sul vangelo secondo Matteo (Mt 8,5-17)

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva.
Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
“Egli ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle malattie”.

Audio della riflessione.

Ho tutto quello che mi serve, ho fatto una bella carriera, ho amici che mi idolatrano, quando non ci sono mi cercano; ho successo negli affetti; in famiglia sono stato fortunato; il lavoro mi dà soddisfazione; la salute non manca. Mi pare di stare fin troppo bene. Non ho bisogno di nessuno, anzi sono pure capace di aiutare quando serve.  

Ma ho bisogno di qualcosa di più profondo. Mi sento come un buco nella vita. Ogni tanto si fa sentire: me lo fanno nascere quelli che stanno attorno a me, le disgrazie che capitano, i figli dei miei amici che muoiono di droga, di incidenti, che sballano. Ho allargato la mia casa a tutti perché tutti fanno parte della mia vita. Signore se tu potessi cambiare queste sofferenze in gioia! Se tu potessi guarire queste ferite, se ci potessi dare la tua pace!  

Aveva forse quest’animo il centurione, l’ufficiale dell’esercito romano, che seguiva da lontano Gesù nella sua predicazione, probabilmente si doveva mescolare alla folla per dovere di vigilanza e sentendo Gesù era rimasto colpito della sua visione del mondo, dell’amore che cercava di accendere, del potere di sconfiggere il male.  

Ho un servo che mi sta morendo. Tu puoi fare qualcosa. Io non sono del tuo mondo, sono qui per dovere, ho mansioni da eseguire, ma anch’io ho un cuore, ho degli affetti, ho una casa dove non sempre tutto è tranquillo. Ci sono problemi più grandi di me: la salute, per esempio, non è sicuramente in mio potere. Gli altri mi vedono forte, perché sono un soldato, ma non sono le armi che contano nella vita. Ho bisogno di te.  

E Gesù dice: vengo da te, vengo a casa tua. Ma il centurione non ha una casa in ordine per un ospite così grande, per quel Gesù che gli sta sconvolgendo la vita e dice: ho osato troppo; nella mia casa non saresti onorato come ti meriti. Mi basta una parola, dì soltanto una parola; tu sì che veramente hai in mano le chiavi della vita. Mi devo cambiare dentro, devo togliermi dal cuore il male che per troppo tempo ha avuto tutte le possibilità di rovinarmi i sentimenti e i pensieri. Ti vorrei avere, ma con un cuore nuovo. Mi basta la tua parola potente. 

Gesù lo ascolta, coglie la grande delicatezza del soldato, ne vede la gratuità e ne avverte l’adorazione e dice la parola che salva.  

Signore non sono degno, ma so che per me Dio non ci abbandona mai

01 Luglio
+Domenico

Parole belle e sagge, determinazione, ma anche soprattutto i fatti

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8,1-4)

Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì.
Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.
Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

Audio della riflessione

Una persona la stimi se ha un pensiero che racconta a parole molto giusto, saggio, convincente, ma è importante prima o poi che si arrivi alla prova dei fatti. Buona la predicazione di Gesù, commovente il discorso della montagna, saggia la sua mente nel dirimere le questioni di fede. ora l’evangelista Matteo ci presenta un Gesù che sa dimostrare con i fatti la forza della sua dottrina e la verità della sua persona. 

 Inaugura questa nuova figura di Gesù, un lebbroso, una persona confinata ai margini della vita pubblica, relegato e prigioniero di un male contagioso e pericoloso. Balza all’improvviso e con coraggio davanti a Gesù e gli grida: Signore, se vuoi, puoi guarirmi. Il titolo con cui lo invoca è un atto di fede, come lo è il prostrarsi ai suoi piedi. Già crede che Gesù sia imparentato con Dio. Sappiamo tutti che i vangeli sono stati scritti dopo la morte e risurrezione di Gesù, nella luce del fatto pasquale. Gli apostoli erano entro questa difficile, ma necessaria prospettiva di fede e dicono al mondo la grandezza di Gesù.  

“Gesù è il Signore” è stata la prima formula di professione di fede. Al se vuoi del lebbroso Gesù risponde perentorio “Io voglio”. Gesù agisce con autorità propria, parla della sua dignità, non si appella anche solo alla Scrittura come facevano i dottori della legge. Nello stesso tempo Gesù dice al lebbroso guarito di andare dai sacerdoti a dichiarare il fatto e presentare l’offerta prescritta da Mosè. Gesù sta alle leggi del suo popolo, non è un sovvertitore di esse come poi lo accuseranno falsamente nel processo in cui lo condanneranno a morte. In questo modo Gesù si pone con verità al compimento della legge, non alla sua sovversione, e nella pienezza della rivelazione. 

Vorremmo anche noi oggi prostrarci ai piedi di Gesù e dire con tutta la nostra fede, supplicandolo che ce la rinforzi, Gesù tu sei il Signore della nostra vita e della storia, sei la nostra salvezza, sei il Figlio di Dio, sei il Salvatore del mondo, sei la pienezza della nostra vita. 

Anche noi vorremmo sentirci dire sulla nostra esistenza, sui nostri mali, sulle nostre infedeltà, sulle nostre cattiverie, su tutto quello che distrugge la nostra vita interiore, sui nostri peccati: lo voglio sii mondato. Ti tolgo dal cuore il male che ci sta dentro da troppo tempo. Ti immagino e ti faccio diventare pulito, la tua carne diventa fresca come quella di un bambino, la tua vita diventa innocente come la sua. 

30 Giugno
+Domenico

Signore vieni da me, ma non sono degno di te

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 5-11)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente”. Gli disse: “Verrò e lo guarirò”. Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa”. Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”.

Audio della riflessione

Concreto, preciso, organizzato, programmato: è la vita di un militare addestrato a intervenire in ogni situazione, con l’occhio del pericolo da sventare, della sommossa da spegnere, dell’ordine da ristabilire. Quella volta invece il centurione, il capitano di un drappello di uomini obbedienti e efficienti, aveva un servo gravemente ammalato, che non solo non poteva più disporre di sé, ma era tormentato da dolori lancinanti.

Il centurione va da Gesù e lo prega per il suo servo.

Gesù gli dice: “vengo a casa tua e lo curerò”. 

“Gesù, io non oso tanto: la mia casa è una caserma; ci puoi venire anche tu, ma io non sono all’altezza della tua visita. Se tu venissi a casa mia mi parrebbe di usarti per me, di metterti sul mio piano, non vorrei che mi monti la testa pensando di averti a disposizione per me. Tu hai una Parola potente, molto più della mia: da te dipende tutto, da me solo qualcuno e credo di essere importante, tu invece sei Signore del cielo e della terra, sei la pienezza della vita, sei balsamo per ogni dolore, sei la pace nella tempesta. Ho sentito di te che comandi al mare, che plachi i venti, che scacci i demoni. La tua parola non torna a te se non ottiene ciò che le affidi di fare. Tu sei la Parola che salva. Io vengo da un paese dove crediamo di avere in mano gli dei, di tenerceli buoni per ogni occasione, qui da te c’è un Dio vivente che tu ci dici che è tuo Padre, fammi godere di questa tua famiglia. Mi basta la tua parola e il mio servo guarirà!”.

E’ una semplicissima preghiera che ancora oggi in tutte le chiese del mondo diciamo prima di ricevere l’Eucaristia, prima di aprire il cuore all’accoglienza di Gesù, consapevoli che non ne siamo mai all’altezza, sempre però nel bisogno: “Signore io non son degno che tu entri nel mio petto, ma di soltanto una parola e io sarò salvato”.

A noi che siamo abituati a credere di avere Dio in tasca, di avere tanta familiarità da offenderlo con le nostre parole, di usarlo per camuffare i nostri sporchi affari, a noi che crediamo di manipolare le persone nel nome di Dio, questa fede è limpidezza, timore, rispetto, consapevolezza della propria natura, stare al posto giusto di uno che chiede e che da Dio sia aspetta tutto, perché Lui è sempre più grande di ogni nostra attesa … e la riempie al massimo.

28 Novembre 2022
+Domenico

Una chiamata di Gesù ha deciso le nostre vite

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8,18-22)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

Audio della riflessione

E’ bello sapere che le nostre esistenze di persone, sono sempre state coinvolte da Dio in una chiamata: potrebbe sembrare che sia sempre io che decide della mia vita … c’è stata una evidente libertà di scelta, ma sappiamo che le scelte spesso sono collocate dentro una esperienza che ci precede o che non dipende tutta noi.

Il Signore sempre ci chiama ad essere e ci propone un modo di vivere.

Mettendosi alla sequela di Gesù non è come iscriversi a una scuola, di un maestro che mi dava una competenza, ma è stato sentirci risuonare dentro una chiamata che mi fa Lui stesso, metterci in rapporto vero e profondo con Lui e seguirlo; non siamo stati alunni di un maestro – anche bravo – ma discepoli del Signore!

Allora prima di tutto viene Lui: in Lui troviamo la perla preziosa, la novità assoluta, l’unico affetto della vita … riusciamo allora a capire anche oggi, perché tutte le nostre scuse, pure profondamente umane, non devono avere il sopravvento: devono essere poste a confronto con il Signore e non con una indicazione pedagogica.

La libertà dalle cose e dal piacere che procurano è il primo dono, è quello che Gesù fa al suo discepolo: lo fa uscire dalla madre, lo fa venire alla luce come il Figlio del Padre, un uomo libero!

Certo, anche se riusciamo a capire che Gesù è il Signore, avremo sempre le resistenze del cuore, affetti che vengono prima di Lui, ma il Signore non può essere secondo a nessuno: non sarebbe più il Signore!

Seguire Lui non è  pretesa e volontà mia, ma chiamata e dono che Lui fa a me!

C’è un’arte che sta imperversando nei nostri giorni: quella di non decidersi mai, e tenere sempre i piedi in due scarpe, di rimandare all’infinito quello che è necessario fare oggi: è indeciso il giovane che non riesce a trovare la forza di distaccarsi dalla sua famiglia per crearsene una nuova (in Italia si arriva ancora a una media di 34 anni), è indeciso il giovane che si vuol donare a una missione radicale, chi vuol vivere la verginità per il Regno, chi deve orientare una comunità verso mete che esigono “prendere o lasciare”, è indeciso il “politico” che cerca di cavalcare tutte le possibilità e stare a galla sempre, è indeciso forse anche chi non ha il coraggio della verità, e fa il “tappezziere”, mette pezze a tutti, accontenta tutti, anche quelli che dicono e fanno il contrario.

Sarà forse l’arte di governare … non è certo l’arte del seguire Gesù!

27 Giugno 2022
+Domenico