Il linguaggio della risurrezione – 2 : i discepoli di Emmaus

Una riflessione sul Vangelo del Mercoledì dell’Ottava di Pasqua (Secondo Luca: Lc 24, 13-35)

Lettura del Vangelo secondo Luca

Ed ecco, in quello stesso giorno, [il primo della settimana], due [dei discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Audio della riflessione

Ieri, quando si imparava una lingua, si facevano sforzi enormi per imparare a memoria vocaboli staccati dalle relazioni che ogni parola ha, legate solo dall’alfabeto o quasi, e poi costruire frasi secondo il bisogno … oggi invece si impara a comunicare subito e a “pensare” nella lingua nuova da imparare: in questa maniera si imparano subito anche i tempi dei verbi, il singolare e il plurale, i generi….

… ecco: i due discepoli di Emmaus – se passa questo esempio … banale – quando parlano di Gesù, non riescono a pensarlo “risorto” perché sbagliano alla grande i tempi dei verbi! Erano, purtroppo, tutti all’imperfetto: “speravamo” … “credevamo” … ma loro non l’hanno visto! Non solo, ma si lasciano scappare troppe volte – se non nel linguaggio, sicuramente nel pensiero – una “parolaccia” che non solo non va bene nel  linguaggio del risorto, ma è una pietra tombale su ogni speranza! La parolaccia è “ormai“.

“Discorrevano” e discutevano: sono verbi un po’ attutiti: il significato letterale è che si buttavano addosso l’un l’altro la colpa della tristezza che sentivano.

Gesù in persona si accostò e camminava con loro: Gesù  non ci lascia mai, Gesù non se la squaglia! Siamo noi che non lo vediamo, che abbiamo gli occhi solo per i nostri idoli, le nostre mire, i nostri orizzonti chiusi.

Si ripete un ritratto che definisce sempre le apparizioni di Gesù, il Risorto: non sono in grado di vederlo! Lui c’è, ma non è nelle nostre facoltà di poterlo vedere, non è il punto di arrivo dei nostri sforzi, delle nostre ricerche, delle nostre astrazioni, o delle nostre finte per far tacere il problema o per ritrovare una sistemazione alla bell’e meglio nella vita cristiana, in parrocchia magari, nel gruppo: è Lui che si dà a vedere, non siamo noi che lo troviamo! Il crocifisso risorto si dà a vedere, non è visto: la risurrezione è una novità radicale, irriducibile, ma da Lui resa accessibile.

La speranza che egli costituisce è sempre un oltre ogni nostra iniziativa. Il modo di narrare di Luca fa percepire che non stiamo solo ascoltando la narrazione di un episodio della vita del risorto, ma che siamo collocati entro un contesto liturgico, come vedremo alla fine quando Gesù spezza il pane. Questo ci fa capire ancora di più quanto la liturgia sia lo spazio in cui l’accoglienza si fa radicale. Lì non sei tu che agisce, la speranza che riesci a incontrare non dipende dal numero di parole che dici, ma dalla sete dell’Assente che hai, dalla accoglienza cui ti apri, dall’inedito di Dio che sempre ci sorprende.

Nella vita dei due si sta svelando l’inedita rivelazione di Dio nella potenza della risurrezione e purtroppo il loro aspetto è non solo triste, ma tetro, nero come il loro cuore. E Gesù li provoca, vuol guardare dentro nel loro cuore, vuole sentirsi dire se si è mantenuta in loro una anche debole speranza, una fragile fede. Niente. S’arrestarono al sentirlo parlare col volto buio dei momenti vuoti.

“Come? Io ho patito tutto il dolore possibile, voi mi avete abbandonato nelle mani della soldataglia cui non sembrava vero di poter sfogare su di me tutte le cattiverie e le frustrazioni della loro vita, mi hanno flagellato e scannato come un agnello condotto al supplizio, vi siete rifugiati in una oasi di tranquillità lontano da quelle scene di sangue che io per voi pativo su di me e voi neppure un dubbio vi siete mantenuti nel cuore? Avete già cancellato tutto? Avete visto la sacra rappresentazione da lontano, avete forse scrollato il capo per dire la vostra sfortuna di avermi incontrato, non il mio dolore di avervi troppo amato.”

E ora in questo cammino che s’allontana sempre di più dalla verità non sapete far altro che dare forza vicendevole ai vostri dubbi, alle vostre debolezze. State seminando la strada per Emmaus delle vostre pietre tombali, dei vostri definitivi “ormai”, delle vostre disperazioni incoscienti. Sapete usare solo i verbi all’imperfetto. Tutto è irreparabile. Questa è una cattiva abitudine con cui definiamo tutte le nostre vite, le esperienze affettive: ci volevamo bene, ma ormai…; le abbiamo tentate tutte, ma ormai…; siamo entusiasti di quello che con l’amore ci nasce nel cuore, ma ce lo hanno avvelenato e ormai…  Ho cercato lavoro dovunque in maniera onesta, ma ormai… Credevo di offrire al mio amore un cuore puro, e un corpo dedicato, ma ormai l’ho già venduto a pezzetti a tutti quelli che mi hanno preteso …

Sciocchi e tardi di cuore. Siete proprio senza testa e vi tenete in  petto un cuore di pietra, pesante, grossolano. Mettete testa e cuore a quanto vi dico e vedrete a quale  piccineria avete affidato le vostre intelligenze e i vostri cuori. Nella vostra stessa Torah c’è già scritto tutto; solo che non riuscite a far funzionare il cervello, l‘accoglienza della fede, la consapevolezza che non abbiamo in mano noi il segreto della vita.

… e Gesù, il Verbo fatto carne, la Parola si mise a dipanare le tenebre dell’incoscienza, della superficialità, della paura, della chiusura sul proprio piccolo cabotaggio.

La Parola di Dio nella vita dell’uomo è risolutiva di tante nostre domande, di tante solitudini, confusioni; purtroppo l’abbiamo ridotta o a qualche bella sentenza sempre edificante, o qualche didascalia di cose già fatte e definite. Invece la Parola è viva, è come una spada a doppio taglio… “Non ritorna a me senza avere compiuto quello per cui è stata mandata” … e quando la Parola ti penetra nel cuore, allora ti nasce una grande pace, non è come quando guardi la Tv , o senti i talk show o stai tutta sera a sparare idiozie con gli amici, contento di stare in compagnia, ma incapace di dare alla gioia dello stare assieme quella verità cui sempre si aspira, ma che va cercata con fatica e impegno, scavando dentro di sé e rischiando ricerca che va oltre.

Bella la preghiera “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”: s’è consumata una giornata, una vita a dire la delusione di quello che si è, è calata l’oscurità come frutto della delusione e della disperazione … non volge al declino solo il giorno, ma la speranza, il senso di quello che si è.

Come si può ricominciare da capo? La vita porta sempre qualche cosa di bello e di nuovo, di giusto e di vero oppure è una eternità ingessata nelle nostre miserie?

Egli entrò per rimanere con loro …. quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro: Gesù accetta l’invito, si ferma, non fugge, resta, si siede a mensa, vuol condividere il pane quotidiano, si accompagna nel momento della gioia della condivisione. E compie quel gesto profondo innovativo, rivoluzionario e intimo dell’ultima cena.

E si fa riconoscere.

20 Aprile 2022 – Mercoledì dell’Ottava di Pasqua
+Domenico

La corsa col cuore in gola

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,4-7) dal Vangelo del giorno di Pasqua (Gv 20,1-9)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.

Audio della riflessione

Ci sono delle giornate inaspettate, sorprendenti, magari non attese, ma che ti si “impongono” per i fatti che vivi, che ti vedono protagonista di qualche evento e ti restano sempre nella memoria, perché costituiscono un punto di non ritorno della tua vita: celebrazioni, incontri, “colpi di fulmine”, patti tra amici, vittorie sportive in gare nelle quali avevi messo anima e corpo, fatti dolorosi che ti hanno costretto ad aprire gli occhi …

… ecco, Giovanni e Pietro, i due apostoli che la mattina della Risurrezione corrono all’impazzata dalla Santa Sion ai giardini presso il Calvario, da dove si erano allontanati tre giorni prima con il cuore a pezzi, e dove avevano lasciato Gesù nella tomba, non dimenticheranno mai la scena: la pesante pietra posta come sigillo a una tomba non improvvisata, ma ben preparata per un nobile, ribaltata, cioè non solo scardinata, ma divelta e piombata pesantemente a terra! Che cosa era successo? Chi aveva violata la tomba di Gesù? Chi aveva potuto scardinare la pesante pietra tombale? Dentro il suo corpo non c’è più, c’è solo la sindone e le bende schiacciate su loro stesse, come se dall’interno il corpo martoriato di Gesù si fosse volatilizzato.

Tre verbi segnano un passaggio epocale della storia: “entrarono, “videe “credette“.

In quella tomba ci hanno fatto dei passi incerti, hanno fatto girare gli occhi, hanno palpitato con il loro cuore, hanno provato curiosità … stupore … si sono fatti domande …. quell’antro freddo era diventato ancora più freddo, era tornato ad essere come quei luoghi appena costruiti che odorano di calce, non abitati, anche solo da un corpo freddo nel gelo della morte, ma oggetto di amore e di future cure, come speravano di poter fare le donne.

La vista ha fatto tutti i fotogrammi possibili e li ha stampati nella memoria: più tardi Pietro continuerà a ripetere ai giudei, ai farisei, ai capi del popolo il sepolcro vuoto in quella maniera, che aveva visto in quegli istanti, e l’esperienza sconvolgente di averlo visto risorto la sera di Pasqua con gli altri apostoli.

Giovanni, dopo Pietro, entrò: vide e credette!

Ma la cosa più importante per  Giovanni, e che in seguito farà Pietro,  è di credere: credette, si abbandona in Dio, gli apre il cuore, a Lui che aveva risuscitato Gesù! Si è lasciato avvolgere dalla Sua luce, dalla Sua fedeltà e ne ha provato felicità e ricavato forza inaudita … la forza della futura predicazione e del martirio, della testimonianza fino al sangue: era iniziata una nuova era, l’era dei “risorti“, che noi oggi in tutto il mondo vogliamo rivivere.

17 Aprile 2022 – Pasqua di Resurrezione
+Domenico

La Pasqua è la festa più bella e più grande per il cristiano (entrarono … videro … credettero!)

Una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (capitolo 20, versetti 1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Audio della riflessione esegetica

Il grande mattino del primo giorno dopo il sabato presenta una novità: era un volgare lunedì, come tutti i nostri, quando riprendiamo il lavoro interrotto dalla domenica…

Sembrava ormai che la “vicenda Gesù” fosse tutta risolta: ammazzato lo abbiamo, sepolto pure, proprio non come volevamo noi in una fossa comune, in maniera che non fosse più identificabile dopo la morte, ma pur sempre cadavere.

La festa allora era il sabato, e il primo giorno dopo invece noi lo abbiamo chiamato “domenica”, il giorno del Signore.

Perché? Perché quel mattino il Signore, pestato a sangue e portato al macello, non è più nella tomba, è risorto, vincitore sulla morte, tornato a sconfiggere il male, che perseguita l’uomo di ogni tempo e di ogni coscienza.

Come sono andate le cose? L’abbiamo udito dal Vangelo … ci sono tre verbi che il vangelo di Pasqua ci presenta a conclusione di una corsa affannata e concitata di due apostoli al sepolcro: entrarono, videro e credettero: sono i tre verbi che devono caratterizzare la nostra vita cristiana.

Sono verbi riferiti a due persone: un giovane e un vecchio, che il mattino di Pasqua si misero a correre, stanati dalla loro inedia dal grido della Maddalena “hanno portato via il corpo di Gesù” … è Giovanni, il giovane discepolo che con Pietro si avventura di nuovo per quelle strade tragiche del giorno di Parasceve: avevano passato la giornata a piangersi addosso, a ridirsi la delusione … Pietro a raccontare continuamente il suo tradimento di cui non si dava pace; aveva ancora le lacrime agli occhi: non erano lacrime di disperazione, ma di amore … cercato; non era all’altezza … all’altezza dell’amore profondo di Gesù, ma … sempre tenace a riprendere il cammino verso di Lui.

Giovanni si stava domandando che cosa ne sarebbe stato della sua giovane vita … la corsa però finisce col cuore in gola davanti a quel sepolcro: si può entrare, la pietra è ribaltata  fuori dalla guida necessaria per farla rotolare, quindi nemmeno si devono chiamare rinforzi per poter entrare … qualcosa di strano è accaduto ed entrano: nella vita occorre sempre entrare, non stare alla finestra, in superficie; non si può vivere di “virtuale”, di simulazioni, di carta stampata o di immagini che scorrono sempre davanti agli occhi mattino e sera, che ti danno solo le idee degli altri.

Papa Francesco dice, sempre, ai giovani di non stare in poltrona o al balcone a passare la vita: ognuno deve farsi  la sua esperienza, lasciarsi prendere  la vita, non la fantasia o i “selfie” soltanto.

Le persone vanno incontrate, non fotografate o salutate solo con qualche sms.

Gli occhi corrono in un baleno alla pietra su cui era stato posto il cadavere, quegli occhi in cui ancora c’era la visione del corpo martoriato, che hanno incrociato lo sguardo d’amore di Gesù, quell’ultimo suo sorriso nel dono supremo di sua madre “Figlio ecco tua madre”.

Quegli occhi si aprono sulla assoluta novità di quel mattino: è importante aprire gli occhi, che spesso vogliamo tenere chiusi per non essere coinvolti, aprire gli occhi sull’evidenza, per uscire da comode ideologie che ci siamo fatti e che non vogliamo mettere in discussione mai.

“Guardami almeno una volta con amore” dice il marito alla moglie, la madre ai figli; “guardami per farmi sentire che riconosci la mia dignità di uomo” dice il vicino di casa, il collega di lavoro, chi ti lava i vetri al semaforo … che cerca una patria che non ha più.

E che videro gli occhi di Giovanni? Che cosa ha visto per concludere con l’adesione di fede? C’è ancora un lenzuolo, ma è afflosciato su di sé, ha ancora attorno le bende che lo tenevano stretto al cadavere, c’è ancora al posto del capo il fazzoletto che si mette sul capo di tutti i morti, ma è ricurvo, ancora al suo posto; dentro però non c’è più niente … il cadavere è sparito dall’interno, come se … vi fosse stato sottratto! Non è stato manomesso niente, non è stato portato via niente: i ladri si sarebbero preso tutto; un cadavere è sempre repellente, quello di un maledetto da Dio ancora di più.

Il corpo di Gesù non c’è più … e ha lasciato i segni della sua sepoltura intatti.

Il terzo verbo è la conclusione felice di tutta la tensione umana e intellettuale di Giovanni e di Pietro: credettero.

Certo Gesù lo aveva detto, ora le sue parole di risurrezione sono l’unica possibilità di leggere quello che essi vedono: Il Signore è risorto, è il momento massimo della libertà: i segni ci sono, ma la realtà è più profonda dei segni: non sei mai costretto a credere. La fede non è la dimostrazione di un teorema, perché la vita non è un teorema.  

Ora è il momento di affidarsi: hai usato la tua intelligenza, ti sei fatto tutte le domande vere della vita, hai visto dei segni, non sei stato alla finestra, ti sei immerso con onestà nei fatti, e adesso … devi fare il passo della fiducia: Signore mi fido di te, mi abbandono a te! Sei tu il mio Signore e il mio Dio. Non mi bastano le dimostrazioni, non mi sono sufficienti i ragionamenti, sento la dolcezza del tuo amore per me.

Credo e su questa fede oriento la mia vita: non è vero che la morte è l’ultima parola sulla vita, non è vero che la disperazione è l’ultima spiaggia di noi sfortunati; non mi abbandonare, perché il cammino è lungo … e vorrei che questa Pasqua mi illuminasse in ogni relazione della vita, in ogni luogo della mia esistenza, in ogni affetto che la rende un dono per gli altri.

Voglio fare pasqua davvero, e per sempre!

4 Aprile 2021
+Domenico

Un giorno di festa per Maria di Magdala: è Pasqua!

Una riflessione sul Vangelo del giorno (secondo Giovanni, capitolo 20, versetti 1-9)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Video della riflessione

Tutto nasce dalla caparbietà di una donna che non si dà pace di aver perso il senso della sua vita pur trovato a fatica: lei Gesù l’aveva rincorso, sapeva che non era stimata, strana appariva agli occhi della gente, sette demoni l’avevano posseduta e lui  l’aveva liberata, le aveva fatto provare ancora pace, gioia di vivere, armonia di rapporti con tutti, vita desiderabile. Poteva essere ora tutto finito?

Anche lei si stava “adattando”: l’unica cosa che riusciva a pensare di Lui era il suo corpo freddo, piagato, disprezzato e “violato”; almeno lo poteva imbalsamare e … con la sua compagnia di donne solidali nell’amore e nel dolore, aveva già preparato tutto: lo avrebbe ancora potuto toccare, ungere, dimostrargli concretamente affetto, anche se ormai solo a un corpo senza vita, rigido, inerte e senza il suo sguardo … il suo sorriso … il suo sguardo trafiggente e confortante.

Invece, il giorno dopo il sabato, il giorno dopo la festa più grande del popolo – un volgare lunedì, diremmo noi oggi – il giorno dopo di una distensione, di una vita in allegria e in compagnia, che per loro era stata giornata di paura e non di festa, ma comunque il primo giorno dopo, avviene la scoperta più grande della storia umana: viene registrato il fatto per eccellenza che cambia il significato dell’universo.

Il modo di essere portato a conoscenza di tutti, delle TV, della stampa accreditata, degli archivi, degli storici, dei nemici e degli amici, dei pensatori e dei menefreghisti, dei potenti e dei semplici … è la constatazione di un vuoto indecifrabile, incomprensibile, deludente: il grido di questa donna è risuonato tra i vicoli e i mercati di Gerusalemme, ma non sarebbe mai stata presa in considerazione come testimone in nessun tribunale e da nessuna autorità.

Già qui Gesù dimostra di cambiare il modo di pensare comune sulle donne: Là il corpo non c’è più, Gesù è vivo!

Si sentirà più tardi dire: Donna perché piangi? È una domanda che viene ripetuta ogni giorno nella nostra storia: non siamo stati abbandonati a un cieco destino di sofferenza! Il dolore sembra sopraffarci, ma c’è sempre chi ci assicura con un perché che le lacrime pur essendo il nostro pane di giorno e di notte non sono il nostro futuro.

Quel giorno si è aperta una finestra definitiva nella vita degli uomini: la finestra del tempo definitivo, una finestra di eternità!

Era il primo giorno dopo il sabato: Domenica, la chiameranno in seguito, non ricorderanno di Gesù il giorno della morte come si fa di tutti, santi compresi; non si celebreranno centenari del giorno del trapasso, pure tragico, ma di lui si parlerà sempre del giorno dopo il sabato.

La domenica per noi cristiani è il giorno dell’evidenza della resurrezione, della fine delle nostre lacrime, è un regalo che Dio ci ha fatto.

Ci vogliamo sentir dire ogni domenica: perché piangi? Sui tuoi fallimenti, sulle tue carognate che continuamente riesci a inventare, sui tuoi dolori insopportabili, sul tuo peccato, sulla storia che va sempre fuori riga, sul mondo di guerre che continuiamo ad alimentare, sulla disperazione ormai immotivata, sui nuovi modelli di violenza che fanno della religione il campo più ambito per farsi propaganda, per seminare terrore e confusione nelle coscienze, con una crudeltà efferata che non guarda a età, ma solo a fede in Gesù .

I due apostoli di cui parla il Vangelo di oggi, il vecchio e il giovane, Pietro e Giovanni, la nostra stanchezza e la nostra grinta – che possiamo avere anche a cent’anni – ci hanno dimostrato con tre verbi come si possa essere anche oggi cristiani: andarono, videro e credettero! Si sono mossi dalla loro disperazione, sono usciti dal dolore e dalla vergogna del tradimento, hanno aperto gli occhi sui fatti, sulle evidenze messe davanti ai loro occhi, e hanno orientato la loro vita alla fede, l’unica capace di dare ragione di quello che sperimentavano.

La domenica è capace di darci risposte, perché la Domenica è la nostra vera vita: è quella finestra sulla speranza che non verrà mai meno, a partire da questo primo giorno dopo il sabato che ancora noi oggi celebriamo con dignità e … se fosse una virtù, e di questi tempi barbari lo è … e anche con orgoglio.

4 Aprile 2021
+Domenico

La risurrezione è la nostra vita

Una riflessione sulla Grande Veglia Pasquale 2021 (dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 28, versetti 1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Audio della riflessione

Stasera ci viene chiesta la fede: non possiamo appendere nelle scuole o negli edifici pubblici il risorto, ci vuole un atto di fede!

Appendiamo solo un  crocifisso, che richiama solo storia e pietà, anche se molti ci negano anche quella.

Stasera facciamo il salto nell’oltre: riconosciamo che l’uomo della debolezza e della croce, l’immagine dei nostri infiniti dolori è il Dio della risurrezione, è il nostro liberatore, è la vita piena e senza fine. Colui che è morto così miseramente senza nessun stoico coraggio è il Figlio di Dio.

L’evangelista Marco nel racconto di questa giornata memorabile (quello sopra riportato, letto nella Veglia di stasera) fa un discorso difficile, perché occorre affidarsi! Occorre avere il coraggio di  leggere il terremoto di cui si parla nel Vangelo come definitivo, come quello che ci toglie da ogni disperazione; questo terremoto ci consola, questo terremoto vogliamo chiedere a Dio: è il terremoto della vita che dà inizio alla costruzione di un nuovo mondo.

E’ il cambiamento radicale del nostro modo di pensare, degli stili della nostra esistenza, della  speranza oltre ogni paura e dolore. Non è il terremoto che ci fa paura e che ogni tanto colpisce il nostro mondo e soprattutto l’Italia. E’ questo terremoto di Pasqua, il terremoto della vittoria sul male e sulla morte, il terremoto che ha fatto saltare i macigni dalle tombe e dal cuore.  “Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato”

E’ questo terremoto che noi vogliamo augurare a tutti, che imploreremo con forza da Dio per tutti i morti di pandemia anche di questi giorni, dei ragazzi sgozzati, crocifissi perché cristiani.

Ricordo una messa celebrata in una suola per la Pasqua dove ho trovato giovani che a fatica hanno fatto un segno di croce, per non farsi tirare in giro dopo dai compagni: questo spesso è il coraggio delle nostra fede, il nostro coraggio quando siamo nella movida o nelle nostre vite private … la nostra fede per mestiere, il nostro forzato credere per  non creare problemi dove siamo … ma Dio è grande e ci dimostra continuamente il suo amore e la sua misericordia.

  • Resurrezione è sapere che abbiamo un futuro più grande di ogni nostra attesa, più forte delle nostre miserie, più autentico dei nostri giuramenti.
  • Resurrezione è non permetterci in nessuna situazione di dire la parolaccia “ormai” … perché risurrezione significa che c’è sempre più futuro che passato, perché la vita non è la quantità di giorni che ci rimangono, ma la qualità dell’esistenza che viviamo e che si prolungherà senza fine nella braccia di Dio.
  • Resurrezione è uno spazio di futuro che ci garantisce da ogni morte definitiva e questo ce lo ha regalato Gesù, il Nazareno, il condannato a morte, sepolto e risuscitato.

Siamo contenti e orgogliosi di offrire le nostre comunità credenti ai nuovi  battezzati in ogni parte del mondo; chiederemo loro perdono se il nostro esempio tenterà di affievolire quella gioia che stanotte hanno provato, ma vorremmo essere sempre all’altezza della fede che Dio a loro stanotte ha regalato; la loro giovinezza di fede ci aiuti tutti.

3 Aprile 2021
in occasione della Grande Veglia Pasquale
+Domenico

Ritorna la Pasqua anche se la pandemia non vuol saperne
Ritorna la Pasqua, anche se la primavera ritarda
Ritorna la speranza, anche se il mondo la scambia con una previsione
Ritorna la festa, anche se ce l’hanno “colorata” a tutti
Ritorna la vita, anche se non sei sicuro che ti lascino nascere
Ritorna la pace, anche se in Myanmar è iniziata ora una crudele repressione
Ritorna il sorriso, anche se rischia di contrarsi in una smorfia
Ritorna la felicità, anche se te la spengono con l’inganno
Ritorna l’amore, anche se deve difendersi da mille contraffazioni
Perché ritorna Gesù, il Risorto,
amore, felicità, sorriso, pace, vita, festa, speranza, Pasqua per sempre
E alla pandemia ci pensa anche il vaccino,
ma ci affidiamo prima a Dio
come faceva san Rocco

AUGURI!

Buona Pasqua da Don Domenico!

Abbiamo mai celebrato un vero passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla Grazia, dalla schiavitù alla libertà, e non solo alla liberazione?  

Tutti potremmo dire di sì, pensando alle nostre belle feste di Pasqua, anche se non c’è più molta gente che ricorda quelle durante la guerra, dato che il coronavirus si sta prendendo moltissimi testimoni: le tradizioni, le sacre rappresentazioni, le vacanze, i panettoni, le belle liturgie.  

Sono state proprio la vera Pasqua, un vero passaggio dalla schiavitù alla libertà, o non solo l’aver tolto i ceppi a qualche prigionia in cui eravamo e ci siamo tornati subito dopo?  

La fine del coronavirus oggi è il passaggio, quella Pasqua cui aspiriamo profondamente tutti, credenti e laici, uomini e donne, giovani e vecchi, perché è un «Egitto» che ci ha sconvolto tutto: salute, economia, relazioni, rapporto con la natura, sicurezze nel denaro, armi intelligenti, viaggi.  

Ci ha cambiato il mondo, una sorta di peccato di Adamo che inquina tutto.

Ciascuno di noi sta pensando che basterà trovare un vaccino … per tornare come prima?

Sarebbe un vero passaggio, o assomiglierebbe a tante delle nostre “pasque” mal ridotte dal consumismo e dalla nostra superficialità e che non hanno lasciato nessun segno, anche perché noi cristiani le abbiamo svendute? 

Stiamo dicendo e scrivendo che il mondo non sarà più come prima, che ci vorranno anni per ritornare a un nuovo equilibrio … non è stato sempre così, anche per il nostro spirito, per il significato del nostro vivere il passaggio dal peccato alla Grazia, alla pace, alla bontà, alla giustizia?… 

Il peccato è un “coronavirus” che ci sconvolge e distrugge il senso della vita, la gioia di vivere, la pace, la famiglia, la giustizia sociale, la politica come il più bell’atto di carità: l’Amore… e crediamo che basti ancora qualche mese di quarantena? 

No! Per noi fare Pasqua è accogliere una novità assoluta: il perdono di Dio che rigenera, ci fa nascere di nuovo, ci fa persone nuove purché non sia commercializzato e non si concluda con una festa a «tarallucci e vino», e metta al centro il Cristo morto – e lo stiamo vedendo nei nostri intubati e sequestrati dagli affetti e dalla vita – e risorto, capace di ricostruirci dal di dentro. 

La “Pasqua dal coronavirus” ci fa scoprire quanto è più profonda e impegnativa la nostra Pasqua cristiana di questi giorni: non sono due pasque separate o antitetiche, ma i cristiani possono e si impegnano veramente per l’una e per l’altra, perché Gesù fa parte sempre della nostra umanità, e serviamo sempre Lui.  

In Gesù non c’è nessun passato, ma sempre un presente e un futuro di Amore, senza limiti, per ogni persona. 

Allora ci auguriamo ancora e sempre  

Buona Pasqua 2020 

+Domenico Sigalini, Vescovo