Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 4, 26-34)
Alle volte vedendoci agire, impegnati, desiderosi di concludere, portati all’efficienza, sembriamo quasi non normali: abbiamo fretta sempre!
Spesso ci confessiamo perché abbiamo perso la pazienza, abbiamo lasciato indietro qualcuno che ci chiedeva aiuto, perché pensavamo di dover essere già in un altro posto, oppure ci dispiaceva che la lentezza ci facesse perdere una bella occasione per noi.
Quando eravamo bambini e ci facevano fare piccoli esperimenti di semina, ci veniva voglia e purtroppo non solo quella, di tirare il piccolo filo d’erba del frumento seminato in un piattino per aiutarlo a togliersi dal marcio del seme che – secondo noi – non lo lasciava uscire, e rovinavamo tutto.
Così vorremmo fare per il Regno di Dio che è proprio paragonato da Gesù a un seme gettato nel campo: ci dice esplicitamente e in maniera inequivocabile: tu dormi o vegli, di notte o di giorno, quello germoglia e cresce, senza che tu ti preoccupi del come.
Questo seme è il regno di Dio ed è proprio opera di Dio. Tu non intralciarlo, faresti solo danni … noi siamo soltanto servi!
Chi ha in mano la storia, il mondo, il volto della bontà e della giustizia, del suo regno è Lui, è Gesù: è molto difficile da capire, ma deve essere chiarissima, la priorità assoluta di Dio.
Noi potremmo danneggiare il suo piano, il suo regno: affannarsi, preoccuparsi, agitarsi non serve che a complicare la vita. sia fisica, che spirituale.
Mancare di pazienza significa dire a Dio che tutto dipende da me, non avere fede, idolatrare l’efficienza, per aggiudicare al nostro operato il Regno di Dio.
Dobbiamo abituarci, invece, ad avere somma fiducia nel Signore.
Per imparare meglio questo invito di Dio occorre valutare che posto ha la preghiera nella nostra vita. In genere l’impazienza abita in chi prega poco, in chi non sta a contemplare il Signore perché crede che tutto dipenda da sé: è ritenere inutile la preghiera di domanda, di contemplazione, di condivisione dei nostri pensieri con quelli di Dio; è un atto di superbia che fa fatica ad accettare i piani di Dio nella nostra esistenza.
Se poi si lavora con altri, si corre il rischio di giudicare la pazienza per fannullaggine, l’aspettare per disimpegno, il meditare per una perdita di tempo, e quindi offendiamo pure.
Ancora più profondo è stato Gesù, che ha dovuto patire la sconfitta del suo piano quasi fosse una condanna del Padre: la morte di croce poteva sembrare un fallimento del Regno, invece proprio in quel fallimento Dio stava scrivendo il mondo nuovo, la salvezza per l’umanità.
Il suo Regno che non poteva essere la conquista attraverso la rivoluzione degli zeloti, oppure l’ansietà degli apocalittici che già si preparavano al giudizio finale, oppure il disprezzo dei farisei che puntavano ancora sulla restaurazione dell’osservanza minuziosa di una legge senza anima … ma nemmeno la disperazione di Giuda che si è sentito ingannato da Gesù nel suo piano da sicario.
Il regno verrà certamente perché è di Dio e Dio non viene mai meno alle sue promesse!
Nell’attesa paziente si dà più forza alla volontà che nasconderla nell’attivismo saccente e autoesaltante.
Dice un salmo … “Questo risponderò a chi mi insulta: ho fede nella sua parola.”
29 Gennaio 2021
+Domenico