Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,41) dal Vangelo del giorno (Lc 1,39-45)
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo
Si fa un gran parlare oggi di embrioni, di frutto del concepimento, di vita nata e non completa … purtroppo si pratica l’aborto, la soppressione della vita di chi è indifeso e viene visto come un attacco alla vita degli adulti.
Esistono sofferenze immani, che vengono spesso solo usate per battaglie ideologiche e per queste sofferenze occorrerebbe avere una possibilità di accoglienza, di comprensione, di aiuto, di non lasciare nella solitudine di decisioni irrevocabili, di rimorsi che poi non riescono più ad essere assorbiti.
C’è spesso molta incoscienza e molta faciloneria, un disprezzo della vita e della sofferenza delle persone che non ha uguali in altri campi … ebbene, il Vangelo ci presenta una bellissima immagine che può aiutarci a guardare alla vita ancora prima del suo nascere con atteggiamenti di stupore e di semplicità, di gioia e di attesa.
Ci sono sulla scena da alcuni mesi due madri: Elisabetta e Maria. Elisabetta è anziana, si tiene nascosta, porta in grembo un bimbo che non sperava più, ha vergogna di quel che dice la gente. “Alla tua età, hai ancora queste velleità, non potevi mettere il cuore in pace, non sai quello che rischi?”
L’altra è Maria, la madre di Gesù: aveva saputo delle difficoltà della cugina Elisabetta. Anche Lei, Maria, porta in corpo un segreto, non si vede ancora niente, ma il fuoco che ha dentro la spinge a mettersi a disposizione, porta in grembo l’amore fatto persona e la sua vita comincia a trasformarsi in gesti di amore.
E l’incontro è … sicuramente fatto dalle parole che le due donne si dicono, ma è condotto dai due concepiti: Giovanni Battista nel seno di Elisabetta scalcia e coglie la presenza di Gesù nel seno di Maria. Sono già due vite, due persone, due progetti, due missioni. Dice il Vangelo: “Ecco appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”.
È esperienza di tutte le madri sentire i propri figli scalciare nel proprio seno, ed è già la presenza di un altro da sé, non di una appendice del proprio corpo, come tante volte si ritiene.
Ebbene, Gesù già si annuncia come il salvatore fino dal seno di sua madre: è proprio una speranza allora già presente, che ci riempie di gioia.
In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno». Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.
Il potere è sempre scaltro: crede di avere in mano tutto, di non essere soggetto a nessuna morale, di poter decidere di tutto e di tutti, anche della verità; insabbiare, sopprimere, depistare, far sparire le prove, compiere ingiustizia sui deboli è il metodo dell’oppressione.
Le gradazioni dell’ingiustizia sono tante: ciascuno di noi ha la sua parte piccola o grande nel non rispettare la verità, del far valere l’autorità per comodo, mettendo la persona sempre al secondo posto se non all’ultimo.
E’ così nelle relazioni affettive, quando si vive di ricatti, nella famiglia, sul lavoro … la ricerca della giusta causa è un perditempo che non ci si può permettere nel mondo convulso di oggi.
Hanno tentato di insabbiare anche la risurrezione: le guardie si sono trovate davanti la tomba vuota, pur avendo vigilato alla grande e con precisione tutta notte.
“Da qui nessuno è uscito, lo avremmo ben visto; di qui nessuno è passato, lo avremmo fermato. Non abbiamo notato nessun movimento strano e nella nostra ultima visita tutto era a posto. Abbiamo lasciato passare qualche donna al mattino, le abbiamo perquisite: olio e balsamo … portavano … andavano a fissare ancora di più quel cadavere alla tomba, ma si sono messe subito a urlare: là il corpo non c’è proprio più!”
E’ la prima conferma alla “magistratura” del fatto straordinario: non sono appena donne esaltate o amici affezionati, ma anche il corpo di guardia … questi non sono mai stati teneri con Gesù, anzi si ricordano ancora come si sono scaricati sul suo corpo.
“Dite che lo hanno rubato mentre dormivate, prendete questi quattro soldi e al resto pensiamo noi” … la pentola senza il coperchio, la protervia contro la verità.ma Gesù non è uscito di prigione come è stato per Pietro che lo hanno visto al tempio a predicare; e hanno constatato in seguito che i cancelli erano ancora chiusi…
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Volevano insabbiare anche la risurrezione (Mt 28, 8-15)
Il potere è sempre scaltro, crede di avere in mano tutto, di non essere soggetto a nessuna morale, di poter decidere di tutto e di tutti, anche della verità. Insabbiare, sopprimere, depistare, far sparire le prove, compiere ingiustizia sui deboli è il metodo dell’oppressione. Le gradazioni dell’ingiustizia sono tante, ciascuno di noi ha la sua parte piccola o grande nel non rispettare la verità, del far valere l’autorità per comodo, mettendo la persona sempre al secondo posto se non all’ultimo. E’ così nelle relazioni affettive, quando si vive di ricatti, nella famiglia, sul lavoro. La ricerca della giusta causa è un perditempo che non ci si può permettere nel mondo convulso di oggi.
Hanno tentato di insabbiare anche la risurrezione. Le guardie si sono trovate davanti la tomba vuota pur avendo vigilato alla grande e con precisione tutta notte. Da qui nessuno è uscito, lo avremmo ben visto; di qui nessuno è passato, lo avremmo fermato. Non abbiamo notato nessun movimento strano e nella nostra ultima visita tutto era a posto. Abbiamo lasciato passare qualche donna al mattino, le abbiamo perquisite: olio e balsamo portavano; andavano a fissare ancora di più quel cadavere alla tomba, ma si sono messe subito a urlare.
Ma là il corpo non c’è proprio più. E’ la prima conferma alla magistratura del fatto straordinario. Non sono appena donne esaltate o amici affezionati, ma anche il corpo di guardia; questi non sono mai stati teneri con Gesù, anzi si ricordano ancora come si sono scaricati sul suo corpo.
Dite che lo hanno rubato mentre dormivate, prendete questi quattro soldi e al resto pensiamo noi. La pentola senza il coperchio, la protervia contro la verità.ma Gesù non è uscito di prigione come è stato per Pietro che lo hanno visto al tempio a predicare; e hanno constatato dopo che i cancelli erano ancora chiusi; la risurrezione è tutta un’altra cosa. Non è fotografabile come ogni azione di Dio, come la creazione. Nessuno riuscirà a trovare il Risorto, si darà a vedere soltanto Lui e a chi vorrà e quando vorrà e non sarà una visione da meraviglia, fantastica, ma una gioia interiore, indicibile, coinvolgente, trasformante. Quattro secoli dopo S. Agostino dirà ironicamente: Che bei testimoni mi presenti per dimostrare il furto: gente che dormiva! E se dormiva che hanno visto?
Quando non si vuol credere diventiamo ridicoli, ci attacchiamo a tutto pur di salvarci da conclusioni che ci cambiano la vita, perché credere che Gesù è risorto vuol dire che sono scomodato sempre e tutto. La speranza non si può imprigionare né rubare, ma solo contemplare e adorare.
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Volevano insabbiare anche la risurrezione (Mt 28, 8-15)
Il potere è sempre scaltro, crede di avere in mano tutto, di non essere soggetto a nessuna morale, di poter decidere di tutto e di tutti, anche della verità. Insabbiare, sopprimere, depistare, far sparire le prove, compiere ingiustizia sui deboli è il metodo dell’oppressione. Le gradazioni dell’ingiustizia sono tante, ciascuno di noi ha la sua parte piccola o grande nel non rispettare la verità, del far valere l’autorità per comodo, mettendo la persona sempre al secondo posto se non all’ultimo. E’ così nelle relazioni affettive, quando si vive di ricatti, nella famiglia, sul lavoro. La ricerca della giusta causa è un perditempo che non ci si può permettere nel mondo convulso di oggi.
Hanno tentato di insabbiare anche la risurrezione. Le guardie si sono trovate davanti la tomba vuota pur avendo vigilato alla grande e con precisione tutta notte. Da qui nessuno è uscito, lo avremmo ben visto; di qui nessuno è passato, lo avremmo fermato. Non abbiamo notato nessun movimento strano e nella nostra ultima visita tutto era a posto. Abbiamo lasciato passare qualche donna al mattino, le abbiamo perquisite: olio e balsamo portavano; andavano a fissare ancora di più quel cadavere alla tomba, ma si sono messe subito a urlare.
Ma là il corpo non c’è proprio più. E’ la prima conferma alla magistratura del fatto straordinario. Non sono appena donne esaltate o amici affezionati, ma anche il corpo di guardia; questi non sono mai stati teneri con Gesù, anzi si ricordano ancora come si sono scaricati sul suo corpo.
Dite che lo hanno rubato mentre dormivate, prendete questi quattro soldi e al resto pensiamo noi. La pentola senza il coperchio, la protervia contro la verità.ma Gesù non è uscito di prigione come è stato per Pietro che lo hanno visto al tempio a predicare; e hanno constatato dopo che i cancelli erano ancora chiusi; la risurrezione è tutta un’altra cosa. Non è fotografabile come ogni azione di Dio, come la creazione. Nessuno riuscirà a trovare il Risorto, si darà a vedere soltanto Lui e a chi vorrà e quando vorrà e non sarà una visione da meraviglia, fantastica, ma una gioia interiore, indicibile, coinvolgente, trasformante. Quattro secoli dopo S. Agostino dirà ironicamente: Che bei testimoni mi presenti per dimostrare il furto: gente che dormiva! E se dormiva che hanno visto?
Quando non si vuol credere diventiamo ridicoli, ci attacchiamo a tutto pur di salvarci da conclusioni che ci cambiano la vita, perché credere che Gesù è risorto vuol dire che sono scomodato sempre e tutto. La speranza non si può imprigionare né rubare, ma solo contemplare e adorare.
La risurrezione è tutta un’altra cosa: non è fotografabile come ogni azione di Dio, come la creazione! Nessuno riuscirà a trovare il Risorto: si darà a vedere soltanto Lui e a chi vorrà e quando vorrà e non sarà una visione da meraviglia, fantastica, ma una gioia interiore, indicibile, coinvolgente, trasformante.
Quattro secoli dopo Sant’Agostino dirà, ironicamente: “Che bei testimoni mi presenti per dimostrare il furto: gente che dormiva! E se dormiva che hanno visto?”
Quando non si vuol credere diventiamo ridicoli: ci attacchiamo a tutto pur di salvarci da conclusioni che ci cambiano la vita, perché credere che Gesù è risorto vuol dire che sono scomodato sempre e tutto.
La speranza non si può imprigionare né rubare, ma solo contemplare e adorare.
Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 26, 14-16) dal Vangelo del giorno (Mt 26, 14-25) nel Mercoledì santo
«Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? ”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo».
Non c’è nessun destino nella vita umana, c’è sempre e solo capacità di intercettare una proposta, una chiamata e la creatività di rispondere o di rifiutare. Dio ci fa liberi, ma la nostra vita non è automaticamente collocata nella bontà. Esiste sempre la necessità di scegliere e le scelte sono collocate entro un disegno di amore. Destino è una parola che non sta bene sulla bocca del cristiano e noi la usiamo molto spesso. Era destino che… è stato il suo destino… vuol dire che era destinato a… ce l’ha messa tutta, ma non ce l’ha fatta: era destino che…Non è assolutamente vero.
Dio ci chiama alla libertà e ci offre tutte le condizioni per viverla. Resta sempre un grande mistero, quello sì. E la parola mistero non è una affermazione sbrigativa, per dirci che non val la pena di pensarci, ma è una espressione di coinvolgimento in un piano superiore alle nostre vedute e immerso in una atmosfera di amore.
Resta un mistero la sua volontà che non può essere scalfita da disobbedienza alcuna; resta un mistero la nostra libertà di scegliere, che ci è sempre garantita; resta un mistero come si accordino, ma sappiamo che in Dio abbiamo un posto di amore.
Giuda non ci ha più creduto: si è tormentato, si è confrontato, ha avuto la debolezza di lasciarsi incantare da abbagli di morte e non ha più avuto il coraggio di riprendere in mano la vita, come invece è riuscito a fare Pietro.
Ambedue traditori, ma uno chiuso in sé, l’altro aperto alla misericordia di Dio.
E’ penosa la scena di quella intimità profonda tra Gesù e i suoi all’ultima cena: Gesù apre tutto il suo cuore in maniera struggente e tutti stanno a tirarsi indietro con quel bugiardo: sono forse io Signore?
Sì, ciascuno aveva in cuore un piccolo o grande tradimento, ciascuno il giorno dopo non avrebbe retto alla prova, si sarebbe squagliato, avrebbe fatto tutte le carte false possibili per far credere di non essere mai stato con Lui.
Anche noi forse in queste giornate vedremo rappresentazioni della passione e vivremo le belle liturgie della Settimana Santa: staremo anche noi a tirarci indietro con quel farisaico “Sono forse io, Signore?” O ci prenderemo le nostre responsabilità e apriremo la mente, il cuore a quella unica speranza della nostra vita che è il suo perdono? E che diventa certezza?!
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,21-23) dal Vangelo del giorno (Gv 13, 21-33.36-38) nel Martedì Santo 2021
In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
Anche nei cuori più puliti, nelle intenzioni più belle e sincere, nelle amicizie più profonde c’è sempre la presenza di un tarlo che può rovinare tutto: il tradimento.
Lo abbiamo provato magari tutti nell’età dell’adolescenza, quando avevamo trovato un amico, una amica, che speravamo fosse la nostra ancora di salvezza, il nostro punto di confidenza, il superamento della nostra solitudine e poi … ci siamo visti le nostre confidenze messe in piazza, i nostri sentimenti buttati in pasto a tutti; soprattutto l’amico, con cui avevamo fatto patti di acciaio, farsi ostile e nemico, con il vantaggio di avere in mano tutti i nostri punti più deboli: traditore.
Gesù passa attraverso questa dolorosissima esperienza, non nei giochi di una adolescenza, che per prove e difficoltà si fa più forte nell’affrontare la vita, ma nel pieno della sua missione: è stato tradito, aveva riposto tutte le sue speranze nei dodici, ma aveva sempre avuto grande rispetto della libertà di tutti.
Giuda e Pietro sono alla stessa mensa, a quella cena intima che Gesù ha voluto consumare prima degli eventi definitivi della sua missione: ambedue apostoli, ambedue collaboratori stretti di Gesù, ambedue alle prese con la propria coscienza, le proprie paure, ambedue con un rapporto di amicizia con Gesù … e satana scatena la sua battaglia, si insinua nelle loro vite e ne sfrutta le debolezze.
Giuda lo tradisce con un bacio, Pietro con la paura.
Gesù li ha chiamati entrambi, ha voluto far nascere nel loro cuore la sua passione per il Regno di Dio.
Giuda era un poco di buono, ma Gesù accetta la sfida: “se vuoi puoi farti affascinare da un amore più grande di quello che provi oggi”. Giuda era stato scelto per essere apostolo, chiamato all’intimità con Gesù, a partecipare al suo progetto di mondo nuovo a partecipare al suo amore, alla sua missione … ma ha scelto di abbandonare e ha creduto che il peccato fosse più grande della misericordia, non ha capito che poteva sempre e solo sperare, perché Gesù è la speranza vera di ogni vita.
Anche là dove si costruisce la tana dei disperati, c’è sempre uno spiraglio di bontà: la luce della speranza si insinua in ogni fessura e vince. Pietro invece l’aveva capito e ha bagnato l’amore fragile nel pianto.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 3) dal Vangelo del giorno (Gv 12, 1-11) nel Lunedì Santo 2021
«Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo».
Esistono momenti nella nostra vita carichi di simboli, di presagi, di strane o fortunate coincidenze, di gesti semplici, ma profondi che ti aiutano a trovare un senso, una luce per il cammino dell’esistenza: sono i momenti delle decisioni per il matrimonio, o per una vita consacrata a Dio, sono situazioni che decidono l’avvenire dei figli, una svolta nella professione, nella ricerca del lavoro, nella nostra stessa ricerca della fede.
La cena in casa di Lazzaro, a sei giorni dalla pasqua è per Gesù uno di questi momenti carichi di significato, di presagi, di dolcezza: la trama dei farisei si sta infittendo sempre più, Gesù deve sostenere tutti i giorni nel tempio una diatriba serrata con tutto l’apparato … gli hanno giurato di farlo morire: la sua predicazione è insopportabile, destabilizzante.
Gesù ha un luogo accogliente, in cui nell’amicizia si stemperano le tensioni, dove è possibile vivere rapporti umani, dove la delicatezza è sovrana, dove sei accolto per quello che sei, non per nessun ruolo che svolgi, dove in amicizia si può sperimentare sincerità, fiducia, confidenza …
Gesù ha un cuore di uomo, amante della vita: ha bisogno del calore di una famiglia che manca spesso a tanti di noi, quel luogo in cui ci si dona l’uno all’altra per amore.
Il gesto più bello d’amore, l’ultimo che l’umanità gli ha rivolto – non sarà certo così il bacio di Giuda, e nemmeno lo schiaffo nel pretorio – l’ultimo gesto d’amore, il più bello, lo compie ancora Maria, la sorella di Lazzaro. che versa sui piedi di Gesù un profumo delicatissimo, costoso, quello delle grandi occasioni.
E’ la sorella di Lazzaro, e … unge a Gesù quel corpo che fra poco penderà dalla croce, che sarà percosso e umiliato, oltraggiato in maniera efferata: Gesù pensa alla sua sepoltura, perché ormai la morte è vicina … Giuda invece pensa agli affari e accampa la scusa dei poveri.
I poveri sono purtroppo sempre usati per nascondere le intenzioni più basse: “non si poteva vendere questo profumo che costa 300 denari per i poveri?” … ma non ci saranno funerali per Gesù, né bisogno di curarne il corpo freddo nella morte, ci sarà la morte, sicuramente; il male avrà il sopravvento, ma solo per porre davanti a tutti nella solennità di un trono scomodo quale è quello della croce, il massimo di bene che Dio avrà sempre per l’uomo, anche per i traditori, per gli infami.
Allora si leverà nella vittoria massima la speranza di vita per tutti, una speranza prefigurata e generata nei gesti semplici dell’amore, che si avvererà, dentro una accoglienza libera nella fede, nella morta di Gesù in croce, e nella risurrezione.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 47-48) dal Vangelo del giorno (Gv 11, 45-56) nel Sabato della V settimana di Quaresima
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione».
Nel campo di sterminio di Auschwitz un giorno si procede a una decimazione. Devono essere messi a morte dieci prigionieri presi a caso. Capita un padre di famiglia, che piange sconsolato pensando ai suoi figli. Un frate p. Massimiliano chiede di poterlo sostituire e prende il suo posto. Muore per salvare una vita. E’ S. Massimiliano Kolbe.
E’ arrivato a questo gesto non per caso, Aveva alle spalle una vita di generosità, come non sono poche le mamme che preferiscono portare a termine una gravidanza che pensare alla propria salute: Muoiono per dare la vita.
Un giorno assolato, una spiaggia tranquilla, i ragazzi finalmente sono riusciti ad andare al mare, fanno un bagno “divertito”: Un’onda anomala li investe e li sta annegando tutti.
Il prete si fa in quattro e li porta a riva a uno a uno. Lui è un atleta, ha alle spalle tante ore di nuoto e ce la fa. Ma alla fine cade a terra stroncato dalla fatica: è morto per salvare i suoi ragazzi.
Il nostro mondo non è fatto solo di egoisti, ma anche di uomini e donne che sanno fare dell’amore la loro legge!
Gesù, uomo come noi, è dentro questa catena di bontà: è venuto a salvarci, ha condiviso in tutto la nostra vita e non poteva non offrire la sua per la vita di tutti.
Il vangelo di Giovanni narra come lentamente, ma inesorabilmente si sta stringendo il cerchio della morte attorno a Lui: ha toccato più di un nervo scoperto del potere dei sommi sacerdoti che, a pochi giorni dalla grande pasqua intensificano le loro sedute, diurne e notturne, pubbliche e mafiose, per poterlo fermare.
L’ultimo fatto inaudito è la risurrezione di un morto, molto noto, nobile, che abitava alle porte di Gerusalemme, Lazzaro: qualche uomo del potere era pure andato ai funerali, aveva visto sigillare la tomba … ma, inaudito, Gesù è arrivato quando già il cadavere aveva un odore insopportabile e lo ha riportato in vita.
Ma dove andremo a finire? Se Gesù continua così, noi possiamo andare tutti in pensione, ma quello che più conta finisce la nostra religione: occorre fermare questo Gesù, “E’ meglio che uno muoia per la salvezza di tutti.”
Mai profezia fu così precisa, mai odio fu così lucido nel decidere una strategia di sopravvivenza … e l’hanno fatto fuori, credendo di aver risolto il problema.
Ma Gesù ha spuntato con la risurrezione anche queste armi di morte, ed è diventato speranza per tutti noi.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 33) dal Vangelo del giorno (Gv 10, 31-32) nel Venerdì della V settimana di Quaresima
Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”.
Chi ci ha preceduto – e forse anche noi nella fanciullezza e nella prima adolescenza – è cresciuto con la profonda convinzione di essere fatto a immagine di Dio, come il tu di un Dio personale: Dio è l’essere in cui rispecchiarsi e a cui configurarsi, in cui trovare il senso della vita e della morte, della buona e della cattiva sorte, del presente e del futuro …
Oggi, tuttavia, viviamo un’epoca nella quale l’uomo non crede più alla centralità di Dio nella storia.
Conseguenza? “Rottamato Dio” si è proceduto alla “rottamazione” dell’uomo, dissolto in mille maschere, simulacri, manichini.
Siccome siamo profondamente “religiosi” … la nostra vita è sempre orientata a una sete di Lui … ci inventiamo dei surrogati: i ragazzi che non sentono più parlare di Dio, cadono anche nel satanismo; la gente semplice si cerca le sue magie – di fatto sta aumentando il fatturato dei maghi; l’intellettuale, crede di non fare la fila dalle fattucchiere, ma pone la sua fiducia solo nelle ipotesi scientifiche, che fungono ancor più da ultima spiaggia, destinata a dissolversi ad ogni ricerca più avveduta, anche se la pandemia ci ha tolto un po’ della nostra sicumera; il superficiale sostituisce sempre Dio con le sue “star”.
A questa deriva il popolo di Israele si opponeva in tutti i modi, richiamando sempre l’assoluta unicità di Dio; per questo non sono riusciti a farsi provocare da Gesù, vedevano in Lui un uomo che aveva la sfrontatezza blasfema di mettersi al posto di Dio: Inaudito, Bestemmia, roba da lapidazione … e infatti cercavano ogni modo per lapidarlo: di fronte a questa bestemmia non servivano processi, tanto per loro era delittuosa.
Noi siamo tanto abituati agli idoli che non ci faremmo caso: ogni tanto c’è uno che si fa dio, il denaro per esempio, che diventa il dio della nostra vita, uno o qualcosa cui sacrifichiamo la nostra felicità, la nostra esistenza.
Abbiamo bisogno di ritornare al Dio vero e l’unica strada è Gesù, è il Vangelo, la sua buona notizia; è la sua croce, la sua storia, è la sua vita donata.
Tornare a Dio, significa sperare ancora e essere certi che la vita è ancora nelle sue mani, la nostra come quella del mondo, pure con la nostra pandemia.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 38) dal Vangelo del giorno (Lc 1, 26-38) nella Solennità dell’Annunciazione
Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.
L’istante del concepimento è il vero inizio della vita di una persona: lì, nel segreto del seno materno inizia una vita nuova, inizia un progetto, una novità assoluta … certo assomiglierà al papà e alla mamma, ai nonni e alle zie, avrà un colore della pelle, caratteristiche somatiche che dipendono dal luogo in cui nasce, dall’etnia cui appartiene, ma è e sarà sicuramente non riducibile a nessun altro, avrà un suo DNA caratteristico: non si sentirà “fatto in serie”, ma sempre una assoluta novità.
Dio da quel momento ha già inscritto una sua peculiarità: la sua anima, il suo alito di vita, soprattutto il suo amore.
Tutto comincia da questo momento magico, che non è per nulla imbarazzante, è un momento di amore, non è una operazione chirurgica, né una tecnica sofisticata per far vedere che come uomini siamo bravi e sappiamo manipolare tutto; non c’è inseminazione artificiale che tenga. Sono solo strumenti sostitutivi che non devono mai lasciare in secondo piano l’amore profondo di due persone e l’unione della loro corporeità. Il piano di Dio prevede che sia sempre l’amore che provoca la vita, anche se la cattiveria umana spesso lo fa diventare il momento della violenza e del sopruso.
Oggi, a nove mesi esatti dal 25 dicembre – il giorno di Natale – la Chiesa non può non rivivere il momento magico del concepimento di Gesù: Dio si è inscritto nella vita dell’uomo, ne segue le leggi, soprattutto ne interpreta i momenti determinanti e infonde in loro la luce vera del progetto di amore di Dio.
Maria, una giovane ragazza ebrea si sente chiamata a dire sì, a vivere per il Signore la grande, estasiante, unica avventura di diventare mamma, a dare la sua adesione al grande piano di Dio, di abitare tra noi, di condividere la nostra umanità, la nostra quotidianità.
Dalla sua disponibilità dipende l’inizio di una storia che cambierà il mondo: i secoli vengono divisi in due da quel momento … l’uomo può di nuovo cominciare a sperare: la nostra carne non è debolezza e vanità, ma la carne del Figlio di Dio.
E Maria dice sì. Non diranno sì tante persone che incontreranno Gesù, anzi molti gli daranno battaglia, lo metteranno in croce, ma proprio lì si esprimerà la pienezza dell’amore partito da quel concepimento, e nessuno più lo fermerà.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 8, 28-30) dal Vangelo del giorno (Gv 8, 21-30) nel Martedì della V settimana di Quaresima
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.
Dobbiamo assolutamente avere la possibilità di alzare lo sguardo da questa nostra vita a qualcosa, a qualcuno che ci sta davanti. I nostri giorni possono per molto giocarsi tutti sulle nostre preoccupazioni, i nostri problemi, ogni giorno ne scopri uno nuovo: ti sembrava finalmente di poter stare un po’ in pace, invece ritorna di nuovo il vecchio male, si accaniscono ancora le vecchie “sfortune”, il marito ritorna al suo vizio, la moglie alle sue manie, i figli fanno quello che vogliono, gli adulti non capiscono niente… e così via.
Ma abbiamo qualche volta il coraggio di alzare gli occhi, di guardare un po’ più in là del nostro naso, di tirarci fuori da questa nebbia che tarpa le nostre ali?
Gli ebrei nel deserto, dopo che erano stati avvelenati dai serpenti guardavano a un serpente di bronzo, che Mosè aveva loro messo davanti, e ne restavano guariti.
Noi non abbiamo serpenti o magie da guardare, non abbiamo scene particolari che ci possono sconfiggere la routine dolorosa della vita, ma abbiamo qualcuno cui poter alzare lo sguardo, Abbiamo un simbolo che ci può dare forza: la croce.
“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono”: Gesù viene innalzato su quella croce, perché tutti possiamo alzare lo sguardo a lui.
E’ sempre un grande mistero pensare che noi cristiani vogliamo metterci sempre davanti agli occhi un crocifisso, un segno di dolore, uno strumento di tortura e di passione, una condanna vivente … eppure, se guardiamo a quel crocifisso, riusciamo di più a capire la nostra vita: noi guardiamo a lui e lui guarda a noi.
Ci vediamo sopra un uomo che muore come capiterà a tutti noi di morire, un uomo lasciato solo come tanto spesso ci troviamo soli noi anche noi, un uomo che ha paura di morire, come l’abbiamo noi, un uomo con le braccia aperte come vorremmo sempre trovarci uno davanti a noi, un uomo che sa abbandonarsi nelle braccia di suo Padre, di cui è Figlio amatissimo, un uomo soprattutto che esprime il massimo di amore di Dio per noi e di questo abbiamo infinitamente bisogno.
Alzare lo sguardo al crocifisso, smettere di piangerci addosso e di guardare alle nostre miserie … è la nostra unica e vera speranza, che nessuno ci può togliere, perché noi, guardando il crocifisso, contempliamo l’amore.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 24-26) dal Vangelo del giorno (Gv 12, 20-33) nella V domenica di Quaresima (Anno B)
In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.
Sono tante le cose necessarie nella vita: avere una buona famiglia, un papà e una mamma che ti vogliono veramente bene, un marito o una moglie che è felice di vivere con te, avere un lavoro che ti permette di “campare”, condurre una vita onesta, star bene di salute … l’elenco potrebbe anche continuare, ma soprattutto deve orientarsi anche a qualcosa di più profondo, che è il sapere di stare a cuore a Dio.
L’esperienza religiosa non è secondaria nella vita di una persona: le permette di salire su … un albero per guardare l’esistenza dall’alto e capire quale è il proprio posto nella vita, le permette di avere un punto di riferimento per dare senso a quello che capita ogni giorno, e che spesso non riesci a capire.
Ebbene, un giorno si avvicinano al gruppo dei discepoli che stanno accanto a Gesù, alcuni stranieri: sicuramente sono stati colpiti da quanto si dice in giro di Gesù, un tam tam popolare lo aveva reso celebre: tutti ne riconoscevano la grande personalità, si sentivano consolati e affrancati dalla sua parola.
Ecco allora naturale la richiesta di questi stranieri: Vogliamo vedere Gesù … vogliamo parlargli, incontrarlo, conoscerlo … vogliamo anche noi poter stare con Lui.
E’ la domanda che ogni cristiano si deve fare ogni giorno … spesso invece, ne portiamo il nome, ci adorniamo dei suoi segni, mettiamo al collo una croce, ma lui resta il grande sconosciuto; diventano più importanti le cose secondarie, gli stessi precetti di buon comportamento, che conoscere Lui, Gesù.
Sì … due o tre nozioni imparate al catechismo, qualche parabola, qualche sentimento vago a Natale o a Pasqua ce l’abbiamo, ma la sua vita, la sua missione, quello che gli ardeva nel cuore, spesso non lo conosciamo, o non vogliamo pensarci.
E Gesù a quei greci che lo volevano conoscere dice subito quello che lo caratterizza: “sono un chicco di grano che ha il coraggio di morire nella terra per poter risorgere a vita nuova”; presenta a loro subito il centro della sua esistenza: il dono di sé fino alla consumazione, ma nella consapevolezza di una risurrezione.
Nella vita non si può vivere per se stessi … ci si diverte pure, ma si rimane soli, con un cuore rinsecchito di egoismi … invece chi ha il coraggio di dare la sua vita, di perderla, la ritroverà piena, sovrabbondante, incontenibile.
Questa è la nostra speranza, a questa speranza ci orienta sempre la vita di Gesù.