Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,53-56)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.
Audio della riflessione.
È abbastanza innato per noi persone fatte di carne e ossa che i nostri incontri abbiano sempre bisogno di una concretezza, di un contatto. Il contatto concreto non solo da smartphone, ma nella nostra corporeità è ancora più desiderato oggi, che possiamo tenerci in contatto 24 ore su 24 con il mondo virtuale.
Il dire io c’ero, non stavo solo a distanza a vedere su un monitor, è la festa dell’esserci, del toccare con mano luoghi, persone, suoni e panorami. Ancora di più è importante il contatto fisico se si tratta di un amico, di un medico, di un taumaturgo e, per i ragazzi e i giovani, di un idolo del calcio o della TV, di una persona sempre vista, ma mai incontrata. Ho un selfie con lui, ho una sua firma sulla mia T-shirt, un suo autografo sul libro che ha scritto in cui io mi riconosco.
Gesù nei suoi giorni di predicazione, di incontro con la gente sulle rive del lago, sa che la gente non solo lo vuol ascoltare, ma anche vedere e toccare, soprattutto se sono malati. È la festa della corporeità ferita, dell’aver raggiunto una meta, una possibilità di salute e salvezza come molti capiranno, oltre la salute fisica.
Per Gesù è anche la possibilità di un contatto personale, per Lui ciascuno è una originalità, non sono mai massa, né gente anonima, ma persone con una storia, con una sete, con una vita spirituale assetata di pienezza.
Noi questa consolazione di sentirci amati personalmente da Lui, la vogliamo provare, sentire, accogliere. Non essere solo un numero soprattutto quando il cuore canta a mille e la vita ha bisogno di sentirsi accolta, di travasare dentro di sé un amore unico, un momento per me.
Diceva san Giovanni Paolo II: Voi siete un pensiero di Dio, un palpito del suo cuore. Ebbene Gesù era il tocco del Padre di ognuno, era il contatto col mantello, cioè il trapasso nella vita di chi lo toccava della sua forza d’amore, del suo slancio di offerta, del suo sguardo negli occhi del Padre.
Noi oggi questo tocco personale, questa udienza privata e comunitaria l’abbiamo ogni giorno nell’Eucaristia: un mistero grande, ma che ci riporta sempre a quel pane che Gesù si è mostrato di essere anche ai suoi discepoli sempre scoraggiati.
05 Febbraio
+Domenico