Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,14-21)
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Audio della riflessione.
Avere un ideale ti aiuta molto a vivere, avere un sogno che lancia la tua immaginazione oltre le ingessature della realtà ti può far rischiare la fuga, ma spesso ti permette di nutrire progetti, visioni di mondo belle, catalizzare le forze su prospettive nuove. Non abbiamo bisogno solo di mangiare, di riempire la pancia, ma anche di bellezza, di ideali, di simboli che ci richiamano la grandezza della vita oltre ogni miseria in cui la nostra insensatezza l’ha costretta.
Mi sono sempre domandato perché nelle catapecchie più squallide delle bidonville, nelle capanne più sperdute e povere della savana, nei tuguri più puzzolenti, dove manca acqua corrente, igiene e il necessario per una vita civile, non manchi mai l’antenna parabolica. Ci sono più antenne paraboliche in un villaggio sperduto che in un paese cosiddetto civile. Proprio perché l’uomo ha bisogno di sogni, di allargare gli orizzonti. Rinuncia anche a qualche pasto pur di poter avere un segno di riscatto, una prospettiva di futuro. Solo che le TV vendono solo se stesse e non costruiscono spesso vera speranza.
Così è stato per gli ebrei nel deserto. Mosè aveva levato un serpente su un palo, chi lo guardava guariva dai morsi dei serpenti che avevano invaso il loro accampamento. È una immagine ardita, ma usata dal vangelo, di Gesù sulla croce. La croce è quel simbolo, quel sogno, quell’ideale, quella prospettiva cui ogni uomo può guardare per avere salvezza, per poter avere forza di riscatto, per stringere i denti nel dolore, per contemplare non tanto la sofferenza che esprime, ma l’amore che vi è depositato nella persona del crocifisso. Lì l’uomo, noi nelle nostre pene quotidiane, troviamo avverata la promessa di Dio, guardando a quella croce vediamo realizzata la volontà di amore di Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito figlio. Lì Dio si è compromesso fino all’estremo per noi. Lì c’è l’immagine della morte, ma c’è anche la certezza della vita.
Siamo stati segnati sulla nostra fronte e nei nostri sensi con il segno della croce, questa è distintivo della vita del cristiano. Noi non crediamo in un dio qualunque, astratto, senza volto, ma in un Dio Crocifisso, un Dio che ci ha amati fino a morire per noi. Nella nostra vita noi vogliamo sempre guardare a questa croce, per questo la abbiamo in ogni casa, in ogni luogo. Oggi fa fastidio, non faremo battaglie, ma a noi guardare a quella croce dà speranza e forza nell‘affrontare la vita, ci permette di aprire sempre una finestra nell’eternità.
Deve diventare di meno un ornamento e di più un ideale quel crocifisso che portiamo al collo, che seminiamo nei nostri luoghi di vita comune, avremmo forse più coraggio nell’amare la vita, sicuramente molto di più che a guardarci nello specchio. Lo specchio ci può dare compiacimento o delusione, la croce invece è sempre una speranza.
10 Aprile
+Domenico