Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Ci raccontavano i nostri papà e i nostri nonni l’emozione intensa quando scoppia una notizia spesso desiderata, ma mai ammessa come possibile, capace di cambiare la vita di porre fine a tanti pericoli, paure e ansie. Era stata per esempio vissuta così la notizia della fine della II guerra mondiale: gli orecchi incollati alle radio, tesi nell’intercettare ogni segnale nuovo, gli occhi aperti sulla realtà per non farsi ingannare. I tedeschi non ci sono più. La guerra è finita, non dobbiamo più oscurare le nostre piccole luci, né temere di essere presi a caso per qualche vendetta, siamo liberi. Prima che scoppiasse la gioia c’era quell’atmosfera di attesa, di dubbio, di coraggio nell’esporsi, di cuore in ansia che scoppia.
Erano così Pietro e Giovanni, il vecchio e il giovane. Avevano intercettato “radio scarpa” diremmo noi, le voci dei vicoli di Gerusalemme: hai sentito? non hanno più trovato il cadavere di Gesù. È un tam-tam tra le stradine strette, tra i giri di scale, tra le donne che stanno a fare un grande bucato come dopo ogni festa; la voce scende la collina, passa nel suk. In questo giorno in cui comincia la vita, in cui tutti sono pieni di sonno, ma anche di decisione di ricominciare pur con qualche fatica di più, devono fare i conti con una notizia nuova. La gente ne avrà da parlare per settimane. Qualcuno scuote la testa, le solite pazzie, le solite donne… e si avvia al suo lavoro quotidiano.
Non così invece Pietro e Giovanni che col cuore in gola vogliono vedere con i loro occhi. Nella corsa gli si rivolta la coscienza, vengono in mente le parole finora incomprensibili di Gesù. Risorgerò, dopo tre giorni risorgerò. Lo capisci Pietro? Oppure non riesci a immaginare nient’latro che questa vita? Giovanni sei convinto che il dolore non sarà l’ultima parola, ma l’inizio della gioia di una vita piena? Tu che sei giovane non cogli in questa risurrezione la risposta più piena alla tua voglia di vivere?
Ne aveva speso di tempo Gesù per convincerli. Li aveva preparati a questo salto di qualità, ma non è facile, come non lo è per nessuno di noi credere nell’impossibile. Ma per Dio tutto è possibile. A Gerusalemme avevano parlato i fatti. La speranza ha vinto. Non è un fantasma, una sorta di presenza da x-file. Non è la forza del ricordo. Non è un morto ritornato in vita. Lazzaro ci ha sorpreso, ma ha spostato solo la data della sua morte.
Gesù c’è ed è in vita, una vita nuova piena, inedita: quella di prima tutta in carne pelle ossa, corpo e sentimenti, sguardi e affetti, ma radicalmente nuova, inserita in una esplosiva novità. È un modello nuovo di vivente, l’apice cui doveva giungere la vita, da quando Dio l’aveva creata. Ed è vita definitiva per tutti noi.
Non c’era brano di vangelo migliore per celebrare la festa di san Giovanni Evangelista, non c’era altra sua firma forte, intensa, definitiva come queste due ultime parole: vide e credette, che dice e scrive di sé stesso.
27 Dicembre
+Domenico