Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20)
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Stabilito che la morte non è la parola conclusiva sulla vita, ma che è solo un passaggio ad una vita definitiva, non ha senso come fanno gli apostoli, stare a guardare in cielo scomparire Gesù che conclude anche simbolicamente la sua compagnia di uomo sulla terra, con l’Ascensione.
È l’immagine del nostro posto definitivo della vita: nelle braccia del Padre con una vita piena, nuova, innervata di Spirito, felice, senza dolore e pianto, in una pace e serenità infinite.
La processione dei corpi che entrano nella gloria di Dio è cominciata e non finirà se non con l’ultimo giusto che abiterà su questa terra. Ci fa bene forse stare a guardare in alto, o per lo meno oltre, perché spesso la nostra esperienza quotidiana è insopportabile; è di dolore di sfiducia, di piccolo cabotaggio.
Scriveva Flavio, un giovane universitario di Verona, stroncato da un cancro: “il mio cuore è spezzato, il mio cervello stanco il mio corpo invecchiato e non mi resta che pianto e amarezza… non so più se avere nostalgia della vita o desiderio della morte. Ti esonero dal ricordarmi la storia di Giobbe che si gratta la rogna, del figlio di Dio crocifisso, di Paolo che scioglie le vele: le conosco, ci credo e prego tutta questa storia a lieto fine… per ora indugio nel sepolcro, non svegliarmi…”
E alla fine, affascinato dalla vita piena di Gesù scriveva: “salirò in cielo e sarò per quanto ne sono capace, stella del vostro cammino; tutto il buono, il bello, tutto il vero, il giusto lo porto con me. Ora chiedo al Signore che mi lasci andare e chiedo una benedizione per te e la comunità. Tu, marinaio capace, mi troverai sempre nel cielo notturno. Me ne vado con la stessa pace nel cuore di Simeone. Lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.
Flavio, la tua nuova vita non solo ci interessa, ma ci attira. Apri qualche buco nel cielo e chiedi a Dio di guardare giù a tanti giovani che come te sono disperati, a tante persone che hanno bisogno di sentirsi anche solo un poco amati, almeno guardati con tenerezza e amore. Guarda ai nostri morti sul lavoro. Sono troppi, sono una infelicità per i loro cari. Supplica Dio che ci cambi il cuore perché teniamo in conto come preziosissima ogni vita e prima sempre di ogni nostro affare o guadagno o egoismo. Facci capire che la prima grande solidarietà nel lavoro è salvare ad ogni costo la vita e l’integrità delle persone. Allora il lavoro è il luogo in cui si realizza, si costruisce, si colora il regno di Dio. È il cantiere dello stesso regno di Dio, perché lì l’umanità si esprime nei suoi valori fondamentali e costruisce oltre che il risultato dei lavori la bellezza del regno di Dio.