Una finestra, una porta aperta in cielo ci aspetta

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Audio della riflessione

Stabilito che la morte non è la parola conclusiva sulla vita, ma che è solo un passaggio ad una vita definitiva, non ha senso come fanno gli apostoli, stare a guardare in cielo scomparire Gesù che conclude anche simbolicamente la sua compagnia di uomo sulla terra, con l’Ascensione.

È l’immagine del nostro posto definitivo della vita: nelle braccia del Padre con una vita piena, nuova, innervata di Spirito, felice, senza dolore e pianto, in una pace e serenità infinite.

La processione dei corpi che entrano nella gloria di Dio è cominciata e non finirà se non con l’ultimo giusto che abiterà su questa terra. Ci fa bene forse stare a guardare in alto, o per lo meno oltre, perché spesso la nostra esperienza quotidiana è insopportabile; è di dolore di sfiducia, di piccolo cabotaggio.

Scriveva Flavio, un giovane universitario di Verona, stroncato da un cancro: “il mio cuore è spezzato, il mio cervello stanco il mio corpo invecchiato e non mi resta che pianto e amarezza… non so più se avere nostalgia della vita o desiderio della morte. Ti esonero dal ricordarmi la storia di Giobbe che si gratta la rogna, del figlio di Dio crocifisso, di Paolo che scioglie le vele: le conosco, ci credo e prego tutta questa storia a lieto fine… per ora indugio nel sepolcro, non svegliarmi…”

E alla fine, affascinato dalla vita piena di Gesù scriveva: “salirò in cielo e sarò per quanto ne sono capace, stella del vostro cammino; tutto il buono, il bello, tutto il vero, il giusto lo porto con me. Ora chiedo al Signore che mi lasci andare e chiedo una benedizione per te e la comunità. Tu, marinaio capace, mi troverai sempre nel cielo notturno. Me ne vado con la stessa pace nel cuore di Simeone. Lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.

Flavio, la tua nuova vita non solo ci interessa, ma ci attira. Apri qualche buco nel cielo e chiedi a Dio di guardare giù a tanti giovani che come te sono disperati, a tante persone che hanno bisogno di sentirsi anche solo un poco amati, almeno guardati con tenerezza e amore. Guarda ai nostri morti sul lavoro. Sono troppi, sono una infelicità per i loro cari. Supplica Dio che ci cambi il cuore perché teniamo in conto come preziosissima ogni vita e prima sempre di ogni nostro affare o guadagno o egoismo. Facci capire che la prima grande solidarietà nel lavoro è salvare ad ogni costo la vita e l’integrità delle persone. Allora il lavoro è il luogo in cui si realizza, si costruisce, si colora il regno di Dio. È il cantiere dello stesso regno di Dio, perché lì l’umanità si esprime nei suoi valori fondamentali e costruisce oltre che il risultato dei lavori la bellezza del regno di Dio.

Andate: il vangelo deve correre per le strade del mondo

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16, 15-18)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Audio della riflessione.

Marco è stato un grande evangelista che ha portato il vangelo, la persona di Gesù, al mondo romano di allora. La sua figura è ben rappresentata dalla conclusione del suo vangelo. L’uomo è per sua natura un pellegrino, un viaggiatore, lo è stato nei secoli più antichi, quando c’era solo il cavallo o la barca, lo è oggi con tutti i mezzi di trasporto più moderni. Fa parte della sua natura essere cercatore, scopritore, contemplatore del creato, della natura. Soprattutto è viandante perché ha dentro di sé una forza incoercibile che è quella di far sapere, di comunicare, di rendere partecipe l’altro della gioia che vive. L’uomo non è fatto per tenere per sé, ma per offrire e trova la sua gioia nel condividere. 

Per questo alla fine del vangelo di Marco c’è un comando perentorio di Gesù, un comando che destabilizza, che non permette di stare chiusi nel proprio egoismo, ma apre all’inedito di Dio, alla sua novità assoluta: andate. Non si può star fermi quando hai visto che è giunta la pienezza dei tempi. 

Gli apostoli hanno fatto molta fatica a entrare in questo ordine di idee. Già era sembrata di averla scampata bella quando hanno saputo che Gesù era vivo, che il Sinedrio non aveva detto l’ultima parola su di Lui; grazie a Dio lo avevano incontrato risorto, dopo i giorni bui della passione e morte. 

Ecco, si dicono i discepoli, adesso le cose sono state ben sistemate. Si sa chi ha colpa, si sa che Gesù è risorto e questo ci dà una grande serenità. Il male non vince, gli inferi sono spalancati. Questo Gesù ci ha veramente riconciliati con le nostre radici e ci ha anche aiutato a dare alla nostra vita la sua serenità. In questo stato d’animo si sarebbero adagiati i discepoli se non avessero avuto questo comando perentorio: andate. Non sono venuto al mondo solo per aggiornare la vostra vita religiosa, sono venuto a portare un fuoco e voglio che divampi. I confini del popolo di Israele sono troppo angusti, occorre prendere il largo; la mia casa è il mondo, la Parola deve correre ovunque, la salvezza è per tutti. 

Gli apostoli capiranno come obbedire a questo comando dalla vita, dalle persecuzioni. Paolo lo capisce quando in un processo che volevano intentargli i giudei si dichiara cittadino romano e per questo ha diritto di essere giudicato a Roma dall’imperatore e parte per Roma, dove annuncia Gesù, dove il vangelo prende casa, nel cuore del mondo di allora. Il mandato di andare è la scelta di Dio di abitare il mondo, dimostrando di non abbandonare nessun popolo, nessuna nazione.

25 Aprile
+Domenico

La risurrezione di ogni persona è la grande verità da dire a tutti

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,9-15)

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Audio della riflessione.

Una delle cose che ci sorprendono di più quando dobbiamo fare discernimento su alcuni fatti raccontati da testimoni che hanno visto, sentito, partecipato è la discordanza quasi naturale del racconto di ciascuno e soprattutto la grande diversità delle reazioni. Rilevare l’oggettività di un fatto è impossibile, accettarne una versione raccontata ancora di più. 

Di fronte all’annuncio della risurrezione di Gesù avviene la stessa cosa: lo vede Maria Maddalena, ma “non le credettero”, dice lapidario Marco. Lo raccontano con grande coinvolgimento e meraviglia gli apostoli a Tommaso, ma questi non si fida e vuol mettere mano e dita nelle piaghe prima di crederci. L’ho visto morire come un disperato con i miei occhi, non venitemi a raccontare visioni consolatorie per cancellare quel tremendo ricordo. Lo hanno visto i due di Emmaus, mentre erano in cammino per andare in campagna, ma non sono stati creduti. 

Finalmente Gesù si dà a vedere a tutti e li rimprovera di incredulità e durezza di cuore. Sono rimproveri che alla fine della settimana di Pasqua ci meritiamo anche noi. Ce li meritiamo come chiesa, quando non siamo disposti a fare un solenne atto di fede, con la vita e la testimonianza. Ce li meritiamo come singoli che non riusciamo a fare nostra la consapevolezza che la vita va oltre la morte, che la vita non viene tolta, ma trasformata e viviamo come se la vita terrena fosse per sempre. Risorgere non è solo immortalità dell’anima, ma una vita definitiva di tutto le persone e per tutte le persone. Non è una teoria filosofica, anche se deve essere detta con tutti gli elementi razionali che la rendono plausibile. 

Risorgere è la certezza che Gesù ci dà di poterlo seguire nella nuova vita, è vincere ogni disperazione, è essere convinti che la vita può giungere alla sua pienezza per sempre. Risorgere è dare ad ogni persona una dignità assoluta, un futuro definitivo, una speranza certa. Una certezza così non la si può tenere nascosta. Ecco allora il perentorio: “andate”, ditelo a tutti, annunciate che il male è vinto, fatevi messaggeri di questa grande novità, della vittoria della vita su qualsiasi morte, della forza del debole di fronte ad ogni ingiustizia, della vacuità e inconsistenza di ogni trama, di ogni guerra, di ogni violenza, della gioia di poter godere infinitamente della bontà di Dio.

06 Aprile
+Domenico

La risurrezione è la nostra vita vera  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16, 1-7)

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare ad ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».

Audio della riflessione.

Abbiamo vissuto una settimana all’insegna dei ricordi, delle tradizioni, delle usanze ereditate dai nostri genitori, ci siamo improvvisati attori, registi, sceneggiatori di fatti più grandi di noi e siamo potuti risalire alla nostra infanzia, all’incanto di ogni fanciullezza. Abbiamo visto giovani interpretare Gesù Cristo, uomini maturi fare Pilato, anziani fare i sommi sacerdoti, il solito, segnato a dito, fare Giuda. Poi ci siamo fatti passare di mano in mano quella croce. Potevamo essere tentati solo di esprimere tradizioni, folklore, appuntamenti con la storia. Abbiamo potuto fare a anche a scuola qualche gesto. Stasera la cosa cambia di netto: ieri era possibile stare indifferenti, stare sulle nostre, non scomodarci troppo; oggi non è più possibile, dobbiamo fare il salto della fede. 

Stasera ci viene chiesta la fede.  Non possiamo appendere nelle scuole o negli edifici pubblici il risorto, ci vuole un atto di fede; appendiamo solo un crocifisso, che richiama solo storia e pietà, anche se molti ci negano anche quella. Stasera facciamo il salto nell’oltre. Riconosciamo che l’uomo della debolezza e della croce, l’immagine dei nostri infiniti dolori è il Dio della risurrezione, è il nostro liberatore, è la vita piena e senza fine. Colui che è morto così miseramente senza nessun stoico coraggio è il Figlio di Dio. Dice uno dei quattro vangeli nel racconto di questa giornata memorabile: Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa 

È un discorso difficile, perché occorre affidarsi; occorre avere il coraggio di leggere il terremoto di cui si parla nel vangelo come definitivo, come quello che ci toglie da ogni disperazione.  Questo terremoto ci consola, questo terremoto vogliamo chiedere a Dio. È il terremoto della vita che dà inizio alla costruzione di un nuovo mondo. 

È il cambiamento radicale del nostro modo di pensare, degli stili della nostra esistenza, della speranza oltre ogni paura e dolore. Non è il terremoto che ci fa paura e che ogni tanto colpisce il nostro mondo e soprattutto l’Italia. È questo terremoto di Pasqua, il terremoto della vittoria sul male e sulla morte, il terremoto che ha fatto saltare i macigni dalle tombe e dal cuore.  “Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato”  

È questo terremoto che noi vogliamo augurare a tutti, che imploreremo con forza da Dio per tutti i martiri. Non posso dimenticare quei ragazzi copti sgozzati e crocifissi solo perché cristiani, ricordati da papa Francesco in questi giorni, ma nemmeno quei giovani incontrati in una scuola che a fatica hanno fatto un segno di croce, per non farsi tirare in giro dopo dai compagni. Questo spesso è il coraggio della nostra fede, il nostro coraggio quando siamo nella movida o nelle nostre vite private, la nostra fede per mestiere, il nostro forzato credere per non creare problemi dove siamo. 

Ma Dio è grande e ci dimostra continuamente il suo amore e la sua misericordia. Risurrezione è sapere che abbiamo un futuro più grande di ogni nostra attesa, più forte delle nostre miserie, più autentico dei nostri giuramenti. Resurrezione è non permetterci in nessuna situazione di dire la parolaccia “ormai”. Perché risurrezione significa che c’è sempre più futuro che passato, perché la vita non è la quantità di giorni che ci rimangono, ma la qualità dell’esistenza che viviamo e che si prolungherà senza fine nelle braccia di Dio. Resurrezione è uno spazio di futuro che ci garantisce da ogni morte definitiva e questo ce lo ha regalato Gesù, il Nazzareno, il condannato a morte, sepolto e risuscitato. 

30 Marzo
+Domenico

Festa della cattedra di san Pietro

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mt 16, 13-19

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

Audio della riflessione

Oggi si celebra in ogni comunità cattolica la festa della cattedra di san Pietro, cioè della autorevolezza di verità dell’insegnamento del papa, oggi di papa Francesco. Il vangelo ricorda Pietro come colui che tra gli apostoli intuisce che Gesù è il figlio di Dio, dirà tu sei il Cristo, il figlio di Dio e questo lo dovrà testimoniare al mondo. C’è nell’abside della basilica di san Pietro una sedia solenne (una cattedra, appunto) in grande evidenza, elevata come fosse una pala d’altare proprio ad indicare la funzione di servizio alla verità di ogni papa, assistito in questo dallo Spirito Santo. La basilica di san Pietro è un santuario e quindi quella cattedra che sta nell’abside è solo un puro simbolo che oggi viene messo all’attenzione di tutti, perché la vera cattedra del papa di Roma è nella sua cattedrale che è San Giovanni in Laterano. Lui è papa proprio perchè è vescovo di Roma, non perché abita a san Pietro.  

La cattedra è simbolo dell’insegnamento. Tale, quindi, è la funzione primaria del papa e lo sarà di tutti i vescovi nella loro diocesi in comunione col papa. Anche in ogni diocesi c’è una chiesa che custodisce la cattedra e che si chiama appunto cattedrale. Ciò che interessava in primo luogo i Padri era il dovere di ascoltare la parola di Dio e come capire spiritualmente il Lógos di Dio che s’incarna sotto la specie delle parole umane. Questa funzione, infatti, papa Gregorio la rivendica come propria: “Sono servo del Verbo, attaccato al ministero della parola; che io mai acconsenta ad essere privato di ciò. Questa vocazione, io la apprezzo e la gradisco e mi dà più gioia di tutte le delizie che un uomo comune potrebbe mettere insieme” (Or. 6,5). Predicare la fede cristiana dalla cattedra vuol dire insegnare ciò che dice Dio agli uomini, è esercitare il dono profetico. Agli inizi della Chiesa cristiana, san Pietro assicura i fedeli: “Voi siete figli dei profeti” (At 3,25). La profezia vera deve tornare ad abitare la chiesa e il suo primo passo deve avere spinta dalla cattedra.  

Le cattedrali in se stesse nella loro costruzione, nella esaltazione della storia della salvezza fatta con gli elementi architettonici, pittorici, scultorei sono una esplicazione della fede, sono il dispiegarsi armonioso della cattedra del vescovo, della grande missione che la chiesa particolare ha di insegnare e di aiutare a incontrare e vivere la Parola di Dio, di mettersi in ascolto dello Spirito, di lasciarsi di nuovo rigenerare alla fede dal Dio Padre, di farsi salvare dal Figlio e di farsi illuminare dallo Spirito. 

Tutti i cristiani devono almeno una volta visitare la propria cattedrale (perché non farvi una visita in settimana?), per provare le forti emozioni di chi con cuore aperto sta a lasciarsi invadere dalla luce della verità che trasuda da tutta l’armonia artistica della cattedrale. Nelle più belle e primitive in ogni capitello, in ogni riquadro è come se parlasse il vescovo dalla sua cattedra. Abbiamo bisogno di simboli e soprattutto di bellezza. E’ soprattutto a questa bellezza che noi vogliamo accostarci entrando nelle chiese, che oggi forse sono più povere, per celebrare le nostre liturgie. Da questa bellezza è attratta ogni persona, credente o non credente, perché è di ogni uomo accostarsi al mistero e contemplarlo, sentirsi amato e accolto: è la condizione per riuscire a vivere e imparare a offrire speranza ai fratelli. 

22 Febbraio
+Domenico

Il segreto di ogni bellezza della vita umana è il Vangelo 

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Audio della riflessione

Le parole che caratterizzano un venditore di ogni tipo sono: venite che qui trovate tutto quello che vi serve. Mi voglio rovinare, se passate di qua ne uscirete felici; donne, uomini è qui la fine del mondo, venite che troverete tutto quello che vi serve e anche molto di più. Non occorre essere venditori di cose per chiamare la gente, si può essere anche venditori di idee, propugnatori di ideali. Venite, mettiamoci assieme, diventiamo forti e conquisteremo il posto per governare. La battaglia elettorale è una battaglia per mettere assieme all’insegna del verbo venire.  

Gesù invece nel momento conclusivo della sua vita dice perentorio a tutti: andate. La vostra casa è il mondo. La gente di ogni razza si attende di incontrare la salvezza che voi avete incontrato, la mia persona. C’è un avvenimento sconvolgente che deve essere vissuto da tutti: il vangelo è una speranza per ogni uomo. 

Nella intensità di un serio lavoro di ricostruzione della interiorità di ogni cristiano, in ogni cammino di conversione si deve inscrivere un movimento missionario, una andata nel mondo ad annunciare, proprio perché è Gesù che vogliamo imitare.   

Per seguire il comando di Gesù: andate, occorre vita interiore, preghiera prolungata, affidamento totale alla misericordia di Dio, contemplazione di Gesù, conversione profonda che aiuta ad avere fiducia solo in Dio, che permette di approfondire le ragioni della propria fede, trovare la sorgente di speranze decisive per la vita di tutti.  

Noi crediamo nella risurrezione, per questo non temiamo la morte; noi sappiamo che Dio è somma giustizia, per questo amiamo gli ultimi; noi osiamo non spaventarci della croce, per questo sappiamo anche soffrire per una causa o una vita.  

Beati tutti quelli che sanno prendere posizione per me: sarete insultati, messi fuori giro, davanti a voi spegneranno le dirette televisive, non sarete trend, dovrete sempre ricominciare da capo. Ma sappiate che io sarò sempre lì con voi, Io nella mia vita ho sempre fatto così e voglio essere la vostra felicità. Io, non le mie cose, o i miei pensieri, io nel massimo dell’intimità della vita. 

 Sappiate che nel vostro andare c’è sempre la mia presenza, il cielo non è mai vuoto è sempre aperto sui vostri cammini in tutto il mondo. San Marco, che oggi festeggiamo, è stato un acuto e appassionato comunicatore della persona di Gesù, del suo messaggio, della sua vita, delle sue parabole. Ha usato uno stile e un vocabolario adatto al mondo occidentale, al popolo romano che allora era il più potente e diffuso e che aveva bisogno di andare oltre il potere, la conquista, la sottomissione di popoli. Ha presentato una figura di Gesù convincente, deciso, capace di far alzare lo sguardo dalla terra al cielo, dalla vita umana alla sua destinazione divina, dalla conquista al diritto e alla stima della persona umana. 

25 Aprile
+Domenico

Andate; il vangelo è luce per tutta l’umanità

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,9-15)

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Audio della riflessione

Noi tutti siamo per natura pellegrini, magari girovaghi, viaggiatori. Sappiamo che era così anche quando c’era solo il cavallo o la barca, lo è oggi con tutti i mezzi di trasporto più moderni. Fa parte della nostra natura essere cercatori, scopritori, contemplatori del creato, della natura. Spesso anche imprudenti perché ci andiamo a cacciare in situazioni assurde e pericolose. Soprattutto siamo viandanti perché abbiamo dentro una forza incoercibile che è quella di far sapere, di comunicare, di rendere partecipe gli altri della gioia che viviamo. L’uomo non è fatto per tenere per sé, ma per offrire e trova la sua gioia nel condividere.  

Per questo alla fine del vangelo di Marco c’è un comando perentorio di Gesù, un comando che destabilizza, che non permette di stare chiusi nel proprio egoismo, ma apre all’inedito di Dio, alla sua novità assoluta: andate. Non si può star fermi quando hai visto che è giunta la pienezza dei tempi.  

Gli apostoli hanno fatto molta fatica a entrare in questo ordine di idee. Già era sembrata di averla scampata bella quando hanno saputo che Gesù era vivo, che il Sinedrio non aveva detto l’ultima parola su di Lui; grazie a Dio lo avevano incontrato risorto, dopo i giorni bui della passione e morte.  

Ecco, si dicono i discepoli, adesso le cose sono state ben sistemate. Si sa chi ha colpa, si sa che Gesù è risorto e questo ci dà una grande serenità. Il male non vince, gli inferi sono spalancati. Questo Gesù ci ha veramente riconciliati con le nostre radici e ci ha anche aiutato a dare alla nostra vita la sua serenità. In questo stato d’animo si sarebbero adagiati i discepoli se non avessero avuto questo comando perentorio: andate. Non sono venuto al mondo solo per aggiornare la vostra vita religiosa, per collocarvi nella bambagia, sono venuto a portare un fuoco e voglio che divampi. Il popolo di Israele sarà un grande popolo, ma di fronte al mondo occorre prendere il largo; la mia casa è il mondo, la Parola deve correre ovunque, la salvezza è per tutti.  

Gli apostoli capiranno come obbedire a questo comando dalla vita, dalle persecuzioni. Paolo lo capisce quando in un processo che volevano intentargli i giudei si dichiara cittadino romano e per questo ha diritto di essere giudicato a Roma dall’imperatore e parte per Roma, dove annuncia Gesù, dove il vangelo prende casa, nel cuore del mondo di allora, Giacomo va in Spagna. Il mandato di andare è la scelta di Dio di abitare il mondo, dimostrando di non abbandonare nessun popolo, nessuna nazione. Ancora oggi con tutte le grandi visioni del mondo che abbiamo stiamo ancora accovacciati nei nostri mondi e lasciamo che tante persone non conoscano Gesù, la vera felicità e la vera pace

15 Aprile
+Domenico

Missione è essere configurati a Cristo e viverne a fondo il mistero

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-18)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro:
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Audio della riflessione

Papa Francesco usa alcuni verbi molto più di tanti altri: uscite, andate, non state al balcone. Se qualcuno pensa che essere cristiani significa trovarsi una bella isola su cui stare tranquilli, pur molto spirituali, ha sbagliato e non è nemmeno il cristiano come lo vuole Gesù. San Paolo, la cui conversione festeggiamo oggi, non lo ha più fermato nessuno nella corsa del vangelo.  

Il comando di Gesù: andate, esige vita interiore, preghiera prolungata, affidamento totale alla misericordia di Dio, contemplazione di Gesù, conversione profonda che aiuta ad avere fiducia solo in Dio. Questo è anche approfondire le ragioni della propria fede e trovare la sorgente di speranze decisive per la vita di tutti. Noi crediamo nella risurrezione, per questo non temiamo la morte; noi sappiamo che Dio è somma giustizia, per questo amiamo  gli ultimi; noi osiamo non spaventarci della croce, per questo sappiamo anche soffrire per una causa o una vita. Beati tutti quelli che sanno prendere posizione per me: sappiate che io sarò sempre lì con voi, Io nella mia vita ho sempre fatto così e voglio essere la vostra felicità. Io, non le mie cose, o i miei pensieri, io nel massimo dell’intimità della vita. Sappiate che nel vostro andare c’è sempre la mia presenza, il cielo non è mai vuoto è sempre aperto sui vostri cammini in tutto il mondo.

Ci nascono allora alcune domande impegnative. Che comunità cristiana è quella capace di spingere i credenti fino agli estremi confini? Che formazione e celebrazione  deve offrire perché i giovani e gli adulti di oggi siano lanciati sugli orizzonti della missione? Dove viene coltivata la mancanza di coraggio, il mimetizzarsi di fronte alle responsabilità per un futuro di pace e di vangelo? Dove vengono distrutti gli ideali di apertura, di libertà, di dono?  Che felicità offre la chiesa a questi giovani di oggi, spesso annoiati, diffidenti, pieni di domande, desiderosi di risposte e in fuga dalle comunità cristiane?  I giovani temono di più la mediocrità che il sacrificio. Forse stiamo abbassando gli ideali al perbenismo.

Il Sinodo dei giovani ci ha dato molte risposte e prospettive indicando anche quali percorsi può intraprendere, che figure educative deve avere, quali aperture coltivare assolutamente necessarie e normali nella vita di una diocesi, che libertà deve maturare entro le strutture della comunità cristiana per spaziare oltre i confini. Sulla risposta decisa e generosa alle domande possiamo sognare il volto della chiesa e il ritratto del credente, declinato nella cultura, nell’allargamento dello spazio della razionalità e della carità. Però con una certezza:

La missione non sta dalla parte delle attività, ma dell’essere configurati a Cristo, dal viverne a fondo il mistero, dal far diventare esperienza vissuta la sua Incarnazione. Questa configurazione non è un insieme di tentativi di imitazione lasciati all’intraprendenza umana, ma una struttura di nuova personalità definita in noi dallo Spirito con il battesimo, con la Confermazione, con l’Eucaristia. È Lui che delinea in noi i tratti della missione di Gesù, come li ha delineati nella vita degli apostoli.

25 Gennaio
+Domenico

Andate, uscite, portate e fatevi un futuro di pace

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20) nella Festa di San Marco Evangelista

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Audio della riflessione

L’uomo è per sua natura un pellegrino, un viaggiatore, lo è stato nei secoli più antichi, quando c’era solo il cavallo o la barca, lo è oggi con tutti i mezzi di trasporto più moderni. Fa parte della sua natura essere cercatore, scopritore, contemplatore del creato, della natura. Soprattutto è viandante perché ha dentro di sé una forza incoercibile che è quella di far sapere, di comunicare, di rendere partecipe l’altro della gioia che vive. L’uomo non è fatto per tenere per sé, ma per offrire e trova la sua gioia nel  condividere.

Per questo alla fine del vangelo di Marco, che leggiamo anche oggi che è la sua festa, c’è un comando perentorio di Gesù, un comando che destabilizza, che non permette di stare chiusi nel proprio egoismo, ma apre all’inedito di Dio, alla sua novità assoluta: andate. Non si può star fermi quando hai visto che è giunta la pienezza dei tempi.

Gli apostoli hanno fatto molta fatica a entrare in questo ordine di idee. Già era sembrata di averla scampata bella quando hanno saputo che Gesù era vivo, che il Sinedrio non aveva detto l’ultima parola su di Lui; grazie a Dio lo avevano incontrato risorto, dopo i giorni bui della passione e morte.

Ecco, si dicono i discepoli,  adesso le cose sono state ben sistemate. Si sa chi ha colpa, si sa che Gesù è risorto e questo ci dà una grande serenità. Il male non vince, gli inferi sono spalancati. Questo Gesù ci ha veramente riconciliati con le nostre radici e ci ha anche aiutato a dare alla nostra vita la sua serenità. In questo stato d’animo si sarebbero adagiati i discepoli se non avessero avuto questo comando perentorio: andate. Non sono venuto al mondo solo per aggiornare la vostra vita religiosa, sono venuto a portare un fuoco e voglio che divampi. I confini del popolo di Israele sono troppo angusti, occorre prendere il largo; la mia casa è il mondo, la Parola  deve correre ovunque, la salvezza è per tutti. Non è questo oggi il continuo invito di papa Francesco?

 Lui proprio perché ci vede rinchiusi nei nostri spazi che rischiano di essere solo loculi continua a ripeterci “uscite”. Gli apostoli capiranno come obbedire a questo comando dalla vita, dalle persecuzioni. Paolo lo capisce quando in un processo che volevano intentargli i giudei si dichiara cittadino romano e per questo ha diritto di essere giudicato a Roma dall’imperatore e parte per Roma, dove annuncia Gesù, dove il vangelo prende  casa, nel cuore del mondo di allora.

Noi forse oggi dovremmo seguire di nuovo ancora questo invito, perché siamo in un mondo che vive ancora di guerre, che fa morire la gente di fame e di bombe ed essere anche solo annunciatori e operatori di pace, capovolgendo la corsa alle armi in corsa da chi muore ancora per fame. Non dobbiamo essere chiamati a combattere, ma a condividere, supplicando Dio e sua madre Maria di lasciarci ancora qualche spiraglio di pace, di non violenza, di perdono e di conversione.

Il mandato di andare è la scelta di Dio di abitare il mondo, dimostrando di non abbandonare nessun popolo, nessuna nazione.

25 Aprile 2022 – Festa di San Marco Evangelista
+Domenico

Il linguaggio della risurrezione -5 : testimoniate, andate, riempite il mondo di questa assoluta novità!

Una riflessione sul Vangelo del Sabato dell’Ottava di Pasqua (secondo Marco : Mc 16, 9-15)

Lettura del Vangelo secondo Marco

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Audio della riflessione

E’ scritto nel linguaggio della Risurrezione esigere un non fermarsi, non adagiarsi, non stare ad attendere, ma andare. Gesù  nel momento conclusivo della sua vita dice perentorio a tutti: andate. La vostra casa è il mondo. La gente di ogni razza si attende di incontrare la salvezza che voi avete incontrato. C’è un avvenimento sconvolgente che deve essere vissuto da tutti: il vangelo è una speranza per ogni uomo.

Nella intensità di un serio lavoro di ricostruzione della interiorità di ogni cristiano, in ogni cammino di conversione si deve inscrivere un movimento missionario, una andata nel mondo ad annunciare, proprio perché è Gesù che vogliamo imitare. Sono solito dire che il vangelo che abbiamo non è quello che abbiamo imparato o studiato, ma quello che sappiamo portare agli altri. A questo tende l’ultima riforma della curia romana fatta da papa Francesco. Per seguire il comando di Gesù: andate, occorre vita interiore, preghiera prolungata, affidamento totale alla misericordia di Dio, contemplazione di Gesù, conversione profonda che aiuta ad avere fiducia solo in Dio, che permette di approfondire le ragioni della propria fede, trovare la sorgente di speranze decisive per la vita di tutti. Noi crediamo nella risurrezione, per questo non temiamo la morte; noi sappiamo che Dio è somma giustizia, per questo amiamo gli ultimi; noi osiamo non spaventarci della croce, per questo sappiamo anche soffrire per una causa o una vita!

Beati tutti quelli che sanno prendere posizione per me: sarete insultati, messi fuori giro, davanti a voi spegneranno le dirette televisive, non sarete “trendy”, dovrete sempre ricominciare da capo … ma sappiate che io sarò sempre lì con voi, Io! Nella mia vita ho sempre fatto così e voglio essere la vostra felicità. Io, non le mie cose, o i miei pensieri, io nel massimo dell’intimità con le vostre vite. Sappiate che nel vostro andare c’è sempre la mia presenza: il cielo non è mai vuoto è sempre aperto sui vostri cammini in tutto il mondo.

Se siamo convinti che dobbiamo aprirci alla missione ci nascono allora alcune domande impegnative:

  • Che Chiesa è quella capace di spingere i credenti fino agli estremi confini?
  • Che formazione e celebrazione  deve offrire perché i giovani e gli adulti di oggi siano lanciati sugli orizzonti della missione? Quali sono gli assopimenti del mondo cristiano provocati dalla formazione e dalle celebrazioni che li costringono nei confini del gruppo e della parrocchia?
  • Chi insinua la mancanza di coraggio, il nascondersi dietro un dito, il mimetizzarsi di fronte alle responsabilità per un futuro di pace e di Vangelo, per un annuncio coraggioso di fede?
  • Che felicità offre la chiesa a questi giovani di oggi, spesso annoiati, diffidenti, pieni di domande, desiderosi di risposte e in fuga dalle comunità cristiane?
  • Che comunità cristiana deve essere? Quali percorsi può intraprendere, che figure educative deve avere? Quali aperture deve coltivare assolutamente necessarie e normali nella vita di una comunità cristiana, parrocchia o insieme di parrocchie?
  • Che libertà deve scavarsi dentro le nostre strutture per spaziare oltre i confini?

Ecco … se rispondiamo decisi e generosi a queste domande sogniamo il volto della chiesa e il ritratto del giovane e dell’adulto credente, perché la missione non sta dalla parte delle attività, ma dell’essere configurati a Cristo, dal viverne a fondo il mistero, dal far diventare esperienza vissuta la sua Incarnazione.

23 Aprile 2022 – Sabato dell’Ottava di Pasqua
+Domenico