La conversione: cambiare testa e cuore, rispondere a un invito esplicito, come città, non solo come singoli o comunità di fede, di fronte all’eternità.

Una riflessione sul libro del profeta Geremia “Gerusalemme città chiamata alla conversione” (Ger 2,1-5.7.11-13) e sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 33-34 – Lc 21,5-11)

Geremia 2,1-5

1 Mi fu rivolta questa parola del Signore:
2 «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme:
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata.
3 Israele era cosa sacra al Signore,
la primizia del suo raccolto;
quanti ne mangiavano dovevano pagarla,
la sventura si abbatteva su di loro.
Oracolo del Signore.
4 Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe,
voi, famiglie tutte della casa di Israele!
5 Così dice il Signore:
Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri,
per allontanarsi da me?
Essi seguirono ciò ch’è vano,
diventarono loro stessi vanità

Geremia 2,7

Io vi ho condotti in una terra da giardino,
perché ne mangiaste i frutti e i prodotti.
Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra
e avete reso il mio possesso un abominio.

Geremia 2,11-13

11 Ha mai un popolo cambiato dèi?
Eppure quelli non sono dèi!
Ma il mio popolo ha cambiato colui che è la sua gloria
con un essere inutile e vano.
12 Stupitene, o cieli;
inorridite come non mai.
Oracolo del Signore.
13 Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.

Conversione

All’inizio di ogni cosa, di ogni vita, di ogni popolo, di ogni città non solo c’è il regalo dell’esistere, ma pure c’è un grande amore di Dio: quasi una sorpresa di Dio che si è innamorato di ciò che aveva fatto esistere, un amore che ha prodotto liberazione.

Ogni persona, ogni popolo ha avuto un suo Egitto, da cui è stato “liberato” per amore puro, cui ha risposto con l’affetto della sua giovinezza, con l’amore di un fidanzamento, con un faticoso, ma alla fine convinto accettare di seguire Dio nel deserto, in una terra non seminata, con tutte le incognite di un futuro non facilmente immaginabile.

Questa terra fu cambiata presto in terra da giardino, ma noi, l’umanità l’abbiamo cambiata in abominio: una sorgente di acqua viva ridotta a pozzanghera, con un futuro da terra screpolata! A questa storia di tradimento umano, di allontanamento, di ribellione si fa presente immediatamente il suo invito alla conversione e come dono, la grande misericordia di Dio, il dato di fatto indiscutibile, con tanti esempi in cui si è già realizzato.

La conversione richiesta da Dio a Gerusalemme, al popolo di Israele, la distribuiamo sui tre momenti principali che la devono caratterizzare: iniziamo subito dalla vita di ogni persona del popolo di Dio, dalla nostra stessa vita.

1: La conversione “personale” di ogni abitante della città

L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che se ne allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, ha immediatamente il regalo della storia di Gesù che ha  un cuore squarciato per amore: un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la libertà dell’uomo è un dono da cui Dio non si ritrae mai.

Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da Me puoi sempre tornare, che Io non ti mollo! Io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo se ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore … ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.

Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di “carognate”, di sbagli, di cattiverie gratuite: siamo sicuramente anche capaci di bontà, compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male … sembra quasi più grande di noi!

Ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri “vizi”: i nostri peccati si sono inveterati in noi.

Il nostro agire male aumenta  il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà: non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.

C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.

Gesù in continuità e novità con l’invito di Geremia a Gerusalemme, nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”.

Gesù mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte: non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi! E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini? Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita.

Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare? Saremmo proprio fuori di testa.”

Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare: è uscire dalla logica di un “dio” commerciante che noi ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza! Convertirsi è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre:

  • Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità;
  • Lui, che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato (come dice il salmo 8);
  • Lui che ci vede impigriti in continui errori…

… Lui che fa, che dice?

E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta!”.

L’Incarnazione del nostro “essere Dio in Gesù” è una scommessa sulla libertà degli uomini: abbiamo  scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.

Gesù ha pazientato infinitamente con gli apostoli: non ha tolto loro la fatica del decidersi per il Regno di Dio! Tutte le persone che sono state travolte dalla sua Parola – ora dura, ora consolante – non sono stati ammaliati, ma hanno dovuto decidersi “giocando” in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili.

Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù: contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita – come tanto spesso capita nel nostro mondo violento – Dio ce la ridona in pienezza.

La misericordia di Dio ha la sua musica: non è il rombo dei cannoni o il sibilo dei missili o lo stritolare dei cingoli dei carri armati! Dio si paragona al contadino, non più al padrone, si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita: la mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà.

Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità: il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.

2: La conversione “comunitaria” della città

Geremia parla di Gerusalemme, di una convivenza sognata, realizzata, boicottata, ripresa tante volte, distrutta e ricostruita: ci siamo resi conto – ancora di più in questi giorni – che prima delle case, dei muri e dei palazzi, la città è fatta da un mondo di relazioni, di solidarietà, di gioie condivise, di dolori atroci incomprensibili, sempre in “agguato”: sono il sorriso, il pianto, gli abbracci di bimbi e madri, sguardi impotenti di papà, strutture di convivenza; sono reti di relazioni, di commercio, di scambio, di offerta e di acquisizioni, di cieli, di case, di piante e fiumi, di ponti e strade.

Le nostre città hanno case, strade, vie di pace o già incarnano dentro il dolore e la morte? Sono a misura di bambini, di fragili, di vecchi e persone oppure solo di commercio e di accumulo, che poi tende allo sfruttamento? Esaltano la ricchezza e il potere o la fraternità e la bellezza?

Si fa presto a passare …

da “giardino e sogno
a
“possesso e abominio”.

Gerusalemme si era anch’essa imbarbarita se Dio la richiama così!

Le nostre città sono abitabili o solo “ammucchiamenti”? Da buon Bresciano ho ben in mente la differenza abissale per l’abitabilità tra i villaggi Marcolini (auspicando che Padre Ottorino Marcolini sia presto dichiarato beato) e le famose “torri”, umanamente anche pericolose da abitare, che si fa fatica persino a demolire! Non sto cercando soluzioni o proponendo architetture, ma umanesimo al massimo! Occorre moltiplicare umanità, relazione, solidarietà, che possono convivere con lavoro, comunità e  società. Tutto questo non viene da spontaneità miracolistica, ma da una progettualità lungimirante e profondamente umana: l’umanità è il primo luogo che abita Dio!

Linee di “conversione” a questo proposito sono fatte da cittadinanza attiva sostenuta e vivificata da cristianesimo attivo: la città è anche insieme di istituzioni, di leggi, di strutture, di coordinamenti, di istituti culturali e bancari, di associazioni, di aggregazioni che permettono la collaborazione di tutti e ne vivono i vari aspetti.

Ai tempi del profeta Geremia Gerusalemme aveva un centro, uno spazio, un insieme di energie materiali e spirituali concentrate nel Tempio: la religiosità “strutturata” non era una vaga idea facoltativa, ma una dimensione del cittadino, con sue leggi e servizi, con sue fortune di tempi propizi e sfortune di tempi di sfacelo … infatti dice Geremia (al versetto 13 del capitolo 2):

Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.

Il Signore Iddio ne era il centro e lo avevano abbandonato: un abbandono che non è solo questione di idoli o di simulacri sacri o di statue, ma cancellazione di centri profondi e personalizzati nella vita di ogni persona, cancellazione si decisioni di massima fiducia e adesione a Dio, cancellazione della consapevolezza di un posto esplicito per la fede, cancellazione della consapevolezza della finitezza umana e del bisogno di una continua salvezza, ripresa, rinnovamento.

Avevano bisogno di acqua viva e non di acqua stagnante, per di più in cisterne screpolate!

Oggi noi non abbiamo più il Tempio, siamo evoluti come società che distinguono bene il trono e l’altare: abbiamo le parrocchie, la Chiesa che dentro questa società tiene alta la concezione di umanità a partire da una esperienza libera che è la fede.

Che ruolo abbiamo noi cristiani dentro questo invito alla conversione nella nostra Gerusalemme?

Oggi siamo di fronte anche a grandi cambiamenti della vita quotidiana: Come ci troviamo come cristiani entro questi cambiamenti di prospettiva umana? Ci troviamo a dover tenere conto di una massa di persone che sono rimaste fuori dal contatto con la comunità cristiana non per un cosciente rifiuto del messaggio cristiano! Non sono atei, ma fedeli in attesa che qualcuno gli dica qualcosa! Non pochi hanno toccato il fondo della confusione in una sorta di nichilismo di massa, in una nausea che monta sempre più per il cumulo di superficialità in cui sono immersi.

Quel campanile che ancora svetta tra le case e ci avvisa dei morti (e molto più raramente dei nati) avrà la capacità di rompere la monotonia dell’abituarsi al ribasso? Può ancora fare da antenna che intercetta o smuove domande di Dio?

Se ora tre o quattro, sei o sette parrocchie vengono messe insieme con un parroco, vediamo che alla lunga ciò non interessa a nessuno: queste cose riguardano noi preti e qualche altro catechista o cattolico della messa settimanale, per questo purtroppo è visto come un problema di funzionamento dell’azienda … non sarà che dobbiamo interrogarci se c’è ancora desiderio della presenza di Dio nella nostra vita e nella vita della gente? Interessa ancora Dio, Gesù Cristo, la fede? E il prete si accorge che la sua risposta non si può esaurire nei compiti istituzionali! Ha bisogno di un colpo di reni che non può essere costituito solo dalla predica della domenica.

I genitori cristiani si accorgono che non basta raccomandare ai figli o ai nipoti di andare alla Santa Messa, di andare a catechismo almeno fino alla Cresima … si preoccupano veramente di dove vivono i loro spazi di amicizia e come li vivono? A tutti è chiesta una serie di conversioni, di cambiamenti rispetto al modello educativo pastorale in cui il prete è stato preparato e gli adulti sono stati educati, soprattutto se non si è più giovanissimi, come la media dei preti  e dei credenti di oggi!

L’ultima pandemia  ha allontanato la parrocchia dalla gente, ci ha forse anche abbassato la stima che ne avevamo, perché non siamo stati coerenti con un po’ di coraggio, ci hanno tolto il rapporto vivificante con i ragazzi e i giovani e ce li troviamo lontani … per i preti più giovani erano la ragione del loro apostolato e senza di loro ci si sente non poco frustrati. Sì, un prete “serve” ancora nei casi disperati, nella morte, qualche volta nelle malattie, nella vita privata, ma non è chiamato in causa per impostare una vita della famiglia e della società più giusta. 

Le giovani generazioni sono altrove: facciamo fatica a dialogare con loro, a renderle sensibili alla voce dello Spirito … la gente ci vuole bene, ma non siamo capaci di aiutarla a fare un salto di qualità nella fede!

Oggi la fede ha bisogno di essere rigenerata per essere disponibile alle domande degli uomini e delle donne di oggi, ma siamo sempre ai primi passi: noi preti siamo mangiati dalla vita ordinaria, dal compito pure necessario di offrire i sacramenti, che spesso giungono su un popolo che forse non li accoglie con fede, ma per tradizione, il Vangelo sembra dover prendere altre strade, che non sono le nostre.

Ci pare che il nostro Dio con la lanterna cerchi un uomo o una donna che abbia ancora interesse per Lui: farebbe parte del nostro essere cristiani offrire a Dio una compagnia! Vorremmo condividere la solitudine di Dio, per dare un senso interiore alle nostre sconfitte senza cercare le tante scuse che potremmo trovare … vorremmo avere il coraggio di un cammino senza difese, per una apertura senza angoscia, e la fiducia in Dio che non smette di accompagnarci … ma la cosa che ci sorprende, e anche ci scoraggia, è che la società, la Gerusalemme di allora, si sta sempre di più  affrancando, facendo a meno  del cristianesimo e il nostro lavoro sarà quello di renderla di nuovo disponibile per esso, come se lo scoprisse daccapo.

Dobbiamo cercare le tracce dove Dio è sicuramente passato e domandarci: dove abita ora  nascosto il Dio cristiano? Come testimoniarlo, come dare forma alla sua presenza? Dove e come  sta lavorando Dio nei nostri giovani, nelle nostre famiglie? Riusciamo a vedere il bene che vi fa sempre?

Non dice niente alle nostre preoccupazioni “ecclesiali” la figura del “samaritano” in cui tanti italiani, tante mamme e famiglie, tanti ragazzi a scuola in questa guerra assurda si sono improvvisati, messi a disposizione, inventato tante nuove accoglienze di profughi, non sono questi i frutti di una sana mentalità cristiana, che va fatta emergere e notata, resa sacramento di un Dio nascosto, che in tanti va adorato? E’ un fuoco di paglia o non può essere oggi un salto di qualità nella vita credente?

Negli anni “sessantotto” dicevamo a questo riguardo: “se tu samaritano vedi che su quella strada trovi sempre qualche uomo mezzo morto domandati anche chi è che opera questo misfatto? Non accontentarti di salvare i feriti!”.

Oggi forse siamo troppo impotenti e ci dobbiamo impegnare anche all’accoglienza di tutti, dei troppi “feriti” che si chiamano profughi, perché il mondo sta diventando una fabbrica di profughi! Non possiamo, nella nostra conversione, fare bene solo questa scelta, e sarebbe già molto: intanto, come cristiani, delineiamo e formiamo bene il samaritano con le qualità della parabola del Vangelo: “gli si fece vicino“.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,33-34)

33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.

Ci siamo fatti vicini? Non li guardiamo a distanza! Non basta  un saluto su whatsapp, non si manda solo un assegno alla caritas per tutti questi “poveracci” …

«.. ne ebbe compassione .. », si commosse … è un classico verbo greco che dice quello che capita alla mamma quando vede suo figlio in difficoltà: le si muovono le viscere, tanto è coinvolta nel dolore e nella condivisione, nell’ansia di alleviare e nella sofferenza da condividere e sconfiggere! È lo stesso verbo che il Vangelo usa quando Gesù vede la vedova che accompagna al cimitero il suo unico figlio morto, quando il padre vede finalmente arrivare dopo tanta attesa il figlio prodigo! È l’amore di Dio per i suoi figli!

Si fa avanti, si fa vicino”: ci candidiamo ad essere  prossimo, a rispondere alla domanda che spesso ci siamo fatti sempre solo a noi: me, chi mi ama?

“Fascia le ferite” con la consapevolezza che noi da soli non possiamo assolutamente ricucire gli strappi di tutti  è solo Dio che lo fa, lui conosce da dove sanguina il nostro e il loro  cuore e ne ferma l’emorragia mortale

“Versa sopra olio e vino”: è l’olio che guarisce la nostra disumanità, che smolla le nostre durezze … è una Parola che scioglie la nostra cattiveria e il vino che dà l’ebbrezza della vita … è ancora quel vino che mancava a Cana. Acqua e pane sono sufficienti per sopravvivere, ma se vogliamo fare festa occorre il vino … e noi vogliamo essere per loro il vino della festa!

Lo carica sul suo giumento”: è Gesù stesso che poi si caricherà ogni uomo ferito su di sé, Lui che “… portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo …
” (1Pietro 2,24)

“Lo condusse nell’albergo”: abbiamo e vogliamo per tutti una casa in cui essere accolti, è stata già pagata in anticipo dal samaritano! La Chiesa, la nostra comunità, il nostro gruppo sta diventando questa casa che accoglie tutti: è l’insieme di luoghi, fatti di tessuti di relazioni vere (non tanto o solo di muri) in cui i giovani profughi vi si possono sentire accolti, avere la certezza che, pur sentendosi offerta accoglienza, qualcuno ha già pagato per noi e per loro per scambiarsi assieme il massimo di ospitalità!

“Si prese cura” … noi diremmo, in linguaggio corrente, “ci siamo fatti carico gli uni degli altri”: per gli ulteriori livelli, che diventano politica vera e nuova,  mondiale e non solo di parte, sarà obiettivo della Chiesa fra crescere politici di levatura anche ingenua, ma eversiva, come quella di Giorgio La Pira, che avrebbe già avuto coraggio e fede da vendere per agire anche su ogni Caino. 

Convertiamo bene la Gerusalemme, che non ha futuro se non c’è conversione!

A noi cristiani oggi è chiesto di dare importanza a questa acqua viva che è la fede nelle nostre società e strutture: non si tratta di essere “talebani”, ma testimoni! Non siamo “kamikaze”, ma persone disposte al sacrificio e al martirio.

La conversione sul futuro nostro e del mondo in cui viviamo. Finisce un mondo, ma non è la fine del mondo

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-11)

5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: 6 «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?».
8 Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine».
10 Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.

Mai come oggi, con la pandemia e dentro la guerra, siamo stati  messi di fronte  alla fine del nostro vivere: non è facile però nemmeno lontanamente parlare della morte, perché c’è quasi un prolungamento artificiale della vita, in cui non si può mai parlare, pensare, preparare la morte.

Contro un mondo che commercializza tutto e che è schiacciato sulla terra e che ci invita a non guardare in su (“don’t look up” è il titolo di un famoso film che molte famiglie si sono viste) dobbiamo reagire perché la nostra vita ha un suo futuro in Dio: Dobbiamo avere sempre uno sguardo verso l’alto, il nostro futuro è in Dio!

Il primo passo di una fine del mondo vecchio, della Gerusalemme di Geremia, è stata la distruzione del Tempio di Gerusalemme e quindi la nascita di un nuovo modo di incontrare Dio: è l’inizio del “tempo dei pagani”, cioè una nuova pagina della storia della salvezza aperta ora a tutti, che però è preceduta da segni di grande dolore e distruzione (che Luca mentre scrive il Vangelo ha già potuto vedere). 

Quel “non resterà pietra su pietra” non è un modo di dire, ma la fotografia di una vera distruzione … facciamo memoria di alcuni elementi “concreti”: il Tempio costruito da Erode, che ha impiegato 100.000 operai e 1000 sacerdoti come muratori per le parti più sacre, è iniziato nel 20 a. C. e finirà solo nel 64 d.C. cioè 6 anni prima della sua distruzione avvenuta poi nel 70 d.C. dopo una rivolta sanguinosissima dei giudei iniziata nel 66.

Giuseppe Flavio, secondo un calcolo un po’ gonfiato, da buon romano, scrive di 1.100.000 giudei uccisi e 97.000 fatti schiavi: Le guerre e le rivolte sono come le pietre miliari della storia … non volute da Dio, ma dall’uomo, sono il più male più grande: continuano il peccato di Caino e per questo sono segno della fine già presente nel quotidiano! Il discepolo le deve vivere come appello urgente alla conversione e luogo in cui esercitare misericordia, come il suo Signore.

Sia la morte di Gesù, come la distruzione del tempio, sono sì la “fine del mondo” ma non come lo pensiamo noi: sono il giudizio definitivo di Dio che offre salvezza a tutti! Il presente è allora il tempo della pazienza, della conversione, come per gli apostoli è stato il tempo dello sradicamento da Israele e l’apertura a un nuovo mondo, non legato al Tempio, ma legato a Gesù ucciso, annientato, morto, ma risorto: è finito quel tempo e comincia definitivamente il nuovo con tutti i dolori di una fine, ma anche con tutte le speranze di una vita nuova.

E’ giusto oggi, per la nostra chiesa italiana, con queste assenze, con questa diminuzione di partecipazione alla vita della chiesa, la scelta di far vincere  le nostre paure, addolcendo e togliendo nerbo alla vita cristiana in un adattamento  alle mode del tempo? Assolutamente no! L’intero mondo di devozioni rigeneratrici, è quasi sparito o non è preso in grande considerazione … anche per questo motivo credo che voi, compagnia delle sante Croci, abbiate celebrato con impegno il lavoro fatto nel giubileo sul dono inestimabile delle “sante” croci, riproponendole come snodo necessario per una fede forte, come occorre implorare da Dio in questi tempi.

Occorrono sempre cristiani santi, decisi, che credono che la Chiesa può avere un ruolo di grande servizio per la conversione nostra e nelle nostre città! Se siamo così perdonati e convinti oggi però non è il tempo di imporre facili alternative, ma inventare percorsi accompagnati.

O sacramenti o nulla?
O la parrocchia o nulla?
O L’Eucarestia o nulla?

Non è un dovere progettare percorsi,  passi che stanno prima del sacramento, che aiutano a crescere, a desiderare, a invocare il Signore? Non c’è proprio posto per un dialogo, un  affidamento a Dio, una sua benedizione di incoraggiamento, di apertura di porte nuove?

Non tocca a noi giudicare!

  • Sono “sposati male” …. allora non c’è più spazio per un minimo di fede?
  • Sono “ufficialmente omosessuali”, allora sono “maledetti da Dio” … non possono nemmeno pregare?
  • Fa una “vita sulla strada”…Non c’è spazio per un umanesimo di grande carità, di disponibilità?

L’Azione Cattolica, sempre tacciata di “bigottismo”, faceva gli esercizi spirituali per le ragazze “pericolanti”, nome che significava “prostitute”: non avrebbero smesso il “mestiere”, ma si accendeva in loro una luce!

Possiamo pensare a una comunione di preghiera per chi non può comunicarsi, spazi profondi di ascolto della Parola di Dio sostenuti da papà e mamme, da coppie di sposi: che forme usiamo per accompagnare alla morte le persone? Qui non si fa la scelta “o sacramenti o nulla” … c’è già il nulla, perché il sacramento dell’unzione dell’infermo è quasi sempre evitato nelle nostre famiglie!

Offriamo spazi di composizione di gesti di carità, solidarietà che sono caricati di fede, di Parola di Dio, scoperta in maniera diversa e realizzata pure in maniera eroica?

Quante “fini” fanno parte delle nostre esistenze? Pensiamo alla pandemia, che si inscrive nelle nostre carni, nei nostri affetti, nelle nostre opere e mette la parola fine a tante nostre esistenze, ma anche a modelli di vita sbagliati: sta finendo un mondo – continua a ricordarci papa Francesco – e ne deve nascere uno nuovo … e ogni uomo e donna sono chiamati a conversione come lo furono i cristiani di quei tempi, gli stessi giudei e romani.

Noi pensiamo sempre che possiamo tornare “come prima”, ma un mondo vecchio sta morendo e noi ci dobbiamo convertire a un nuovo modo di vivere, da Fratelli, tutti.

Invece, quindi, di farci la domanda “quando sarà la fine” … iniziamo a convertirci, ad assumere comportamenti che ci portano a un vero cambiamento dei modelli del nostro vivere, altrimenti non solo non resterà pietra su pietra, ma la nostra casa comune, la terra, produrrà solo veleni e morte.

La conversione massima però sarà sempre la centralità di Gesù a Gerusalemme, nel mondo convertito: Gesù aveva nel cuore un sogno che lo consumava, una meta che lo attraeva, un compito che da sempre lo definiva, cioè l’amore senza riserve per l’umanità, per me, per te, per tutti! Questo amore si consuma fino all’ultima goccia sulla croce, il momento massimo della sua storia di affidamento alla sua missione e al Padre, il punto di arrivo del salto definitivo nella gloria del Padre: Lui saliva a Gerusalemme, la sua vita è stata un continuo, quotidiano salire a Gerusalemme … Là è la meta, là lo aspettano gli eventi definitivi, là gli ha dato ancora appuntamento il principe del male per sferrare l’ultimo, inutile attacco, là, a Gerusalemme, offrirà la sua vita per me, per te!

Invece le nostre vite sono spesso un allontanarci da una conversione di Gerusalemme, un fuggire dalle strade dell’impegno, dalle indicazioni della fede: “Hai davanti a te il bene e il male: scegli il bene! Sali anche tu a Gerusalemme! C’è nella tua vita qualcosa che ti brucia dentro, per cui la vuoi donare e consumare? C’è nel tuo cuore un desiderio che non riesci a contenere? È un desiderio di potere, di sopraffazione, di piacere a ogni costo, di conquista per schiacciare o è un desiderio d’amore, capace di buttarsi per una causa, la causa grande del regno di Dio?”.

La strada è in salita: è quella di Gerusalemme, spesso da fare in solitudine, ma non mai abbandonati da Dio, sempre sorretti dallo Spirito che ha spinto Gesù fino al calvario e da lì lo ha innalzato alla Risurrezione.

Lo Spirito di Dio è in ogni uomo per aiutarlo a dirigersi sempre verso la Gerusalemme convertita, riscattata, la sua Gerusalemme che apre il cielo alla potenza di Dio, per chiudere le nostre strade di confusione e di stagnazione: è conversione di Gerusalemme anche un mondo senza più guerre.

Non è certo “conversione” chiamare le guerre “operazioni militari speciali”.

25 Marzo 2022
+Domenico

                                                                                                                                                                                                                                   

Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Audio della riflessione

Se fai del bene sei sempre osteggiato: tutto quello che sembra un bel messaggio di pace crea reazioni incontrollate; il male è pronto a soffocare il bene: è il mistero della cattiveria dell’umanità che indica quanto il male si è radicato dentro di noi, nelle nostre relazioni, nei tessuti sociali.

Uno che vive di furti, non accetta chi gli dice che non può rubare; uno che vive di inganni non si adatta a perdere il suo potere; chi ha impostato la vita sullo sfruttamento non accetta di essere richiamato alla giustizia e di cambiare soprattutto comportamento; lo spacciatore cui vengono sottratti i clienti perché qualche sforzo educativo riesce a far rinsavire i giovani non perde impunemente i suoi facili guadagni.

Per questo Gesù dice molto chiaramente ai suoi discepoli che dovevano cominciare da soli a predicare il Vangelo, a far nascere anche in tante altre persone la speranza che avevano visto in Lui.

“Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi.” : è la verità nuda e cruda di Gesù, sa che la sua parola è una spada, il suo messaggio un fuoco, il regno di Dio una sfida … e di fronte a questo messaggio lupi lo diventiamo tutti quando veniamo contestati nella nostra vita egoista: lupi siamo quando siamo obbligati a smettere di lucrare interessi disonesti, a fare pulizia nei nostri sentimenti e relazioni disordinate; lupi siamo quando veniamo richiamati ai nostri doveri di padri e madri, di cittadini e di uomini responsabili di tutto il creato… Proprio per questo abbiamo  bisogno di uomini e donne forti, capaci di andare controcorrente. Il papa Benedetto a Loreto invitava i giovani così. “Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione. Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie “alternative” indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda”.L’agnello vincerà non certo per la sua potenza, lui è inerme, ma per la forza di Dio, con la sua umiltà. Dio guarda l’umile e lo ascolta.

C’è bisogno di agnelli, anche se i lupi saranno sempre più agguerriti, ma Dio non ci abbandona mai.

Hanno sperimentato la reazione feroce anche tra gli stessi cristiani i protettori dell’Europa, i santi Cirillo e Metodio

Nativi di Salonicco, rampolli di una nobile famiglia greca, il loro padre Leone era di elevato status sociale. Cirillo era il più giovane di sette fratelli. In giovane età si trasferì a Costantinopoli, ove intraprese gli studi teologici e filosofici. La curiosità tipica di Cirillo dimostrava il suo eclettismo: egli coltivò infatti nozioni di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio. Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l’arabo e l’ebraico. Da Costantinopoli, l’imperatore inviò i due fratelli in varie missioni; in una di queste  Cirillo rinvenne le reliquie del papa San Clemente. La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia. Cirillo accettò volentieri l’invito e, giunto nella sua nuova terra di missione, incominciò a tradurre brani del Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico oggi meglio noto come alfabeto cirillico. Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma il pontefice riservò loro un’accoglienza positiva, ordinò prete Metodio ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Inoltre Cirillo gli fece dono delle reliquie di San Clemente, da lui ritrovate in Crimea. Durante la permanenza nella Città Eterna, Cirillo si ammalò e morì: era il 14 febbraio 869. Venne sepolto proprio presso la basilica di San Clemente.

Metodio ritornò poi in Moravia e durante un successivo viaggio a Roma venne consacrato vescovo. Al suo ritorno in patria iniziò la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un’eresia. Lo stesso Metodio fu detenuto per due anni in Baviera ed infine morì presso Velehrad, nel sud della Moravia, il 6 aprile 885. I suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia. Se l’immane opera dei due fratelli di Tessalonica fu cancellata in Moravia, come detto trovò fortuna e proseguimento in terra bulgara, anche grazie al favore del sovrano San Boris Michele I, che abbracciò il cristianesimo e ne fece la religione nazionale. La vastissima attività dei discepoli di Cirillo e Metodio in questo paese diede origine alla letteratura bulgara, ponendo così le basi della cultura scritta dei nuovi grandi stati russi. Il cirillico avvicinò moltissimo i bulgari e tutti i popoli slavi al mondo greco-bizantino: questo alfabeto si componeva di trentotto lettere, delle quali ben ventiquattro prese dall’alfabeto greco, mentre le altre appositamente ideate per la fonetica slava. Ciò comportò una grande facilità nel trapiantare in slavo l’enorme tradizione letteraria greca. La nuova lingua soppiantò ovunque il glagolitico e rese celebre sino ai giorni nostri il nome del suo ideatore.

14 Febbraio 2022
+Domenico

Operatori di bene, anche se poveri

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Audio della riflessione

La nostra vita spesso si svolge nell’incertezza, nella approssimazione: viviamo di tentativi, di scongiuri qualche volta, di fortuna ….

Gesù invece è venuto con una decisione definitiva: lavorare per il regno di Dio e in Lui c’era una certezza incrollabile, “è vicino a voi il regno di Dio”.

Regno di Dio è una realtà che racchiude in se tutte le attese del popolo di Israele, ma anche tutte le attese dell’umanità. Quando lo udivano dalle labbra di Gesù capivano immediatamente che si trattava della loro grande speranza, della aspirazione di secoli: per loro era la fine di un incubo, la realizzazione di un sogno di popolo, incarnato in ogni famiglia, in ogni pio ebreo; era la certezza della presenza misteriosa, ma reale di Dio nella storia del popolo e di ogni persona … e Gesù voleva che tutti si orientassero a questa attesa sicura.

Anche noi credenti oggi dobbiamo avere questa certezza: non è vero che il mondo va verso il peggio, che la vita diventa sempre più impossibile, che il male è destinato ad avere il sopravvento, che stiamo andando verso la barbarie. Non è vero che ci stiamo allontanando dalla salvezza. Dio è fedele, il suo amore è senza se e senza ma. La sua promessa non è vana, non vincerà il male per quanto si faccia forte e usi tutte le astuzie per compiere la sua distruzione. Riuscissimo a vivere con questa certezza, con la consapevolezza che il Regno di Dio, che la pace, la giustizia, la felicità non sono solo promesse, ma realtà che determineranno per sempre la vita dei giusti, avremmo più fiducia nel nostro semplice e povero operare il bene.

Certo quello che vediamo ci può scoraggiare, ma abbiamo bisogno di apostoli che parlano del grande bene che c’è nelle vite donate di chi soffre, di chi lavora per la giustizia, di chi con semplicità ama i suoi figli, i suoi malati, di chi fa il suo dovere. Tante cronache dei giornali non sono sempre il diario del regno di Dio, ma solo il negativo che sta sotto un mare di bene che Dio semina in ogni creatura. Occorre andare a due a due a rinfocolare la speranza nel mondo, perchè Dio sta con noi, è presente più di quanto lo possiamo scorgere nelle pieghe della vita.

Timoteo e Tito che oggi ricordiamo sono stati fedeli servitori e annunciatori del vangelo e hanno permesso con la loro santa vita e testimonianza di superare la famosa controversia degli inizi della chiesa, cioè  se si dovevano circoncidere i pagani prima di battezzarli, cioè farli diventare ebrei e poi cristiani

Timoteo era figlio di una donna israelita e di padre gentile, cioè pagano. Egli rappresentava in qualche modo un punto d’incontro e d’intesa tra le due tendenze. Per rispetto al padre, la madre non l’aveva fatto circoncidere. Quando San Paolo giunse in Asia Minore, a Listra, patria di Timoteo, convertì la madre e battezzò il giovane, promettente figlio.

Tito, a sua volta, era proprio uno di quei pagani della Siria che, convertito da San Paolo, era entrato a far parte della Chiesa di Antiochia. Quattordici anni dopo, Paolo lo portò con sé a Gerusalemme, proprio nel momento cruciale della controversia circa il battesimo dei Gentili. L’Apostolo si oppose risolutamente alla circoncisione del cristiano di Antiochia, e Tito divenne così il vivente simbolo del valore universale del Cristianesimo, senza distinzioni di nazionalità, di razza e di cultura.

26 Gennaio 2022
+Domenico

La figura caratteristica dell’annunciatore del Vangelo

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Audio della riflessione

Se uno ha un sogno da realizzare … ha in testa il sogno, prevede chi collaborerà alla sua realizzazione, imposta le azioni da fare, intuisce i pericoli che lo possono distruggere, definisce le necessarie qualità dei collaboratori e ne stimola continuamente la presa di coscienza: si fa spesso lui esempio da seguire, chiarendo, se necessario lo stile con cui vive e le cose essenziali da fare, da proporre, ma soprattutto da vivere.

Questo è il senso di questa prima parte del Vangelo che si legge in ogni Messa che celebra come si fa oggi.

Da questi semplici versetti, da queste precise indicazioni emerge tutto il senso del vangelo di Luca: la messe è abbondante e gli operai pochi. Si parte dalla consapevolezza di essere un piccolo gregge, ma … convinto di essere depositario del grande sogno di Gesù, il regno di Dio, destinato a tutto il mondo.

La missione cui sono inviati non è una operazione di proselitismo o “fanatismo”, ma conoscenza dell’amore di Dio Padre per tutti e singoli i suoi figli: ogni persona è frumento maturo per diventare corpo del Signore, i settantadue che sono tutti coloro che si innamorano del Vangelo sono nello stesso tempo seminatori della parola e mietitori.

Il Regno di Dio è il momento in cui chi semina incontra chi miete e ambedue godono dell’abbondanza dei frutti: infatti l’accoglienza dell’annuncio che è la semina è già salvezza, cioè mietitura.

Sono appena stati chiamati i 12 e Gesù allora ha pregato non poco per la loro scelta … ora tocca scegliere e mandare i 72 e occorre supplicare il padrone della Messe, perché pregare è l’unione necessaria con il Signore, il primo mezzo più efficace per l’apostolato.

«come agnelli in mezzo a lupi » : è la verità nuda e cruda che Gesù dice ai suoi discepoli che dovevano cominciare da soli a predicare il Vangelo, a far nascere anche in tante altre persone la speranza che avevano visto in Lui.

Il bene è sempre osteggiato, quindi il Vangelo, che sembra un bel messaggio di pace, crea reazioni incontrollate: il male è pronto a soffocare il bene, la sua parola è vista come una spada, il suo messaggio come un fuoco, il regno di Dio come una sfida.

I lupi si attrezzano da lupi: è il mistero della cattiveria dell’umanità che indica quanto il male si è radicato dentro di noi, nelle nostre relazioni, nei tessuti sociali.

Ma Gesù vuole  una missione in povertà e una sorta quasi di sprovvedutezza, che espone ogni cristiano come Gesù, l’agnello consegnato nelle mani degli uomini.

L’agnello resta sempre tale anche se è con tanti altri. Molti agnelli fanno un gregge, mai un branco di lupi.

Agnello non può non far pensare all’Agnello pasquale, al servo sofferente che porta i peccati del mondo. In questa nostra storia il lupo sgozzerà sempre l’agnello … soltanto alla fine dei tempi l’agnello pascolerà assieme al lupo.

Non serve borsa, che è la sicurezza del ricco, dove tiene i suoi soldi, nemmeno bisaccia che è la sicurezza del povero dove mette le sue cose e le offerte.

Lo schiavo non porta sandali, il discepolo è servo di tutti: questa povertà è la carta di identità della chiesa, che incarna i lineamenti di chi l’ha inviata.

Ciò che hai ti divide sempre dall’altro, ciò che dai ti unisce a lui e quando non hai più nulla dai te stesso, sai amare e vivi per l’altro, perché l’altro viva per mezzo tuo.

 Papa Benedetto a Loreto invitava i giovani così: “Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione. Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie alternative indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda”.

L’agnello vincerà non certo per la sua potenza, lui è inerme, ma per la forza di Dio, con la sua umiltà.

Dio guarda l’umile e lo ascolta: c’è bisogno di agnelli, anche se i lupi saranno sempre più agguerriti.

Grazie san Luca, che ci hai presentato questa missione che vuole Gesù, e che tu ci hai scritto nel tuo Vangelo, e che tu per primo hai incarnato nella tua vita.

18 Ottobre 2021
+Domenico

Gesù sempre al centro di ogni nostra vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Audio della riflessione

« Ma credete proprio che io fossi così sciocca da pensare di più a un piatto di capretto arrosto che a Gesù? Quando ritornava da quel covo di vipere che era Gerusalemme, la mia gioia saliva alle stelle, e che facevo? Tutto quello che fa ogni mamma: ti vedo calato di peso, che hai? Mangia! Hai dormito stanotte? E in questi giorni ti hanno ascoltato? Hai trovato un posto tranquillo per riprendere forze? Ma questa tosse è un po’ che ce l’hai? Non mi piace proprio. Dimenticavo me stessa, la mia stessa anima per occuparmi di Lui. Sì, forse ero troppo ingombrante, occupavo io tutta la scena, quasi non lo lasciavo parlare. Temevo che un giorno o l’altro non sarebbe più tornato da Gerusalemme … si era fatti troppi nemici. Mia sorella Maria è sempre stata una sognatrice: Lei lo aspettava, ma non sapeva neanche prendergli il mantello e scuoterne la polvere. Le si riempivano subito gli occhi di lui, non diceva né faceva niente, le bastava stare a guardarlo e lasciarlo parlare. Ne era innamorata persa! Non si curava di ciò che diceva la gente. Anche lei come me aveva paura che prima o poi non sarebbe più tornato. E l’ha proprio indovinata perché poco dopo non avremmo potuto nemmeno accostarne il cadavere, quel giorno nefasto di Parasceve. »

« A me, Marta, faceva rabbia questa sua calma, per Maria i mestieri di casa si fanno da soli.  Lei rimane incantata, ma se non ci fossi io! E quando è morto Lazzaro? Sono stata io a reagire subito, a correre incontro a Gesù. Lei era rimasta in casa, senza forze,  Quei 4 giorni di sepoltura, avevano sepolto anche la sua forza di reagire. Quando Gesù ha visto me mi ha subito detto di affidarmi a Lui e io l’ho fatto. Ancora una volta era riuscito a tornare da Gerusalemme. E mi ha subito detto di chiamare Maria. Sono stata io a dirle “il maestro ti chiama”. Mi faceva pena. E Gesù ci ha restituito Lazzaro, ma con quel dono che ha fatto a noi si è firmato la sua condanna: non lo avremmo più visto dopo quel giorno. Abbiamo pianto tanto assieme quando ci hanno riferito come ce lo hanno ammazzato a Gerusalemme. Era il centro della nostra vita. Io mi affannavo ancora per la casa, ma per chi? Maria restava muta, ma per chi? Maria restava muta, ma per chi? »

Non so se questo dialogo con Marta ci aiuta a sciogliere i nostri tormentoni: contemplazione o azione? Sicuramente c’è un insegnamento inequivocabile: tanto l’azione che la contemplazione devono avere al centro Gesù! Nessuno deve occupare la scena, è solo Lui che la riempie tutta.

Noi con le nostre caratteristiche umane, le nostre doti, i nostri modi di essere gli faremo un posto, quello centrale, ma con qualità diverse: l’importante è che Lui sia il centro! È lo Spirito che delinea in noi in maniera originale per ciascuno i tratti della sua umanità, ci conforma a Lui in termini assolutamente originali, a seconda della nostra storia, la nostra docilità.

Lo Spirito vince le nostre resistenze, orienta i nostri progetti sempre a Lui!

Si può stare ad agire riempiendo noi la scena o si può stare a contemplare per trattenere. Si deve invece sempre agire e contemplare per amore! Una azione che non ha al centro Gesù ha il fiato corto, una contemplazione che si ripiega su se stessa diventa subito sterile, anche per chi la vive.

La parte migliore da scegliere è Lui, e questo ce lo dobbiamo sempre rinnovare nella coscienza, nei segni, nei gesti, nel programma, nei pensieri, nelle preoccupazioni.

5 Ottobre 2021
+Domenico

Ahimè per te

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 13-16)

In quel tempo, Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Audio della riflessione

Il Vangelo di oggi inizia con alcuni “Guai”: guai a te Corazim, guai a te Betsaida … sembra che ci sia in atto una punizione divina verso queste città o verso i loro abitanti …

… invece la traduzione più corretta è Ahimè per te!

Non è una minaccia, ma un compianto, un ulteriore lamento: è il dolore di Dio per il male di quegli uomini, il dolore di un amore non riamato.

Non è allora un “guai a te“, ma un guai a me per te!

Ci troviamo spesso ad avere responsabilità nei confronti di comportamenti che vediamo o nei figli o negli amici assolutamente sbagliati e ci monta una rabbia che ci potrebbe portare a un richiamo duro, a una punizione verso coloro di cui abbiamo responsabilità … invece l’ahimè di Dio per i guai dell’uomo è proprio la croce di Gesù.

Il rifiuto – e così ogni male – non è contro Dio, ma contro chi rifiuta, che in questo suo comportamento si fa del male … e come il male dell’amato tocca direttamente l’amante, così il male dell’uomo tocca direttamente e in modo infinito il cuore di Dio, perché il Signore lo ama infinitamente.

Ecco perché i nostri peccati provocano il suo lamento e la sua sofferenza reale!

La croce indica sempre nello stesso tempo la serietà del suo amore e la gravità di quello che abbiamo commesso: il vero amore non amato, che non viene corrisposto o offeso non minaccia mai, piuttosto muore di passione.

Purtroppo noi ci mettiamo sempre al centro per farci del male, mentre non teniamo conto che Dio è innamorato perso di noi e che non può che lamentarsi e morire di passione; una passione che proprio perché è di Dio è infinita come il suo amore: da qui forse riusciamo a capire la grande libertà che abbiamo, ma anche la tremenda responsabilità di rifiutare.

Dio giudica il nostro rifiuto e conosce il male che ne viene, ma rifiuto e male cadono su di lui, non su di noi … e lui continua ad amare, a mettersi a disposizione!

Ci sono frasi della sacra scrittura che affermano questa verità, ve le voglio ripetere: “il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di Lui” (Is 53,5) e “colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore”(2Cor 5,21); “Cristo ci ha riscattato dalla maledizione”; ancora “divenendo lui stesso maledizione per noi”(Gal 3,13) … non sono fantasie o pii desideri nostri, ma la realtà dell’amore di Dio.

Allora questo ahimè di Dio è il più chiaro annuncio di salvezza: siamo sempre proprio piccini nella nostra strafottenza, ribellione a Dio, propugnatori di accuse per i castighi che ci inventiamo che lui ci stia dando, mentre sono solo i risultati di quello che abbiamo fatto, le conseguenze inscritte nel male di cui siamo autori, che lui invece si carica ancora su di sé.

Se Cafarnao – immagine di noi – saremo precipitati sino agli inferi, anche là Gesù scenderà a visitarci, perché ci ama! I suoi compaesani di Nazareth proprio perché li ha amati lo vogliono precipitare da un dirupo!

Insomma abbiamo un Dio che ci ama davvero.

1 Ottobre 2021
+Domenico

E` vicino a voi il regno di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10,8-9) dal Vangelo del giorno (Lc 10,1-12)

Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.

Audio della riflessione

Abbiamo sempre bisogno di speranza: la nostra vita spesso si svolge nell’incertezza, nella approssimazione … viviamo di tentativi, di scongiuri qualche volta, di fortuna …        

Gesù invece è venuto con una decisione definitiva: lavorare per il regno di Dio, e in Lui c’era una certezza incrollabile … “è vicino a voi il regno di Dio”.

“Regno di Dio” è una realtà che racchiude in se tutte le attese del popolo di Israele: quando lo udivano dalle labbra di Gesù capivano immediatamente che si trattava della loro grande speranza, della aspirazione di secoli! Per loro era la fine di un incubo, la realizzazione di un sogno di popolo, incarnato in ogni famiglia, in ogni pio ebreo; era la certezza della presenza misteriosa, ma reale di Dio nella storia del popolo e di ogni persona.

Gesù voleva che tutti si orientassero a questa attesa sicura: Dio è fedele, il suo amore è senza se e senza ma; la sua promessa non è vana, non vincerà il male per quanto si faccia forte e usi tutte le astuzie per compiere la sua distruzione.

Riuscissimo a vivere con questa certezza, con la consapevolezza che il Regno di Dio, che la pace, la giustizia, la felicità non sono solo promesse, ma realtà che determineranno per sempre la vita dei giusti, allora avremmo più fiducia nel nostro semplice e povero operare il bene.

Certo, quello che vediamo ci può scoraggiare, ma oggi occorre essere apostoli che testimoniano il grande bene che viene dal basso, che non fa rumore, che non si espone o si auto proclama.

Andiamo ad imparare, ma sappiamo, dalle vite donate di chi soffre, di chi lavora per la giustizia, di chi con semplicità ama i suoi figli, i suoi malati, di chi fa il suo dovere, chi non si dà tregua nella pandemia e in tutte le involuzioni nei nostri egoismi.

Tante cronache dei giornali non sono sempre il diario del regno di Dio, ma ne sono solo il negativo che sta sotto un mare di bene che Dio semina in ogni creatura.

Occorrerebbe andare … occorre andare a due a due a rinfocolare la speranza del mondo, perché Dio sta con noi, è presente più di quanto lo possiamo scorgere nelle pieghe della nostra vita …

… e la memoria che oggi celebriamo della vita entusiasmante di san Girolamo che ha speso tutte le sue energie per scavare nella Parola di Dio la novità della salvezza portata dal Vangelo, e che ha voluto assolutamente riportare alla forza della stessa parlata di Gesù con le sue appassionate traduzioni e la sua vita contemplativa, ci pone davanti l’esempio di una vita fatta parola e della Parola di Gesù fatta vivere.

30 Settembre 2021
+Domenico

Se Gesù è sempre al centro … è azione e contemplazione

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Audio della riflessione

La vita nostra è molto agitata, frenetica; l’agenda detta le leggi, gli impegni ti vedono tutta la giornata in corsa, se vuoi guadagnare quattro soldi non puoi addormentarti un momento, se vuoi educare i figli devi far loro l’autista per tutti i loro spostamenti. Quando torni a casa stanco del lavoro, ne devi riprendere un altro. Finalmente vado in chiesa per trovare un po’ di pace, per affidarmi a Dio e invece anche lì mi dicono che bisogna impegnarsi, che non si può stare con le mani in mano. Anche la chiesa è un altro impegno da segnare in agenda. 

Io, Lui, il Signore, quando lo incontro? quando mi posso sentire amato da Lui? quando gli posso affidare tutta la mia vita rubata dai vortici della competizione, della lotta per sopravvivere? E’ certo che tante nostre chiese devono offrire maggiormente spazio per la contemplazione e la preghiera, per l’incontro con Dio e per l’ascolto della sua Parola, ma è anche certo che la vita cristiana non può essere ridotta a celebrazione di riti, che ci accontentano e ci chiudono in noi stessi. Marta e Maria quando arriva Gesù a casa loro non capiscono più niente, tanta è l’amicizia che hanno con Lui, tanto è il bisogno di poterlo contemplare; solo che Marta lo fa lavorando e Maria ascoltando la sua Parola. Marta si lamenta, ma Gesù la rimprovera perché rischia di mettersi la centro lei del movimento dell’ospitalità, mentre l’ospite è Lui. Se mettiamo al centro Lui, sempre, l’azione e la contemplazione si compongono. Contempliamo il suo volto e vediamo in filigrana quello del povero;  serviamo il povero e vediamo sotto le sue sembianze Gesù. La nostra meta, la nostra scelta è di mettere sempre al centro Gesù, di aprirgli il cuore, di non sostituirci mai a Lui, di tenere fisso lo sguardo sul suo volto. E Lui ci chiamerà a dare il meglio di noi. Sta di fatto però che tenere fisso lo sguardo su lui non è rito sterile o affaccendarsi per non pensare, ma sempre risposta d’amore, a Lui che non ci abbandona mai.

 In un altro incontro con Gesù la posizione di Marta si fa più profonda: non è la donna che sta solo a fare pranzo, a  lavare piatti, a tenere curato l’ambiente, cosa del tutto nobile anche questa, ma essa per prima si accorge di Gesù e va a sollecitare Maria che invece è distrutta dal dolore e non riesce a contemplare Gesù. Lei ha il coraggio ancora di dettare a Gesù i tempi della sua presenza “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. E qui Gesù è grande: le dice e la aiuta a entrare nel suo mistero più grande che esige pura contemplazione “Io sono la risurrezione e la vita chi crede in me ha la vita eterna…”.

In una terza occasione si parla di Maria che spezza un vaso costosissimo di nardo prezioso e fa l’ultimo gesto di amore che l’umanità ha riservato a Gesù, prima di morire. E’ una contemplazione molto umana, molto azione, molto pratica e anche audace. Infatti Gesù dirà che con la sua unzione ha anticipato ciò che nessuno avrebbe fatto per la sua sepoltura. Direi è una contemplazione attiva, umana, globale di una vita che ha centro in Gesù. Qui non c’è più Marta, ma, purtroppo, Giuda che fra poco lo avrebbe venduto. Il pensiero si alza alla profondità del sacrificio che aspetta Gesù.

29 Luglio 2021
+Domenico

Agnelli capaci anche di farsi carico dei lupi

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 1-9)

Audio della riflessione

Ieri abbiamo apprezzato il grande amore di Gesù per san Paolo, che si è convertito a contatto con Gesù, che aveva guadagnato la sua conversione, come del resto ogni conversione, pure le nostre, sulla croce.

Oggi siamo aiutati a vivere la nostra missione di cristiani da due grandi discepoli santi di Paolo, Timoteo e Tito: hanno imparato da Paolo la tensione della missione, la decisione di testimoniare ovunque Gesù, il suo coraggio e la sua dedizione al Vangelo.

«Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi» è la verità nuda e cruda che Gesù dice ai suoi discepoli che dovevano cominciare da soli a predicare il Vangelo, a far nascere anche in tante altre persone la speranza che avevano visto in Lui.

Il bene è sempre osteggiato … il Vangelo che sembra un bel messaggio di pace crea reazioni incontrollate: il male è pronto a soffocare il bene.

La sua parola è una spada, il suo messaggio un fuoco, il regno di Dio una sfida: è il mistero della cattiveria dell’umanità che indica quanto il male si è radicato dentro di noi, nelle nostre relazioni, nei tessuti sociali.

Uno che vive di furti, non accetta chi gli dice che non può rubare; uno che vive di inganni non si adatta a perdere il suo potere; chi ha impostato la vita sullo sfruttamento non accetta di essere richiamato alla giustizia e di cambiare soprattutto comportamento; lo spacciatore cui vengono sottratti i clienti, perché qualche sforzo educativo riesce a far rinsavire i giovani, non perde impunemente i suoi facili guadagni.

Siamo comunque spesso di fronte al rifiuto: l’annunciatore rifiutato, non si scaglia contro chi lo maltratta e rifiuta il dono di Dio, ma dice “ahimè per te”, denuncia il male, ma ne porta su di sé la ferita e realizza in questo modo l’offerta estrema della salvezza, che è data a tutti senza condizioni, anche a chi rifiuta.

La stessa cosa la fece il Signore Gesù in croce, rifiutato da tutti: chi rifiuta si perde, ma questa perdizione si riflette su colui che è rifiutato, sul missionario, sull’apostolo, su Paolo, su Timoteo e Tito.

Il dramma dell’amore non amato, che non rinuncia mai ad offrirsi, è l’orizzonte in cui si staglia sempre la salvezza, negata a nessuno e donata a tutti: così si percepisce e si sperimenta la serietà del dono e la gratuità dell’amore di Dio, che sa perdersi per ogni perduto, dell’apostolo quindi, del testimone, del cristiano in uscita, che si carica sulle spalle il dono della salvezza da impetrare col dono della sua vita per tutti, come ha fatto appunto Gesù.

Quando san Paolo si reca a Gerusalemme per l’incontro con gli apostoli, porta con sé Timoteo il circonciso, insieme con Tito l’incirconciso, ambedue provenienti dal paganesimo, e riunisce nei suoi due collaboratori simbolicamente gli uomini della legge e gli uomini delle genti, rappresentando così il travaglio dell’annuncio e della convivenza con il mondo giudaico dei primi cristiani e dell’apertura a tutto il mondo dell’annuncio della fede in Gesù.

E’ la bellezza della universalità della nostra fede, della apertura del cristianesimo ad ogni uomo o donna e dell’orizzonte di ogni cristiano testimone.

26 Gennaio 2021
+Domenico

Chi è tagliato fuori, gli sta ancora più a cuore

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 23-24) dal Vangelo del giorno (Lc 10, 21-24)

E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Audio della riflessione

C’è tanta gente che è tagliata fuori dalla vita, che non riesce più a mettersi in corsa. Tutti gli altri hanno trovato lavoro, degli affetti stabili, si sono fatti una famiglia, hanno raggiunto la pace interiore … sono pure intelligenti – fortunati si dice – invece qualcuno non è riuscito a stare al passo, è caduto: una sbandata, un giro di amici, una debolezza su cui si sono accanite tutte le sfortune,  una leggerezza diventata abitudine e resta “indietro”; tenta di risalire, si sforza di riprendere la corsa, ma c’è sempre qualche inciampo.

In alcune società molti diventano “barboni”, altri incappano negli usurai, spesso ci pensa la mala vita a incatenare e a togliere ogni voglia di riscatto.

Gesù dice che è venuto proprio per questi, e ringrazia Dio perché ha rivelato la bellezza e il senso della vita proprio a questi: non sono i potenti che gli danno gloria, non sono gli intelligenti, i grandi della terra, i dotti autosufficienti, ma i “senza niente”, quelli che hanno fame e sete, quelli che in cuor loro desiderano una vita pulita e non ce la fanno, e mettono la loro fiducia solo in Dio.

Vedere e ascoltare sono i segreti di un incontro con Gesù: occorre avere il coraggio di vederlo all’opera nella storia e ascoltare la sua Parola, sentire da lui chi essere nella vita, ma ancor prima ascoltare la Parola che descrive la grandezza della sua bontà.

Il povero ha bisogno di tutto, ma al di sopra di ogni cosa ha bisogno di sapere che nella sua vita c’è una meta, che oltre le sue sofferenze c’è una salvezza, che non è vero che per essere liberi occorre disfarsi di questa nostra esistenza, che in questa nostra sofferenza si è inscritto il Salvatore, il Signore.

Avvento è aspettare e essere certi di una presenza: è sapere che nelle nostre storie è stato seminato un principio di verità e di felicità e attendere con fiducia “operativa” che si sviluppi.

I poveri della terra sono i beati: la salvezza, la felicità della vita è svincolata da privilegi, da prenotazione di posti, da tribune d’onore, da prime file.

Non è un colpo impazzito di fortuna che a caso si colloca in chi non sa attendere e sperare, non la possiede la mala vita, nemmeno il giro delle felicità artificiali.

La salvezza di Gesù raggiunge i “tagliati fuori”, per questo diventa proprio vero che Dio non abbandona nessuno, mai.

1 Dicembre 2020
+Domenico