Alla scuola dei poveri e degli ultimi

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 1-4) 

Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere»

Audio della riflessione

La vita è proprio un fiume lento che scorre: al centro ci siamo noi, una barca portata dalla corrente; non è detto che vada automaticamente verso il porto della felicità, anche se la direzione è quella. Ogni barca segna con la sua stazza le onde, colora il fiume, gli obbedisce, ricama con originalità il suo percorso, si aggrega, si accompagna o cozza contro le altre … è una festa o una battaglia, una regata o un ingorgo a seconda della volontà di convivere o di dominare.

A Gerusalemme, Gesù un giorno siede a guardare un fiume di persone che passano davanti al tesoro del tempio; è un punto obbligato: quando vai alla presenza di Dio non puoi andare a mani vuote! Certo porti te stesso, ti vai ad affidare a Lui … sai che la tua vita è nelle sue mani, hai un cuore, una intelligenza, un progetto: lo metti lì perché lui ne sia il custode, ma vuoi esprimere questo dono, questo amore con un segno.

Davanti al tesoro passa il ricco commerciante di pecore: ha guadagnato molto e non può non far cadere nei grandi vassoi monete d’oro, sonanti; è una sorta di investimento per i prossimi  commerci o contratti.

Arriva l’esattore delle imposte, firma un assegno e lascia cadere in maniera visibile: tutti devono vedere ondeggiare questa ricca “piuma” di soldi che va ad arricchire il tempio; arriva l’agricoltore che ha da poco venduto il raccolto e fa risuonare anche lui le sue monete; arriva l’industriale, ha un codazzo di televisioni, che lo riprendono …

Nel trambusto spunta una vecchietta … le televisioni spengono i riflettori, fa due o tre passi incerti e lascia cadere due spiccioli: non si vedono, non fanno rumore, nessuno li nota: per lei sono tutto quello che ha e lo mette a disposizione di Dio. È povera, è sola, non ha futuro: il suo solo  futuro è Dio, la sua vita è tutta in Lui e per Lui. Domani? È nelle Sue mani: Dio non le farà mancare niente.

Gesù è li che guarda: non s’è lasciato incantare dalle televisioni, dal numero di zeri, dalle cifre dei ricchi, dal suono ammaliante dell’oro – di fronte a Dio non ci si fa rappresentare dal superfluo, ma solo dal necessario; non vuole stabilire un contatto con le tue cose, ma con Te: non devi fare offerte, ma essere una offerta.

Questi due spiccioli Gesù li valuta come  “tutta la vita che aveva”, la sua consistenza. E’ importante che le monetine siano due, perché  poteva anche tenersene una … invece dona tutto: libera dall’ansia del possesso è di Dio e vive per Dio, è figlia della Resurrezione, che riconosce su di sé e sulle sue monete l’autorità della parola di colui che è fedele.

Ai tempi di Gesù c’erano almeno tredici sacerdoti, uno davanti ad ogni cesto, che controllavano il valore delle monete e dicevano a voce alta l’entità e l’intenzione delle offerte; Dopo il tredicesimo cesto ce n’era un altro in cui si gettavano liberamente le monete che si volevano offrire; davanti a questo cesto non c’era nessun sacerdote, ma non mancò di andarci Gesù: solo Lui si metteva a leggere nei cuori e a leggere nella povertà la profondità non la quantità del dono.

Al posto del sacerdote, Gesù stesso guarda, valuta, stima e dichiara il valore, l’entità e l’intenzione di quanto questa povera vecchia, in silenzio, ha gettato nell’ultima cassetta.

Dio ci conceda di fare del necessario il nostro amore vero a Lui e perciò ai poveri.

21 Novembre 2022
+Domenico

Viviamo tempi di guerra, di distruzione, ma il mondo è sempre nelle mani di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21,5-19)

Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Audio della riflessione

Abbiamo sentito spesso parlare di Apocalisse e ne usiamo la parola anche oggi per indicare eventi drammatici e paurosi: si dice che succede qualcosa di “apocalittico” per indicare fenomeni tellurici o atmosferici gravi … è una parola legata alla parola “fine” che ci cominciamo a dire in questa penultima domenica dell’anno liturgico.

Il capitolo 21 di Luca, che precede il racconto della passione di Gesù, è detto anche “Grande Apocalisse”: è un discorso tenuto da Gesù nel tempio di Gerusalemme nei giorni precedenti il suo arresto; prima di andarsene il Signore mette in guardia il suo popolo su quanto sarebbe avvenuto di lì a qualche anno. Di fatto questo testo è stato dedicato alla comunità cristiana che si andava formando dopo la prima Pasqua e che stava vivendo delle situazioni davvero spaventose: la guerra romano-giudaica che portò alla distruzione del tempio, le persecuzioni della comunità palestinese, la fuga delle comunità cristiane a Pella (in Macedonia), l’attesa paurosa delle tribolazioni escatologiche.

Luca vuole rincuorare la comunità cristiana ricordando loro che Gesù aveva previsto tutte queste cose e aveva suggerito loro alcuni comportamenti da tenere in tali frangenti: per esempio non perdersi d’animo perché proprio il verificarsi di questi fatti sarebbe stato il segno dell’imminente ritorno del Signore Risorto e che con questo ritorno sarebbe giunta finalmente la loro liberazione; vengono descritte alcune tribolazioni che saranno normali nella storia della Chiesa: guerre, persecuzioni, incomprensioni, odio verso i cristiani …

Gesù alla domanda del “quando tutto questo avverrà”, continuamente alzava gli uomini a vette più alte, a tempi più larghi, soprattutto all’atteggiamento da avere nei confronti del futuro: attesa, vigilanza, occhio limpido, speranza.

Non è nelle nostre possibilità sapere giorno e ora, ma nella nostra coscienza vivere una attesa operosa del Signore che verrà!

Una verità cristiana indiscussa è che Gesù alla fine dei tempi tornerà su questa terra e i primi cristiani continuavano a invocarlo: “vieni Signore Gesù!”; non era  desiderio di fuggire dalle difficoltà presenti, ma orientamento di tutta la storia al Dio, di Dio, al Dio del compimento.

Vivere significa essere pellegrini verso una meta e occorre sempre averla davanti per correggere la direzione del cammino, per dare slancio e forza per superare le fatiche, per motivare la solidarietà di tutti coloro che sono incamminati. 

Una qualità che non bisogna mai perdere è quella dell’occhio vigile, dell’attesa, del riferimento al futuro e non del ritorno al passato.

Dio ci sta davanti e noi ci prepariamo all’incontro con Lui. La vita ha un fine e spesso occorre serrare i pugni per non perdere il desiderio di una meta.

La vita è sempre così, non ci si può adagiare mai: è così per il lavoro, è così per la famiglia, è così per la vita di coppia … spesso roviniamo le cose più belle della vita perché crediamo di possederle, invece vanno sempre conquistate!

La fede è un dono ma va sempre accolto come nuovo! Non lasciamoci incantare dalle sirene, non crediamo a tutte le semplificazioni e a tutte le scorciatoie della vita! La strada è Gesù, lui dobbiamo seguire perché Dio in Lui ci aspetta e non ci abbandona al caso.

13 Novembre 2022
+Domenico

Trasmissione radiofonica

La conversione: cambiare testa e cuore, rispondere a un invito esplicito, come città, non solo come singoli o comunità di fede, di fronte all’eternità.

Una riflessione sul libro del profeta Geremia “Gerusalemme città chiamata alla conversione” (Ger 2,1-5.7.11-13) e sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 33-34 – Lc 21,5-11)

Geremia 2,1-5

1 Mi fu rivolta questa parola del Signore:
2 «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme:
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata.
3 Israele era cosa sacra al Signore,
la primizia del suo raccolto;
quanti ne mangiavano dovevano pagarla,
la sventura si abbatteva su di loro.
Oracolo del Signore.
4 Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe,
voi, famiglie tutte della casa di Israele!
5 Così dice il Signore:
Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri,
per allontanarsi da me?
Essi seguirono ciò ch’è vano,
diventarono loro stessi vanità

Geremia 2,7

Io vi ho condotti in una terra da giardino,
perché ne mangiaste i frutti e i prodotti.
Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra
e avete reso il mio possesso un abominio.

Geremia 2,11-13

11 Ha mai un popolo cambiato dèi?
Eppure quelli non sono dèi!
Ma il mio popolo ha cambiato colui che è la sua gloria
con un essere inutile e vano.
12 Stupitene, o cieli;
inorridite come non mai.
Oracolo del Signore.
13 Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.

Conversione

All’inizio di ogni cosa, di ogni vita, di ogni popolo, di ogni città non solo c’è il regalo dell’esistere, ma pure c’è un grande amore di Dio: quasi una sorpresa di Dio che si è innamorato di ciò che aveva fatto esistere, un amore che ha prodotto liberazione.

Ogni persona, ogni popolo ha avuto un suo Egitto, da cui è stato “liberato” per amore puro, cui ha risposto con l’affetto della sua giovinezza, con l’amore di un fidanzamento, con un faticoso, ma alla fine convinto accettare di seguire Dio nel deserto, in una terra non seminata, con tutte le incognite di un futuro non facilmente immaginabile.

Questa terra fu cambiata presto in terra da giardino, ma noi, l’umanità l’abbiamo cambiata in abominio: una sorgente di acqua viva ridotta a pozzanghera, con un futuro da terra screpolata! A questa storia di tradimento umano, di allontanamento, di ribellione si fa presente immediatamente il suo invito alla conversione e come dono, la grande misericordia di Dio, il dato di fatto indiscutibile, con tanti esempi in cui si è già realizzato.

La conversione richiesta da Dio a Gerusalemme, al popolo di Israele, la distribuiamo sui tre momenti principali che la devono caratterizzare: iniziamo subito dalla vita di ogni persona del popolo di Dio, dalla nostra stessa vita.

1: La conversione “personale” di ogni abitante della città

L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che se ne allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, ha immediatamente il regalo della storia di Gesù che ha  un cuore squarciato per amore: un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la libertà dell’uomo è un dono da cui Dio non si ritrae mai.

Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da Me puoi sempre tornare, che Io non ti mollo! Io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo se ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore … ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.

Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di “carognate”, di sbagli, di cattiverie gratuite: siamo sicuramente anche capaci di bontà, compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male … sembra quasi più grande di noi!

Ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri “vizi”: i nostri peccati si sono inveterati in noi.

Il nostro agire male aumenta  il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà: non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.

C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.

Gesù in continuità e novità con l’invito di Geremia a Gerusalemme, nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”.

Gesù mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte: non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi! E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini? Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita.

Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare? Saremmo proprio fuori di testa.”

Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare: è uscire dalla logica di un “dio” commerciante che noi ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza! Convertirsi è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre:

  • Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità;
  • Lui, che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato (come dice il salmo 8);
  • Lui che ci vede impigriti in continui errori…

… Lui che fa, che dice?

E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta!”.

L’Incarnazione del nostro “essere Dio in Gesù” è una scommessa sulla libertà degli uomini: abbiamo  scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.

Gesù ha pazientato infinitamente con gli apostoli: non ha tolto loro la fatica del decidersi per il Regno di Dio! Tutte le persone che sono state travolte dalla sua Parola – ora dura, ora consolante – non sono stati ammaliati, ma hanno dovuto decidersi “giocando” in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili.

Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù: contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita – come tanto spesso capita nel nostro mondo violento – Dio ce la ridona in pienezza.

La misericordia di Dio ha la sua musica: non è il rombo dei cannoni o il sibilo dei missili o lo stritolare dei cingoli dei carri armati! Dio si paragona al contadino, non più al padrone, si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita: la mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà.

Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità: il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.

2: La conversione “comunitaria” della città

Geremia parla di Gerusalemme, di una convivenza sognata, realizzata, boicottata, ripresa tante volte, distrutta e ricostruita: ci siamo resi conto – ancora di più in questi giorni – che prima delle case, dei muri e dei palazzi, la città è fatta da un mondo di relazioni, di solidarietà, di gioie condivise, di dolori atroci incomprensibili, sempre in “agguato”: sono il sorriso, il pianto, gli abbracci di bimbi e madri, sguardi impotenti di papà, strutture di convivenza; sono reti di relazioni, di commercio, di scambio, di offerta e di acquisizioni, di cieli, di case, di piante e fiumi, di ponti e strade.

Le nostre città hanno case, strade, vie di pace o già incarnano dentro il dolore e la morte? Sono a misura di bambini, di fragili, di vecchi e persone oppure solo di commercio e di accumulo, che poi tende allo sfruttamento? Esaltano la ricchezza e il potere o la fraternità e la bellezza?

Si fa presto a passare …

da “giardino e sogno
a
“possesso e abominio”.

Gerusalemme si era anch’essa imbarbarita se Dio la richiama così!

Le nostre città sono abitabili o solo “ammucchiamenti”? Da buon Bresciano ho ben in mente la differenza abissale per l’abitabilità tra i villaggi Marcolini (auspicando che Padre Ottorino Marcolini sia presto dichiarato beato) e le famose “torri”, umanamente anche pericolose da abitare, che si fa fatica persino a demolire! Non sto cercando soluzioni o proponendo architetture, ma umanesimo al massimo! Occorre moltiplicare umanità, relazione, solidarietà, che possono convivere con lavoro, comunità e  società. Tutto questo non viene da spontaneità miracolistica, ma da una progettualità lungimirante e profondamente umana: l’umanità è il primo luogo che abita Dio!

Linee di “conversione” a questo proposito sono fatte da cittadinanza attiva sostenuta e vivificata da cristianesimo attivo: la città è anche insieme di istituzioni, di leggi, di strutture, di coordinamenti, di istituti culturali e bancari, di associazioni, di aggregazioni che permettono la collaborazione di tutti e ne vivono i vari aspetti.

Ai tempi del profeta Geremia Gerusalemme aveva un centro, uno spazio, un insieme di energie materiali e spirituali concentrate nel Tempio: la religiosità “strutturata” non era una vaga idea facoltativa, ma una dimensione del cittadino, con sue leggi e servizi, con sue fortune di tempi propizi e sfortune di tempi di sfacelo … infatti dice Geremia (al versetto 13 del capitolo 2):

Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.

Il Signore Iddio ne era il centro e lo avevano abbandonato: un abbandono che non è solo questione di idoli o di simulacri sacri o di statue, ma cancellazione di centri profondi e personalizzati nella vita di ogni persona, cancellazione si decisioni di massima fiducia e adesione a Dio, cancellazione della consapevolezza di un posto esplicito per la fede, cancellazione della consapevolezza della finitezza umana e del bisogno di una continua salvezza, ripresa, rinnovamento.

Avevano bisogno di acqua viva e non di acqua stagnante, per di più in cisterne screpolate!

Oggi noi non abbiamo più il Tempio, siamo evoluti come società che distinguono bene il trono e l’altare: abbiamo le parrocchie, la Chiesa che dentro questa società tiene alta la concezione di umanità a partire da una esperienza libera che è la fede.

Che ruolo abbiamo noi cristiani dentro questo invito alla conversione nella nostra Gerusalemme?

Oggi siamo di fronte anche a grandi cambiamenti della vita quotidiana: Come ci troviamo come cristiani entro questi cambiamenti di prospettiva umana? Ci troviamo a dover tenere conto di una massa di persone che sono rimaste fuori dal contatto con la comunità cristiana non per un cosciente rifiuto del messaggio cristiano! Non sono atei, ma fedeli in attesa che qualcuno gli dica qualcosa! Non pochi hanno toccato il fondo della confusione in una sorta di nichilismo di massa, in una nausea che monta sempre più per il cumulo di superficialità in cui sono immersi.

Quel campanile che ancora svetta tra le case e ci avvisa dei morti (e molto più raramente dei nati) avrà la capacità di rompere la monotonia dell’abituarsi al ribasso? Può ancora fare da antenna che intercetta o smuove domande di Dio?

Se ora tre o quattro, sei o sette parrocchie vengono messe insieme con un parroco, vediamo che alla lunga ciò non interessa a nessuno: queste cose riguardano noi preti e qualche altro catechista o cattolico della messa settimanale, per questo purtroppo è visto come un problema di funzionamento dell’azienda … non sarà che dobbiamo interrogarci se c’è ancora desiderio della presenza di Dio nella nostra vita e nella vita della gente? Interessa ancora Dio, Gesù Cristo, la fede? E il prete si accorge che la sua risposta non si può esaurire nei compiti istituzionali! Ha bisogno di un colpo di reni che non può essere costituito solo dalla predica della domenica.

I genitori cristiani si accorgono che non basta raccomandare ai figli o ai nipoti di andare alla Santa Messa, di andare a catechismo almeno fino alla Cresima … si preoccupano veramente di dove vivono i loro spazi di amicizia e come li vivono? A tutti è chiesta una serie di conversioni, di cambiamenti rispetto al modello educativo pastorale in cui il prete è stato preparato e gli adulti sono stati educati, soprattutto se non si è più giovanissimi, come la media dei preti  e dei credenti di oggi!

L’ultima pandemia  ha allontanato la parrocchia dalla gente, ci ha forse anche abbassato la stima che ne avevamo, perché non siamo stati coerenti con un po’ di coraggio, ci hanno tolto il rapporto vivificante con i ragazzi e i giovani e ce li troviamo lontani … per i preti più giovani erano la ragione del loro apostolato e senza di loro ci si sente non poco frustrati. Sì, un prete “serve” ancora nei casi disperati, nella morte, qualche volta nelle malattie, nella vita privata, ma non è chiamato in causa per impostare una vita della famiglia e della società più giusta. 

Le giovani generazioni sono altrove: facciamo fatica a dialogare con loro, a renderle sensibili alla voce dello Spirito … la gente ci vuole bene, ma non siamo capaci di aiutarla a fare un salto di qualità nella fede!

Oggi la fede ha bisogno di essere rigenerata per essere disponibile alle domande degli uomini e delle donne di oggi, ma siamo sempre ai primi passi: noi preti siamo mangiati dalla vita ordinaria, dal compito pure necessario di offrire i sacramenti, che spesso giungono su un popolo che forse non li accoglie con fede, ma per tradizione, il Vangelo sembra dover prendere altre strade, che non sono le nostre.

Ci pare che il nostro Dio con la lanterna cerchi un uomo o una donna che abbia ancora interesse per Lui: farebbe parte del nostro essere cristiani offrire a Dio una compagnia! Vorremmo condividere la solitudine di Dio, per dare un senso interiore alle nostre sconfitte senza cercare le tante scuse che potremmo trovare … vorremmo avere il coraggio di un cammino senza difese, per una apertura senza angoscia, e la fiducia in Dio che non smette di accompagnarci … ma la cosa che ci sorprende, e anche ci scoraggia, è che la società, la Gerusalemme di allora, si sta sempre di più  affrancando, facendo a meno  del cristianesimo e il nostro lavoro sarà quello di renderla di nuovo disponibile per esso, come se lo scoprisse daccapo.

Dobbiamo cercare le tracce dove Dio è sicuramente passato e domandarci: dove abita ora  nascosto il Dio cristiano? Come testimoniarlo, come dare forma alla sua presenza? Dove e come  sta lavorando Dio nei nostri giovani, nelle nostre famiglie? Riusciamo a vedere il bene che vi fa sempre?

Non dice niente alle nostre preoccupazioni “ecclesiali” la figura del “samaritano” in cui tanti italiani, tante mamme e famiglie, tanti ragazzi a scuola in questa guerra assurda si sono improvvisati, messi a disposizione, inventato tante nuove accoglienze di profughi, non sono questi i frutti di una sana mentalità cristiana, che va fatta emergere e notata, resa sacramento di un Dio nascosto, che in tanti va adorato? E’ un fuoco di paglia o non può essere oggi un salto di qualità nella vita credente?

Negli anni “sessantotto” dicevamo a questo riguardo: “se tu samaritano vedi che su quella strada trovi sempre qualche uomo mezzo morto domandati anche chi è che opera questo misfatto? Non accontentarti di salvare i feriti!”.

Oggi forse siamo troppo impotenti e ci dobbiamo impegnare anche all’accoglienza di tutti, dei troppi “feriti” che si chiamano profughi, perché il mondo sta diventando una fabbrica di profughi! Non possiamo, nella nostra conversione, fare bene solo questa scelta, e sarebbe già molto: intanto, come cristiani, delineiamo e formiamo bene il samaritano con le qualità della parabola del Vangelo: “gli si fece vicino“.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,33-34)

33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.

Ci siamo fatti vicini? Non li guardiamo a distanza! Non basta  un saluto su whatsapp, non si manda solo un assegno alla caritas per tutti questi “poveracci” …

«.. ne ebbe compassione .. », si commosse … è un classico verbo greco che dice quello che capita alla mamma quando vede suo figlio in difficoltà: le si muovono le viscere, tanto è coinvolta nel dolore e nella condivisione, nell’ansia di alleviare e nella sofferenza da condividere e sconfiggere! È lo stesso verbo che il Vangelo usa quando Gesù vede la vedova che accompagna al cimitero il suo unico figlio morto, quando il padre vede finalmente arrivare dopo tanta attesa il figlio prodigo! È l’amore di Dio per i suoi figli!

Si fa avanti, si fa vicino”: ci candidiamo ad essere  prossimo, a rispondere alla domanda che spesso ci siamo fatti sempre solo a noi: me, chi mi ama?

“Fascia le ferite” con la consapevolezza che noi da soli non possiamo assolutamente ricucire gli strappi di tutti  è solo Dio che lo fa, lui conosce da dove sanguina il nostro e il loro  cuore e ne ferma l’emorragia mortale

“Versa sopra olio e vino”: è l’olio che guarisce la nostra disumanità, che smolla le nostre durezze … è una Parola che scioglie la nostra cattiveria e il vino che dà l’ebbrezza della vita … è ancora quel vino che mancava a Cana. Acqua e pane sono sufficienti per sopravvivere, ma se vogliamo fare festa occorre il vino … e noi vogliamo essere per loro il vino della festa!

Lo carica sul suo giumento”: è Gesù stesso che poi si caricherà ogni uomo ferito su di sé, Lui che “… portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo …
” (1Pietro 2,24)

“Lo condusse nell’albergo”: abbiamo e vogliamo per tutti una casa in cui essere accolti, è stata già pagata in anticipo dal samaritano! La Chiesa, la nostra comunità, il nostro gruppo sta diventando questa casa che accoglie tutti: è l’insieme di luoghi, fatti di tessuti di relazioni vere (non tanto o solo di muri) in cui i giovani profughi vi si possono sentire accolti, avere la certezza che, pur sentendosi offerta accoglienza, qualcuno ha già pagato per noi e per loro per scambiarsi assieme il massimo di ospitalità!

“Si prese cura” … noi diremmo, in linguaggio corrente, “ci siamo fatti carico gli uni degli altri”: per gli ulteriori livelli, che diventano politica vera e nuova,  mondiale e non solo di parte, sarà obiettivo della Chiesa fra crescere politici di levatura anche ingenua, ma eversiva, come quella di Giorgio La Pira, che avrebbe già avuto coraggio e fede da vendere per agire anche su ogni Caino. 

Convertiamo bene la Gerusalemme, che non ha futuro se non c’è conversione!

A noi cristiani oggi è chiesto di dare importanza a questa acqua viva che è la fede nelle nostre società e strutture: non si tratta di essere “talebani”, ma testimoni! Non siamo “kamikaze”, ma persone disposte al sacrificio e al martirio.

La conversione sul futuro nostro e del mondo in cui viviamo. Finisce un mondo, ma non è la fine del mondo

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-11)

5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: 6 «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?».
8 Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine».
10 Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.

Mai come oggi, con la pandemia e dentro la guerra, siamo stati  messi di fronte  alla fine del nostro vivere: non è facile però nemmeno lontanamente parlare della morte, perché c’è quasi un prolungamento artificiale della vita, in cui non si può mai parlare, pensare, preparare la morte.

Contro un mondo che commercializza tutto e che è schiacciato sulla terra e che ci invita a non guardare in su (“don’t look up” è il titolo di un famoso film che molte famiglie si sono viste) dobbiamo reagire perché la nostra vita ha un suo futuro in Dio: Dobbiamo avere sempre uno sguardo verso l’alto, il nostro futuro è in Dio!

Il primo passo di una fine del mondo vecchio, della Gerusalemme di Geremia, è stata la distruzione del Tempio di Gerusalemme e quindi la nascita di un nuovo modo di incontrare Dio: è l’inizio del “tempo dei pagani”, cioè una nuova pagina della storia della salvezza aperta ora a tutti, che però è preceduta da segni di grande dolore e distruzione (che Luca mentre scrive il Vangelo ha già potuto vedere). 

Quel “non resterà pietra su pietra” non è un modo di dire, ma la fotografia di una vera distruzione … facciamo memoria di alcuni elementi “concreti”: il Tempio costruito da Erode, che ha impiegato 100.000 operai e 1000 sacerdoti come muratori per le parti più sacre, è iniziato nel 20 a. C. e finirà solo nel 64 d.C. cioè 6 anni prima della sua distruzione avvenuta poi nel 70 d.C. dopo una rivolta sanguinosissima dei giudei iniziata nel 66.

Giuseppe Flavio, secondo un calcolo un po’ gonfiato, da buon romano, scrive di 1.100.000 giudei uccisi e 97.000 fatti schiavi: Le guerre e le rivolte sono come le pietre miliari della storia … non volute da Dio, ma dall’uomo, sono il più male più grande: continuano il peccato di Caino e per questo sono segno della fine già presente nel quotidiano! Il discepolo le deve vivere come appello urgente alla conversione e luogo in cui esercitare misericordia, come il suo Signore.

Sia la morte di Gesù, come la distruzione del tempio, sono sì la “fine del mondo” ma non come lo pensiamo noi: sono il giudizio definitivo di Dio che offre salvezza a tutti! Il presente è allora il tempo della pazienza, della conversione, come per gli apostoli è stato il tempo dello sradicamento da Israele e l’apertura a un nuovo mondo, non legato al Tempio, ma legato a Gesù ucciso, annientato, morto, ma risorto: è finito quel tempo e comincia definitivamente il nuovo con tutti i dolori di una fine, ma anche con tutte le speranze di una vita nuova.

E’ giusto oggi, per la nostra chiesa italiana, con queste assenze, con questa diminuzione di partecipazione alla vita della chiesa, la scelta di far vincere  le nostre paure, addolcendo e togliendo nerbo alla vita cristiana in un adattamento  alle mode del tempo? Assolutamente no! L’intero mondo di devozioni rigeneratrici, è quasi sparito o non è preso in grande considerazione … anche per questo motivo credo che voi, compagnia delle sante Croci, abbiate celebrato con impegno il lavoro fatto nel giubileo sul dono inestimabile delle “sante” croci, riproponendole come snodo necessario per una fede forte, come occorre implorare da Dio in questi tempi.

Occorrono sempre cristiani santi, decisi, che credono che la Chiesa può avere un ruolo di grande servizio per la conversione nostra e nelle nostre città! Se siamo così perdonati e convinti oggi però non è il tempo di imporre facili alternative, ma inventare percorsi accompagnati.

O sacramenti o nulla?
O la parrocchia o nulla?
O L’Eucarestia o nulla?

Non è un dovere progettare percorsi,  passi che stanno prima del sacramento, che aiutano a crescere, a desiderare, a invocare il Signore? Non c’è proprio posto per un dialogo, un  affidamento a Dio, una sua benedizione di incoraggiamento, di apertura di porte nuove?

Non tocca a noi giudicare!

  • Sono “sposati male” …. allora non c’è più spazio per un minimo di fede?
  • Sono “ufficialmente omosessuali”, allora sono “maledetti da Dio” … non possono nemmeno pregare?
  • Fa una “vita sulla strada”…Non c’è spazio per un umanesimo di grande carità, di disponibilità?

L’Azione Cattolica, sempre tacciata di “bigottismo”, faceva gli esercizi spirituali per le ragazze “pericolanti”, nome che significava “prostitute”: non avrebbero smesso il “mestiere”, ma si accendeva in loro una luce!

Possiamo pensare a una comunione di preghiera per chi non può comunicarsi, spazi profondi di ascolto della Parola di Dio sostenuti da papà e mamme, da coppie di sposi: che forme usiamo per accompagnare alla morte le persone? Qui non si fa la scelta “o sacramenti o nulla” … c’è già il nulla, perché il sacramento dell’unzione dell’infermo è quasi sempre evitato nelle nostre famiglie!

Offriamo spazi di composizione di gesti di carità, solidarietà che sono caricati di fede, di Parola di Dio, scoperta in maniera diversa e realizzata pure in maniera eroica?

Quante “fini” fanno parte delle nostre esistenze? Pensiamo alla pandemia, che si inscrive nelle nostre carni, nei nostri affetti, nelle nostre opere e mette la parola fine a tante nostre esistenze, ma anche a modelli di vita sbagliati: sta finendo un mondo – continua a ricordarci papa Francesco – e ne deve nascere uno nuovo … e ogni uomo e donna sono chiamati a conversione come lo furono i cristiani di quei tempi, gli stessi giudei e romani.

Noi pensiamo sempre che possiamo tornare “come prima”, ma un mondo vecchio sta morendo e noi ci dobbiamo convertire a un nuovo modo di vivere, da Fratelli, tutti.

Invece, quindi, di farci la domanda “quando sarà la fine” … iniziamo a convertirci, ad assumere comportamenti che ci portano a un vero cambiamento dei modelli del nostro vivere, altrimenti non solo non resterà pietra su pietra, ma la nostra casa comune, la terra, produrrà solo veleni e morte.

La conversione massima però sarà sempre la centralità di Gesù a Gerusalemme, nel mondo convertito: Gesù aveva nel cuore un sogno che lo consumava, una meta che lo attraeva, un compito che da sempre lo definiva, cioè l’amore senza riserve per l’umanità, per me, per te, per tutti! Questo amore si consuma fino all’ultima goccia sulla croce, il momento massimo della sua storia di affidamento alla sua missione e al Padre, il punto di arrivo del salto definitivo nella gloria del Padre: Lui saliva a Gerusalemme, la sua vita è stata un continuo, quotidiano salire a Gerusalemme … Là è la meta, là lo aspettano gli eventi definitivi, là gli ha dato ancora appuntamento il principe del male per sferrare l’ultimo, inutile attacco, là, a Gerusalemme, offrirà la sua vita per me, per te!

Invece le nostre vite sono spesso un allontanarci da una conversione di Gerusalemme, un fuggire dalle strade dell’impegno, dalle indicazioni della fede: “Hai davanti a te il bene e il male: scegli il bene! Sali anche tu a Gerusalemme! C’è nella tua vita qualcosa che ti brucia dentro, per cui la vuoi donare e consumare? C’è nel tuo cuore un desiderio che non riesci a contenere? È un desiderio di potere, di sopraffazione, di piacere a ogni costo, di conquista per schiacciare o è un desiderio d’amore, capace di buttarsi per una causa, la causa grande del regno di Dio?”.

La strada è in salita: è quella di Gerusalemme, spesso da fare in solitudine, ma non mai abbandonati da Dio, sempre sorretti dallo Spirito che ha spinto Gesù fino al calvario e da lì lo ha innalzato alla Risurrezione.

Lo Spirito di Dio è in ogni uomo per aiutarlo a dirigersi sempre verso la Gerusalemme convertita, riscattata, la sua Gerusalemme che apre il cielo alla potenza di Dio, per chiudere le nostre strade di confusione e di stagnazione: è conversione di Gerusalemme anche un mondo senza più guerre.

Non è certo “conversione” chiamare le guerre “operazioni militari speciali”.

25 Marzo 2022
+Domenico

                                                                                                                                                                                                                                   

Siamo sentinelle, non custodi di un museo

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21,25-28.34-36)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione

Le ultime parole della Bibbia, che si chiude con l’Apocalisse, sono una accorata invocazione: “Vieni Signore Gesù”. È talmente ancora viva l’esperienza di Gesù, che ne nasce una nostalgia … oppure è la consapevolezza che c’è un compi­mento necessario di quanto è iniziato con la sua storia? Abbiamo compreso che tocca a noi svi­luppare questo compito con un’attesa vigile e piena di speranza?

Gesù ritornerà: la storia non continuerà sempre così come va ora, il mondo non sarà sempre così, impossibile da capire, difficile da giustificare nel male che lo segna esageratamente; i popoli non saranno sempre sballottati da potenze egoiste, da interessi economici, da guerre crudeli. La storia avrà una conclusione, il mondo ora non è ancora pienamente orientato a Dio, ma la sua salvezza si compirà: c’è una presenza nelle pie­ghe della storia di qualcosa di nuovo, di bello, di completo e si svilupperà.

Gesù ritornerà: la storia non è fatta di corsi e ricorsi; la terra dopo ogni giro attorno al sole non si troverà al solito posto, ma si avvicina, col sole, con l’universo, sempre più a Dio.

Gesù ritornerà: è bello pensare che quel Gesù che ogni cristiano vive come centro della vita non è il ricordo di un passato, ma è la certezza di un futuro! Allora la nostra vita è l’attesa di una comple­tezza di umanità, è un cammino orientato verso una meta. Allora ci dobbiamo attrezzare per una grande attesa: Siamo tutti sentinelle, come di­ceva Giovanni Paolo II ai giovani di Tor Vergata, non siamo topi di biblioteca o custodi di un ar­chivio. Non siamo chiamati a clonare il passato, ma ad aspettare un futuro nuovo e certo. L’Avvento, che oggi iniziamo, è un periodo interessante per la Chiesa, è l’attesa di qualcuno che viene.

Gesù ritornerà: sarà una festa stupenda se non ci appesantiamo in mille lacci e laccetti del nostro vivere, se non riteniamo definitivo il dolore che soffriamo, se sappiamo credere ai sogni di com­pimento e di novità che la Parola di Dio nutre, se sapremo tenere viva la lampada dell’attesa. La sentinella non dorme, non si adagia, tutto il suo corpo vibra di una tensione che la tiene sveglia e le dà energie insperate.

Gesù ritornerà: È la nostra sicura speranza. Il nostro mondo è ammalato di una malattia mortale. Stiamo correndo ai ripari, siamo consapevoli ancora di più sia per l’aumento dei disastri ambientali, sia per la pandemia che facciamo fatica a vincere per le nostre stoltezze e egoismi che occorre alimentare la speranza.

Il Natale potrà diventarne un segno se  lo sappiamo collocare in un cammino di conversione personale e sociale.

28 Novembre 2021
+Domenico

La vita non è un parcheggio, ma una attesa

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21,34-36)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione

La vita non è un parcheggio, pieno di distrazioni, non è un deposito di pacchi con scritta da sempre la destinazione, ma … vivere è tendere verso qualcosa di definitivo: la interpreta al meglio non l’adattamento, ma l’attesa, la vigilanza, il sapere che c’è qualcosa di bello, di vero che la compie.

Non è un risultato scontato già previsto, ma la sorpresa di un incontro: le si addice di più l’immagine di una sentinella che continua a scrutare l’orizzonte, che vive di attesa, che non sa darsi pace nella certezza di un compimento … che di una guardia preoccupata che nessuno scippi niente di quello che si ha.

Ciò che si ha non dà nessuna certezza, quello che si è ci costringe ad alzare lo sguardo all’orizzonte: vegliate e pregate.

La dimensione vera della vigilanza del cristiano è quella della preghiera: la sentinella dialoga con chi deve venire, se lo immagina accanto, lo chiama, lo sente già a portata di mano, gli si affida … e l’affidamento è sapere che ci sono braccia pronte ad accogliere, desideri destinati ad essere esauditi, amicizia che riempie di gioia.

Il cristiano attende Dio: non attende un giudice, ma un Padre!

Gesù aveva consumato tutta la vita a cambiare quella falsa idea di Dio che stava nel cuore dei venditori del tempio: Dio si coccola i suoi figli, Dio manda suo Figlio a togliere dal male l’umanità, in questa maniera li coccola.

Dio sa che deve giocare la partita della libertà e dell’amore dentro la vita degli uomini. Questo Dio che ha sognato sempre per noi il massimo del bene è colui che vogliamo vedere apparire all’orizzonte di ogni esistenza, della mia, della tua, della vita dei poveri, dei perseguitati, dei buoni e dei cattivi, degli abbandonati e dei sazi di cattiveria.

Mentre ti attendiamo o Dio noi ci abbandoniamo alla tua volontà, osiamo attenderti oranti, con le braccia allargate come tuo figlio sulla croce, sicuri che il tuo giudizio sarà nell’amore e la nostra vita non dovrà temere se non il nostro egoismo che ancora tu hai il potere di distruggere.

Ti aspettiamo con ansia, siamo già stati per troppo tempo in fuga. Apri il tuo cielo e discendi.  La nostra attesa è fragile, ma con la preghiera diventa la dimensione più bella della nostra vita e della vita del mondo

Ecco … sostenuti in tutta questa settimana dal capitolo 21 del vangelo di Luca, terminiamo oggi l’anno liturgico, con nel cuore una grande speranza,  nell’animo una domanda di perdono e di misericordia per le nostre vite e una preghiera perché il Signore ci liberi dalla pandemia

27 Novembre 2021
+Domenico

Scruta i segni giusti e seguili

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 29-33)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».

Audio della riflessione

La nostra vita è affidata ai segni: ne hai bisogno quando giri per le strade per sapere la direzione giusta, ti occorrono per intenderti con qualcuno sul da farsi, sono necessari per tradurre i pensieri in uno scritto e comunicarli agli altri, diventano – questi segni – utili a un imprenditore per capire come orientare i suoi capitali, stai ad ascoltare le previsioni del tempo prima di metterti in viaggio … insomma … qualcuno ti manda segni sbagliati per imbrogliarti e devi imparare a difenderti e a farti da solo una tua lettura: aguzzi l’intelligenza, fai confronti, metti in sequenza vari indizi e poi rischi una decisione.

Avessimo conoscenza di alcuni segni inequivocabili per prevenire un terremoto! Potessimo leggere in tempo i segni premonitori di tutte le malattie! Fosse possibile sapere sempre quando la morte è alle porte!

Gesù ci dice che esiste una serie di segni anche spirituali per orientare la nostra esistenza alla pienezza che Lui sogna per noi: ci invita a leggere i segni dei tempi della salvezza, cioè a guardare che cosa nel mondo viene alla luce come segno della sua presenza salvatrice, a vedere la direzione da prendere entro le complicazioni della vita umana per sviluppare e contribuire all’avvento di un mondo più giusto.

Cambiano le stagioni della natura: si avverte l’avvicinarsi della primavera o dell’autunno e ci si attrezza di conseguenza; la vita degli ultimi esprime una sete di salvezza e in quella sete il cristiano deve collocare le sue energie. 

Tutto quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ancora con la pandemia è sicuramente un insieme di segni che la vita ci dà e che alla luce del Vangelo dobbiamo leggere. Per molti di noi è anche la fine del mondo, nel senso che moriamo; se non lo  è, e sempre lo speriamo per tutti, è  un segno da interpretare.

Abbiamo capito che non siamo onnipotenti, che tutti i nostri progetti di viaggi, di spazi, di programmi abbiamo dovuto cambiarli; abbiamo capito che la stessa economia non è un teorema certo, ma ha molte variazioni sia per gli stati, che per le aziende, che per il nostro bilancio familiare; assistiamo ultimamente alla carenza di tanti cibi nei supermercati o di tanti utensili per la nostra vita quotidiana… insomma dove è finita la nostra sicumera quando pensavamo che tutto doveva procedere come sempre?

Oggi più di ieri si è sensibili alla libertà, oggi più di ieri abbiamo bisogno di speranza: il cristiano allora lavora per la libertà vera, offre la speranza viva che gli mette a disposizione il Vangelo. I segni dei tempi sono una sorta di chiamata di Dio a orientare tutte le nostre energie nella direzione dello sviluppo del suo regno che solo lui determina e orienta.

Fa parte di questo regno vivere sempre tutti da fratelli: Papa Francesco ci aiuta sempre a leggere i segni della pandemia e ci spinge ad essere ospitali, generosi, a non fare muri, ma ponti.

Anche in ogni vita Dio distribuisce dei segni per far capire la direzione giusta della felicità di ciascuno: ogni uomo e donna deve intercettare questi segni per decidere come orientare la sua vita, come rispondere a questa chiamata personale.

Essere capaci di leggere i segni giusti e non farsi incantare da quelli sbagliati è una virtù da acquisire e da chiedere con insistenza e da perseguire con speranza.

26 Novembre 2021
+Domenico

Attendere e sperare, caratterizzano il tempo di fine anno liturgico che stiamo vivendo

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 27-28) dal Vangelo del giorno (Lc 21, 20-28)

«Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Audio della riflessione

“La vostra liberazione è vicina”: è la certezza che Gesù dice per l’uomo che attende la fine dei tempi, l’incontro gioioso con Dio Padre.

Il Vangelo di Luca nel capitolo 21, che scandice le nostre eucaristie di questa settimana, è dedicato ai tempi definitivi: una descrizione piuttosto terrificante degli sconvolgimenti finali, tipica di un genere letterario che ai tempi di Gesù era molto diffuso.

Ogni tanto anche nelle nostre culture si fanno vivi atteggiamenti “millenaristici”: li abbiamo sentiti vent’anni fa nell’avvicinarsi dell’anno 2000, lo vediamo descritto dai giornali quando nel mondo avviene qualche catastrofe climatica … e il Vangelo però ci aiuta ad alzare lo sguardo e a vivere di attesa.

C’è nel cuore dell’uomo una attesa di felicità e di salvezza, di senso e di speranza: spesso questa sete la inganniamo con gli oggetti, con i regali, con le piccole sorprese tra amici, ma è necessario andare oltre per ritrovare la bellezza della nostra umanità e della ricerca esistenziale che la caratterizza.

Tutti cerchiamo felicità, pienezza, appagamento, serenità e pace!

Il nostro mondo, continuamente in guerra e a costruire muri, crede di essere condannato a una perenne conflittualità mortale: si parla di giorni di vendetta che caratterizzeranno la fine dei tempi. Per gli ebrei di quel tempo ci si riferiva anche alla distruzione di Gerusalemme … quella fu una vendetta dei romani, non di Dio, perché il rifiuto di Gesù da parte del popolo di Dio di allora e tutti i nostri rifiuti se li è caricati sulle spalle Gesù morendo in croce, per starci vicino, solidale con l’umanità e per offrirci salvezza.

La storia umana è un tendere inquieto a Dio, nostro luogo naturale: si placa solo nell’incontro con Lui! Siamo fatti per Lui, perché Lui si è fatto per noi.

Questa attesa scritta nelle nostre vite da sempre, raccontata dalle aspirazioni di popoli e profeti, di poeti e di filosofi ha avuto una risposta: il famoso “Bambino di Betlemme”, il figlio di Maria, Gesù di Nazaret, il crocifisso e risorto, una vera alternativa a come e dove si erano attardate le attese della gente, che ancora aspettava la soluzione dei problemi nella potenza, nella ricchezza, nel potere.

Ci avviciniamo a grandi passi a un periodo particolarmente carico di attesa nella nostra cultura: è il periodo dell’Avvento e del Natale, dell’attesa di quella piccola luce che scalda il cuore di tutti.

Gesù è la nostra attesa: è Lui che riempie il cuore degli uomini, è Lui il Dio che non ci abbandona mai.

25 Novembre 2021
+Domenico

Curare e custodire il creato e vivere una fede profonda

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21,16-19) dal Vangelo del giorno (Lc 21,12-19)

Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Audio della riflessione

Abbiamo letto tutti fin dai primi anni di catechismo di martiri, di gente che ha dato la sua vita per testimoniare la fede in Dio, l’amore di Gesù Cristo per tutti gli uomini, la conduzione di una vita integra nei suoi valori … i primi tempi della Chiesa furono tempi di testimonianze fino al sangue.

Oggi però – come spesso dice il Papa – non è cambiato molto: siamo costretti a vedere ancora il dilagare di una cattiveria senza confini. Cristiani vengono uccisi solo perché sono cristiani. Esistono piani di sterminio calcolati a tavolino e attuati senza pietà; vengono rase al suolo chiese, cancellati tutti i segni di una fede anche millenaria, per far scomparire ogni traccia di ricerca di Dio, per avere una piazza su cui fare i propri affari senza nessuno che metta un seme di dubbio nella cattiveria e nell’ingiustizia che copre gli interessi di una dominazione assoluta.

E assistiamo anche a un coraggio indomabile, a persone che sanno perdere tutto per salvare la propria fede in Dio, che non è un fatto intimistico, ma deve essere conosciuto da tutti e provocare cambiamenti di vita, avviare cammini di bontà.

E’ il mistero della grandezza di Dio: “Vi perseguiteranno, metteranno le mani su di voi, vi trascineranno in tribunale, vi giudicheranno, non sapranno guardarvi negli occhi, crederanno di farvi paura.

“Ma io sarò sempre lì con voi.”: Quel Gesù che hanno messo in croce duemila anni fa è sempre di nuovo portato al supplizio nelle vite dei cristiani. E questi hanno una forza indomabile. Vi metto io in bocca le parole, vi do io la forza di sopportare l’esilio, il nascondimento, la perdita dei vostri diritti, la lacerazione dei vostri legami di affetto.

E’ un mistero di dolore che noi cristiani benestanti e benpensanti facciamo fatica a capire: a molti di noi l’essere cristiani non costa niente, ci stiamo adattando a tutto, viviamo di compromessi, abbiamo addomesticato il Vangelo e forse lo usiamo per coprire la nostra ignavia o la nostra infedeltà.

Il nostro è sempre tempo in cui il Vangelo ci porta a riflettere sulle realtà ultime, sul giudizio, sulla tenuta della nostra fede.

Ci è chiesto oggi un minimo: la solidarietà, il sentirci con questi nuovi martiri che rinforzano la nostra fede, un corpo solo, il corpo martoriato di Cristo, destinato sempre alla risurrezione, unito nella preghiera e nella speranza. 

Non abbiamo da temere sconvolgimenti della natura che già aggraviamo noi con la distruzione quotidiana del creato, ma dobbiamo temere la debolezza, la scarsità o l’assenza della nostra fede.

24 Novembre 2021
+Domenico

Gesù sicuramente ritornerà, non per punire, ma per portare a termine la salvezza

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca  (Lc 21, 7-9) dal Vangelo del giorno (Lc 21, 5-11)

Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

Audio della riflessione

Ci facciamo spesso domande sul futuro della terra, dell’universo, della vita del mondo: “Che sarà di noi? Come continuerà a vivere questo mondo con lo scempio che ne stiamo facendo? Che ci sarà alla fine del mondo?”

I primi cristiani credevano che dopo la venuta di Cristo era stata detta l’ultima vera parola e che quindi il mondo sarebbe potuto finire. Gli ebrei stessi avevano presentimenti di una fine, sicuramente politica, legata alla città di Gerusalemme e alla presenza dei romani sempre minacciosi e pagani.

Gesù viveva in questa cultura, ma continuamente alzava gli uomini a vette più alte, a tempi più larghi, soprattutto all’atteggiamento da avere nei confronti del futuro: attesa, vigilanza, occhio limpido, speranza.

Non è nelle nostre possibilità sapere giorno e ora, ma nella nostra coscienza vivere una attesa operosa del Signore che verrà.

Una verità cristiana indiscussa è che Gesù alla fine dei tempi tornerà su questa terra e i primi cristiani continuavano a invocarlo: vieni Signore Gesù. Non era voglia di farla finita, desiderio di fuggire dalla difficoltà presenti, ma orientamento di tutta la storia a Dio, al fine ultimo, al compimento.

Non siamo a questo mondo a caso, la vita non è una ruota che gira sempre su se stessa: vivere significa essere pellegrini verso una meta e occorre sempre averla davanti per correggere la direzione del cammino, per dare slancio e forza per superare le fatiche, per motivare la solidarietà di tutti coloro che sono incamminati. 

Una qualità che non bisogna mai perdere è quella dell’occhio vigile, dell’attesa, del riferimento al futuro e non del ritorno al passato: Dio ci sta davanti e noi ci prepariamo all’incontro con Lui! La vita ha un fine, non una fine!

La vita ha un fine e spesso occorre serrare i pugni per non perdere il desiderio di una meta. Siamo come in una corsa verso un traguardo che esige un colpo di reni. La vita è sempre così, non ci si può adagiare mai: è così per il lavoro, è così per la famiglia, è così per la vita di coppia.

Spesso roviniamo le cose più bella della vita perché crediamo di possederle, invece vanno sempre conquistate.

La fede, per esempio, è un dono ma va sempre accolto come nuovo.

Non lasciamoci incantare dalle sirene, altrimenti non arriviamo da nessuna parte, non crediamo a tutte le semplificazioni e a tutte le scorciatoie della vita: la strada è Gesù, lui dobbiamo seguire perché Dio in Lui non ci abbandona mai.

23 Novembre 2021
+Domenico

A Dio il superfluo, magari ben visibile o il necessario?

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 1-4)

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

Audio della riflessione

A Dio per i suoi poveri occorre non sprecarsi troppo, l’offertorio alla Messa è il rito liberatorio degli spiccioli che pesano sempre troppo … ma questo comportamento se ne porta dentro uno molto più grave, quello di dare a Dio solo i ritagli di tutto: ritagli di cuore, perché gli affetti sono altrove e spesso disordinati; ritagli di tempo, perché per la Parola di Dio non c’è mai tempo, mentre impariamo a memoria le fiction o le promozioni di mercato; ritagli di vita perché il centro siamo noi e non molliamo niente di vero agli altri e tanto meno a Dio; ritagli di preghiera che sgorga solo quando ne abbiamo bisogno… solo e sempre ritagli.

Viene riproposta spesso nelle liturgie la scena di quella donnetta, semplice, schiva, piegata, paurosa della sua stessa ombra, povera e dimessa che transita davanti al tesoro del tempio.

Le televisioni non la riprendono, hanno appena fatto un servizio sui benefattori, i cui nomi finiranno su una lapide a perenne memoria: davanti a lei sono passati ricchi commercianti che hanno buttato nel tesoro pezzi pesanti di oro, forse un talento, possibilmente sminuzzato in tante monete sonanti per far voltare la gente e far nascere ammirazione.

Lei invece, un po’ confusa, scuce le sue ultime monetine, dice il Vangelo “tutto quello che aveva per vivere”, il suo necessario.

Gli altri portano il superfluo: “Tanto in banca ne abbiamo ancora. Abbiamo programmato di fare una elargizione ai poveri, è prevista, ci fa fare anche bella figura. Devono sapere che c’è ancora gente per bene che si ricorda della chiesa, dei poveri”; forse stanno solo restituendo quello che hanno tolto ingiustamente, ma comunque è sempre e solo superfluo e ritagli.

A Dio invece occorre arrivare con tutto il cuore: amerai Dio con tutto il cuore con tutta l’anima e con tutta la mente.

Questo termine “tutta” è stato sempre interpretato in maniera approssimata, con una specie di “si fa per dire”. Invece a Dio non si giunge mai con il superfluo, ma con il necessario.

Abramo con suo figlio sul monte, Gesù sulla croce hanno dato tutto.

Tutto è compiuto.

Hanno dato tutto i martiri, gli apostoli; danno tutto i papà e le mamme nell’allevare ed educare i propri figli, danno tutto tanti lavoratori che amano il loro lavoro, rispettano la natura, sono solidali tra di loro e ci mettono l’anima per difendere diritti e essere fedeli ai loro doveri.

Sono tutte queste decisioni che ci riempiono di speranza e di salvezza … e che il Signore ce ne faccia degni!

22 Novembre 2021
+Domenico