Un papà così lo supplichiamo per tutti  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: 
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Audio della riflessione

Non è possibile pensare alla fede cristiana senza collocarsi all’interno della esperienza fondamentale della vita di una famiglia. Dio è Trinità, Dio si fa conoscere a partire dall’esperienza di base di una paternità e maternità, da una fratellanza e consanguineità. Dio assume il volto di un Padre. Gesù ha introdotto questa grande novità nella religione: ha chiamato Dio, l’onnipotente, papà. E da papà si presenta nel vangelo alle prese con una famiglia difficile. Il più giovane dei figli è scappato di casa e l’altro si adatta a restare. Per lui non c’è posto nel cuore dei due figli. Nessuno dei due capisce il suo amore, la sua tenerezza. Uno deve sperimentare fuga; l’altro, stagnazione in attesa di tempi migliori. 

Ma la vita non è una passeggiata per nessuno. Il giovane butta via la sua libertà, la sua giovinezza, prova l’ebbrezza della disobbedienza, dell’avventura. Gli resta dentro però quell’amore che ha sempre sottostimato, che ha sempre ritenuto come dovuto e per questo non ha mai apprezzato. Un giorno ritorna e trova suo padre per quello che sempre è stato. È la fame che lo muove, è ancora interesse, dovrà lavorare alla grande per trasformarlo in amore. Intanto quello del Padre gli è sempre garantito.  

L’altro figlio si scatena e si sente defraudato di un amore che forse voleva tutto per sé, perché lo aveva quantificato in numero di capi di bestiame, in progetti di feste con gli amici, in possesso e diritto, sempre senza amore. Il padre fa la spola tra i due, per accogliere uno e per far ragionare l’altro.  

Lo vuoi guardare in faccia questo tuo fratello? Se lo accolgo di nuovo in casa, leggimi almeno in volto la fine della mia pena che da tempo provo anche per te, perché vuoi più bene ai miei vitelli e ai miei capretti che a me. Stavi qui con me, ma non mi vedevi; mangiavi con me, ma pensavi di stare in un albergo. Posso sperare di avere due figli o devo sempre credere di vivere con due estranei? 

Quel Padre è Dio, quei figli siamo noi con tutte le nostre bizze, le nostre fatiche a vivere di amore, a trasformare la forza della vita, l’istinto di sopravvivenza, la voglia di felicità in progetto d’amore. Finché non c’è l’amore la nostra esistenza è approssimata, non è al massimo. E Dio è proprio sempre con noi, per farci crescere nell’amore non ci abbandona mai. 

02 Marzo
+Domenico

Il figlio tutto casa e chiesa, che non sa amare il fratello che torna

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Audio della riflessione 

Ricordo quando da bambino mio padre mi raccontava le parabole del Vangelo. In una, soprattutto, ce la metteva tutta a crearci l’atmosfera, a narrare con particolari suoi la vicenda. Un padre con due figli il più piccolo fa il disobbediente, il saputo, l’ingrato, si fa dare i soldi e se ne va il più lontano possibile. E il padre aspetta, tutti giorni va sul solaio, il punto più alto della casa – così mi raccontava mio padre – per vedere se ritorna. E tutti in casa a dirgli: ma lascia perdere! Guarda come ti ha trattato! Quello sta bene, si gode la vita…. Ma il padre tutti i giorni sale sul solaio in cerca dell’orizzonte più largo e scruta…. quasi non ci vede più, le lacrime pure gli velano gli occhi.  
Ma un giorno vede un puntino lontano, s’avvicina… il cuore gli dice: è lui e non capisce più niente, in casa gli dicono che è dato fuori di matto. A mio padre si velavano gli occhi di lacrime mentre la raccontava e gli veniva in mente la sua prigionia durante la guerra, la lontananza da casa. Dentro di me dicevo: non farò mai così, non darò mai questo dispiacere ai miei genitori. Io non sono un figlio ingrato: io sto bene a casa, non abbandonerò la Chiesa.  
Divenuto più grande però la figura che mi rappresenta di più è l’altro figlio, quello maggiore, l’uomo fedele, l’uomo religioso. Lui sta sempre in casa. La sua fedeltà non è percepita come una gioia, ma come una schiavitù. È obbediente, ma sembra di più a un servo che a un figlio. È rimasto a casa perché gli manca la fantasia di fare peccati e si rapporta col Padre con la litania del contabile: io ho fatto, io ho servito (e conta gli anni), io non ho mai trasgredito, io ti ho assecondato, ti ho chiesto e non ho insistito perché non eri del parere io, io…. Non lo chiama mai una volta Padre. 
E ancora il padre, sempre alla grande cerca di portare questo misero calcolo di rivendicazione almeno al livello della verità se non dell’amore. “Figlio, tu sei sempre con me!” Essere col padre non è una questione banale di alloggio, ma il fondamento stesso del vivere, fino al punto che “tutto quello che è mio, è tuo”. È la pienezza dell’esistenza.  
Tutto quello che Dio è, sovrasta e riempie la vita nostra oltre ogni misura. Ho nella pelle l’infinito e sto ancora a contare. Ho il tutto e sto ancora a fare i miei mucchietti. 
Un figlio così, che sta a casa perché ama più i vitelli del Padre, che il Padre stesso non potrà aprire il cuore al fratello che torna. Riconoscere il Padre è la prima cosa da vivere per accogliere il fratello. E Dio non si ferma, metterà a disposizione sulla croce il figlio prediletto, amato a dismisura perché gli uni tornino e chi resta accolgano.

11 Marzo
+Domenico

Dio mi cerca ed è più contento lui di me quando mi trova

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-10)

Lettura del Vangelo secondo Luca

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Audio della riflessione

Qui non si tratta di quel disappunto che hai quando perdi la chiave di casa o qualche documento importante che ti serve o non trovi più la patente. Qui c’è il Signore, il creatore del cielo e della terra che mi cerca e non mi trova, gli sto a cuore anche se a me sembra spesso di essere per i miei amici solo un numero o per i miei familiari un peso o per il mio datore di lavoro un problema. Il Signore mi ama ancora prima che io lo sappia, che io lo pensi; gli basta che io esista e già sono nei suoi pensieri, nella sua attesa di incontrarmi; sono causa della sua gioia. Ma non solo è contento Lui, vuole anche che ci sia qualcun altro che condivide la sua gioia di avermi trovato, incontrato

Abbiamo presente tutti la gioia del ritrovamento di un bambino, di un parente, di un amico. Gesù dice che la ricerca da parte di Dio di un peccatore che si converte gli dà la gioia più grande che possa provare.

“Ma stiamo scherzando? Dio fa festa per me, solo perché mi lascio amare, mi lascio trovare, permetto che il suo amore mi fasci le ferite?  Dovrei essere io a far festa … invece la fa prima Lui perché il suo amore è grande e non può restare inoperoso!”.

Entrare in quest’ordine di idee, in questa sicurezza di un abbraccio senza condizioni è l’essenza del cristianesimo: non siamo stati noi ad amare Lui, ma Lui ad amare noi! Il cristianesimo non sta nei nostri comportamenti corretti, ma nel suo amore senza confini!

Sentirsi amati, sentirsi di qualcuno sempre, venire cercati mentre noi ne fuggiamo continuamente è la certezza su cui si fonda la vita cristiana … e quando Dio ci trova nei percorsi sballati del nostro malessere e della nostra cattiveria, non ha aria di rivincita: non pensa lontanamente di farcela pagare!

Quella pecorella che ha lasciato le novantanove perché ha voluto fare di testa sua, perché non si è più fidata del pastore, lui la cerca e se la rimette in spalla: magari lei non è nemmeno contenta di essere stata ritrovata tanto è incattivita nella sua stoltezza … Gesù però non la lascia al suo destino, perché per un cristiano non c’è nessun destino: c’è solo e sempre una chiamata al suo amore, che ci precede sempre.

3 Novembre 2022
+Domenico

Trasmissione Radiofonica

Un cuore squarciato, il Sacro Cuore, sempre aperto per darti casa

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 3-7)

Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

Audio della riflessione

L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che si allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, è la storia di Gesù che ha un cuore squarciato per amore; un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la sua libertà è un dono da cui Dio non si ritrae mai.

Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da me puoi sempre tornare, che io non ti mollo, io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo si ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore. Ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.

Immaginiamo Gesù il buon Pastore così: ha lavorato e dialogato tutto il giorno con le sue pecore che siamo noi, che siete voi; ha ascoltato, ha aiutato, ha tenuto il suo sguardo buono, lieto su tutti sempre e torna a casa parlando con qualcuno, sorridendo a qualcun altro e quando passa in rassegna tutti a uno a uno e sorride, saluta, ricorda qualche cosa di importante da fare o da chiedere, si accorge che manchi proprio tu. Hai fatto la tua cavolata, ti sei voluto prendere la tua libertà, la tua strada; ti hanno fatto fastidio o qualche dispetto i tuoi amici e li hai lasciati. Oppure qualcuno senza che tu lo volessi, ti ha ingannato, ti ha teso una trappola e tu ci sei cascato.

Gesù che fa? Con un cuore già squarciato per amore non ci pensa due volte. Ti cerca, usa tutti gli strumenti: facebook, twitter, sms; chiede ai tuoi amici, ma loro nemmeno si sono accorti che manchi. E ti lancia messaggi: non fare lo stupido, torna a casa che ci sono sempre io che ti voglio un bene infinito. Non crederti disprezzata o ignorata, non stare a specchiarti in una pozzanghera, qui c’è quello che cerchi. E tu magari spegni il cellulare, rivedi un altro messaggio, lo spegni ancora; poi finalmente dici: ma che sto qui a fare da solo in mezzo ai guai? Chi mi credo di essere? Che felicità mi sono trovato, che tutti mi sfruttano, mi fanno complimenti poi mi tagliano le gambe, ne approfittano, mi fanno le moine, ma solo per avermi e per farsi belli di me. Allora lanci un sms: arrivo subito, aspettami, ti voglio abbracciare.

E Gesù ti prende, ti accarezza,  ti carica sulle spalle e ti porta a casa, convince i tuoi amici a volerti ancora bene e continui a vivere con Lui. Gesù non è una persona da internet, da twitter, da facebook, è una persona vera che abita in te. La vera vita è questa. Si può sbagliare, si può abbandonare qualche volta la chiesa, ma la casa è sempre questa! Ci sarà sempre qualcuno che aspetterà il vostro ritorno. E voi stessi diventerete dei buoni amici per tutti, racconterete la gioia che si ha a comportarsi bene, a seguire Gesù a diventare suoi amici, a sentirsi accolti da quel cuore squarciato, ma sempre aperto per scavare gioia e felicità per tutti.

24 Giugno 2022 – Festa del Sacro Cuore
+Domenico

Mi corri sempre incontro

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15,20-21) dal Vangelo del giorno (Lc 15, 1-3.11-32)

«Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio”.»

Audio della riflessione

Siamo sempre tutti figli in cerca di un padre: l’esperienza di essere stati affidati all’amore di un papà e una mamma è tra le più belle della vita!

Il Vangelo non poteva non passare da questo rapporto così determinante e necessario per ogni persona: questi due figli che fanno fatica a stare con il loro padre, che crescono in fretta, che si distanziano – anche giustamente – dalla vita del padre, che vogliono conquistarsi lo spazio indispensabile della loro libertà, sono la nostra immagine?

Uno di loro se ne vuol proprio andare, non ce la fa più: si sente soffocato, scambia l’amore per una catena, crede di poter volare, ma non ha ancora le ali.

Parte, crede di andare a conquistare la luna, invece si schianta appena fuori dal nido nelle braccia del vizio: trova subito il suo spacciatore che lo tira nella rete! Per fortuna che gli resta la capacità di ragionare e, soprattutto, non gli si sono ancora cancellate nella mente le belle esperienze di amore che ha avuto con il papà: la bella sensazione di essere preso tra le sue braccia, il ricordo della sua tenerezza … fa un giro di 180 gradi e ritorna! Gli basta stare nei paraggi, sa di aver sbagliato, ma anche solo a 100 metri da casa potrebbe respirare il suo amore!

L’altro figlio invece “sta col padre”: non si muove, aspetta senza lode né infamia che il tempo passi … io sono un pò cattivo, ma immagino che pensi così: “Morirà ‘sto vecchio, mi lascerà quel che mi spetta. Io tento ogni tanto di strappargli qualcosa, ma non molla facilmente, ha in mano tutto lui!”. Sta col padre, ma lo ritiene un padrone; è docile, ma per convenienza; è in casa, ma senza cuore; vuole bene non al padre, ma alle sue proprietà … il padre gli dice “tu sei sempre con me” … ma lui non gode del padre, non sa che significa poterlo “godere” come padre, non scandaglia nel suo cuore, ma solo nel suo portafoglio …

.. e quando il primo figlio ritorna, forse per interesse, ma almeno ritorna e dichiara di aver bisogno del papà, questo che sta sempre a casa si allontana col cuore e non ha il coraggio di chiamarlo “fratello”, ma dice “questo tuo figlio”, come quando in casa si litiga tra papà e mamma per i figli e si dice “guarda tuo figlio che ha fatto” …

Qui il padre è un grande, è proprio l’immagine del Signore: passa la vita ad accogliere l’uno e a coinvolgere l’altro! Non vuole lasciarli nel loro egoismo, spende la sua vita per farli cantare nell’amore … e questa  è la più bella immagine di Dio che noi abbiamo e che sicuramente non ci abbandona mai!

27 Marzo 2022
+Domenico

La festa infinita di Dio per noi

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-10)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte»

Audio della riflessione


Tanta è la disperazione e lo smarrimento che provi, quando ti accorgi di aver
perso una cosa importante, tanta è la felicità quando inaspettatamente lo riesci a trovare: hai ribaltato tutta la casa, sei andato e tornato dall’ufficio mille volte perché eri sicuro di averla messa in quel posto, poi non la trovi e credi che sia in quell’altro, ti metti a telefonare, metti sotto sopra tutti, accendi candeline a qualche santo… niente. Pensi a come poter farne a meno, ma non è possibile, e allora ritorni cercare con affanno maggiore … poi finalmente, e magari inaspettatamente te la vedi davanti questa cosa desiderata, voluta, immaginata e cercata: non può non esplodere di gioia e la voglia di condividerla chiunque ha vissuto questa … esperienza!

Se è così per qualcosa di importante, per una chiave, per un documento, per un
certificato, chissà come lo è per la vita! Abbiamo presente tutti la gioia del ritrovamento di un bambino, di un parente, di un amico …

Gesù dice che la ricerca da parte di Dio di un peccatore che si converte gli dà la gioia più grande che possa provare!

Ma stiamo scherzando? Dio fa festa per me? Solo perché mi lascio amare, mi
lascio trovare, permetto che il suo amore mi sani e mi fasci le ferite? Dovrei essere io a far festa … invece la fa prima Lui perché il suo amore è grande e non può restare inoperoso.

Entrare in quest’ordine di idee, in questa sicurezza di un abbraccio senza condizioni è l’essenza del cristianesimo: non siamo stati noi ad amare Lui, ma Lui ad amare noi.

Il cristianesimo non sta nei nostri comportamenti corretti, ma nel suo amore senza confini: sentirsi amati, sentirsi di qualcuno sempre, venire cercati mentre noi ne fuggiamo continuamente è la certezza su cui si fonda la vita cristiana … e quando Dio ci trova nei percorsi sballati del nostro malessere e della nostra cattiveria, non ha aria di rivincita, non pensa lontanamente di farcela pagare: quella pecorella che ha lasciato le novantanove perché … ha voluto fare di testa
sua, perché non si è più fidata del pastore, Lui la cerca e se la rimette in spalla. Magari lei non è nemmeno contenta di essere stata ritrovata, tanto è incattivita nella sua stoltezza … Gesù però non la lascia al suo destino, perché per un cristiano non c’è nessun destino, c’è solo e sempre una chiamata al suo amore, perché Lui non ci abbandona mai.

Questo annuncio, questa gioia, questa nuova umanità sono state le intenzioni di
tutti gli sforzi di san Carlo, che oggi ricordiamo e festeggiamo, soprattutto in
Lombardia, ma come esempio luminoso che ha ispirato tanti altri vescovi a praticare: ha visitato in lungo e in largo anche le parrocchie più piccole, la Lombardia e buona parte di altre regioni vicine, Svizzera compresa, per dare forza, stabilità, coraggio, serenità e santità alla Chiesa e a tutte le stesse parrocchie. E’ stato metodico, aperto, travolgente, fedele e santo.

Nel celebrarlo oggi ci facciamo … qualche necessario esame di coscienza, di come siamo cristiani cattolici oggi, in questa ripresa forse ancora troppo timida al crepuscolo (che speriamo sempre tramonto) di questa pandemia.

4 Novembre 2021
+Domenico

Non avevano fatto i conti con la bontà del Padre

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 31-32) dal Vangelo del giorno (Lc 15, 1-3.11-32) nel Sabato della seconda settimana di quaresima

«… Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»

Audio della riflessione

Purtroppo oggi lo si sperimenta sempre meno perché stanno abbondando i figli unici, ma la bellezza di poter vivere con almeno un fratello o una sorella è impagabile: si litiga, ci si cerca, si bisticcia, ci si confida, ci si coalizza contro i grandi, ci si fanno confidenze … insomma, si impara a convivere … si sta su un piano di parità, anche se con qualche difficoltà derivata dalla differenza di età che determina un diverso rapporto con i genitori.

In certo senso, qualcuno deve «perdonare» ai suoi fratelli di essere nati prima! E questi devono perdonare a qualcun altro di volerli «spodestare»! E’ il gioco della vita …

Così lo viveva – penso io – un’altra singolare famiglia quella, per intenderci, del figliol prodigo, di quel papà che aveva due figli, sicuramente in competizione, sicuramente ambedue amati senza condizioni: uno non ne può più e se ne va di casa non prima di essersi fatto dare un bel gruzzolo di soldi.

Tutti ricordiamo cosa capita: i soldi finiscono subito, i vizi sono tanti, le mosche si attaccano al miele, e il giovanetto si trova solo, ripulito di ogni possibilità di vivere, con il cuore a pezzi, una vita rubata e l’anima distrutta.

L’altro fratello aveva sentito per un po’ la nostalgia, ma alla fine si è allargato, ne ha potuto invadere e prendere tutti gli spazi, la sua stanza, il suo stereo, il suo computer, la sua mazza da baseball, la sua moto… ma non ha potuto prendere il suo posto nel cuore del padre che invecchiava prima del tempo dal dispiacere e continuava a sperare in un ritorno … e il miracolo si avvera: il cuore del Padre aveva ragione a non disperare, ma il cuore dell’altro figlio subisce una contrazione egoista.

“Ancora qui? A dividere un’altra volta quello che è mio. Troppo comodo: torna dove sei stato … e tu papà non farti intenerire il cuore, io qui ci sono sempre stato e ti ho sempre servito (e sopportato dice tra i denti).  Le mie albe e i miei tramonti li ho vissuti chiuso qui, senza una festa perché tu non mi vedevi, perché pensavi solo a lui. Credi che non mi sia accorto? E adesso vuoi che io faccia festa per questa usurpazione che si è consumata ogni giorno nella mia vita?”

Ragioni forse ne aveva, ma il cuore era indurito: non si ama così un papà, meglio sbagliare e pentirsi che avere un cuore di pietra … e se vuoi cambiare ringrazia Dio che hai un fratello che te l’ha fatto capire, anche se il dolore che ha guadagnato il tuo cambiamento l’ha pagato ancora tutto tuo Padre, il Signore.

Quaresima è speranza di avere un cuore di carne al posto del cuore di pietra che ci siamo costruiti!

Gesù è questa speranza.

6 Marzo 2021
+Domenico

Ci serve la gloria di Dio per vivere, cioè la sua misericordia

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-10)

Audio della riflessione

Occorre spesso un colpo d’ali per alzarsi in volo sulla nostra vita e coglierne le dimensioni infinite che si porta dentro; siamo troppo appiattiti sulla terra, troppo ingolfati nella materia; con la scusa che dobbiamo risolvere i nostri problemi, che tutto quello che diciamo deve avere un riscontro concreto, ci siamo abituati a calcolare tutto secondo un interesse materiale: quanto costa? A che cosa serve? Che cosa mi viene in tasca? Alla fine che cosa mi porto a casa? Sono le domande più normali con cui affrontiamo la vita.

Poi, grazie a Dio ci accorgiamo che ci sono realtà importanti che non stanno in questi angusti schemi: il gioco, la musica, la bellezza, l’amore, lo spirito …

La religione è proprio di questo tipo: deve aiutarci a librarci nel cielo della gratuità di Dio. Siamo le pecorelle che si sono stancate di star dietro al pastore e ci vogliamo prendere le nostre strade, ma sono strade di dispersione, scorciatoie che finiscono in strade senza uscita, in una sorta di prigione.

Tanta nostra infelicità è dovuta all’appiattimento, alla prigione che ci siamo costruiti: ci siamo collocati in un bicchiere d’acqua e continuiamo a sbattere contro le pareti, mentre il nostro vero habitat è il vasto mare della vita che viene dall’alto, dal misterioso mondo di Dio.

C’è un vento dello Spirito che soffia su di noi e dà vita vera: la creazione lo ha atteso, Gesù lo ha inviato. Abbiamo bisogno di un’anima per tutte le cose: quest’anima viene dall’alto! La risurrezione ha aperto i nostri confini, ha offerto gli orizzonti infiniti di quel Dio che anche in questo momento è sempre con noi.

In questo tempo  possiamo addentrarci anche noi in un dialogo serio con il Signore come hanno fatto tanti con Gesù; abbiamo bisogno di ritornare a casa, di sentirci trasportati sulle spalle del buon Pastore.

“Dove vai? Dove scappi? Non ti accorgi che scappi da te stesso? Che vita ti stai preparando, che dolori vai a creare a tutti quelli che ti stanno vicini? Ti vengo a prendere Io. Fatti trovare! Le novantanove che stanno a casa si sono dimenticate di te, ma non Io.”

Anche noi abbiamo bisogno di rigenerare la nostra fede. Il nostro è un tempo che ci chiede di uscire allo scoperto, di prendere decisioni, di stare della parte della verità, di contemplare il Signore, ascoltare la sua parola, vivere non solo e soprattutto per noi stessi.

In questi giorni di pandemia vogliamo non nasconderci nessuna delle domande profonde di umanità, dobbiamo percepire la sete dell’uomo di oggi, difenderci dal fascino di un mondo male orientato.

Oggi c’è una pervasività  del male e delle tenebre da cui ci siamo lasciati incantare: occorre tornare e sbilanciarci dalla parte della luce!

Vogliamo allora scavare in profondità, per far emergere tutte le riserve umane che nascono nei confronti della fede, del mondo religioso, della propria appartenenza alla Chiesa: è un tempo di semiprigionia in cui è possibile l’ascolto, il confronto, lo studio, l’incontro con Gesù, nel silenzio del raccoglimento o nella ricerca comune, nella preghiera o nel dialogo.

Possiamo continuare proprio a partire dal nostro camposanto, che abbiamo visitato in questi giorni, dove sono sepolti i nostri cari, quelli che ci  hanno passato il testimone della fede, che nei secoli hanno tenuta viva la luce della fede e ce l’hanno tramandata, hanno creato esperienze di vita cristiana, hanno affrontato la vita con la speranza del Signore risorto.

Da qui, dove forse da poco abbiamo consegnato alle braccia accoglienti di Dio una persona cara, da qui vogliamo guadagnarci una nuova adesione, anche sofferta, ma decisa e felice alla vita di fede.

Vogliamo confessare che Gesù è il Figlio di Dio: dobbiamo tornare da Gesù a dire quel “Mio Signore e mio Dio”, dell’affidamento, della preghiera, della celebrazione, della vita sacramentale, dell’accostamento ai tesori della Chiesa.

Allora la Chiesa prenderà nuovo slancio, la nostra comunità diventerà casa abitabile da tutti, soprattutto dai giovani, che sono sempre il nostro futuro oltre che il nostro presente.

5 Novembre 2020
+Domenico

Non ti lasciamo solo alla festa che fai o Padre misericordioso

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)

Siamo sempre tutti figli in cerca di un padre.

L’esperienza di essere stati affidati all’amore di un papà e una mamma è tra le più belle della vita!

Il Vangelo non poteva non passare da questo rapporto così determinante e necessario per ogni uomo. 

Non è possibile pensare alla fede cristiana senza collocarsi all’interno della esperienza fondamentale della vita di una famiglia.

Dio è Trinità: Dio si fa conoscere a partire dall’esperienza di base di una paternità e maternità, da una fratellanza e consanguineità.

Dio assume il volto di un Padre.

Gesù ha introdotto questa grande novità nella religione: ha chiamato Dio, l’onnipotente, Papà …

… e da Papà si presenta nel Vangelo alle prese con una famiglia difficile: Il più giovane dei figli è scappato di casa e l’altro si adatta a restare.

Per lui non c’è posto nel cuore dei due figli: Nessuno dei due capisce il suo amore, la sua tenerezza … uno deve sperimentare fuga, l’altro stagnazione e noia. 

Questi due figli che fanno fatica a stare con il loro papà, che crescono in fretta, che si distanziano anche giustamente dalla vita del padre, che vogliono conquistarsi lo spazio indispensabile della loro libertà sono la nostra immagine: Tutti siamo figli, tutti abbiamo o abbiamo avuto un padre, tutti abbiamo in corpo una sete di libertà, di autonomia, una voglia di far vedere chi siamo, una indipendenza che vogliamo a tutti i costi.   

Uno di loro se ne vuol proprio andare, non ce la fa più: si sente soffocato, scambia l’amore per una catena, crede di poter volare, ma non ha ancora le ali.

Parte, crede di andare a conquistare la luna, invece si schianta appena fuori dal nido nelle braccia del vizio: trova subito il suo spacciatore che lo tira nella rete.

Perché la vita non è una passeggiata per nessuno.

Per fortuna che gli resta la capacità di ragionare e soprattutto non gli si sono ancora cancellate nella mente le belle esperienze di amore col  papà, la bella sensazione di essere preso tra le sue braccia, il ricordo della sua tenerezza: fa un giro di 180 gradi e ritorna!

Gli basta stare nei paraggi, sa di aver sbagliato, ma anche solo a 100 metri da casa potrebbe respirare il suo amore. 

E’ la fame che lo muove, è ancora interesse, dovrà lavorare alla grande per trasformare questa fame in amore. 

L’altro figlio sta col padre: non si muove, aspetta senza lode né infamia che il tempo passi.

Morirà ‘sto vecchio, mi lascerà quel che mi spetta! Io tento ogni tanto di strappargli qualcosa, ma non molla facilmente, ha in mano tutto lui ...”

Sta col padre, ma lo ritiene un padrone;
è docile, ma per convenienza;
è in casa, ma senza cuore.

Vuole bene non al padre, ma alle sue proprietà.

Il padre gli dice: tu sei sempre con me! Ma lui non gode del padre, non sa che significa poterlo godere come padre, non scandaglia nel suo cuore, ma solo nel suo portafoglio.

E quando il primo figlio ritorna, forse per interesse, ma almeno ritorna, e dichiara di aver bisogno del padre, questo che sta sempre a casa si allontana col cuore e non ha il coraggio di chiamarlo “fratello”, ma “questo tuo figlio”, come quando in casa si litiga tra papà e mamma per i figli e si dice: guarda “tuo figlio” che ha fatto. 

Lo vuoi guardare in faccia questo mio figlio? Sì per me è mio figlio, anche se tu non lo vuoi più chiamare fratello.

Se lo accolgo di nuovo in casa, leggimi almeno in volto la fine della mia pena che da tempo provo anche per te, perché vuoi più bene ai miei vitelli e a i miei capretti che a me.

Stavi qui con me, ma non mi vedevi; mangiavi con me, ma pensavi di stare in un albergo: Posso sperare di avere due figli … o devo sempre credere di vivere con due  estranei? 

Qui il padre è un grande, è proprio l’immagine di Dio: passa la vita ad accogliere l’uno e a coinvolgere l’altro, non vuole lasciarli nel loro egoismo, spende la sua vita per farli cantare nell’amore.  

Quel Padre è Dio, quei figli siamo noi con tutte le nostre bizze, le nostre fatiche a vivere di amore, a trasformare la forza della vita, l’istinto di sopravvivenza, la voglia di felicità in progetto … progetto d’amore.

Finché non c’è l’amore la nostra esistenza è  approssimata, non è al massimo.

E Dio è proprio sempre con noi, per farci crescere in questo amore. 

14 Marzo 2020
+Domenico