Gesù sceglie i suoi annunciatori dopo una intensa preghiera

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 12-19)

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Ti capita qualche volta di dover fare delle scelte difficili, soprattutto quando hai bisogno di collaboratori, di amici che condividono con te parte della vita o una missione. Spesso vuoi affidare incarichi delicati, devi scegliere gli educatori dei tuoi figli o i compagni di una attività, i membri di una compagnia, i lavoratori di una azienda, i componenti di una cooperativa … allora ci mettiamo a prendere informazioni, a fare ricerche, a leggere attentamente i curriculum, a fare rassegne e concorsi …

Ecco, anche Gesù aveva da scegliere un gruppo di uomini decisi a tutto, a fare da nucleo di predicatori del Vangelo, della bella notizia. E che ha fatto? Si è messo in orazione tutta notte. Si è messo in dialogo col Padre, in contemplazione della profondità dell’amore che sgorga dal cuore della Trinità per leggere in essa le vite di questi dodici uomini, le loro libertà, i loro sogni, i desideri di spendersi per gli altri.

Immagino la preghiera per Pietro, per tutti i suoi slanci e le sue debolezze, la preghiera per Giovanni, il ragazzo entusiasta e fragile, deciso e bisognoso di cura, di sostegno, di fiducia come tutti i giovani; penso alla decisione di assumersi il rischio di scegliere Giuda: lo vedeva entusiasta per una causa, lo sapeva legato a una visione di mondo violento, ma ha voluto rischiare nel dialogo profondo con Dio di puntare sulla sua libertà.

Così ha scelto anche gli apostoli Simone e Giuda, che oggi ricordiamo. Nel martirologio romano si legge il 28 ottobre “In Persia il natale dei beati Apostoli Simone Cananeo e Taddeo detto anche Giuda. Di essi Simone predicò il Vangelo nell’Egitto, Taddeo nella Mesopotamia, poi, entrati insieme nella Persia, avendovi convertito a Cristo una innumerevole moltitudine di quel popolo, compirono il martirio”.

Tutti gli apostoli li ha scelti, ma non li ha forzati: li ha amati in Dio Padre e non li ha plagiati. Ciascuno ha presentato a Gesù la sua vita aperta al suo messaggio e nella propria libertà ha risposto.

Con questa squadra si è messo subito all’opera, li ha coinvolti nella sua avventura, ha voluto aver bisogno di loro e ha affidato nelle loro mani il tesoro del suo corpo e del suo sangue, il futuro del suo messaggio: lo Spirito Santo li avrebbe giorno dopo giorno forgiati e temprati, avrebbe delineato in loro i tratti stessi di Gesù.

Tutti noi siamo chiamati così da Dio, nessun cristiano è “generico”; non siamo nel mondo a caso, ma soprattutto non siamo cristiani a caso: siamo sempre oggetto di una scelta personale di  Gesù.

Per noi c’è un piano suo, una vocazione, una vita da vivere in un certo modo: lui ci ha pensati per la nostra missione in una notte di preghiera, sempre, con quel Dio che non ci abbandona mai.

Ogni annunciatore del Vangelo è stato e viene scelto così: abbiamo fatto parte tutti delle preghiere di Gesù.

Non voi avete scelto me, ma Io ho scelto voi.

28 Ottobre 2020
+Domenico

Il regno di Dio è sempre sotto il segno della povertà

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 18-21)

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Audio della riflessione

La nostra mentalità moderna punta molto allo spettacolare, al grandioso, punta molto sulle manifestazioni di potenza e spesso cancella le piccole tracce di umanità e di bontà che sempre resistono nella vita delle persone: si vorrebbe che il bene trionfasse con i criteri dei mass media, si pretende di fotografare ogni attimo della vita per mandarlo in diretta, si crede che si esiste solo se ci si può far vedere.

Invece il mondo non va avanti così: la vita degli uomini è frutto dell’apporto di ogni vita umana, semplice, dedicata; è collocata dentro un tessuto di amore che non ha bisogno di apparire per essere vero, anzi esige interiorità, silenzio, umiltà.

Il regno di Dio, proprio quel progetto profondo di vita vera che deve pulsare nel mondo, è di questo tipo: è un granello di senape, una manciata di lievito … è sempre “fallimentare”, ha una apparenza trascurabile e insignificante, quasi invisibile.

Agisce nell’irrilevanza religiosa e politica: non si impone per la maestosità o grandezza della sua consistenza, ma per la forza interiore regalata da Dio, che nessuno può vincere.

Il sogno di Dio sull’umanità si realizza nella debolezza e nella disponibilità alla volontà di Dio.

Le nostre megalomanie sono un ostacolo al Regno di Dio. La nostra frenesia di potere non è imparentata con l’avvento del Regno di Dio. Il chiasso, l’esposizione sulla scena che conta, gli apparati non sono parte del regno di Dio, ne sono spesso un intralcio.

Il lievito tende a scomparire per fermentare tutta la pasta, il granello di semente muore per dar vita a qualcosa di impensabil.

Dio opera soprattutto entro la nostra inconsistenza: La fionda del ragazzetto Davide, portava solo un sasso e il gigante si è schiantato a terra.

Gesù era un uomo buono senza legioni, è stato ucciso come un delinquente: la sua estrema debolezza di fronte al potere è stata la sua forza, perché si gettato nelle braccia del Padre.

Lo sparuto gruppo di apostoli, dispersi e perseguitati, cacciati e sopraffatti, è diventato il seme di un nuovo mondo: la stessa Chiesa ha conosciuto la massima sua diffusione per il sangue dei martiri, degli sconfitti.

E’ più regno di Dio il costruirsi giorno dopo giorno che il dispiegamento di una organizzazione. Nella storia, quando la Chiesa si è appoggiata sul potere è sempre stata meno credibile, ha sempre perso. 

Dio opera così: in questo modo ci costringe … si costringe a Lui, a non lasciarci mai soli, a non abbandonarci mai.

27 Ottobre 2020
+Domenico

Ogni uomo incurvato può raddrizzarsi nel suo vivere

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 10-17)

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C’è sempre qualcuno che vuol salvare Dio con le sue intransigenze, quasi che Dio abbia bisogno di Lui per esistere o per operare nel mondo. Capita così che qualcuno inventa una guerra in nome di Dio, sancisce condanne di persone in nome di Lui, perpetra torture, fa leggi che tolgono la libertà e la dignità alle persone, mantiene nella sofferenza anziché offrire gioia e libertà. Certo è difficile riuscire a far maturare la propria coscienza e quella dell’umanità che oscilla sempre tra la negazione di Dio e l’assolutizzazione dell’idea che noi abbiamo di Lui.

Oggi nel nostro occidente è più facile vedere una esclusione di Dio dalla vita, mentre in Oriente sembra che prevalga il talebanesimo, cioè una imposizione su tutti di una irrazionalità assoluta nei riguardi delle esperienze religiose.

Il responsabile del culto che ha incontrato Gesù quel giorno nella sinagoga era di questo secondo tipo. Gesù ha davanti a sé una donna piegata da un male, che da troppo tempo la teneva nell’infelicità, di sabato la guarisce e la restituisce alla gioia di vivere.

Il sabato è un giorno sacro, dice il capo della sinagoga; la sinagoga non è un ambulatorio, non è di sicuro il luogo in cui si può andare contro la legge di Dio. Ma tu Gesù che tanto tieni a che il nome di Dio sia lodato e benedetto, tu che vedi quanto la gente si stia allontanando da Dio, anche tu vieni a mescolare il profano col sacro, vieni a far crescere la magia, a far correre la gente in sinagoga a trasformare la religione in un placebo per disperati. Dio va lodato e benedetto, non servito con medicine e chirurgie.

Il centro del fatto avvenuto e raccontato dal Vangelo; sei stata slegata dalla tua infermità è la constatazione di quanto Gesù ha già compiuto nella nostra storia. Il miracolo già avvenuto è semplicemente dichiarato. L’annuncio ne fa prendere coscienza e permette a noi uomini e donne ancora curvati di raddrizzarci, se accogliamo l’annuncio di fede. Quello che Gesù  vuol far capire guarendo questa donna, ammalata da 18 anni, è di tenere in grande dignità e considerazione la vita umana. Non ci può essere contrasto tra la vita e la legge di Dio, non ci può essere subordinazione della persona  alla legge, né contrapposizione tra  i precetti e la sete di felicità vera che ha l’uomo. Sarà Lui con la sua morte in croce a rimettere al centro della vita dell’uomo la vera libertà e il vero culto a Dio: comunione con Lui e solidarietà con i fratelli.

26 Ottobre 2020
+Domenico

La vita cristiana: né fuga, né prigione, ma trasparenza

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22, 34-40)

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Ci sono dei periodi nella vita in cui le uniche cose che ti interessano sono quelle concrete, quelle che vedi, che tocchi, che possiedi. Rischi di farti ingoiare dal fare, dalle cose, dal denaro, dalle realizzazioni. Tutto quello che ha senso nella vita è qui dentro ben percepibile, palpabile. È immanente.

In altri periodi invece hai bisogno di aria fresca, di poesia: hai sete di cose che non finiscono, di spiritualità; vedi fino all’evidenza che il senso non sta nelle cose, che quattro soldi non possono decidere tutto, che la tua vita è portata sulle mani di qualcuno che sta oltre. Hai bisogno di un trascendente. O ti schiacci su un orizzonte o ti astrai in una fuga.

Era anche questa la domanda che la gente faceva a Gesù: “Tu che te ne intendi, che dici parole che vanno dritte al cuore, ci aiuti a trovare la strada vera della vita? Siamo condannati a restare divisi in cerca di fragili equilibri che non ci lasciano mai soddisfatti o ci puoi indicare la strada vera della vita? Sono le cose che ci misurano o è possibile una fuga consolatoria?”

E Gesù: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso. Se hanno un senso le vostre tradizioni, se ha un senso quella legge che tanto venerate, se ha un significato per noi quanto ci hanno detto i Profeti è solo perché vi dicono questo.”

Né trascendenza, né immanenza, ma trasparenza.

A Dio devi giungere, ma lo incontri se passi dall’uomo! L’uomo devi servire, ma non ti puoi fermare, lui è trasparenza di Dio, immagine, continuo rimando a lui. L’uomo vivente è gloria di Dio e vita dell’uomo è la visione di Dio, diceva S. Ireneo.

È un modo originale di pensare Dio, di pensare la vita, di vivere atteggiamenti religiosi. Nel cristianesimo non c’è spazio per la fuga dalla vita né timore di restarne imprigionati, c’è sempre una trasparenza da guadagnare, un Dio da incontrare nell’uomo e un uomo da vedere in filigrana in Dio. Per questo il segreto della vita è l’amore, l’azione più alta in cui possiamo identificarci, sicuri che se è vero amore non è né una fuga, né una prigione ma la vita stessa di Dio, che ogni persona può sperimentare già oggi.

25 Ottobre 2020
+Domenico

La conversione: cambiare testa e cuore

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 1-9)

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Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di carognate, di sbagli, di cattiverie gratuite. Siamo sicuramente anche capaci di bontà: compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male.

Sembra quasi più grande di noi: ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri vizi, i nostri peccati si sono “inveterati” in noi.

Se poi guardiamo la storia del mondo, la storia che ci ha preceduto, ma anche il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà… non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.

C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.

C’è una frase Gesù che nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”. Mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte.

Non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi. E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini?

Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita: “Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare?” Saremmo proprio fuori di testa.

Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare, è uscire dalla logica di un dio “commerciante” che ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza; è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre.

Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità; Lui che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato – come dice il salmo 8 – Lui che ci vede impigriti in continui errori, Lui che fa, che dice?

“E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta”.

L’Incarnazione di Dio in Gesù è una scommessa sulla libertà degli uomini: ha scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.

Ha pazientato infinitamente con gli apostoli, non ha loro tolto la fatica del decidersi per il Regno di Dio. Tutte le persone che sono state travolte dalla sua parola ora dura, ora consolante non sono stati ammaliati, hanno dovuto decidersi, giocare in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili. Sì! Gesù invita a convertirsi, ma, vedete, lui dice così perché è un carattere deciso, per noi poi nella vita si trova sempre un modo di comportarsi che “accontenta tutti”: abbiamo l’arte di avvolgere nella melassa tutta la radicalità del vangelo.

Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù. Contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita, come tanto spesso capita nel nostro mondo violento, Lui ce la ridona in pienezza.

E Dio si paragona al contadino, non più al padrone: si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita. La mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà. Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità.

Il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.

24 Ottobre 2020
+Domenico

Non solo previsioni, ma speranze

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 54-59)

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Dove stiamo andando, che direzione prende la nostra vita, i giovani che futuro potranno godere, che cosa capiterà nei prossimi anni al nostro modo di vivere? Sono domande che ogni tanto mettono ansia a un papà e a una mamma di famiglia che pensa ai suoi figli, o a qualsiasi persona che vuol sentirsi responsabile della sua vita.

Se guardiamo indietro agli anni che ci hanno preceduto e li confrontiamo con l’oggi registriamo cambiamenti impensabili del nostro modo di vivere. Penso alla rivoluzione nelle comunicazioni, nel lavoro, nella vita di famiglia, nella immigrazione. E siamo spesso impreparati ad affrontare i problemi. Gesù nel vangelo ci dice che dobbiamo scrutare con più attenzione i segni dei tempi. Purtroppo, dice,  tutta la vostra intelligenza la mettete nel fare previsioni. Utili anche quelle. Avessimo potuto prevenire gli tsunami o i terremoti! Potessimo prevedere le bombe d’acqua, le inondazioni, gli incendi devastanti e implacabili  

C’è anche da avere una capacità di cogliere la presenza di Dio nella storia e i segnali di conversione che ci manda. Il futuro non sta nelle previsioni, ma nella speranza e occorre soprattutto in questi tempi leggere i segni di speranza che nascono nel mondo per accoglierli, svilupparli, orientare il mondo alla sua naturale direzione che è il Regno di Dio. Anche la pandemia ci costringe a cambiare progetti, previsioni anche accurate. Il Concilio Ecumenico vaticano II ci aveva aiutati a questo esercizio di lettura dei segni dei tempi, dei luoghi, cioè, in cui si manifesta maggiormente la presenza di Dio, la sua storia di salvezza. Sono indicazioni di apertura a nuovi fatti che caratterizzano il cammino della nostra storia e in essi il cristiano deve seminare la Parola di Dio, li deve orientare nella direzione giusta.

Esistono oggi tanti segni di speranza che vanno sviluppati: la valorizzazione della persona concreta, l’apprezzare le differenze, l’originalità, il pluralismo, la tol­leranza, il crescente e diffuso interesse per la creatività, il simbolo, i riti, la dimensione estetica del­la vita; la particolare e generalizzata sensibilità al­la festa e al­la componente ludica del vivere umano; l’attenzione al­la vita quotidiana, intesa come spazio minimo vitale che consente al­le persone di costruire concretamente la propria esistenza; la nuova sensibilità verso la pace, una certa nostalgia del sacro…

Non c’è che da farsi prendere da questa speranza che sale dalla vita.

23 Ottobre 2020
+Domenico

Avere l’ardore del fuoco

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 49-53)

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C’è un modello di vita, oggi imperante, che è quello di accontentarsi dell’acqua tiepida: né calda, né fredda. Ha il sopravvento – insomma – la mediocrità, l’adattamento al ribasso, la comodità del proprio status, il non muovere niente “perché si è sempre fatto così”.

La vita in questo modo viene a mancare di grinta, di nerbo, di appello alla generosità, al dono, alla radicalità … e Gesù conosce queste tentazioni della nostra umanità, ma non vuole così i suoi discepoli!

“Sono venuto a portare un fuoco sulla terra” … è stato il grido del vecchio papa Giovanni Paolo II, mutuato da una donna fragile nel corpo, ma ardente nello spirito, Caterina da Siena,  davanti ai due milioni di giovani nel 2000: “Se metterete fuoco sulla terra…”

Essere cristiani deve avere l’ardore del fuoco!

Nel petto dei due discepoli di Emmaus il giorno di Pasqua, di fronte alle parole appassionate del finto pellegrino, sotto le cui sembianze si era fatto vedere Gesù, ardeva il cuore, era incontenibile la gioia e la passione.

A San Filippo Neri si erano deformate le costole per l’ardore d’amore verso Gesù Cristo che spingeva il suo cuore a dilatarsi.

Un fuoco che brucia il male, che toglie di mezzo le sterpaglie della vita, che purifica come in un crogiolo i nostri pensieri, che dà calore alla vita contro il freddo calcolo dell’egoismo: deve così diventare la vita cristiana!

Certo non è questa l’immagine più normale delle nostre comunità cristiane, delle nostre parrocchie, di tanti fedeli che “mal sopportano” di dover partecipare alla messa domenicale! Non è questa l’immagine anche di noi tutti che prima di compiere un passo decisivo nella conversione moriamo di calcoli, di se e di ma.

La fede ha la forza di un fuoco, il suo calore e la sua luce, trova nel Signore l’alimento, nella contemplazione di Lui la sorgente! Il fuoco può far male, perché costringe a concentrarsi sull’essenziale, perché ci stana dai nostri nascondigli, ci priva di inutili appoggi, ci purifica.

Gesù nella sua vita è stato questo fuoco: nella sua peregrinazione per le strade della Palestina, si accorge che non riesce a smuovere niente, ha di fronte un muro di gomma che respinge ogni desiderio di cambiamento ed esclama “come vorrei che questo fuoco fosse già acceso!”

E’ la testimonianza della sua passione incontenibile per il Regno e per la salvezza di tutti noi uomini e donne: per Gesù tutto deve essere orientato alla volontà del Padre, che è la nostra vita piena, per ottenerci la quale non ci abbandona mai.

Ora comprendiamo perché Gesù ci ha detto di non temere o preoccuparci: Egli stesso il Figlio è venuto a visitarci da parte del Padre in ogni nostra angoscia, perché noi potessimo esserne sempre liberi.

22 Ottobre 2020
+Domenico

L’uomo non è un possidente, ma un economo

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12,39-48)

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Chi fa dipendere la vita da ciò che ha, vive la morte come un ladro che ruba tutto. Chi attende il Signore, sa che la venuta di questo ladro in realtà è l’incontro desiderato, è aprire a colui che bussa  per entrare in comunione con lui.

Gesù non teme di paragonarsi a un ladro che giunge all’improvviso e che ci sorprende a svendere la nostra vita: è talmente coinvolgente il rapporto con lui, è così prezioso il tesoro di bontà che rappresenta per noi, che per il regno di Dio occorre sempre massima allerta: o meglio, il regno di Dio è una dimensione che sta in ogni istante della vita, è un bene che sta nella tua coscienza, è come l’aria che respiri, è una vita attaccata alla tua pelle.

Ti puoi godere il riposo, sei più disteso: non farti rubare il meglio di te, ma dagli fondamenta ancora più sincere, trovagli una roccia su cui poggiare! Allora capiterà qualcosa di straordinario mai avvenuto: “se ti trovo sempre sveglio sarò Io che mi metterò a servirti, Io, il tuo Signore e Dio, ti domanderò che cosa ti serve e farò di tutto per colmare i tuoi sogni, i tuoi desideri, la tua sete di felicità.”

Non si è, ma si diventa “preparati”, tutta la vita è preparazione all’incontro.

Certo, il momento della fine ci resta ignoto, però sappiamo però che segna l’incontro tra il Figlio dell’uomo che viene e sappiamo che tutta la vita è un cammino verso Lui.

La nostra attesa di Dio non è di un padrone che punisce, che sta dietro la curva per darti la multa, ma di un Dio che ti viene a servire: sta in mezzo a noi come uno che serve.

L’uomo poi non è un possidente, è un economo, che amministra beni non propri: Tutto ciò che è ed ha non è suo, è dono di Dio e deve restare tale per essere quello che è.

Tutti abbiamo ricevuto un grande dono, dovremmo fare qualche volta l’elenco di questi doni: la vita, la gioia, l’intelligenza, la sessualità, l’amore … ci sarà quindi chiesto molto, esattamente quanto fu donato, però tutto accresciuto dal frutto di un buon investimento, perchè il dono è fecondo come l’amore.

21 Ottobre 2020
+Domenico

Attesa operosa e piena di speranza

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 35-38)

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E’ esperienza tipica della nostra umanità: uomini, donne, ragazzi giovani, adulti e anziani, quella di vivere in attesa. Ci aspettiamo sempre tutti qualcosa o qualcuno.

Il nostro essere desidera, aspetta, si protende verso; non è possibile non aspettarsi niente dalla vita.

L’esperienza credente è una esperienza di attesa: è attesa l’esperienza dell’amore, la tensione verso la propria realizzazione, l’attesa di una nascita, di un traguardo di vita, dello stesso futuro.

Ebbene l’attesa ha la possibilità di definire anche la persona che attende: l’uomo, la donna è ciò che attende. Chi attende la morte, diventa suo figlio e produce morte; chi attende il Signore Gesù, ha la sua stessa vita di Figlio di Dio. L’esperienza cristiana è attesa di colui che deve tornare: lo sposo – dice il Vangelo.

Il tempo dell’attesa però non è vuoto: è il tempo della salvezza, in cui noi chiesa dobbiamo testimoniare il nostro Signore davanti a tutto il mondo. Quella salvezza che ci attendiamo da Lui è affidata alla responsabilità dei credenti.

La storia allora è per tutti noi luogo della decisione e della conversione, della vigilanza e della certezza della sua venuta. Le famose dieci vergini che erano in attesa dello sposo si sono subito divise in due gruppi: chi sapeva attendere e ne era sicura e si era preparata con saggezza e chi, invece, “tirava a campare” e si è lasciata chiudere fuori perché all’appello non c’era, stava cercando scuse per la sua svogliatezza, la sua assenza di tensione verso lo sposo.

Ci è chiesta vigilanza che non è mai uno scrutare nel buio, ma tenere accesa davanti al mondo la luce del Signore, quel che Lui dice e fa, la sua tenerezza, il suo amore senza confini. Quando camminiamo come lui ha camminato, prestiamo i piedi al suo ritorno, di cui nessuno conosce né tempi, né modi, ma gli deve restare in cuore la certezza della sua venuta. Se vogliamo essere suoi discepoli sappiamo che Il Signore è la nostra vita, per noi si fa riposo, cibo e bevanda, gioia e forza. Il Signore si cinge per servirci, noi suoi servi, si mette in mezzo a noi come colui che serve. Non è forse questo il senso dell’Eucaristia, lo spazio dell’attesa e della condivisione della cena della vita, del suo corpo e del suo sangue, il servizio inimmaginabile per ogni uomo e donna che gli si affida?

20 Ottobre 2020
+Domenico

Chi ha in mano la nostra vita?

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12,13-21)

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Chi può dire di stare tranquillo perché lui è prudente, scaltro, ha fatto le cose bene e dopo un po’ di fatica può finalmente vivere soddisfatto senza problemi? Il ricco? Forse, ma oggi ci sono troppe tasse, troppi ladri … pure coi guanti bianchi.

Il povero? Non ha preoccupazioni, non ha paura dei ladri, ma c’è sempre qualcuno che lo vende per un paio di sandali.

Forse l’asceta che si è staccato da tutte le preoccupazioni materiali? Ha anche lui le sue crisi, e puntualmente si sente inutile.

Il “verde”? Lui ha creato attorno a sé un’isola di benessere, di natura, di aria pura … ma l’aria e l’acqua qualcuno gliel’avvelena sempre.

Forse il “regolare?” Io ho sempre fatto il mio dovere, non ho mai mentito a nessuno, ho sempre fatto l’onesto … ma hai attorno gente che non bada a niente, ti ammazza per quei quattro soldi che ti trovi in tasca.

Ma allora chi ha in mano la mia vita? Avere in mano la vita non significa poter conquistare benessere: le cose, i soldi, gli affetti, le ideologie, gli amici, la casa non sono una assicurazione.

Se fai dipendere la tua vita da ciò che hai, distruggi ciò che sei: Ciò che credevi essere sicurezza di vita, dissemina ovunque uova di morte. Ciò che hai e che possiedi, ti dà morte se lo consideri come fine invece che come mezzo.

E’ solo Dio che ha in mano la vita!

Stolto, stanotte, dopo il consiglio di amministrazione in cui hai spostato capitali, hai investito in nuovi mondi, hai contrattato compere fortunate, hai comperato appoggi politici … questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita.

Devi lasciare tutto, resti nudo con te stesso, con la tua anima, senza portafoglio, senza libretto degli assegni: ogni bancomat è scaduto, le carte di credito annullate, cento sono già pronti ad occupare il tuo posto, a recitare la commedia dell’immenso dolore, ad affrettare un nuovo assetto, a criticare quel che sei stato.

La tua vita riprende il senso definitivo che ha cercato di costruire, se l’ha costruito bene … altrimenti resta vuota! Resta la tua coscienza ricca di quei momenti di forza che si è data in quel dialogo personalissimo con Dio, lontano da ogni telecamera che giorno per giorno ti sei mantenuto.

Quel Dio della cui presenza ogni giorno vivevi e a cui facevi posto nella tua vita, che sapevi incontrare nel volto dei poveri che, petulanti, ti chiedevano e tu con pazienza ascoltavi e aiutavi: ecco questo Dio te lo ritrovi in pienezza.

19 Ottobre 2020
+Domenico