La vita non è una liturgia stanca

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4, 16-30)

La vita è fatta di tante liturgie “stanche”, di tanti gesti automatizzati che ogni giorno devi fare: può essere la levata del mattino – ahimè sempre troppo presto – il congedo da quelli di casa, l’arrivo sul posto di lavoro, il caffè e il giornale con gli amici, le pratiche dell’ufficio .. oppure anche liturgie più solenni ,come quelle ufficiali della deposizione di una corona di fiori, di una dichiarazione alla televisione, o di una Messa in Chiesa … spesso le portiamo avanti stancamente come la vita, senza slancio, anche se ne vediamo la necessità: diventano penitenza quotidiana invece di essere caricate di significato vitale.

Così capita a Gesù, quando di sabato entra nelle sinagoghe dei paesi della Palestina: gente stanca che prende la Torah, il libro della bibbia, ne legge un pezzo lo fa commentare poi tutti ritornano alla propria vita.

Sono così anche le nostre liturgie domenicali: spesso sono più un dovere che un atto di amore!

Ebbene un giorno Gesù entra in una di queste liturgie “scontate” e ribalta la vita di chi lo ascolta: legge il libro di Isaia che prevede per il popolo un futuro diverso e dice perentoriamente “questo futuro oggi è qui con voi, sono io. Io sono stato mandato a dare speranza ai poveri, a dirvi che sta scoppiando la potenza di Dio nel mondo. E’ finito il tempo delle lagne, una nuova presenza di Dio comincia oggi, la speranza comincerà a colorare le vostre vite, i poveri trovano fiducia, i deboli si rinfrancano, i diseredati trovano casa e accoglienza. Io sono qui a garantirvi questo amore invincibile di Dio. Mi credete?”

Lo stupore di chi lo ascolta è grande: erano andati a compiere il solito rito e si sono trovati davanti alla verità concreta che quel rito evocava e non ci hanno creduto.

Se tu tutti i giorni  ti adatti alla vita senza entusiasmo, non t’accorgerai mai del senso che vi è nascosto, dell’amore che vi è inscritto e promesso: hanno dato per scontato questo loro concittadino, erano loro i primi a non stimarsi e a non stimare, avevano chiuso Gesù nei loro schemi paesani e non poteva sicuramente essere la promessa di Dio … non vorrai che Dio abiti proprio tra noi?

Invece Dio abita tra noi, ha il volto del nostro vicino, ha i pensieri di bontà di chi ci dedica la vita, ha la forza di chi ci contrasta nel male.

Anche questa è la speranza della nostra vita: poterlo scorgere nella storia di ogni giorno.

31 Agosto 2020
+Domenico

Non sentirti autosufficiente, non lo sei proprio!

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)

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“Ha senso ancora oggi avere fede? Non è troppo difficile credere?” … chiedeva il Papa ai giovani di Tor Vergata nell’anno 2000.

E’ ancora pensabile oggi, con la capacità di introspezione e di analisi della realtà che abbiamo, rimettere la risposta ai più profondi interrogativi della vita nelle mani di una credenza millenaria, ma proprio per questo troppo arretrata per fare da guida all’uomo d’oggi? Non è ora che ci arrangiamo a trovar risposte per la nostra vita, sulla nostra pelle, senza comodamente abdicare?

La religione cristiana, si dice, ha ormai fatto il suo tempo: è servita per tenere a balia una porzione consistente di uomini che però ora sono maggiorenni e possono bastare a se stessi.

Se poi apriamo il nostro orizzonte e lo allarghiamo a 360° su tutto il mondo, vediamo bene che il cristianesimo deve fare i conti con altre concezioni e religioni che hanno la stessa pretesa di essere definitive.

Ma questo Gesù, non è il figlio di Giuseppe? Non è il solito occidentale che crede di essere il centro del mondo? Che cosa può uscire di buono da questa città di Nazareth dove tutti sanno tutto di tutti e dove Gesù, messo alla prova, non riesce ad essere prodigioso, o anche solo un imbonitore come altrove si è dimostrato di essere?

E’ la saggezza di qualche uomo come Lui, come Gesù, che deve arrestarci nella via delle ricerche, che deve bloccare le scoperte scientifiche, che deve costringere l’umanità in alcuni tabù che bloccano l’intelligenza dell’uomo? Potremmo anche continuare …

La risposta è nell’aria: l’uomo autosufficiente ha abbandonato l’uomo di Nazareth e ha scelto i maghi, è ritornato a mettere al centro Gea, la dea terra, si nutre di x-files, e di extraterrestri, riscopre alcuni rubriche di linguaggio delle stelle e le crede risposte più vere, anziché delle fiction … inventa l’esoterico e alla fine si costruisce un nuovo vitello d’oro che viene controllato col Dow Jones, col Nasdaq in tempo reale.

E Gesù si ripropone nella sua disarmante semplicità e pretesa: “Oggi si è adempiuta – dice a Nazaret – questa parola che avete udita. Oggi attraverso di me i vostri interrogativi ricevono risposta, oggi ancora nonostante le grandi scoperte, che potevate fare anche prima se non vi foste applicati a costruire armi, se non aveste investito le vostre energie migliori nel farvi del male, oggi avete bisogno di affidarvi a Dio, di guardare a quel Padre che io sono venuto a farvi conoscere. Oggi mi potete scoprire nella vostra coscienza.”

31 Agosto 2020
+Domenico

Gesù sempre al centro di ogni vivere

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 38-42)

Audio della riflessione

Essere cristiani è darsi da fare o stare a pregare? E’ fare opere di giustizia o ritirarsi sul monte a contemplare? Le nostre parrocchie sono contemplative o attive? Si muove qualcosa o si seppellisce tutto dentro una chiesa? Essere cristiani è contemplazione o azione? Sono domande che spesso ci facciamo.

La vita nostra è molto agitata, frenetica: l’agenda detta le leggi, gli impegni ti vedono tutta la giornata in corsa; se vuoi guadagnare quattro soldi non puoi addormentarti un momento; se vuoi educare i figli devi far loro l’autista per tutti i loro spostamenti … quando torni a casa stanco del lavoro, ne devi riprendere un altro.

Finalmente vado in chiesa per trovare un po’ di pace, per affidarmi a Dio e invece anche lì mi dicono che bisogna impegnarsi, che non si può stare con le mani in mano: anche la chiesa quindi è un altro impegno da segnare in agenda.   

Io, Lui, il Signore, quando lo incontro? quando mi posso sentire amato da Lui? quando gli posso affidare tutta la mia vita rubata dai vortici della competizione, della lotta per sopravvivere? E’ certo che tante nostre chiese devono offrire maggiormente spazio per la contemplazione e la preghiera, per l’incontro con Dio e per l’ascolto della sua Parola, ma è anche certo che la vita cristiana non può essere ridotta a celebrazione di riti, che ci accontentano e ci chiudono in noi stessi.

Gesù tornava spesso a Betania: c’erano due sorelle che stravedevano per lui, c’era un amico che lo rincuorava dopo le sfide e le provocazioni senza esclusione di colpi dei farisei. Dice il vangelo: “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro”. Si metteva in pantofole, lui che nessuno fermava nell’ardore di buttarsi nell’avventura del Regno, Lui che appena il giorno prima aveva buttato all’aria le bancherelle del tempio e qualcosa di più nella coscienza della gente.

“Venite in disparte e riposatevi un po’, passate di qua quando non ne potete più e avete giù la catena e non capiterà mai che io abbia qualcosa d’altro da fare che abbracciarvi, ascoltarvi e coccolarvi”.

Maria se ne stava là a contemplare, non lo vedeva tutto, tanto gli stava vicino, lo riempiva dei suoi sguardi; Marta brigava e borbottava perché si voleva mettere al centro della scena; Lazzaro gli dava il cuore e senza volerlo gli preparava in gola il pianto per la sua morte.

Gesù non era un supereroe, non era un blocco di pietra, non girava col portatile per programmare tutto e sempre, prendere appunti e non perdere tempo, ma un cuore che ama, che apprezza i sentimenti, che sa commuoversi e piangere, arrabbiarsi e presentare contro il male una faccia dura come la pietra.

Gesù sapeva e sa quello che c’è nel cuore dell’uomo: sa che la nostra parte migliore è stare in contemplazione, lui del Padre e noi di Lui.

La nostra meta, la nostra scelta è di mettere sempre al centro Gesù, di aprirgli il cuore, di non sostituirci mai a Lui, di tenere fisso lo sguardo sul suo volto, e Lui ci chiamerà a dare il meglio di noi.

Sta di fatto però che tenere fisso lo sguardo su lui non è rito sterile o affaccendarsi per non pensare, ma sempre risposta d’amore, a Lui che non ci lascia mai.

29 Luglio 2020
+Domenico

Nasce il futuro: inizia il Vangelo di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,57-66.80)

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C’è una esperienza bellissima che fa l’umanità: la nascita di un bambino.

Apprensione, preoccupazione, orgoglio, gioia di avere un erede, attesa di una vita che sicuramente sconvolgerà l’esistenza di tanti … oggi, di san Giovanni il Battezzatore – il Battista – si celebra anche la nascita, non solo la morte come capita di tutti i santi.

Nel grembo di Elisabetta, Giovanni scalzava: le note del magnificat di Maria lo preparavano alla sua missione … e venne finalmente il tempo della sua nascita.  

Il vecchio Zaccaria ha passato la settimana più bella e stupita della sua vita: l’attesa, la consapevolezza di un segno misterioso di Dio, la tensione e la speranza, il timore e lo stupore, il sentirsi ancora muto davanti a questo bambino che presto avrebbe voluto parlare con lui hanno riempito la settimana che ha separato la nascita dalla circoncisione.  

C’è un nome da dare al bambino: in ogni casa, in ogni famiglia è sempre un momento bello; c’è una tradizione da rispettare: così si chiamava il nonno, così si chiamava la zia, così dovrebbe chiamarsi … ma che suono avrà questo nome sulla bocca di chi lo chiamerà? Forse lo storpieranno! Ma c’è anche ogni esperienza di papà e mamma, non solo la tradizione, che può portare novità; purtroppo talvolta è solo ideologia o infatuazione televisiva se non un basso servilismo agli idoli del tempo. 

Il nome invece è una vocazione: è un progetto, è una storia, è un passato aperto al futuro; è l’accoglienza di un compito.

E mentre Zaccaria scrive su una tavoletta “Giovanni è il suo nome” ritorna a parlare: è finito l’isolamento, ha capito la lezione, ma ha il cuore pieno di gioia e le cose che dirà resteranno memorabili nei secoli. Il silenzio non fu vano!

E la gente si chiede “Chi sarà mai questo bambino?”

Sarà un dito puntato verso il futuro? Sarà la fine di una tribù sacerdotale per indicare l’inizio di una nuova era? Nel ruolo di suo padre  come sacerdote del Tempio non ci si troverà più: il tempio non gli darà più risposte vere al suo anelito di Dio; le voci dei profeti cominceranno presto a risuonare nella vita austera di Giovanni, e lui lascia la casa, lascia la casta sacerdotale e si stabilizza nel deserto.

“Chi ha a cuore i disegni di Dio mi segua, e la gente non lo abbandona più: fa rinascere solo speranza, li strappa dal torpore dei supermercati anche del sacro, richiama la gente all’essenziale, sferza soldati, vigili urbani e banchieri.

Avete in cuore una profonda sete di Dio, sentite urgere dentro una aspirazione insopprimibile e la spegnete con la droga, con l’ecstasy, con i compromessi! 

Sentite desiderio di interiorità e sperate di trovarla nei talk show? Giovanni non ha mezze misure.

Avete desideri di affetto pulito e profondo e vi prendete le mogli o i mariti degli altri? Gli costerà caro questo parlare chiaro a Erode: la sua testa stessa come premio di un ballo! Ma lui, Giovanni, non demorde, e Gesù non potrà non seguirlo: i cugini si incontreranno sulle rive del Giordano, in questo rito purificatore necessario per cominciare a vivere in maniera nuova, e quando Giovanni vedrà Gesù, si sentirà subito superato.

Lui è la voce, Gesù è la Parola: lui sa di dover aprire una strada, ma la strada è di Dio, non è quella che decide lui; Dio è più grande di ogni sua vista, e si ritirerà, perché Gesù sarà il colpo d’ala che staccherà definitivamente il vecchio dal nuovo, il passato dal futuro. 

24 Giugno 2020
+Domenico

Il cuore di Maria accanto a quello di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2, 41-51)

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Mettere al centro della nostra riflessione e preghiera oggi il cuore Immacolato di Maria, dopo la festa del Cuore di Gesù, significa collocarci al centro della vita della Madre di Gesù.

Il centro della vita di Gesù era stata la sua agonia, crocifissione, morte e risurrezione: infatti il suo cuore è sempre squarciato, coronato pure di spine, sanguinante, simboli chiarissimi che di Gesù si vuol contemplare e immergersi nel dono della sua vita fino all’ultima goccia di sangue, versato per l’umanità e per ciascuno di noi.  

Il cuore di Maria viene contemplato come Immacolato, come tutto completamente orientato all’amore per il Signore e forgiato dalla cura quotidiana di Gesù entro una vita di famiglia: non per niente il Vangelo della Messa di questa festa è una scena della vita di famiglia in cui i tre, Gesù, Giuseppe e Maria sono orientati alla città di Gerusalemme, al culmine cui Gesù sempre penserà nella sua predicazione, nel rapporto con gli apostoli, nel dialogo con la gente. 

Il cuore di una mamma si protende sempre verso i figli: questo avviene nella casa di Nazareth, nel pellegrinaggio della Santa Famiglia a Gerusalemme, nelle presenze di Maria nella vita di Gesù; il vangelo non a caso continua ad “aggiornare” – diremmo noi – l’elenco delle sue presenze – direbbe la teologia invece – la necessaria e specifica presenza di Maria nel piano della salvezza che ha Gesù come centro : Cana, Via Crucis, sotto la Croce, Cenacolo, Pentecoste.  

Ed è così che si sviluppa la sua maternità sottolineata anche nelle apparizioni di Maria lungo i secoli, e in queste il suo cuore di Madre, assolutamente a disposizione del piano di Dio, pieno della grazia di Dio – Immacolato significa anche questo – è sempre messo in opera.

A Fatima si è espresso in termini ancora più evidenti e a Lourdes si è data anche il titolo: Io sono l’Immacolata Concezione.  

In questo tempo di ferite di difficile emarginazione provocate dall’epidemia, la vogliamo contemplare nel suo cuore di mamma, di tenerezza quasi palpabile, di amore portato nonostante la difficoltà a capire: “Figlio perché ci hai fatto questo? tuo padre e io angosciati ti cercavamo.”, e qui Gesù tra le tutte le sue parole, riportate dai vangeli dice parlando di Dio, il Signore del cielo e della terra, la prima volta, che è “Padre” e lo chiamerà sempre così fino alla Croce e alle sue ultime parole “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”.

 L’angoscia per il tempo della ricerca di Maria – sicuramente per la grande fede di sua – si attenua, ma non scompare la tensione verso l’impossibile che Gesù sempre presenta alla sua comprensione, alla sua compagnia e collaborazione di madre al piano di salvezza di Dio sull’umanità.

I sentimenti tenui di una vita di famiglia si allargano all’orizzonte divino della salvezza dell’umanità. Da qui la supplica che spesso la chiesa, i fedeli comuni, fanno a Maria con la consacrazione al suo Cuore Immacolato, condizione per la conversione del mondo.  

20 Giugno 2020
+Domenico

I delusi e scoraggiati del pomeriggio di Pasqua

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Audio della Riflessione

Procedevano con la mani in tasca, tirando calci ai sassi: non ne potevano più di quello che avevano vissuto.

Ti capita qualche volta che non ce la fai più a stare al palo, sai che il tuo compito è lì, che devi resistere, ma vuoi cambiare aria: non ti basta più la classica sigaretta che vai a fumare da solo nel cortile, non ti basta più l’amico con cui non hai ritegno a dire le tue debolezze, vuoi cambiare aria, andar via, cancellare il problema.  

C’è la segreta speranza di poter trovare qualche soluzione o per lo meno la fiducia che la vita sia più forte dei tuoi malanni e ti dia qualche nuova prospettiva; spesso, in casi come questi purtroppo ti affidi alle sostanze, o all’alcool: ma ti ricacciano i problemi in gola e tu stesso t’accorgi che non sei più te stesso, e fingi di essere normale.  

Cleofa era in questa crisi nera: con il suo amico dei giorni buoni aveva deciso di lasciare Gerusalemme quel famoso giorno dopo il sabato; non era ancora un turismo domenicale, ma la fine di una settimana senza speranza, senza obiettivo, lontano dai vicoli di Gerusalemme, da quelle pietre, da quella “skyline” oltre le mura che ricordavano il passo disperato di Gesù sotto la croce, le grida prezzolate della gente, la confusione del cuore, l’urlo di Gesù sulla collina delle croci alla sua morte.

No, non poteva finire così!  

Non si spengono così i sogni di futuro che due giovani hanno conquistato giorno dopo giorno passando da incredulità, sorpresa, curiosità, desiderio, gioia di un incontro con la speranza, come era stato per loro Gesù.

Ma dov’è che abbiamo sbagliato? Perché ci siamo infilati in questa strada stretta? Eppure quando parlava ci incantava, a me passavano troppo velocemente le ore, perdevo perfino l’appetito. 

E questi due si stavano a distribuire le colpe: tu hai abboccato, tu mi hai trascinato dentro; Ma anche tu però trovavi che era bello stare con Lui.

Sempre tra amici ci si colpevolizza a vicenda per darsi forza e per sentirsi dentro tutti e due alla stessa maniera, forse per trovare coraggio, sicuramente per non restare soli.

Ma il cammino disperato e senza scopo deve fare i conti con uno sconosciuto: C’è sempre qualcuno che non pensa ai fatti suoi, che ti sta tra i piedi proprio quando già fai fatica a tenere coordinati i tuoi.

E fa pure lo gnorri: viene da Gerusalemme e non sa che cosa è capitato.

C’è sempre qualcuno che vive isolato nei suoi affari. Questo che faceva a Gerusalemme prima della festa? Stava a casa a raccogliere francobolli o a infilzare farfalle? E’ il solito agnostico che nemmeno a Pasqua si fa vedere in Sinagoga, che non legge giornali e tanto meno dà ascolto alla gente?  

Ma non sanno che è Gesù, che sente quei loro ormai, quei loro verbi all’imperfetto, non solo come la mancanza di speranza, ma come altre pietre tombali che vorrebbero inconsciamente calcare sulla sua morte.

Lui li aveva amati a uno a uno, i suoi apostoli, li aveva toccati a uno a uno in quella sera dolcissima dell’ultima cena, lui aveva patito l’inverosimile sotto i colpi pesanti e inumani dei suoi crocifissori, lui aveva sperato che qualcuno forse con scarso coraggio, ma con nel cuore un lume di speranza, stesse trepidando nell’attesa del compimento di un grande mistero di vita e risurrezione, invece se li vede davanti a dire “ormai, non c’è più niente da fare”.  

Cleofa è troppo vero per non essere la nostra immagine, per non ricordarci tutte le volte che anche noi allunghiamo ombre sul nostro vivere, anziché cercare luci; ma ha un pregio, sa dire la sua disperazione a questo sconosciuto, non sa di dirla a Gesù, se ne accorgerà a poco a poco, perché gli si scalda il cuore.

Delle volte nella vita basta avere il coraggio di dire le nostre delusioni a Lui, a Gesù, e ci pensa Gesù a cambiarle in raggi di speranza, a far nascere un cuore nuovo, a metterci attorno a un tavolo a spezzare il suo unico pane, come saremmo contenti di poter fare ancora tutti se questa epidemia ci lasciasse respirare di più e scomparisse dovunque, ancora meglio.

26 Aprile 2020
+Domenico
 

Ritorna la speranza e saltano le paure

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,35-48)

Audio della riflessione

Occorre che ci riportiamo, ogni giorno di questa settimana, alla luce, alla forza, alla gioia, al dono inestimabile della Pasqua e non possiamo non leggere le emozioni, le paure, le nuove forze che nascono nel gruppo disperato fino a quel giorno degli apostoli.

E’ un cammino che viene richiesto a tutti per vivere la Pasqua, non come una domenica qualunque, o un fatto come tanti della vita di Gesù, ma come essa è: il centro della nostra fede e della nostra vita di Chiesa

Gesù ritorna dai suoi e li trova sconvolti e pieni di paure; collochiamo questo fatto in un rapporto normale tra amici: avevano vissuto assieme per circa 3 anni, si erano lasciati lentamente convincere e scaldare il cuore, in Gesù avevano ritrovato speranza; ce ne avevano messa di volontà per riuscire a entrare nel nuovo ordine di idee, nella nuova esperienza di fede che Dio aveva loro offerto nella persona di Gesù; ne avevano viste di schiavitù saltare, si erano sentiti entusiasti al ritorno dalle piccole missioni a due a due che avevano fatto; ogni tanto litigavano fra loro per spartirsi i ministeri del Regno di Dio, e Gesù li rimproverava amabilmente.  

In quell’ultima cena erano convinti, partecipi, commossi, si erano lasciati lavare i piedi; ma poi c’era stata la prova, lo sconvolgimento, la tentazione, la fuga.

 Lui l’avevano lasciato al suo destino: la costruzione della loro nuova mentalità non aveva retto; erano crollate a una a una le motivazioni umane: fascino di Gesù, amicizia, entusiasmo per una nuova visione della realtà, sogni di mondo nuovo, progetti di attività comuni, contrapposizione al mondo, al modello religioso dei farisei … 

Insomma, avevano sperimentato ciascuno, in cuor loro, la delusione: forse questo sentirsi “traditi e ingannati” … e … non avevano pensato che erano stati loro ad averlo abbandonato!

Lui non aveva mantenuto le promesse e loro se ne erano tornati a pescare.

Le donne avevano speso un capitale per imbalsamarlo, tanto credevano alla risurrezione che aveva loro promesso, e i discepoli si stavano a leccare le ferite.  

E Gesù si ripresenta, ma non per la resa dei conti: arriva per aiutare a capire, per ricostruire amicizia, per radicare nella fede le loro esistenze smarrite: “Quei colpi secchi sui chiodi che avete udito da lontano mi hanno forato mani e piedi, ma non mi hanno fissato alla morte. Quell’urlo agghiacciante che avete potuto sentire, ben protetti per non farvi vedere, non è stata disperazione, ma affidamento a Dio mio Padre, che mi dona per sempre a voi. Quel colpo di lancia ha fatto nascere la nuova comunità, la Chiesa, che ora affido a voi, per vivere una nuova comunione”. 

Gesù, insomma, non rinfaccia il tradimento, ma continua a farli crescere, li lancia nella missione: “Voi sarete testimoni di tutto questo”.

Non è il modo di educare di tanti consigli disciplinari, che è quello  di calcare la mano sugli errori, di togliersi tutti i sassolini dalle scarpe, di chiamare alla resa dei conti.

 Gesù invece torna ad avere fiducia, richiama ancora dalla sua parte e dice: vi affido la mia buona notizia, il Vangelo, da annunciare a tutti. 

Non vi lascio soli: il mio corpo e il mio sangue lo avrete sempre con voi.

 E ce lo affida ancora oggi. 

Abbiamo provato in questi mesi a farne a meno, domandiamoci se c’è dispiaciuto o se … ci siamo già abituati facilmente: non ci si abitua al dolore! Come non si sono “abituati al dolore” i nostri malati di questa epidemia: che il Signore li ri-consoli e dia loro salute, a tutti.

16 Aprile 2020
+Domenico

I due amici sfiduciati col morale ai tacchi

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Audio della riflessione

Sfiduciati, senza futuro, ripiegati su di sé, illusi, con un grande passato alle spalle, senza prospettive e possibilmente evitati da tutti: non è la fotografia dei reduci del Vietnam o di un gruppo giovanile che alla domenica non sa come “far sera” tra una sgommata e l’altra in automobile, anche se in questi tempi non possiamo fare questo; è il ritratto della nostra vita, del mondo delle nostre relazioni, quando assaporiamo una sconfitta e gli ideali che ci avevano uniti non tengono più.

Ciascuno sfoglia nella sua memoria l’album delle fotografie, le ricorda agli altri ma non c’è più niente che ci tiene assieme.

È il ritratto di una coppia di sposi che han vissuto e si sono dati amore e d’un tratto, questo amore si svuota.

È la scena dei due amici, tirati dentro, entusiasti nell’avventura di Gesù e ora distrutti e delusi: credevano di averlo in mano, aveva loro scaldato il cuore più di una volta, avevano visto in trasparenza una vita nuova, ora hanno negli occhi solo il suo cadavere, nei pugni serrati la rabbia di essere stati liquidati, nelle gambe un tentativo di fuga dalla vita.

La fede non è proprio “come la penso io”, anche nella Chiesa non tutto gira bene: “ho sempre pensato che ci fosse veramente il bene e lo trovo sempre più impigliato in compromessi”.

Mi dice un ragazzo di quindici anni: sono stato sveglio tante notti fino alle 5 di mattina a domandarmi: ma Dio esiste davvero? 

Quei due discepoli, turisti sconsolati della domenica sera, che si preparano a fare la coda per rientrare ad affrontare un nuovo lunedì, sono la nostra fotografia.

Ma hanno una impennata di vita e di luce: si siedono a tavola con uno straniero che ha cercato tutto il giorno di consolarli; quello prende un pezzo di pane, lo spezza, lo benedice … si aprono loro gli occhi! Questo gesto è altamente simbolico: è vita donata è spezzata, è un consegnarsi fino all’ultima goccia per amore

Si rimettono in coda per rientrare a Gerusalemme, ma non sono più gli sconfitti della vita, i delusi del proprio passato: hanno ritrovato la chiave interpretativa della loro esistenza e della loro fede.

Diremmo noi “sono andati a Messa”: in quel corpo spezzato hanno trovato le uniche ragioni di vita; hanno ripensato all’ultima cena, e in quel ripensamento hanno ritrovato la presenza di Gesù.  

E … abbiamo provato, in questi lunghi mesi, a non poter partecipare all’Eucarestia, allo spezzare il pane, a non vedere, a non stare in compagnia per questo incontro con Gesù che ci dà forza, che ci rende un corpo solo, che ridà alla nostra fede il fulcro centrale del sentirsi amati fino all’ultima goccia di sangue da Gesù.

Non ci siamo abituati a fare senza, ma ci siamo accorti che qualcosa ci mancava e per molti manca ancora. 

15 Aprile 2020
+Domenico

Lasciamo il posto a Dio

Una Riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 26-38) 

Il nostro modo di pensare di gente concreta, fatto di sogni e di progetti, ma soprattutto di realizzazioni concrete, di laboriosità contrasta un poco con il mondo della fede.

Non è che chi crede debba essere un fatalista, uno che sta con le mani in mano a vedere se la vita cambia da sola, a starsene beatamente nell’inerzia più assoluta, ma sicuramente chi crede in Dio deve … mettere Dio al centro della sua esistenza e lasciarsi condurre da lui, dalla sua parola, lasciarsi convertire al suo piano e entrare nell’idea che è Dio che ha in mano le sorti del mondo e della tua vita, e che noi spesso siamo solo di ostacolo, perché agiamo di testa nostra.

Il male che c’è nel mondo è frutto di una nostra soggettività giocata male, del nostro esserci messi al posto di Lui.  

Non così, ma esattamente il contrario è stata la decisione di Maria di mettersi nelle mani di Dio: quando l’angelo andò da Lei per chiederle a nome di Dio se voleva diventare la madre di Gesù, si offrì completamente.

Aveva progettato nella sua vita di essere vergine e a Dio si offre così.

La sua verginità indica che ciò che nasce da lei è puro dono, il futuro che inizia con lei è grazia e dono di Dio.

Nelle coppie sterili dell’Antico Testamento Dio dà successo a una azione umana senza successo, qui invece Maria rinuncia ad agire, offre la sua verginità, una passività e una povertà totale che rinuncia ad agire proprio per lasciare il posto a Dio.

E’ la fede.

Questo vuoto assoluto è l’unica capacità in grado di contenere l’Assoluto

E Maria diventa la figura del credente, l’immagine della Chiesa, di chi nella fede concepisce l’inconcepibile: Dio stesso.

Le domande che Maria fa sono … nella direzione non di una volontà di agire … o ancor meno di opporsi, ma nella direzione di una disponibilità massima di corpo e di spirito, di pensieri e di progetti. 

Maria realizza il mistero della fede.

Quando siamo proprio decisi a lasciarci fare da Dio, a mettere in animo il suo disegno, il suo modo di vedere la realtà, Dio si fa presente.

E’ la fede pura che attira in noi il Salvatore.

La fede rompe i limiti di ogni incapacità umana, per renderci capaci di Dio. 

E Dio quando coglie la nostra disponibilità decide di stare con noi di diventare l’Emmanuele, il Dio che non ci abbandona mai.

E oggi, 25 Marzo, a distanza di 9 mesi dal Natale, celebriamo proprio questo bellissimo momento del concepimento di Gesù nel seno della Vergine Maria. 

25 Marzo 2020
+Domenico

Mi voglio riempire gli occhi di te

Una riflessione dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,13) dal Vangelo del Giorno (Lc 18,9-14)

<<Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.>>

Proviamo … a fare la preghiera del peccatore che sta in fondo alla chiesa e che non osa alzare lo sguardo a Dio:

Signore, sono di nuovo qui davanti a te … L’ultima volta ti avevo promesso che sarei cambiato, mi ero pentito veramente, me ne ero partito da te con nel cuore la gioia del tuo perdono … ho osato dire a me stesso che ce l’avrei fatta, avevo ormai toccato il fondo e potevo contare su un cuore diverso … avevo sperimentato la tua bontà e ho creduto di potercela fare; invece, sono di nuovo tornato alla mia miseria e sono qui  perché l’unica gioia che provo nella vita è il tuo abbraccio, la tua bontà che mi accoglie sempre.

Non ti voglio promettere che d’ora in avanti sarò bravo, perché non mi fido più delle mie forze, ma voglio dirti che ti voglio bene, che senza la tua decisione di amarmi sempre, io sarei un fallito.

Mi sento indegno di questo tuo amore … non perdere tempo con me, aiuta invece chi ti può promettere sequela e ti esprime gratitudine.

Ho sempre ancora creduto di essere io il centro della mia vita: mi sono fatto legge a me stesso, ma ora non ne posso più; se mi prendi con te io ritorno!

Mi hai dato un corpo e l’ho disfatto;
mi hai dato un cuore, e l’ho venduto;
mi hai dato intelligenza e l’ho sperperata a costruire tranelli per i buoni; mi hai fatto per amare e io mi sono specializzato nell’approfittare;
mi hai dato una vita pulita e io c’ho scritto dentro tutte le mie carognate.

Sto vivendo una storia d’amore, ma è più l’egoismo che so esprimere che il dono, e il brutto è che sono sempre alle solite: mi lascio usare e sfrutto nello stesso tempo.

Mi voglio riempire gli occhi di te, mentre abbracci il tuo figlio, che ti ha abbandonato e che ritorna: fammi godere della festa che gli prepari!

Mi incanti quando ascolti la supplica della vedova, che ha fiducia solo in te; ti voglio ascoltare mentre parli agli uomini dalla montagna e dici loro che sono felici, perché Tu sei la loro Gioia.  

Ho anch’io quattro amici che sono disposti a scoperchiare il tetto di una casa per depositarmi davanti a te, ma li  ho traditi un’ennesima volta e mi hanno giustamente lasciato. 

Ti ho spiato nell’orto del Getsemani, e mi hai fatto paura, ma ho visto l’abbandono nelle braccia di tuo Padre: Apri anche a me queste braccia! 

Vorrei anch’io essere preso per mano da te come hai preso per mano il cieco: mi riempi di speranza quando fai cadere le pietre dalle mani dei lapidatori.  

Ci sarà una strada che mi porta fuori? Posso sperare in un colpo d’ala che mi aiuta ad abitare quel cielo che tu mi rappresenti? 

Io sono del genere dei “senza speranza”, sto cercando di capire che sei tu l’unica mia speranza, il Dio che non mi abbandona mai … “

21 Marzo 2020
+Domenico