A vivere in questo mondo siamo invitati come a una festa

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22,1-14)

Audio della riflessione

Il senso del nostro vivere sarà sempre un grande e affascinante mistero: qualcuno ci dovrà sempre aiutare a capire perché un giorno abbiamo cominciato a vivere, come questa vita che ci sembra tanto fragile non si spegnerà più, ma rimarrà indelebile nell’universo … c’è stato qualcuno che ci ha chiamato all’esistenza o siamo frutto di una combinazione tra le infinite possibili?

Non solo questa vita non è nata a caso, ma questa nostra esistenza è un invito per ogni uomo e per ogni donna a un banchetto di nozze: non siamo nel mondo a caso e non ci siamo senza meta; non solo, ma la vita dell’uomo sulla terra si configura come regno di Dio, come regalo di amore di un Padre.

Accettare la vita, quando non sapevamo che cosa era, è stato facile: ci siamo mostrati subito entusiasti, esigenti, egocentrici, attaccati; non abbiamo detto di no. Da bambini ci ha pensato l’istinto della conservazione a sostenerci, l’amore di chi ci ha generato a coltivarci.

Poi viene per tutti  l’invito a un salto di qualità: Ci stai a fare della tua vita un dono? Un’opera d’arte? Ci stai a passare dall’istinto all’amore, dalla necessità al progetto, dalla dipendenza obbligata alla collaborazione, dalla barbarie dell’egoismo alla civiltà dell’amore?

E’ l’invito a nozze del Vangelo, è la passione d’amore incontenibile che ha riempito la vita di Gesù e che lo ha portato sulla croce.

E sono cominciate le nostre risposte: “ah, ma io che ci guadagno a lasciare i miei affari, a uscire dal mio comodo loculo, a tagliare le fasciature dorate delle mie abitudini? Perché non mi posso costruire i miei piaceri, o godere la mia sessualità, o accumulare soldi e comprare affetti? Perché non bado solo ai fatti miei e mi costruisco il mio regno, il mio mondo?”

La vita non è più stata vista come un invito, ma come un possesso: due tappi alle orecchie, due mani sugli occhi, e una pietra al posto del cuore.

Ma la forza di Dio è inarrestabile: non pone condizioni, al suo banchetto ci possono stare tutti. L’invito deve arrivare, non c’è ufficio postale che seleziona: la sua mailing list ha gli indirizzi di tutti, nessuno può fare da filtro, soprattutto quelli che hanno accettato il suo invito.

Con chi lo segue è esigente: nessuno può illudersi di sentirsi a posto!

La vita è sempre una sorpresa, si porta dentro sfide nuove. Se poi questo banchetto è la vita cristiana, è l’esperienza di una comunità credente, è la vita di fede, questa ha sempre bisogno di prendere il largo, ha bisogno di conversione, di vigilanza, di misura alta … e noi  oggi decidiamo di assumere modi di vivere questa misura alta della vita cristiana; in questa celebrazione festiva vogliamo invocare Dio perché in Gesù morto e risorto ci illumini il cammino, ci renda coscienti dei nostri errori, condizione necessaria per avere una veste nuova, e ci dia la forza di compiere sempre la sua volontà, per realizzare con Lui il suo regno.

20 Agosto 2020
+Domenico

Né commercio, né pretesa con il Signore

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 20, 1-16)

Audio della riflessione

Se c’è una logica che ci caratterizza tutti è la logica del possesso e della pretesa: questo è mio; ho un diritto sacrosanto di essere pagato; questo  mi spetta e non devo chiederlo a nessuno…

Il Vangelo di oggi, che tratta di lavoratori chiamati a lavorare in vari momenti della giornata e alla fine la sorpresa di essere pagati tutti allo stesso modo … questo Vangelo non è un trattato di economia, ma inscrive nella nostra mentalità un atteggiamento diverso di fronte alla vita, che non può essere mai ridotta a commercio o a scambio.

Davanti a Dio nessuno può vantare titoli di credito per ciò che è puro dono di grazia: è in contrasto con l’etica del capitalismo, materiale o spirituale.

Non è contro la legge o la giustizia: infatti agli operai della prima ora e a tutti gli altri viene dato ciò che è stato pattuito. Siamo però invitati a capire che la legge e la giustizia di Dio è quella dell’amore e della liberalità; la sua retribuzione eccede ogni merito: è un  premio dato a tutti per misericordia.

Nel nostro mondo a modello commerciale, dove quello che più conta è la capacità di barattare, di stabilire accordi, scambi vantaggiosi, condizioni favorevoli, sfruttare l’occasione, intuire le debolezze del compratore per fare guadagni, farsi creativi nel collocare la nostra merce, pensiamo che il nostro rapporto con Dio sia un grande commercio.

L’idea forse la danno anche certe nostre pratiche di rapporto con le cose sacre, con i sacramenti, con le offerte, con i servizi liturgici, con gli oggetti sacri, le visite ai santuari … spesso li facciamo diventare luoghi di commercio anziché di incontro tra la nostra povera vita e la grandezza di Dio.

Crediamo di poter commerciare la nostra salvezza, di comperare la sua misericordia, di sostituire l’amore vero profondo, con le nostre cose, di tenerci il cuore e di dare a Dio solo le cose che abbiamo … e allora accampiamo diritti, rimproveriamo Dio perché non tiene conto di quello che abbiamo fatto, riteniamo di esserci guadagnati il paradiso, una vita bella, felice, solo perché noi abbiamo dato, abbiamo fatto, abbiamo vissuto in un certo modo.

Sono tanti nel Vangelo gli episodi e le parabole che ci mettono in guardia dal trattare Dio come un commerciante, dal vedere la vita credente come un investimento di potenza e di mezzi, come  insomma un grande “do ut des”, ti do perché tu mi dia, un baratto con pretese e furbizie: è così la vita del tempio, quando Gesù rovescia le bancarelle dei cambiavalute che hanno fatto diventare la casa di Dio una spelonca di ladri, una borsa di contrattazione; è così quando Gesù mette al centro i bambini come segno di una vera appartenenza al regno di Dio; è così con la parabola dei lavoratori che vengono pagati tutti allo stesso modo dal padrone a partire da quelli che secondo i nostri calcoli hanno lavorato di meno, hanno meno diritto di essere ricompensati di altri.

Gesù qui è molto deciso: “Prendi il tuo e vattene, devo chiedere a te come posso usare la mia bontà, vuoi essere tu a regolare il fiume della mia carità, l’irruenza del mio amore? Sei tu che butta sangue da ogni poro della mia pelle per amore di questi uomini? Credi che ci sia un prezzo per la vita che io volentieri do per tutti? Ti sei fatto un qualche diritto sul mio sangue, sulla mia gioia di dare senza riserve?”

Gesù non è ingiusto e l’amore suo per noi non ha misura: dobbiamo esserne solo contenti!

19 Agosto 2020
+Domenico

La ricchezza ti può fasciare il cuore

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 19, 23-30)

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Essere ricchi, si dice, è una fortuna: non hai problemi quando devi comperare qualcosa, hai il cibo assicurato, non rischi di rimanere senza casa, non ti prende l’assillo delle scadenze delle bollette, degli affitti, del mutuo … ti puoi divertire di più, puoi permetterti qualche avventura, puoi viaggiare, ma non ti puoi comperare né il tempo, né la vita.

Anzi, dice il Vangelo, se sei ricco non passi per la porta stretta della felicità senza fine, del paradiso: un cammello non passa per la cruna di un ago … abbiamo tentato con tante belle interpretazioni di allargare questa cruna dell’ago, immaginando che fosse una porta stretta e bassa, ma non così minima.

Al Vangelo non si possono fare sconti: la ricchezza può essere un dono di Dio, ma anche una tremenda “fasciatura”. Il discorso che fa Gesù non è di tipo marxista, non ce l’ha a morte con i ricchi, che vede solo come ingiusti e ladri, non lotta per la dittatura del proletariato, ma guarda dentro la coscienza delle persone che si affidano a quello che hanno, continuano ad accumulare, se lo tengono ben stretto e non si accorgono che perdono la pace interiore, muoiono dentro e proprio perché muoiono dentro fanno morire anche fisicamente altri di fame, e diventano ingiusti.

Sappiamo tutti che i soldi non fanno la felicità, ma tutti li cerchiamo come se fossero la soluzione dei nostri problemi. Sappiamo tutti che i mali più grandi della società, le nostre semplici e tranquille amicizie, le nostre stesse relazioni parentali spesso sono rovinate per quei quattro soldi, per cui litighiamo e che tra l’altro non ci sono necessari per vivere, eppure la tentazione è sempre grande.

 Chi ha, continua ad accumulare, non si accontenta, non s’accorge che rovina la famiglia, che non segue i figli, che all’interno di una casa c’è di tutto, ma manca il necessario: il sorriso, la comprensione, la gratuità, lo stare in compagnia, il tempo, la stessa preghiera.

Come ci possiamo liberare da tutto ciò? Come si può invertire questa corsa sfrenata?

Dice candidamente il Vangelo: se non è possibile agli uomini, è possibile a Dio! E’ da un nuovo rapporto di fede con Dio che si può vincere l’incanto della ricchezza, è la contemplazione di lui povero che ci può far cambiare vita e aiutare a dare al denaro il suo semplice e giusto posto, solo per vivere e fare dono come Dio ha fatto di sé con noi, senza mai abbandonarci.

18 Agosto 2020
+Domenico

Liberi e felici è il dono che Dio ci fa

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 19,16-22)

Audio della riflessione

Voglio una vita alla grande: non mi bastano le mezze misure, non sono più appagato dallo stare a parlare … questa vita mi passa via e non me ne accorgo.

Sono stanco di stare a guardare, voglio mettermi nella mischia. Hai una ricetta di bontà da eseguire, il tuo segreto dove sta? Come fai tu ad essere così felice, a farti ascoltare da tutti? Quale è la formula vincente della vita?

Era la domanda ingenua, ma vera, che un giovane è andato a fare a Gesù: è la domanda che forse anche tanti di noi si sentono di dovere fare a Dio. Dove sta il segreto di una vita pienamente realizzata?

Se vuoi entrare  nella vita: osserva i comandamenti: Gesù lo mette di fronte alla sua vita, ai comportamenti normali di tutti, a quella legge naturale che fa da sola una certa bontà e il giovane è di quelli che queste cose le fa già, ma probabilmente non gli dicono niente.

Tutte queste cose le ho osservate. Che cosa ancora mi manca? 

C’è un altro giovane nel Vangelo che si trova in questa situazione: tutto a posto, tutto in regola, tutto casa e chiesa, azienda e babbo, tutto stalle e vitelli. “Io non sono di quelli che fanno storie, quello che c’è da fare lo si fa. Ogni giorno ha i suoi contrattempi, ma si può ben resistere.” E’ il figlio maggiore della parabola del padre misericordioso, che noi diciamo “Figliol Prodigo”.

Non s’accorge che è spento dentro, non c’è più niente che lo entusiasma. Si è abituato ad amare di più i vitelli del padre che suo padre. Non si fa più domande, ha soltanto da riscuotere nella vita.

Il giovane ricco almeno si è accorto che c’è qualcosa che non gira! Che cosa mi manca?  E Gesù gli dice: sei troppo attaccato a te stesso: e gli spara quella raffica di verbi, che sono i verbi della felicità: va, vendi, regala, vieni e seguimi. Staccati da tutto e sta con me.

Sei infelice perché ti riempi di cose, non ti decidi per niente e per nessuno. La vita è bella se ne fai dono, non se la rubi agli altri. Qui sta la tua infelicità.

Quel giovane sta troppo comodo nel suo loculo, col suo cellulare, con la sua automobile, con il suo cavallo o la sua moto, con le sue avventure e non ha forza di fare niente di questo e resta infelice. Come spesso restiamo pure noi.

Gesù ci offre di  vivere come “ da principio”: non solo il rapporto con l’altro, ma anche con i beni del mondo. Questi non sono il fine a cui sacrificare la vita propria e quella degli altri, ma il mezzo da usare tanto-quanto serve per vivere da figli i da fratelli, con piena libertà, senza lasciarci condizionare.

Quello che teniamo in proprio ci divide dagli altri, ciò che doniamo ci unisce, così ci ha creati Dio.

I beni materiali sono quindi benedizione e vita se liberamente condivisi, maledizione se compulsivamente accumulati.

Gesù ci dona di essere uomini e donne liberi, perché da principio tutto è dono: la nostra speranza è proprio nel mettere al centro Lui e fidarci: la felicità è immediata!

17 Agosto 2020
+Domenico

Signore fermati per me

Ispirata da Guglielmo di Saint-Thierry, monaco benedettino poi cistercense

Audio della riflessione

A volte, Signore, ti sento passare, non ti fermi per me, vai oltre; allora grido verso te come la Cananea.

Oso ancora avvicinarmi a te? Certo, poiché i cagnolini cacciati dalla casa del padrone continuano a ritornare, restano a far la guardia alla casa e ricevono il pane ogni giorno.

Cacciato, eccomi ancora; messo alla porta, grido; malmenato, supplico.

Come i cagnolini non possono stare lontano dagli uomini, neppure l’anima mia lontano dal mio Dio!

Aprimi, Signore! Lasciami arrivare a te per essere inondato della tua luce.

Tu abiti nei cieli, ti sei nascosto nelle tenebre, nella nube oscura; come dice il profeta: “Ti sei avvolto in una nube, così che la supplica non giungesse fino a te” (Lam 3,44).

Io giaccio sulla terra, col cuore come in un pantano … le stelle non brillano per me, il sole si è oscurato, la luna non dà più la sua luce. Sento cantare le tue meraviglie nei salmi, gli inni e i cantici spirituali; risplendono di luce nel Vangelo le tue parole e i tuoi gesti; gli esempi dei tuoi servi …

Le minacce e le promesse della Scrittura di verità sono ben davanti ai miei occhi e vengono a bussare ai miei orecchi sordi … ma il mio spirito si è indurito; ho imparato a dormire di fronte allo splendore del sole; mi sono abituato a non vedere più tutto ciò che così si dona a me… 

Io ti cerco Signore: non aspiro al pane, mi bastano le briciole. Non mi arrogo diritti di figliolanza, mi basta fare il cagnolino che gira tra le gambe dei commensali, prendendo qualche volta calci tra i denti. Non ho pretese di privilegi o di doni, mi accontento di ciò che avanza della tua mensa, perché per me anche una briciola del tuo amore, fa la mia felicità.

Fino a quando, Signore, fino a quando aspetterai a squarciare i cieli, a scendere per venire a scuotere il mio torpore? Possa io non essere più quello che sono! Possa convertirmi e tornare almeno verso sera come un cagnolino affamato.

Cammino per la tua città; è ancora in parte pellegrina sulla terra, anche se  molti dei suoi abitanti con il Covid-19, rubati dalle loro case, staccati dagli affetti più cari, isolati in un purgatorio senza speranza, hanno almeno trovato gioia nei cieli.

Forse anch’io troverò lassù la mia dimora?

San Rocco che hai fermato col tuo amore non una peste sola, tu che con il tuo fedele cagnolino hai visitato e confortato tutti i malati di pandemia, intercedi presso il Signore e fa terminare questa pandemia.

16 Agosto 2020
+Domenico

Mi bastano le tue briciole

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28)

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Gesù non era un personaggio televisivo, non bucava il video, ma stanava dai cuori speranza e per questo “non poteva restare nascosto, lo cercavano tutti”, dice il Vangelo.

C’è tra la folla una donna coraggiosa, decisa – sfacciata, direbbe qualcuno – che bada più alla sostanza che alla forma. E’ di origine greca, non è del giro degli ebrei, per questo si sente più libera, ma anche più disperata.

Le è stata strappata la figlia dal demonio, le è stato tolto il suo bene sommo; non è più la stessa da quando il demonio gliel’ha stregata: se ne è carpito il corpo, il cuore e l’anima, le ha distrutto tutti i legami di affetto; si sente in casa non solo un corpo estraneo, ma il male in persona e questo male sta in sua figlia, in colei che ha partorito con dolore e segue con indomabile amore.

Sa che c’è Gesù e va da Lui: non le importa niente delle convenzioni sociali, si butta ai suoi piedi; lei straniera, donna, intrusa e disperata, ma con la speranza puntata in Gesù e osa, osa dire quello che il suo cuore le chiede, quello che da tempo sente di affidargli.

“Gesù qui c’è mia figlia, ma il male me l’ha rapita; Tu che sei la vita vera, Tu che ami la gioia di vivere, Tu che non hai niente in comune con il maligno, Tu che sei l’innocente: guariscila, restituiscila alla vita, alla bontà, non permettere che sia preda di un male più grande di noi e che noi non possiamo vincere.”

Gesù sepolto dalla folla rumorosa dei suoi connazionali, avverte che c’è una domanda pressante, una umanità ferita davanti a sé: coglie la disperazione, ma sa di essere circondato da una mentalità arroccata su un’alta concezione di sé.

Dice alla donna quel che la gente pensa: “Ti rendi conto che stai esagerando, non c’è pane per l’estraneo, per l’intruso; ci sono figlie e figli che hanno bisogno di ritrovare salute, appartenenza piena al popolo santo di Dio! Che pretendi, tu che non sei dei nostri?”

Lo pensiamo sempre tutti – e lo diciamo pure – che vogliamo goderci quel che abbiamo e che non ne possiamo più degli intrusi, degli stranieri, dei poveracci che disturbano la nostra già fragile quiete ed equilibrio: stessero tutti a casa loro, noi vogliamo godere della nostra vita da soli; noi abbiamo sudato il nostro benessere e non vogliamo spartirlo; non solo non siamo accoglienti, ma ci appropriamo anche di quello che Dio ci ha dato per tutti.

Ma la donna ha una disperazione nel cuore: questa è fede pura, lo dice anche Gesù, e le briciole che la donna sperava si trasformano in pane della vita, e la straniera, la siro-fenicia, la pagana, l’immigrata si rivede donata, libera, vera, guarita, ricostruita nella sua dignità e nella sua figliolanza la sua creatura, la sua figlia, che prima era del demonio.

16 Agosto 2020
+Domenico

L’arca dell’alleanza

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-56)

Audio della riflessione

Ciascuno di noi ha degli oggetti cui è molto attaccato: gli ricordano momenti importanti della vita, incontri, promesse, esperienze determinanti … e quando si sposta se li porta con sé o se li mette addosso se sono di moda.

Sono anelli, nastrini, fotografie da mettere nel portafoglio, collane, brillantini, chiodi infissi nelle orecchie come piercing … i bambini hanno i loro giocattoli che si portano dietro fino a età non troppo infantile: un set di barbie da risistemare tutte le mattine sul letto, qualche orsacchiotto di pelouche … insomma, con questi elementi si sente più tranquillo, si ritrova con la sua vita.

Ebbene anche gli ebrei si portavano dietro dovunque andavano un’arca, detta “arca dell’alleanza”, in cui erano collocati oggetti che definivano la loro storia con Dio: la manna del deserto, le tavole della Legge,  qualche pietra significativa della loro storia, il bastone di Mosè …

L’arca era il segno della presenza concreta di Dio nella loro vita: Dio si era fatto incontrare in momenti precisi della loro storia e aveva lasciato dei segni, che dovevano parlare a tutti quelli che avrebbero fatto parte del popolo di Israele.

Oggi che è la festa dell’Assunta, quel cammino deciso di Maria attraverso la montagna ci richiama proprio l’arca dell’alleanza: Maria è simbolo dell’Arca proprio perché portava dentro di sé la presenza di Dio, tanto da esserne madre; era già stato concepito Gesù e lo portava con se: nella sua carne era carica di un dono concreto di Dio, sperimentabile, vivo: Gesù Cristo, il patto tra Dio e l’uomo fatto persona, la nuova alleanza fatta non più con sacrifici di animali, ma con il dono della vita stessa di Dio … e il punto di arrivo dell’arca degli ebrei era  Gerusalemme e sarà quella la meta in cui arriverà Gesù alla fine della vita assieme a sua madre Maria: a Gerusalemme, l’immagine del regno di Dio, del luogo dell’incontro con Dio … e Maria assunta fa l’ingresso nel cielo, come l’arca faceva l’ingresso in Gerusalemme.

A questo noi crediamo quando facciamo la festa dell’Assunta: la nostra fede ci dice che  il corpo di Maria non ha conosciuto la corruzione, ma è entrato dietro a suo Figlio nella gloria definitiva, che con la risurrezione di Gesù è garantita ad ogni persona che si affida a Dio.

Allora due verità vengono sottolineate:

  • La grandezza di Maria che ci apre a Dio, a Gesù, ci offre colui che ci svela il senso della vita, il punto di arrivo delle nostre aspirazioni, il Signore Gesù;
  • Il suo punto di arrivo che è la Gerusalemme celeste: oggi la contempliamo in questa gloria finale della sua esistenza.

Maria ci ha aperto la strada per arrivare a Dio per l’eternità: La processione è iniziata e ha già la testa nel cielo, la seguirà anche tutto il corpo, che siamo noi che siamo incamminati nella sua direzione.

15 Agosto 2020
+Domenico

Una storia d’amore garantita dal Signore

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 19,3-12)

Dopo una ricerca talora faticosa o drammatica, ma sempre bella, vissuta con alle spalle uno sguardo d’amore, si decide di sposarsi: gli sposi mobilitano direttamente il Creatore, toccano un nervo scoperto che fa aprire il cielo, sbalzano dal letto il buon Dio perché stanno incarnando di nuovo sulla terra il suo amore e lo stanno “colorando” del loro amore.

È massima cura di Dio questo amore che si promettono e che hanno costruito assieme: per questo l’amore del matrimonio deve e può essere un amore che non muore, perché ha la forza stessa di Dio.

Ecco perché Gesù nel Vangelo vuole richiamarci al principio, al progetto di Dio, al dono che ha fatto all’umanità e ha cura che sia bello: è stato collocato nella storia realizzata da Dio, come un dono speciale di vita umana e spazio di continuazione del dono della vita questo matrimonio.

In Italia ci stiamo accorgendo che abbiamo abbandonato troppo facilmente questo piano di Dio: oggi il matrimonio non è né migliore, né peggiore di una volta, ma può diventare ciò che veramente è, dono d’amore reciproco e fedele tra uomo e donna, riflesso in terra del mistero grande di Dio; però sapete cosa impressiona? però non tanto il numero di matrimoni che falliscono, ma la sfiducia che un matrimonio possa riuscire; ci si mette assieme “finché va”, poi ci si lascia quando non va più, e i limiti di ciascuno dei due non sono più luogo di accettazione e comunione, ma di rifiuto e di divisione.

La proposta di Gesù punta in alto: la relazione di coppia è rivelazione e partecipazione alla vita di Dio. Questo caratterizza tutto il periodo di preparazione per educarsi all’amore coniugale e cercare le condizioni concrete che lo favoriscono.

Questa è arte: non è un prodotto di serie, ma è qualcosa di artigianale, creativo, pieno di speranza e di apertura al dono dell’amore che solo Dio può dare.

Si potrà anche sbagliare, non esserne veramente all’altezza di un dono così bello e impegnativo, con il dono però della misericordia e del perdono di Dio, bisogna fare del male il luogo di conoscenza ed esperienza più profonda di Dio.

Ogni persona che ama, sa di poter contare sul perdono reciproco, che nasce dal perdono di Dio.

Ricordiamo oggi San Massimiliano Kolbe, che ha offerto la sua vita in campo di concentramento ad Auschwitz in cambio di quella di un papà, che così poteva ritornare alla vita matrimoniale con la sua sposa e i sui figli, regalandogli la perennità e la continuità del matrimonio.

14 Agosto 2020
+Domenico

Perdono è farsi incrociare dallo sguardo di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-19,1)

«Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? ”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.»

Audio della riflessione

Pietro domanda un giorno a Gesù quante volte deve perdonare … si perdona sempre, perché abbiamo sempre bisogno noi di perdono.

Avere bisogno di perdono significa essere consapevoli di aver tradito un amore smisurato e sentirsi addosso insistente una continua proposta d’amore che ogni giorno rimette in discussione la nostra vita.

Bisogno di perdono è constatazione di tradimento, dopo insistite promesse di fedeltà e patti di amicizia; bisogno di perdono è percezione di una inconsistenza esistenziale, dovuta alla sperimentazione di questa una assurda autosufficienza che abbiamo – basto a me stesso – che ha disarticolato il  nostro senso del limite, il sentirsi creature, e aprirsi a Dio che solo può riempire la nostra vita vuota; bisogno di perdono è consapevolezza che il male profondo che è il peccato non possiamo guarirlo da noi, non abbiamo la capacità di ricucire le nostre ferite: è solo Dio che lo può fare.

L’accoglienza del perdono è un atto di contemplazione, prima che la constatazione di un rimorso o di un pentimento: è incrociare lo sguardo di Gesù sulla nostra vita, è immergersi nel suo stato d’animo, nella sua innocenza assoluta, nella sua tenerezza; non è guardarci addosso per dire quanto siamo sbagliati, per aver vergogna di quello che siamo, per disprezzarci e registrare un altro smacco, un altro venir meno ai nostri impegni, un altro “non son capace di fare niente”.

Il bisogno del perdono cristiano non è “godere” di essere indegni, non è nemmeno dispiacersi di non aver avuto coerenza, ma è prima di tutto contemplazione di un amore, è capacità di lasciarci guardare con amore, è avere negli occhi lo sguardo di Gesù, risentire nel cuore il calore della sua amicizia, scomparire per far brillare la sua grazia.

Il centro è Lui, non il nostro smacco o la nostra umiliazione.

Spesso siamo più dispiaciuti di non essere stati all’altezza del nostro compito che di aver offeso Gesù: è Lui che dobbiamo mettere al centro, è Lui che dobbiamo contemplare in tutti i suoi gesti umanissimi di amore.

Abbiamo bisogno di trovare Grazia presso Dio, come l’ha trovata Maria, di essere immersi in un mare di gratuità, in una pienezza del tempo, in quel vortice della storia della salvezza che Dio ha sempre pensato per l’uomo, da quando ha deciso di rischiare sulla nostra libertà.

Abbiamo usato la libertà per vivere da schiavi; diventare figli non è più opera nostra; è solo per la pienezza del perdono di Dio, che non ci abbandona mai però.

Il peccatore della parabola, che non sa perdonare un suo debitore, mentre lui è stato perdonato da Dio alla grande non sa proprio che cosa significa essere perdonati: ha fatto una veglia penitenziale, ha giocato, e ritorna ad essere nel suo peccato.

13 Agosto 2020
+Domenico

Il cristiano non viva le fede da single

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 15-20)

«In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Audio della riflessione

Essere cristiani non è mai stata una esperienza da single. E’ importante la coscienza personale, la libertà di decisione. Sei tu che sei chiamato non il tuo gruppo o la tua famiglia.

E’ verissimo che occorre partire sempre dalla propria libertà personale: sono finiti i tempi in cui si diventava cristiani perché lo erano tutti quelli del nostro ambiente, paese, città, famiglia, anche se la cultura ha il suo influsso sempre, e così le tradizioni … ma quello che è assolutamente sempre vero è che la fede non è un fatto privato, non si chiude nella coscienza, non si isola dal mondo.

Non si può essere cristiani senza creare relazioni positive con gli altri, non si può amare Dio se non si ama  il prossimo: essere credenti in Cristo esige aprire la propria vita a una relazione di bontà con gli altri.

Proprio perché la fede è un atto d’amore e l’amore è vero se non termina su se stesso, ma si apre all’altro.

Ecco allora i tanti insegnamenti del vangelo sulla necessità dell’amore a Dio e al prossimo contestualmente, del vivere uniti per chiamare nell’esistenza la presenza di Dio.

“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome lì ci sono io.”

Ci si domanda spesso, dove sta Dio? Ci aiuta? È a noi vicino?

Il modo più sicuro per sperimentare la sua presenza è stare assieme nel suo nome e lì c’è Lui: le nostre comunità cristiane allora diventano palestre di comunione, anche se è la comunione più impossibile perché ci stiamo tutti noi con le nostre divergenze, i nostri difetti, le visioni opposte di vita, le condizioni contrastanti … eppure Dio fa il miracolo di tenerci assieme, come ha tenuto assieme gli apostoli, i primi cristiani, popoli barbari e civili, potenti e deboli, schiavi e liberi.

Spesso la nostra testimonianza non è compresa dal mondo perché viviamo disuniti, perché non siamo capaci di mostrare il dono dell’unità: se non siamo capaci di stare uniti nel suo nome, lui non c’è, non può starci, è contrario al suo stesso essere; siamo noi che lo buttiamo fuori.

Come è bello che i fratelli vivano assieme diceva il salmo, è un unguento sulle nostre ferite, un balsamo per la nostra cattiveria, una speranza per le innumerevoli solitudini, una certezza della sua presenza tra noi.

Se vi amerete a vicenda allora io sarò in mezzo a voi e loro crederanno a me perché li amate.

12 Agosto 2020
+Domenico