San Barnaba: una missione gratuita e urgente

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 7-15)

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Le nostre giornate spesso sono popolate di messaggi di dolore: le disgrazie fanno subito il giro del vicinato, degli amici, sono proposte con maggior larghezza dai giornali … sembra ci sia una sorta di soddisfazione per dirci il dolore e la tragedia, molto meno per darci notizie belle.  

Per le strade della Palestina invece Gesù voleva che corressero notizie belle, soprattutto la buona notizia, il Vangelo: la speranza per tutti, la certezza che Dio si interessa degli uomini e che è disposto a tutto l’amore possibile per ridare all’uomo la serenità e la fiducia nella vita.

Li mandò a due a due senza altra preoccupazione che di dire, di parlare, di testimoniare, di far capire che nella vita Lui è la svolta necessaria per un mondo nuovo e che ogni uomo è messo in condizioni di dare sapore all’esistenza e di offrire speranza per tutti. 

Siamo tutti un dono di Dio all’umanità, e non soltanto a noi stessi: abbiamo carica di amore sufficiente a salvare il mondo, invece pensiamo di farne calcoli, egoismi, interessi privati.

Siamo sale che dà gusto, ma spesso lo perdiamo anche per noi!

Quello che abbiamo è tutto ricevuto: anche là dove ti sembra di avercela sempre messa tutta, dove ti pare di avere fatto miracoli, devi sapere che è Dio che sta alla sorgente di tutto: è Lui che ti ha dato un cuore, una bocca, una vita da mettere a disposizione.

Abbiamo avuto gratis e non possiamo offrire a pagamento, e il pagamento è di vario genere: può essere togliere la libertà di decisione, come fanno tanti genitori nei confronti della scelta definitiva dei loro figli; può essere una strumentalizzazione ai nostri interessi fatta con i guanti bianchi; può essere un ricatto affettivo … è sicuramente la nostra pretesa di giudicare le persone, di condannare, di crederci migliori.

Gesù inviò i suoi discepoli per le strade della Palestina per seminare speranza, per dare coraggio a chi soffriva.

E’ ancora la nostra vocazione di cristiani per le strade del mondo di oggi, nelle nuove e vecchie povertà, nel desiderio di spiritualità e di Vangelo che molti uomini esprimono, nel disorientamento di tanti giovani di fronte ai valori della vita: tocca a noi offrire il vangelo per il Regno, per dire a tutti che Dio non ci abbandona mai. 

Barnaba – oggi è la festa di San Barnaba – a questo servizio si è donato: ha accompagnato gli apostoli nel loro cammino di evangelizzazione, ha fatto da mediatore fra la cultura ebraica e quella ellenistica, si è dedicato radicalmente al Vangelo, alla buona notizia, alla speranza per tutti, alla bontà senza misura, a tempo pieno; si è accompagnato agli intimi del Vangelo, si è buttato nell’ascolto, nel confronto, nell’immedesimazione di una comunità decisa, radicata, compatta.

Per lui era la comunità cristiana che faceva i primi passi, per noi è la comunità cristiana talvolta stanca, spesso spenta, che deve ogni giorno di più ricostruirsi su una adesione generosa a Cristo, senza condizioni. 

Il suo mondo era quello allora conosciuto: non si è fermato – Barnaba – a Gerusalemme, ma è partito facendo da spalla, da compagno, da sostegno, diventando “corresponsabile del Vangelo”.

11 Giugno 2020
+Domenico
 

Il comandamento è segno e veicolo della volontà di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 17-19)

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Prima o poi anche il cristiano più distratto si fa delle domande della serie: “da dove viene la religione che io vivo? Che storia ha alle spalle? Chi è questo Gesù? E’ un fiore improvviso nato al mondo così forte da aver cambiato la mentalità del mondo? Che storia ha alle spalle la religione che mi hanno trasmesso i miei genitori o che io  mi sono scelto?” E veniamo a sapere che Gesù è nato nella “pienezza dei tempi”: la fede cattolica ce lo ha sempre presentato come un  grande, è il figlio di Dio, che ha tentato di intervenire sul suo popolo, perché il modo di incontrarsi con Dio del suo popolo era stato tradito.

Occorreva mettere un poco più di ordine e di verità nella fede del popolo di Israele, a partire dalla riscoperta di un Dio che parla, e che bisogna ascoltare, di una fede che opera un grande cambiamento nella persona, soprattutto di una grande novità.

Quella Parola che Dio aveva continuamente aiutato il popolo a trovare la strada vera della vita, si era fatta carne, aveva cioè sconvolto i piani asfittici dell’umanità che però con le sue grandi infedeltà non lo aveva accolto.

Gesù si presenta come suprema novità:non abolisce niente della vecchia Torah, della vecchia legge, ma ne impone un diverso modo sia di esprimerla che di completarla.  

Ecco allora il Primo testamento che ha bisogno di entrare nel secondo testamento: l‘ebreo medio  è da Gesù invitato a fare una conversione a U, a riscrivere alla luce della figura di Gesù le stesse domande del primo Testamento, a mantenere rispetto e sana continuità tra le generazioni.

Gesù ha fatto piazza pulita di tante minuziose prescrizioni o proibizioni, che avevano imbarbarito la torah – la legge – ed erano opera di tradizioni contorte su se stesse. Il rispetto però del primo testamento, che varrebbe la pena di non  chiamare antico, quasi che si debba cancellare e non averne un necessario ascolto – dicevo – la prima cosa che varrebbe la pena di tenere, ci viene richiesta proprio da Gesù: è una continuità nella novità che Gesù ci invita a mantenere e a ravvivare.

Così è del rispetto di tutte le leggi e le norme proposte dai testi sacri.

In un mondo che punta sempre sulla spontaneità è importante dare un posto doveroso alla legge, al comandamento; per Gesù l’oggetto non sono le leggi, ma la volontà del Padre: è il piano di Dio da realizzare, il ritorno  alla perfezione dell’amore che lui ci ha proposto.     

Del resto seguire delle norme vuol dire avere un presidio di libertà, di comunione, di costruzione della propria identità personale: ci permettono di non essere vittima delle nostre pulsioni e di progettare percorsi di crescita e di collaborazione e corresponsabilità ecclesiale. 

Ci permette anche di capire che l’Eucaristia è un modello e una forza di questa dedizione e di questa comunione. 

Un arbitro in una partita ci vuole: se non c’è nessun arbitro e non ci sono le regole, come si fa a giocare?

10 Giugno 2020
+Domenico

Sei sempre sale e luce, perché sei una persona

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 13-16)

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Gesù dice:” Siete voi il sale della terra, siete voi la luce del mondo”.

Uno si guarda allo specchio, mentre si fa la barba o si aggiusta i capelli, quelli che ha, e fa subito una riflessione: “che luce e che sale posso essere io?”. 

Essere persone, uomini o donne nel mondo oggi che cosa significa? Ce lo domandiamo spesso di fronte a tante possibili scelte, a tante proposte religiose, a tanti venditori di ricette per la vita felice, a tante tentazioni di ridurci al nostro classico tran tran della vita quotidiana. 

Ci sono magari state aperte tante strade, molti amici hanno trovato la propria, altri si sono già scoraggiati, sono tornati indietro, ma non più al punto di partenza, perché la vita passa inesorabilmente. 

Il Vangelo risponde con molta concretezza e semplicità: essere persone significa essere sale, essere in grado di dare sapore alla vita; sì perché non puoi viverla senza emozioni, senza entusiasmi, senza rischi o senza sforzi, come un pacco postale che ha già scritta la destinazione: la vita ha bisogno di slancio, di mete da conquistare, di apertura al nuovo, all’altro che incontri, ha bisogno sempre di trovare sapore; spesso diciamo anche di noi che siamo senza grinta, senza dedizione, senza mordente.  

Essere persone significa anche essere luce: essere in grado di offrire qualche indicazione, essere una freccia, un dito puntato verso una meta, una certezza là dove non si capisce più niente, dove non si sa che cosa fare, da che parte andare.

Vuol dire che nella vita spesso si condensano tenebre, circoli viziosi, disorientamento, cecità, e di fronte a tutto questo ho a disposizione qualcosa o qualcuno che mi dà un dritta. 

Dio ha dato ad ogni uomo, ad ogni donna la possibilità di essere sale e luce, di dare sapore alla vita di tutti e di essere compagno di strada.

Sale e luce  hanno una pretesa: di non chiudersi su di sé; il sale da solo non ha in se stesso la ragione del suo essere, deve salare un cibo. la luce non la metti sotto il letto, se vuoi illuminare la casa. 

Eppure abbiamo ridotto il cristianesimo a bonsai, il Vangelo l’abbiamo ridotto a galateo: ci chiudiamo nel nostro piccolo mondo, ci nascondiamo dietro un dito, seppelliamo il raggio della nostra vita nella nostra comodità o solitudine. 

I tuoi compagni di lavoro conoscono i tuoi lati buoni e spero ti stiano intorno proprio perché hanno bisogno della tua luce: sanno che hai un po’ di fede. 

Se c’è una carognata da dire contro Dio, la cristianità, i preti, il papa non te la risparmiano; se hanno barzellette sporche da raccontare, le vanno a dire agli altri; ma se hanno un dolore insopportabile o una gioia incontenibile la vengono a raccontare proprio a te

E tu che fai? Ti tieni il sale? Metti la luce sotto un coperchio? O ti metti a disposizione con semplicità perché per tutti quelli che incontri sorga un giorno migliore? Leggano sul tuo volto la gioia di riconquistarti alla vita. 

Se poi, vivi in maniera convinta la tua fede cristiana, prova a vedere se non è necessario dire una parola che motiva un atto di solidarietà, di mutuo soccorso, se non è necessario offrire una pagina di Vangelo che ti ha aiutato a costruirti una vita degna di essere vissuta, anche se sempre troppo tribolata. 

9 Giugno 2020
+Domenico

Il comando dell’Ascensione: andate

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)

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Mi piace pensare alla vita come a un grande pendolo che oscilla e che sposta i nostri sentimenti, le nostre tensioni ora su una prospettiva ora nussun’altra.

È il caso del nostro vivere sociale: s’è spostato per tanti anni su idee di universalismo, ora sembra che invece conti di più il particolare, quello che è nostro, che possiamo godere, che ci dà sicurezza, che ci dà identità, insomma un contorno che ci permette di riconoscerci tra noi, di godere delle nostre tradizioni, di non sentirci espropriati delle nostre radici; insomma, dall’universalismo, dal sentirci cittadini del mondo ad essere soprattutto e solo italiani. 

Forse si stava fissando troppo su questa ricerca di sicurezza anche il pendolo della vita degli Apostoli: dopo lo sconquasso crudele degli avvenimenti della passione e morte di Gesù, dopo la insperata e ritrovata felicità di vederselo vivo risorto, a ritemprare forze e stimolare volontà, si erano un po assopiti fra di loro.

Era stata di nuovo ricomposta la piccola comunità: certo, tutto non era più come prima, ma la tentazione di riportare il messaggio di Gesù al livello del “tamponamento consolatorio” della vita di ciascuno era forte.

La tentazione di farsi dei muri protettivi contro le persecuzioni, ma soprattutto contro nuovi ingressi nella comunità cristiana di tanti pagani che ponevano sicuramente dei problemi ai giudei che si erano fatti o diventavano cristiani. 

Si farà addirittura un concilio per vedere se i pagani dovevano prima diventare ebrei con la circoncisione e solo dopo ricevere il battesimo per essere cristiani, e lo Spirito Santo li aiutò a decidere per il battesimo soltanto.  

E Gesù interviene e dà un’altra oscillazione al pendolo, una oscillazione definitiva: “Andate in tutto il mondo, è là che mi troverete d’ora in avanti, non qui. Il mio messaggio, la mia vita, la mia forza è nelle vostre mani e va spesa nelle strade del mondo. Il mio compito su voi, di tenervi uniti, assieme, è finito. Io sono con voi per sempre, tutti i giorni fino alla fine del mondo e in tutti i posti del mondo.” 

Non li abbandonava, ma dava loro appuntamento fuori del guscio delle piccole appartenenze, dei piccoli equilibri di coscienza, delle fragili identità da bonsai. 

La piazza del Vangelo è il mondo invece, le strade dell’uomo sono le direzioni, tutta la sete di amore, di pace, di verità è invito per tutti a cercare nuovi orizzonti e i cristiani li debbono loro mettere a disposizione con la fede in Gesù. 

Tutte le sofferenze sono indicazioni di rotta. La fede non è un bene da seppellire nella vita come una moneta preziosa. 

Fra un poco dovrai tornare a scavare, ma non la troverai più, non sarà più fede, ma ideologia, potere, comodità, egoismo, archeologia, museo, muffa.

La fede si fortifica e cresce solo se la doni

Gli apostoli sono partiti tutti, noi invece ci siamo spesso seduti, la pandemia ci serve ancora di più da scusa.

Sappiamo però che la fede non è fatta solo di prediche e di Messe, ma oggi soprattutto deve far sperimentare la presenza di Dio soccorrendo, con ciò che è possibile fare, il nostro prossimo, i malati, la solitudine degli anziani, allargando a tutti la nostra limitata esperienza di chiesa e di parrocchia con la preghiera e la vicinanza morale, un colpo di telefono, una fotografia che aiuti a non spegnere mai la speranza. 

Siamo chiamati a uscire anche noi, pur restando in casa, come ci si dice nel rispetto delle raccomandazioni contro il Covid.

24 Maggio 2020
+Domenico

La vostra afflizione si cambierà in gioia

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 16-20)

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La chiesa universale e il santo Padre oggi celebra probabilmente l’Ascensione, noi invece italiani e romani pur avendo come vescovo e primate il papa, per decisioni prese in accordo con lo stato italiano abbiamo spostato la festa dell’Ascensione alla domenica prossima. 

L’esperienza di essere spesso lasciati soli nel nostro rischioso mestiere di vivere la proviamo ogni tanto nella nostra esistenza: l’abbiamo sofferta nei passaggi difficili dall’essere ragazzi spensierati all’adolescenza turbolenta in cui non sapevamo chi eravamo e soprattutto chi volevamo essere, abbiamo sperimentato dalla giovinezza alle scelte che ci imponeva la vocazione che ci sentivamo dentro scritta anche nella nostra carne per diventare adulti, dall’essere adulto operativo al pensionamento, a questa età della famosa “scrematura facile” …  

Talvolta però la solitudine che forse ci pesava di più è stata quella della fede: infatti alle volte, nelle storie spirituali di ogni cristiano, ci sono dei momenti di dubbio, dell’oscurità dello spirito, di notte, di silenzio di Dio.

La fede ci dice che egli è vicinissimo, ma non riusciamo a cogliere i segni della sua presenza, né fuori, né dentro di noi: questi momenti talora sono vissuti anche a livello di comunità e di umanità, complice la secolarizzazione, che ha da sempre con strafottenza predicato l’inutilità di riferirsi al Signore, oppure l’eclissi del sacro predicata e provocata ad arte da molti, la cosiddetta “morte di Dio”.  

La pandemia può anche essere uno di questi momenti, ma sono proprio questi fatti più grandi di noi in cui si può avverare una riscoperta purificata di Dio, non legata ai segni che ci vengono da sentimenti psicologici o a cultura diffusa o civiltà, ma a quelli di una visione che ha la penetrazione e l’acutezza della fede, e che sono sempre doni di Dio, non mete razionali dell’uomo. 

La presenza del Signore Gesù è essenziale nella vita della Chiesa: quando viveva in Palestina la sua presenza era fisica e visibile, e con la Pasqua e l’Ascensione è diventata una presenza spirituale, profonda e universale, non meno vera ed efficace di quella fisica.

E’ una presenza che si riconosce solo nella fede, testimoniata da cristiani, convinti di questa nuova visione della vita da far circolare tra tutte le persone. 

I segni della sua presenza ce li mostrano i testimoni dell’amore alla vita, dell’amore fino al dono di essa, della fedeltà alla nostra dignità umana, dell’adorazione a nessun altro dio che al Signore e Dio Padre di Gesù.

E dove ci sono due riuniti nel mio nome Io vi garantisco la mia presenza, senza se e senza ma.

La sua Parola ce ne garantisce la verità e l’Eucaristia ce ne indica la strada. 

21 Maggio 2020
+Domenico

San Giuseppe Lavoratore: primo maggio, festa del lavoro

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 54-58)

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Primo Maggio, festa del lavoro, inizio del mese della Madonna: ricordiamo San Giuseppe.

Da buoni cittadini italiani, non vogliamo nella nostra esperienza ecclesiale snobbare una festa civile: oggi è festa del  lavoro, e da sempre in questa giornata la Chiesa ha voluto fare memoria – nella Messa – dell’esperienza semplice, quotidiana, faticosa di un lavoro con cui Gesù si è misurato, necessario per vivere concretamente la vita dell’umanità, una incarnazione vera. 

Aveva imparato a guadagnarsi da vivere da san Giuseppe, se i Vangeli lo ricordano come il figlio del carpentiere: da ragazzo non giocava soltanto, non viveva facendo passerotti di creta da far volare miracolosamente, come dicono alcuni Vangeli apocrifi. 

Gesù torna nella sua patria, dove era cresciuto, dove era stato per trent’anni, dove aveva fatto il falegname; Gesù aveva imparato ad affrontare il rischioso mestiere di vivere che tocca ad ogni uomo e donna: la fatica, la quotidianità, la ripetitività, le relazioni, le scoperte, le incomprensioni; insomma tutto ciò che avviene in un paese e che avviene in ogni paese, l’ha vissuto pure lui: ha vissuto quelle cose che noi cerchiamo di schivare, o per lo meno non apprezziamo, perché non hanno  significato, e sono la quotidianità.

Importantissimi quei trent’anni invece! Ed entra nella sinagoga, dove ha imparato a leggere, a scrivere, ha imparato la Parola di Dio, è cresciuto, dove ha tutti i suoi ricordi, i suoi compagni, e la gente rimane stupita e alla fine lo rifiuta.  

Noi diciamo spesso “gli oscuri anni di Nazareth”, anche perché nei confronti di Gesù abbiamo ancora la stessa mentalità dei suoi compaesani: anche noi non capiamo perché Gesù ha vissuto la maggior parte della sua esistenza, in un paese anonimo, in un’esistenza incolore, con millenni di attesa, secoli di preparazione e arriva il Messia, e per trent’anni: niente. Non fa, non dice nulla che non sia “strettamente normale”. 

Quando il vangelo ci dice che lui è il figlio del carpentiere, ci fa capire che era subentrato nel lavoro del padre; non è un lavoro qualificato: aggiustava gli attrezzi, gli utensili da lavoro, costruiva pezzi che potevano rimettere a posto mobili disfatti; viveva – insomma – lavorando per altri.

Gli “oscuri anni di Nazareth”, sono una rivelazione del modo con cui Dio si inserisce nel nostro quotidiano e lo vive in un modo diverso: dà un grande significato positivo, profondo al lavoro quotidiano; il lavoro è il cantiere allora del Regno di Dio: è in esso che la persona si “allena”, si forma al senso della vita, della collaborazione, della solidarietà, della concretezza, dell’approfondimento della sua umanità, della sua dignità.

Quanto siamo ingiusti se lasciamo la gente senza lavoro: le viene a mancare, oltre che la possibilità di vivere, la stessa dignità umana.

Oggi che l’epidemia forse sta mollando la presa, ci lascia un grande impegno per tutti e per le istituzioni: ridare e offrire un lavoro dignitoso per tutti. 

E’ un compito che ci deve vedere impegnati tutti, da persone e da cristiani. 

1 Maggio 2020
+Domenico

Io non vi mollo, ma voi mettete fuoco nella vita del mondo

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 11,28-30) dal Vangelo del giorno (Mt 11, 25-30)

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero»

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La fatica della vita spesso è tanta e non ne vedi un sollievo: la casa, i figli, il lavoro, lo studio, le avversità, le incomprensioni, le sventure e quando ti sembra che tutto fili liscio, la malattia o la morte, un’epidemia e lo stravolgimento della vita quotidiana.

Altre volte invece c’è serenità, gioia, comprensione, collaborazione, intesa, amore; purtroppo sembrano più frequenti le sfortune che le fortune.  

I discepoli di Gesù da un po’ di tempo stanno con lui e cominciano a sentire la dolcezza della sua persona, ma anche l’arditezza dell’impegno che Gesù loro chiede, e si avventurano da soli per le strade della Palestina a predicare, a preparare la via a Gesù: tornano stanchi e desiderosi di parlare, di confidarsi, di confrontarsi con Lui, di sentire il suo sostegno.

Il Vangelo è così difficile da annunciare? Perché incontriamo tanti ostacoli? Non stiamo parlando e offrendo pace e serenità, vita bella e amore di Dio? Perché troviamo persecuzioni e molestie?

Il male viene sconfitto, ma il mistero del male non vuol cedere e scatena nell’uomo tutte le reazioni possibili.

La vita è una lotta continua: il male non vince il bene perché Gesù lo ha già sconfitto, ma  vincere le resistenze del cuore è una scelta di libertà che parte dalla convinzione della persona; e Gesù si pone come “interlocutore” della fatica del vivere e della lotta contro il male: Lui è forza e balsamo, ristoro e serenità, fiducia e consolazione.

“Se avete qualcosa che vi pesa nella vita Io vi aiuto a portarla, non vi lascio soli, non vi lancio appelli, non vi faccio una videoconferenza dal cielo, ma sto con voi; non vi seguo dall’esterno dei problemi e della vita, ma mi accompagno ai vostri passi. Vedrete poi che il mio giogo è lieve e la vita cristiana una fontana di luce e di gioia: se siete stanchi passate da qui, Io non ho altro che accogliervi e farvi dimorare con me. Anch’io mi sento sempre accolto dalle braccia forti e sicure, amorevoli e rappacificatrici del Padre mio; star dietro a me può sembrare difficile, ma questa è la strada della felicità; le difficoltà le semina nel vostro cuore il principe del male, vi ho dimostrato che lo posso vincere: fidatevi di me! Mitezza, umiltà, semplicità, povertà, la stessa vostra debolezza sono titoli di assoluta presenza mia nelle vostre esistenze.”  

Oggi è la festa di santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e dell’Europa, e non posso non ricordare quel grido che san Giovanni Paolo II lanciò 20 anni fa, alla conclusione della GMG del 2000 a Tor Vergata, citando proprio santa Caterina. “il Papa vi accompagna – diceva – con affetto” e, parafrasando un’espressione di Santa Caterina da Siena, vi dice: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!” 

Non si riferiva certo agli incendi dei boschi, ma a quel fuoco che ogni cristiano deve avere dentro ed essere capace di appiccare in tutto il mondo. 

29 Aprile 2020
+Domenico

Dove si proclama la verità, c’è sempre la menzogna

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 28, 8-15)

Sulla tomba di Gesù, prima della Pasqua, tutto era stato meticolosamente disposto dai sacerdoti del tempio: sigilli alla tomba, che purtroppo per loro era “diversa” dalla fossa comune, e soprattutto guardia, a prova di furto.

Racconta poi Matteo che, all’alba di Pasqua, mentre le donne si stavano recando al sepolcro, «vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve.» (Mt 28,2-3)

E qui Matteo descrive quanto è occorso alle guardie: «Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite.» (Mt 28,4)

Dunque, le guardie hanno visto l’angelo scendere dal cielo, lo hanno visto rotolare la pietra, assicurata dai capi del popolo, e sedervi sopra; hanno tremato tramortite, forse non sono riuscite a cogliere le parole dell’angelo alle donne, ma hanno di certo visto l’evento eccezionale che fugava ogni possibilità di furto del corpo di Gesù da parte dei discepoli.  

E questo lo hanno annunciato ai sommi sacerdoti!

Un annuncio dunque è giunto anche a loro, ma i “preti” del Tempio, che lo avevano fatto uccidere, avevano il cuore indurito, come quello del faraone. e un cuore indurito può soltanto partorire la menzogna già architettata: non avevano creduto alle parole di Gesù circa la sua identità, lo avevano creduto un impostore quando annunciava la sua risurrezione, ed era menzogna.  

Ed essa, come sempre, ha bisogno di altra menzogna per legittimarsi come verità: così, pur di fronte all’evidenza del fatto annunciato loro dalle guardie, la loro unica preoccupazione è quella di far tacere sul nascere la verità.  

Il dubbio non li sfiora neppure, anzi, credono alle guardie, credono che un angelo abbia rotolato la pietra; sono stati i primi a credere alla risurrezione, proprio loro che avevano giurato di seppellire Gesù definitivamente, di cancellarlo dalla vita degli uomini; ma, schiavi della propria carne e del progetto demoniaco che li aveva afferrati, decidono di realizzare questo progetto sino in fondo, dando corpo alla menzogna che avevano già insinuato a Pilato, e per realizzare il piano, corrompono con denaro le guardie, strangolando la verità nella cupidigia; non solo, si impegnano e si fanno carico di persuadere il governatore che le cose erano andate proprio come essi avevano inventato, facendosi missionari della menzogna.

Accanto alla Verità, infatti, appare sempre la menzogna.  

Non a caso Gesù è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità, come la Chiesa è stata costituita perché sia fedele annunciatrice e testimone della Verità.

Perché la testimonianza sia credibile e perché ogni uomo possa essere davvero libero nell’accoglierla o nel rifiutarla, è necessaria la menzogna: per la fede non c’è mai nessuna evidenza, c’è sempre una libertà di accogliere o rifiutare il grande amore di Dio, che vogliamo sempre augurare e impetrare per i nostri malati di epidemia. 

Che ci sia una Pasqua, un passaggio dalla malattia alla guarigione, dalla paura alla gioia, dall’isolamento da tutti gli affetti, alla propria famiglia!

Signore deve essere Pasqua per tutti, ti implora la tua Chiesa!

Maria intercedi, sei sempre la nostra mamma. 

13 Aprile 2020
+Domenico

Silenzio, desolazione, sconforto, fino all’alba più bella di tutte

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 28,1-10 )

Oggi c’è silenzio grande in tutte le chiese.

Ieri non abbiamo celebrato l’eucarestia perché abbiamo fatto memoria e adorato Gesù Cristo nella sua morte; oggi, sabato, gli apostoli si sono rifugiati nel cenacolo: la loro disperazione si taglia a fette, ribolle in loro la fuga che hanno fatto miseramente dal Calvario, l’abbandono del maestro, la sconfitta senza speranza.

Stanno pensando come fare i funerali, come portarsi al luogo della sepoltura, che pensavano doveva essere la fossa comune dei delinquenti, intoccabile, ignominiosa: dentro si sarebbe sepolta ogni traccia del suo assassinio, della sua morte, della sua condanna.

Solo le donne sapevano dove invece lo avevano sepolto, e avevano predisposto tutto per imbalsamarlo: erano “vecchie del mestiere” le vestali della morte, tocca sempre a loro, alle donne, riportarsi in grembo quel figlio dell’uomo che con tanto amore e cura hanno allevato, fatto crescere, accompagnato.

Scompaiono per un po’ dalla sua vita, ma quando te lo ammazzano, sono ancora loro che rientrano in campo per consegnarlo alla terra.

Questa è la storia di ogni uomo: le donne della piazza di Maggio in Argentina non si sono mai date pace, sono sempre state in attesa di poter consegnare alla terra, almeno nel loro cuore, i figli, i nipoti strappati e scomparsi. 

Il Sabato Santo è il giorno del silenzio, della riflessione, del nostro esame di coscienza e diventerà per tutti il giorno della più grande attesa. 

Ebbene, è un grido solo quello che si ode per i vicoli di Gerusalemme quel giorno dopo il Grande Sabato: hanno portato via il Signore.

Il potere s’è fatto furbo: i funerali sono spesso più pericolosi dell’assassinio; i conti però non tornano: Pilato aveva fatto mettere delle guardie perché non inventassero sublimazioni pericolose, o mitizzazioni deleterie, tormentoni infiniti.

Ma il corpo là non c’è più!

Non solo sono le donne che lo dicono: c’è la “visita ufficiale” diremmo del Papa, di Pietro, che constata l’assenza del cadavere; c’è una deposizione un po’ ridicola presso i carabinieri: ci siamo addormentati ed è venuto qualcuno a portarcelo via.

Ma se dormivate, come fate a dire che qualcuno l’ha portato via?

Sì, perché tu avresti qualche altra soluzione? Dai, lasciaci firmare, per il servizio fatto, che torniamo in caserma: a quello gli ho squarciato il petto io e non ci potrà più nuocere, in giro per Gerusalemme non ne vedremo più nemmeno l’ombra.”  

Invece Lui, Gesù, si fa incontrare vivo: Lo incontrano le donne, lo vede Pietro, lo ascoltano di nuovo tutti gli amici.

È lui, è Gesù, è ancora con noi: è una vita piena.

Non è vero che ce ne dobbiamo ritornare a vivere come prima: Lui alla morte ha riso in faccia, il Padre non lo ha abbandonato, è vero quello che ci aveva detto! 

Ma allora la nostra vita cambia: il nostro dolore ha un senso, non siamo a un eterno ritorno, non viviamo sotto un cieco destino!

Chi consuma la vita nell’amore la continua piena, nuova, definitiva. 

Per la nostra povera umanità italiana e mondiale oggi è ancora un Sabato Santo di attesa, di angoscia, per la vita fisica in grande fragilità; è ancora più fragile per molte famiglie: è un attesa di pace, di prospettiva di ricostruirci una vita serena. 

Supplichiamo Dio che ci faccia sperimentare risurrezione, rinascita, umanità nuova. 

11 Aprile 2020
+Domenico

E la luna piena ritorna: Domenica delle Palme

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt. 26, 14 – 27,66)

C’è una legge e un ritmo nel nostro vivere, nella vita del mondo, della natura, che riporta le cose a un infinito ritorno, a una infinita partenza.

Le stagioni si susseguono con maggiore o minore regolarità: ogni anno finisce l’inverno e torna la primavera, il sole torna alto nel cielo, le piante scoppiano di verde … la luna questa settimana tornerà piena nel cielo a illuminare la notte.

È … la stessa luna che ha illuminato quello sparuto gruppo di ebrei nell’orto degli ulivi, addormentati qua e là … sotto gli alberi, mentre la “soldataglia” stava preparando la sua sorpresa al Maestro, e la luna illuminava il Maestro in preghiera, ma anche la strada al traditore … il Suo volto angosciato … ma questa luna, però, non illuminava un eterno ritorno.  

Quella settimana era decisiva per l’umanità, per ciascuno di noi: il mondo non sarebbe stato più lo stesso … la natura avrebbe continuato a fare il suo corso, ma l’umanità non sarebbe stata più la stessa.

Un uomo sarebbe stato ammazzato, ma non ci sarebbe stata tomba alcuna capace di custodirlo cadavere!

Un processo si sarebbe celebrato, con tutti gli “aggiustamenti” che il potere riesce a mascherare, ma la coscienza dell’uomo ne sarebbe stata sconvolta per sempre: quel processo, da allora, viene ripetuto dallo Spirito in ciascuno di noi, per convincerci di “correità” con quella morte. 

Quella Domenica, dopo la luna piena di Marzo ci avrebbe continuamente richiamato l’evento definitivo della vita dell’uomo: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù di Nazareth, uomo, figlio di Dio, centro della storia e dell’universo.

“Settimana Santa”, la chiamiamo noi cristiani, e oggi, fuorché da noi, si inizia in tutto il mondo cattolico con una festosa piccola processione con in mano ramoscelli di ulivi.

Gli unici spensierati e felici sono i ragazzi, come lo sono stati spontanei, creativi e coinvolgenti al tempo di Gesù: volevano solo far festa, noi adulti invece eravamo già pronti a cambiare casacca e soprattutto a cambiare festa in vendetta, a cambiare “osanna” in “sia crocifisso”.

E’ una settimana ancora rischiarata da luna piena, in cui siamo chiamati a rivivere quegli eventi, almeno nelle nostre case, nei nostri spazi di quotidianità, a ricollocare le nostre vite e il nostro convivere su quello scenario.

Ci rivediamo in Giuda, con i nostri tradimenti; in Pilato, col nostro lavarcene le mani; con quella folla festante oggi e pilotata e assetata di sangue all’indomani; ci rivediamo in Pietro che non regge alla tentazione di nascondersi, che fa il “camaleonte”, e che piange disperatamente.

Stiamo a contemplare Lui, Gesù, carico delle nostre cattiverie e paure, ma con quello sguardo di forza e perdono, che apre la nostra vita a una speranza nuova

Ed è una speranza che supplichiamo il Signore di farcene regalo, quest’anno … in cui sembra che tutto sia in declino, sia ineluttabile, in cui sperimentiamo che scienza e tecnica non sono risolutive per tutti e per sempre, in cui scopriamo di essere una umanità che non si scoraggia però, che ce la mette tutta, e che ha speranza sempre nell’amore di Dio. 

5 Aprile 2020
+Domenico