Una folla immensa, ma di persone, non una massa

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 8,4-15)

Audio della riflessione

Credo che tutti noi,  uomini e donne, ragazzi e ragazze, giovani e giovanissimi qualche domanda su Dio ogni tanto ce la facciamo: si comincia da bambini con un po’ di curiosità, si continua da ragazzi con un po’ di diffidenza, si continua da giovani con pregiudizi e pretese, ci si riflette da adulti e ci si tormenta a intervalli e pause nella terza età.

Il Covid-19 forse ha accelerato le domande e non ha cercato vere risposte, perchè sempre in attesa della soluzione di tutto, che sta diventando il futuro vaccino.

Ma questo Dio esiste? Non esiste proprio! Ma se ci sei … batti un colpo!

Gesù nella sua vita è venuto proprio non solo a battere il colpo richiesto, ma a dirci pure le parole di Dio e a mostrarci il Suo Volto: sulla importanza della Parola di Dio non siamo all’anno zero, sempre ci è stato detto che Dio ha parlato agli uomini come ad amici, che c’è un dialogo vero, interessante, amorevole tra Dio e l’uomo, tant’è che nel Vangelo si dà ampio spazio alla sua Parola, e la Parola viene ad essere presentata come un seme, qualcosa di non statico, di vivo, che si sviluppa, si trasforma, cresce. E’ una realtà lasciata alla terra, alle persone, come un seme.

Dal terreno che presentiamo si può sviluppare la sua forza, può risplendere la sua verità, può attivarsi nella vita concreta di ogni persona. La Parola cade lungo la strada, sopra la pietra, in mezzo alle spine, dentro la terra quella buona. Se nei primi tre casi, sembra che Dio abbia sprecato la sua parola, alla fine invece il frutto viene.

Significa almeno che non ci si deve mai scoraggiare, sia perché il seminatore è prodigo, non risparmia, getta in abbondanza, e perché la risposta dell’umanità è sempre da Lui stesso aiutata a partecipare, ad aprirsi, ad ascoltare.

Luca insiste anche perché vuole che l’atteggiamento del seminatore, “uscire e gettare il seme”, debba essere quello della Chiesa: un invito e un incoraggiamento missionario ad operare tranquilli perché l’efficacia della Parola è garantita, se noi ci convertiamo ad essere terreno buono.

Questo annuncio del seminatore si conclude con un intervento importante di Gesù; dice il Vangelo “dicendo queste cose gridava”. Gli sta a cuore che la gente che lo circonda, che si è riunita attorno a lui, che si dimentica pure di mangiare, che gli ha fatto compassione profonda, non abbia un ascolto di striscio (come la Parola che cade  sulla strada), superficiale (cade sulla pietra), o affogato da mille preoccupazioni (quella che cade tra le spine), ma metta in atto ciò che la Parola di Dio sempre richiede: un ascolto fattivo.

Il grido di Gesù è sempre in rapporto a momenti decisivi. Qui c’è la Parola che, consegnata alla folla diventa questione di vita e di morte. C’è una folla immensa che lo segue e la fede non è mai un fatto di massa: Gesù vuole che la folla diventi popolo di Dio, fatto da persone libere e aperte agli altri, non vuole individui egoisti e chiusi in se stessi.

Noi ancora pensiamo che l’ascolto della Parola sia una sorta di devozione per i più pii, i più praticanti, una sorta di coronamento auspicabile; invece no, è assolutamente necessario – questa parola – ascoltarla e farla tutti.

19 Settembre 2020
+Domenico

L’attività missionaria di Gesù con i dodici e alcune donne

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 8,1-3)

Audio della Riflessione

Il dono della fede che Dio continuamente ci rinnova è sempre una realtà che esige una riflessione critica, come quando si affrontano letture di testi anche letterari che ci costringono a guardarci dentro, a pensare, a metterci in discussione.

La fede cristiana poi è basata moltissimo sulla Parola di Dio, su quella bellissima definizione di Dio che il Concilio ci ha aiutato a rendere quotidiana, perchè noi Dio lo possiamo pensare con tutta la nostra razionalità che vogliamo, molti filosofi si sono cimentati su “chi è questo Dio”, il Concilio ci dice che Dio è colui che ha deciso di parlare agli uomini  come ad amici.

C’è un dialogo allora, una parola che non ci può mai lasciare indifferenti, un uscire di Dio dal suo mistero per rapportarsi con noi, per farsi sentire, per definire se come  interlocutore di un dialogo di amicizia, non di terrore, nemmeno di irraggiungibilità e di astrattezza.

Dio ci parla e stabilisce con noi relazioni di amicizia.

I tre versetti di Vangelo di Luca di oggi sono una sorta di sommario sulla attività  missionaria di Gesù: ci dicono tre cose semplici che dovremo sempre approfondire.

Gesù fa una vita da itinerante per annunciare il Vangelo: viaggiava per città e villaggi annunciando la buona novella del regno di Dio e quindi diventa modello di quello che la Chiesa dovrà sempre vivere.

Il famoso “uscite” che continuamente papa Francesco ci ripete, non è niente altro che quanto Gesù ha vissuto. Gesù  setaccia tutto il territorio della sua Palestina per non lasciare nessuno senza la sua parola.

La sua intensa vita pubblica è tutta organizzata così. Va con la fretta di chi sente urgente cambiare modo di vivere, mettere forze a disposizione di un progetto nuovo di vita.

E’ come un cercatore di tesori, un intenditore di talenti che intuisce le grandi potenzialità degli uomini e le vuole stimolare a prendere posizione per il regno di Dio.

Il suo scopo è dare la notizia esplosiva che il regno di Dio è presente, è in atto, sta realizzandosi con lui.

Ancora, i dodici stanno con Lui: sono qualificati dallo stare in compagnia di Gesù, associati al suo stesso stile di vita e di attività; il loro stare con Gesù è la sorgente del loro annuncio, con esso aggregano attorno alla sua Parola e proprio per la loro testimonianza, Gesù arriva fino a noi e noi possiamo giungere fino a Lui. E’ una squadra assortita variamente, alcuni chiamati dagli stessi primi discepoli, altri direttamente da Gesù, tutti sicuramente entro un progetto di continuazione dell’opera di Gesù.

Con essi Gesù esprimerà tutta la sua pazienza nell’attendere le decisioni di seguirlo nel massimo della loro libertà e con loro sarà sempre franco e diretto, appassionato e dolce.

E da ultimo, le donne sono abilitate a seguirlo insieme agli apostoli, fatto molto importante per il tempo di Gesù. Le donne  allora non erano tenute in grande considerazione, invece Gesù se le associa al compito dell’annuncio: Maria Maddalena sarà addirittura la prima persona che annuncerà la risurrezione di Gesù.

Le donne si prendono cura del Signore Gesù: il Vangelo dice che alcune di esse sono state salvate dai demoni. Proprio perché perdonate sapranno perdonare; amate, sapranno amare. I loro nomi sono Maria di Magdala, Giovanna moglie di un amministratore dello stesso Erode, Susanna e molte altre.

18 Settembre 2020
+Domenico

A peccato grande, amore grande

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 7, 36-50)

Audio della Riflessione

Il male si annida dentro di noi, ci possiede e non ce ne accorgiamo. E Gesù chi mette in campo per stanare questo male infido che ci fa credere perfino di essere buoni e giusti? Una prostituta.

Chi si crede giusto e invita Gesù a pranzo ha un nome preciso, si chiama Simone e si mette pure a compatire Gesù, che secondo lui è troppo ingenuo e si lascia baciare alla grande i piedi da questa peccatrice. Poverino questo Gesù che tutti ritengono il giusto per eccellenza! Non sa che genere di donna gli occupa tutto il tempo di una cena, che lo tocca alla grande, in casa mia, pure! C’erano stati un’altra volta anche due figli: uno, scellerato, rovina patrimonio, dissoluto, partito chissà per dove; l’altro, tutto casa e chiesa, diremmo noi oggi, tutto azienda e lavoro, orario pieno, ferie nessuna, sempre solo in attesa. Chi rivela il cuore marcio del secondo figlio? Il primo che si accorge d’essere stato tutto sbagliato e che torna a casa!

Gesù accoglie l’invito a pranzo di un fariseo, entra tranquillo si adagia a mensa, ma succede che una donna, una peccatrice molto nota, viene a sapere che Gesù sta lì; gli altri poveracci pure giusti perderanno la stima per Gesù perché è andato a mangiare con un uomo ricco importante, fariseo; ebbene la donna pure lo sa, lei però non si scandalizza. Come potrebbe con la vita che fa? Anzi si permette di entrare e sapendolo anche ben collocato al suo posto, come s’usava a quei tempi, in case nobili, ci va con un vaso di alabastro pieno di profumo finissimo , si mette a piangere, abbraccia i piedi di Gesù, glieli lava di lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li unge di profumo.

Insomma una scena che Simone ritiene sconcia e che Gesù invece accetta. E non s’avvede che Gesù legge anche nel cuore di Simone e lo aiuta a rientrare in se stesso e a capire il suo peccato. Capirà Simone che il suo peccato è più grande di quello della prostituta? Alla fine proprio per questo amerà di più come ha fatto la prostituta? Perché la domanda che gli fa Gesù è: tra due debitori (il peccato è sempre un debito nei confronti della vita e di Dio) amerà il padrone, che glielo ha condonato, chi ha il debito più piccolo o più grande? Simone è lucido, capisce e risponde: quello che aveva il debito più grande perché è stato amato di più. Gesù si compiace della risposta, ma Simone non c’è ancora arrivato ad applicare a sé e ai suoi giudizi, al suo disprezzo di questa donna, quanto è più grande il suo peccato, senza che gli nasca un minimo di pentimento.

Chi sa di aver avuto un dono maggiore, riconosce un amore  più grande. Non è forse il vantaggio reale del peccatore sul giusto? Questo infatti non accetta nessun dono come dono: istintivamente lo considera come un debito da pagare con le buone azioni, per questo la sua vita continua a stare fuori dalla gioia e dall’amore, tutto teso a pagare e meritare. Anche l’altro grande Simone, Simon Pietro si dichiarerà disposto a dare la vita per Cristo, ma dovrà capire che sarà Cristo a dare la vita per lui e che la salvezza sua, e quindi di tutti noi peccatori piccoli o grandi, sarà accettare questo dono di amore. Chi alla fine osa pensare che val la pena di peccare di più non ha proprio ancora capito niente dell’amore di Gesù e del tradimento che è sempre anche un solo peccato.

17 Settembre 2020
+Domenico

Accettare il perdono di Dio per godere del suo Regno con Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 7, 31-35)

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La vita porta sempre con sé la necessità di prendere qualche decisione: in automobile ti trovi davanti a un bivio, devi decidere da che parte andare … o ti aiuta Google Maps o hai tu dei ricordi precisi o pensi di avere il senso dell’orientamento chiaro e sai dove sta il Nord e il Sud, anche se con le rotonde non ti basta la geografia.

Ancora più difficile scegliere a chi devi dedicare tutta la tua esistenza e il tuo amore, come impiegare i tuoi soldi che hai faticato tanto a mettere assieme; se poi da te dipende l’avvenire di altre persone hai bisogno ancora di più di vederci chiaro prima di decidere.

Gesù si trova un giorno davanti un ceto di persone che hanno fatto una esperienza bella della figura di Giovanni il Battista, che lui definisce addirittura come il più grande fra i nati di donna; non lo hanno però seguito! Questi che hanno rifiutato l’appello alla conversione del Battista perché si ritengono giusti, non accettano nemmeno l’invito di Gesù, perché si credono autosufficienti: sono i classici farisei e dottori della legge.

E’ gente dal cuore duro, e Gesù dice apertamente che questa generazione è per definizione adultera e peccatrice: adultera perché non conosce Dio suo sposo, peccatrice perché è incapace di accettare il primo comandamento, “Io sono il Signore Dio tuo”;

E’ una generazione che non sta al gioco di Dio, lo contrasta continuamente, sono proprio come i bambini riottosi e capricciosi che non accettano di stare al gioco dei compagni.

Il messaggio di ascesi e conversione di Giovanni è ritenuto una follia da loro, il messaggio di gioia e amore di Gesù è scambiato per dissolutezza; Il loro cuore duro non permette loro di fare discernimento: non accettano il duro richiamo del Battista alla conversione e quindi ancor meno accetteranno di partecipare alla danza dello sposo nel Regno che Gesù annuncia e inaugura.

Invece – annota Gesù – i pubblicani e i peccatori conclamati riconoscono di aver bisogno del perdono e accettano anche l’invito di Gesù al grande banchetto del Regno di Dio.

Accettando la predicazione del Battista, il popolo umile si è reso docile al piano di salvezza del Signore e incontra Gesù che si mescola con loro al Battesimo di penitenza. Accolgono l’invito al lutto di Giovanni e l’invito alle nozze di Gesù: dalla conversione col battesimo di Giovanni passano alla gioia del banchetto del Figlio di Dio.

Non è forse così anche la nostra vita? Anche noi non vogliamo stare al gioco di Dio, pensiamo di essere autosufficienti, di decidere da soli, di fare secondo le nostre piccole mire, e non ci accorgiamo essere solo dei puntigli di superbia, di disprezzo, di sicumera.

La fede in Gesù è prima di tutto e sempre fidarsi, buttarsi nelle sue braccia e rischiare una vita nuova, donata, generosa, aperta, anche se vi compare la Croce come s’è stata pure per Gesù.

16 Settembre 2020
+Domenico

Chi fa compagnia al crocifisso riceve sempre in dono sua Madre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-27)

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Ieri abbiamo contemplato il Crocifisso, oggi contempliamo sua madre che sta ai piedi di questo crocifisso, che è suo figlio: un coraggio unico, una maternità tutta avvolta nella partecipazione al presente e al futuro del Figlio. Tante mamme sono state colpite dalla morte del proprio figlio e tutte si sarebbero volentieri sostituite al figlio nella morte.

La nostra contemplazione si riempie di domande: dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario.

E la Madonna del magnificat è lì: c’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo … ora sembra tutto finito e buttato.

C’è Gesù che possiede ancora un tesoro prezioso, non si sente solo, ha ancora qualcosa, sente la dolcezza e la tragica dedizione di sua madre.

E’ più solo invece Giovanni, nella sua giovinezza, nel suo slancio, nella sua ingenuità di sognatore: ha bisogno di una madre per non smettere di sognare vita e salvezza … e Gesù si rivolge a lui: “Figlio ecco tua madre, tua madre sta qui.”

Quanto è confortante sentirti dire: qui c’è tua madre.

Quando la nostra croce o quella che vediamo sulle spalle degli altri  risulta troppo pesante, guarda che qui c’è tua madre;

Se la tentazione è forte, qui c’è tua madre;

Se la disillusione è dolorosa, qui c’è tua madre;

Se la solitudine è insopportabile e l’incomprensione ti disorienta, guarda che qui c’è tua madre;

Se la scelta del tuo futuro è difficile e lo vedi oscurato, qui c’è tua madre;

Se la fame e l’ingiustizia, la paura e la violenza minacciano di spegnerti la speranza, qui c’è tua madre;

Se i tuoi occhi non scorgono più la bellezza della vita, qui c’è tua madre;

Se la guerra ti toglie anche l’ultima illusione di un mondo nuovo, qui c’è tua madre;

Se l’incanto del virtuale ti distrae dalla vita vera e te la deforma, qui c’è tua madre;

Se non riesci a deciderti di fare della tua vita un dono a una persona come te, per sempre, senza tentennamenti, contro tutte le tentazioni di ritornare a casa tua, qui c’è tua madre.

Maria è una grande consolazione, è una certezza, è un rifugio sicuro, è un punto di riferimento, è un approdo.

Ma Gesù non ha ancora terminato di offrire pace e salvezza, ha un desiderio da esprimere a sua madre: “donna, ecco tuo figlio”. E’ una preghiera a sua madre per Giovanni, per ogni giovane, per ogni persona che si è trovata travolta nella sofferenza, malati, anziani, positivi a una pandemia, incidentati e sbalzati da una moto, assassinati in attentati e guerre.

Lui conosce ogni smarrimento di ciascuno di noi e ci affida a sua madre, conosce la superficialità che ci tenta tutti e dice: questi, così come sono, anche se sono disgraziati, sono tuoi figli.

Quando non riescono ad ascoltare il Signore nel silenzio della preghiera e ad accoglierlo nella sofferenza, madre sono tuoi figli;

Quando non hanno il coraggio di vendere tutto, darlo ai poveri e seguire radicalmente il Signore, madre sono sempre tuoi figli;

Quando si lasciano smarrire nei meandri della droga, della delinquenza, dello sballo, madre sono tuoi figli;

Quando si sposano e tentano di costruirsi un futuro e non sono capaci di amarsi, madre sono tuoi figli;

Quando nella loro vita di giovani sposi non hanno più vino, non sanno più sorridere, hanno perso la gioia della vita, credono di adattarsi a vivere a pane e acqua, madre sono tuoi figli;

Quando per la malattia che li tormenta non riescono a sorridere, madre sono tuoi figli;

E’ questo il testamento di Gesù, è questo che motiva la contemplazione dell’Addolorata: noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni Messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di ogni altare anche oggi c’è Maria che si sente dire da Gesù “sono tuoi figli”, e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete “qui c’è tua madre”.

Oggi ogni sguardo al Crocifisso deve richiamarci la dolcezza di Maria, il testamento di Gesù per noi.

15 Settembre 2020
+Domenico

Strani noi cristiani: fissiamo sempre lo sguardo a una croce!

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 13-17)

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Siamo tutti in cerca di un ideale che possa far convergere tutte le nostre energie, focalizzarle per farle esplodere in qualcosa per cui val la pena di vivere: aiuta molto a vivere avere un sogno che lancia la tua immaginazione oltre le ingessature della realtà.

Rischiamo forse una fuga dalla realtà, non sempre … però invece ci permette di nutrire progetti, visioni di mondo belle, catalizzare le forze su prospettive nuove!

Non abbiamo bisogno solo di mangiare, di riempire la pancia, ma anche di bellezza, di ideali, di simboli che ci richiamano la grandezza della vita oltre ogni miseria in cui la nostra insensatezza l’ha costretta.

Così è stato per gli ebrei nel deserto: erano arrabbiati neri perché questo deserto non finiva, si perdevano in liti e contestazioni; una invasione di serpenti li aveva pure assaliti e morsi.

Mosè allora levò un serpente su un palo, chi lo guardava guariva dai morsi dei serpenti:

E’ una immagine ardita che lo stesso vangelo usa per descrivere Gesù sulla croce: Quella croce è il simbolo, il sogno, l’ideale, la prospettiva cui ogni persona può guardare per avere salvezza, per poter avere forza di riscatto, per stringere i denti nel dolore, per contemplare non tanto la sofferenza che esprime, ma l’amore che vi è inchiodato nella persona del crocifisso.

Lì l’uomo, noi nelle nostre pene quotidiane, troviamo avverata la promessa di Dio, guardando a quella croce vediamo realizzata la volontà di amore di Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito figlio.

Lì Dio si è compromesso fino all’estremo per noi. Lì c’è l’immagine della morte, ma c’è anche la certezza della vita. Non c’è più nessun serpente e nessun male, che esso rappresenta, che ci può colpire.

Quando si fa l’unzione dei malati segniamo la fronte e i palmi delle mani con il segno della croce: questa è distintivo della vita del cristiano. Noi non crediamo in un dio qualunque, astratto, senza volto, ma in un Dio Crocifisso, un Dio che ci ha amati fino a morire per noi.

Nella nostra vita noi vogliamo sempre guardare a questa croce, per questo esponiamo il crocifisso in ogni casa, in ogni luogo.

Oggi fa fastidio a molti, come il suono delle campane: noi non faremo battaglie, ma per noi guardare a quella croce dà speranza e forza nell‘affrontare la vita, ci permette di aprire sempre un finestra sull’eternità, la meta di ogni esistenza.

Deve diventare di meno un ornamento e di più un ideale quel crocifisso che portiamo al collo, che seminiamo nei nostri luoghi di vita comune: avremmo forse più coraggio nell’amare la vita, sicuramente molto di più che a guardarci nello specchio.

Lo specchio ci può dare compiacimento o delusione, la croce invece è sempre una speranza.

14 Settembre 2020
+Domenico

Lasciamoci cambiare dal perdono di Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

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Ci rappresenta un po’ tutti quella parabola che narra di quel servitore perdonato alla grande dal suo creditore e che, come imitazione di un perdono grandissimo, fa lo strozzino – invece – con un suo debitore: diecimila talenti d’oro sono “vagonate” di oro, che lo strozzino non avrebbe mai potuto pagare; quattrocento denari veramente quattro miseri spiccioli, monetine da resto rispetto ai talenti.

Questa è la nostra fotografia di fronte a Dio: il nostro debito verso di Lui è senza misura e Lui se lo carica sulle spalle e ce lo cancella.

Siamo stati perdonati, ma non abbiamo ancora capito che cosa è il perdono, non lo abbiamo ancora accolto, ci è rimasta dentro una mentalità da schiavo, calchiamo sempre con i nostri passi il perimetro della prigione che ci siamo fatti allontanandoci da Dio: siamo abituati a vivere in una pozzanghera e non sappiamo renderci conto del mare aperto, giochiamo ancora con le barchette di carta. 

Chi ci permette di accettare la pienezza del perdono è lo Spirito. Dio ci fa liberi, noi a mala pena ci sentiamo liberati, abbiamo ancora addosso tutta la fasciatura del male, tutta la nostra mentalità da galeotti, da gente che deve sfruttare le occasioni, deve calcolare, deve farsi rincrescere la bontà.

Siamo ancora ammalati di delirio di onnipotenza, il modello di ragionamento non è affatto cambiato: quello che lo strozzino descritto nel Vangelo fa al suo debitore è ancora legato al suo impossibile “ti restituirò tutto”.

Il suo comportamento è evidentemente crudele, ma è più sottile e infido di quanto pensiamo: crede di essere già un salvatore, ma non ha ancora capito di essere un salvato; crede di essere un comprensivo e non ha capito di essere un perdonato; crede di essere uno che accoglie e non ha capito di essere stato accolto, un giusto e non ha capito di essere stato giustificato; crede di essere uno che può esprimere amore, ma non ha capito che è stato tanto amato.

Ma salvatore, comprensivo, accogliente, giusto, amabile è Dio, non lui: non gli passa nemmeno per la testa che queste qualità devono essere d’ora in avanti le sue, e per noi le nostre, che il dono più grande del perdono è il cambiamento del cuore.

Proprio per questo il perdono di Dio è legato al nostro perdonare, è quel gesto di Dio che è legato indissolubilmente alla nostra libertà: Dio non riesce a perdonare se nella nostra libertà non ci lasciamo cambiare dal suo perdono …

… in questo caso, se non ci lasciamo cambiare, il perdono torna “indietro”: Toccherà ancora a Dio riprenderci perché Lui non ci abbandona mai.

13 Settembre 2020
+Domenico

La casa sulla roccia: una Parola fattiva, concreta, palpabile

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 43-49)

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Al centro della attenzione del Vangelo di Luca al capitolo 6, che stiamo leggendo alle Messe di questa settimana, c’è sempre una Parola definitiva che descrive la qualità più importante del volto di Dio in Gesù, quindi del suo progetto sull’umanità, e questa parola definitiva è la sua grande misericordia: un dono che deve essere accolto e praticato da ogni persona che vuol dirsi cristiano e credente, ed è pure  battezzato.

Le immagini che usa Gesù per richiamare questo grande dono sono quelle della lotta all’ipocrisia, significata dalla pagliuzza che vogliamo togliere dall’occhio di un altro senza guardare piuttosto la trave che c’è nel nostro, e quella della casa fondata sulla pietra o sulla sabbia, cioè sull’ascolto e sulla messa in atto della volontà di Dio, che vuole soprattutto misericordia, e non sull’accolto soltanto di qualche parola.

Insomma la salvezza dipende dall’obbedienza alla Parola di misericordia che Gesù ha dato: un ascolto fattivo di essa, è salvezza e vita, mentre la disobbedienza ad essa è rovina.

Certo noi professiamo con onestà la nostra fede quando diciamo a Gesù: Signore, Signore: è l’acclamazione di fede dei battezzati, che nella forza dello Spirito Santo hanno aderito a Gesù, riconoscendolo come loro Signore … ma questo Signore esige l’ascolto e l’obbedienza concreta, da quella affermazione deve nascere una vita nuova, perché una fede che si arresta alla conoscenza e non diventa esperienza che trasforma la vita è non solo insufficiente, ma distruttiva.

Ecco allora la parabola della casa: su che casa costruisco la mia vita cristiana? su una casa fondata sulla roccia, che resiste ad ogni scossone o su una casa fondata sulla sabbia che vien subito rovinosamente a disintegrarsi con la forza del vento e dell’acqua? Dice Gesù che una casa è fondata sulla roccia se è costruita sulla Parola di Dio, attuata concretamente nella vita: una parola fattiva, non un insieme di affermazioni anche roboanti, stupefacenti, tipo “che belle parole che dice, che facondia nel parlare, che bella capacità di persuasione!”

Se tutte queste affermazioni non producono niente, se la parola “misericordia” che Gesù propone  non la vive, non la pratica, non la sente come fondamento del suo essere cristiano, se non è capace mai di perdonare, che cristiano è? Che sicurezza ha la casa fondata sulle sue parole al vento? Crollerà sicuramente.

La vera casa dell’uomo, dove l’uomo dimora con Dio e Dio con Lui è questo amore, questa  misericordia fattiva. Dio dove ha posto la sua casa tra gli uomini? L’ha posta nell’amore e nel perdono fatto carne che è Gesù; Gesù ha subito altro che venti e  bufere, hanno anche tentato di dire l’ultima parola su di Lui, di distruggere la sua vita, ma è risorto, se l’è ripresa trionfante.

Con la forza della parola ascoltata, fatta vita, resa per noi concreta con Gesù non crolleremo mai, vivremo sempre del suo perdono e sapremo essere perdono del Signore per tutti.

12 Settembre 2020
+Domenico

Occhio buono, fa sempre buono l’altro

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6,39-42)

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Il comandamento dell’amore di misericordia è l’unica via di salvezza, perché ci fa diventare quello che siamo come cristiani, come battezzati, cioè figli dell’Altissimo:  è una verità decisiva per la quale non si può assolutamente abbassare il tiro; chi lo facesse è un cieco che guida un altro cieco, è un falso maestro.

La misericordia è il massimo bene perché è quell’amore che sa realisticamente conoscere e farsi carico del male.

La misericordia impedisce la stoltezza e la presunzione di criticare gli altri; la critica la rivolgiamo prima di tutto a noi stessi, per conoscere il nostro male e la misericordia di cui siamo assetati: alla critica in cui si usa la verità per trionfare sull’altro dobbiamo sostituire sempre l’autocritica. In questo modo ci scopriamo, come gli altri, bisognosi di misericordia; vinciamo la cecità e siamo messi in grado di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello allo stesso modo in cui è stata tolta la nostra trave dal nostro occhio.

Infatti la misericordia guarisce il male dell’altro e ci salva dal nostro male, altrimenti siamo ipocriti!

Con questa parola Gesù stigmatizza, rende evidente, fotografa il grande peccato: quello di Adamo che volle mettersi al posto di Dio, quello del fariseo che pensa di salvarsi da solo, rimproverando gli altri.

Ipocrisia non è una semplice finzione, ma un protagonismo, il cercare il primo posto in tutto, farsi centro di tutto, mettere l’io al posto di Dio. Ricordiamo tutti quel fariseo che stava davanti all’altare e si riteneva migliore del pubblicano che stava in fondo alla sinagoga.

La critica non è assolutamente mai via per la correzione del fratello. L’unica correzione possibile dell’altro, così che non si indurisca nel male, è il mio occhio buono di perdono e di misericordia.

Questo può avvenire se ho conoscenza del mio male e faccio anch’io esperienza del perdono di Dio. Se il fratello, l’altro che incontro si sente assolto e graziato può camminare verso il bene, può percepirsi bisognoso di misericordia e farne esperienza.

Agire diversamente è essere guide cieche di altri ciechi: finiamo per filtrare il moscerino e ingoiare il cammello.

Noi che spesso pratichiamo la vita della comunità cristiana, che abbiamo dimestichezza con la Parola di Dio, siamo ancora più tentati di giudicare gli altri e giustificare noi stessi: è un peccato di cecità che ci impedisce di conoscere il nostro male e di conoscere Dio.

Insomma per fare del bene occorre sempre avere un occhio buono, guardarci dentro, rimproverare noi stessi e mai gli altri.

Tutti abbiamo l’esperienza di avere percepito su di noi uno sguardo di bontà, la percezione che senza merito qualcuno mi ha voluto bene: un occhio buono vede buono e fa diventare buono, perché comunica bontà e non giudizio.

11 Settembre 2020
+Domenico

Vogliamo contemplare ciò che fa Dio per noi

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 27-38)

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Ci sono dei messaggi nel Vangelo che noi prendiamo subito come “raccomandazioni”: sono un poco forti, spesso impossibili, sicuramente indicazioni di comportamento “fuori dal normale”.

Ma come si fa a mettere assieme tutti questi comportamenti così esagerati in una persona che fa già fatica a volersi bene e a voler bene ai suoi familiari, amici, compagni di scuola o di lavoro?

Proviamo a leggere questi inviti come veramente sono, cioè i rapporti che da sempre Dio ha con noi, che ci dicono chi è Dio per ciascuno di noi, per me, per te, per tutti.

In Gesù, mi rivela il volto di Dio che …

  • mi ama, mentre io sono suo nemico;
  • mi fa del bene, anche se lo odio;
  • mi benedice, mentre lo maledico;
  • intercede per me, mentre lo uccido;
  • purchè io sia salvo, è disposto a subire ogni cattiveria anche da me;
  • io lo spoglio e lui mi riveste della sua nudità;
  • mi dona anche quel che non oso chiedergli e non rivuole ciò che gli ho rubato;
  • per corrermi dietro a salvarmi,  ha fatto una strada infinita, non soltanto due miglia;
  • è sempre pronto a porgermi l’altra guancia, invece che darmi ciò che merito;
  • mi riempie di doni: la creazione, la natura … mentre io la continuo ad avvelenare;

Quindi l’amare i nemici, il fare del bene a chi mi fa del male … sono solo cose che Dio fa sempre a me: io sono infinitamente amato anche se sono suo nemico, lo odio, maledico, bestemmio, lo rinnego, sono violento, sono uno “spogliatore”, un petulante, un indigente, un ladro.

Conoscere Dio è sperimentare il suo amore in Gesù, morto per me sulla croce.

Le raccomandazioni che ci sembrano impossibili riusciamo  a farle diventare la nostra vita normale, a farle essere un distintivo del cristiano: una nuova forza di bontà in un  mondo che fa dell’odio, della guerra, della persecuzione, del disprezzo dei poveri il suo vanto, se contempliamo sempre Lui, il Signore, col volto di Cristo, morto per amore e vivente in eterno.

L’essere misericordiosi come il Padre nostro che è nei cieli, come Lui è misericordioso con noi, è un comandamento fondamentale per un cristiano: è l’unica strada maestra per la salvezza, con la quale tutti dobbiamo misurarci.

10 Settembre 2020
+Domenico